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Autore: Anna Wanderer Love    30/06/2020    2 recensioni
Jiang Cheng irrompe nella stanza di Lan Xichen. Il Pontile di Loto è sconvolto: Jin Ling è scomparso, e nessuno riesce a trovarlo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jiang Wanyin/Jiang Cheng, Lan XiChen/Lan Huan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche se mancava ancora qualche minuto alle nove Lan Xichen era già sdraiato a letto, gli occhi cristallini persi tra le delicate linee che decoravano il soffitto. I capelli circondavano la sua testa come una corona corvina, messa in risalto dal bianco delle sue vesti. Era già immerso in un morbido torpore, cullato dal calore delle coperte, mentre la sua mente veleggiava tra oceani di pensieri. Onde di immagini sconnesse rivelavano una sottile linea di fondo: era un caleidoscopio di frammenti di suoni e ricordi. Il delicato sorriso con cui era stato accolto dal capoclan quella mattina, le parole che gli aveva rivolto mentre passeggiavano, volte a celare sotto la loro apparente asprezza una gioia sottile, il modo in cui i suoi duri e intensi occhi color nocciola l’avevano guardato prima di separarsi, il bagliore viola delle sue stoffe illuminate dalle candele mentre lo lasciava, la sensazione di completezza che aveva provato nel ritrovarsi lì, circondato dal dolce buio della notte, vicino a lui - tutto questo gli tornava in mente, scaldandogli il cuore.
Nel momento in cui chiuse gli occhi, abbandonandosi alla corrente di sogni che l’aveva accolto tra i suoi flutti cangianti, un rumore secco lo sottrasse bruscamente a quella dolcezza. Riaprì gli occhi, vagamente confuso, prima di voltare la testa quando il suono si ripeté di nuovo, più veloce. Dopo qualche secondo, una serie di battiti impazienti lo spinse ad alzarsi. Chi si trovava fuori dal suo jingshi doveva avere una gran fretta di vederlo, a giudicare dalla forza con cui bussava.
Lan Xichen si avvicinò a passi rapidi, mantenendo la solita compostezza, anche se la testa gli girò per un istante -si era alzato troppo in fretta. Aprì la porta e i suoi occhi rivelarono tutta la sorpresa che lo colse quando si trovò davanti il volto ansioso del capoclan. La prima cosa che notò fu come i suoi occhi sembrassero preda di un’ansia feroce, tradita anche dalle sopracciglia aggrottate e dalla piega delle labbra serrate.
- Capoclan Jiang – esclamò, e per un attimo fu distratto dal modo in cui Jiang Cheng abbassò lentamente il braccio al lato della sua testa, ancora teso per bussare quando aveva aperto la porta. Una lieve espressione imbarazzata tinse il suo viso di rosa quando lo sguardo gli cadde sulle vesti da notte che la Prima Giada indossava, l’unica cosa a coprire le sue larghe spalle.
- Mi dispiace disturbarvi, ma ho bisogno del vostro aiuto – la voce del capoclan era affilata come il filo di una spada. La sottile paura che Lan Xichen vi percepì lo spinse a fare un passo in avanti, i lineamenti eleganti che si irrigidivano facendo trapelare la sua preoccupazione.
- Qual è il problema?
Tutto si sarebbe aspettato, tranne la risposta che Jiang Cheng, tentennante, gli diede. Sfuggendo il suo sguardo, un delicato rosa pallido a colorare le sue guance, si rassegnò a pronunciare quelle parole. 
- Io… ho perso Jin Ling.
Lan Xichen rimase senza parole per qualche secondo di troppo, la voce impigliata in gola. Le sue labbra si schiusero, ma nessun suono vi uscì. Lo sguardo bruciante di Jiang Cheng vi si soffermò per quello -la Prima Giada ne era sicura. Per un secondo le iridi scure davanti a lui sembrarono scintillare di un’emozione che non riuscì a decifrare.
- Cosa… cosa vuol dire che l’avete perso?
Jiang Cheng voltò la testa, fissando con la fronte ancora più aggrottata i rami delle magnolie che si arrampicavano tra i pontili poco distante, arrossendo ancora di più. Lan Xichen si accorse che le sue braccia stavano tremando, tanta era la forza con cui stava stringendo i pugni.
- Io… - la voce del capoclan vacillò, e il suo ospite si affrettò ad allungare una mano e posarla delicatamente sul suo braccio per calmarlo. Jiang Cheng voltò di scatto la testa, fissandolo con gli occhi che ardevano, mentre la Prima Giada gli rivolgeva un sorriso gentile.
- Vi aiuterò, ma spiegatemi cosa è successo – lo rassicurò.
L’uomo prese un respiro profondo, chiudendo per un attimo gli occhi e concentrandosi sul lieve tocco che gli mandava vampate di calore lungo tutto il braccio.
- Lui… voleva giocare a nascondino, ma gli ho detto di andare a letto e quando non mi ha ascoltato mi sono arrabbiato – i suoi lineamenti rivelavano il turbamento e i sensi di colpa che gli stavano contorcendo lo stomaco. Lan Xichen ammorbidì la propria espressione, consapevole dello sforzo che il capoclan aveva fatto ad esporsi in quel modo al suo giudizio. Rendendosi vulnerabile.
Gli occhi scuri di Jiang Cheng saettarono verso il volto dell’ospite, ma non trovando altro che empatia persero la scintilla di ferocia che li aveva animati.
- Lui è corso via e pensavo fosse andato nella sua stanza… sono andato a controllare dopo qualche minuto ma non era lì. L’ho cercato dappertutto, ho chiesto a chiunque ma... è sparito – ora la preoccupazione era ben percepibile. Lan Xichen accarezzò lievemente il suo braccio, facendo un altro passo avanti senza esitazione. Jiang Cheng sgranò involontariamente gli occhi quando si avvicinò a lui, ancora, il volto una maschera di gentilezza e decisione, il profumo di legno di sandalo ad avvolgerlo in una nuvola. Il capoclan sentì il suo cuore battere impazzito mentre per un secondo il mare di emozioni in quegli occhi cristallini lo inondava di dolcezza.
- Andiamo allora.

Quella notte ogni singola persona di Yunmeng fu buttata giù dal letto con l’indicazione di trovare il piccolo Jin Ling a qualsiasi costo. Schiere di servitori si addentrarono nei boschi, gruppi di ancelle ribaltarono ogni angolo del Pontile di Loto, persino i cani furono sguinzagliati in cerca del bambino. Mentre le ore passavano e la luce della luna vegliava sulla brulicante massa di persone che si chiedeva tra sé e sé come fosse possibile perdere un bambino invece che metterlo a letto, senza osare però dirlo ad alta voce per timore che il capoclan spuntasse improvvisamente alle loro spalle, la caccia si rivelò infruttuosa. I sussurri che correvano lungo le passerelle di legno dipingevano la pittoresca immagine dei due cultori intenti a cercare disperatamente quella peste che aveva svegliato tutta Yunmeng, guardando persino nelle piccole barche dondolanti sulle acque del pontile e tra i banchetti dei venditori di cibo. Si vociferava che Jiang Cheng esplodesse in violente manifestazioni di rabbia -tirando calci alle bancarelle, frustando alberi, afferrando per il bavero i pochi pescatori svegli che balbettavano di non aver visto nessun bambino- e fosse rapidamente calmato da un Lan Xichen in vesti da notte, che lo prendeva per mano e lo trascinava altrove rasserenandolo con i suoi toni gentili. Insomma, una scena di cui era molto interessante parlare, anche se sicuramente era meglio non assistervi personalmente -così da non rischiare la vita attirandosi l’ira del capoclan.
Le stelle brillavano tranquille nel cuore della notte quando tutti giunsero a un’unica, preoccupante conclusione: il bambino era sparito. Ogni botola, ripostiglio e nascondiglio era stato controllato più e più volte -persino sotto i letti, sotto i tavoli, sui tetti, negli armadi non c’era.
Jin Ling era scomparso.
Anche se l’allarme non era cessato, non si poteva fare altro che aspettare il mattino per andare a controllare le zone circostanti. Alcuni cultori e discepoli erano già intenti a perlustrare i dintorni di Yunmeng, ma era troppo pericoloso per le altre persone farlo senza la luce del sole.
Mentre al Pontile di Loto tornava la calma e gruppi di servitori si sedevano a spettegolare e bere vino, ormai fin troppo svegli per riaddormentarsi, Jiang Cheng vagava terrorizzato per il bosco, il cuore che tamburellava in petto, una lanterna in una mano e Zidian che a tratti si risvegliava senza che riuscisse a controllarla. Il panico e il terrore che il suo padrone stava provando erano talmente intensi che l’arma si sfoderava da sola, con l’unico risultato di lasciare profondi solchi nel terreno -e di far spostare Lan Xichen dall’altro lato del capoclan, dopo che l’orlo della sua veste era stato bruciato.
La Prima Giada si era affiancata a lui, scandagliando l’oscurità attorno a loro con i suoi occhi di ghiaccio, incurante del freddo. L’unica cosa che lo preoccupava era il livello di disperazione che il suo compagno stava raggiungendo. Anche se non aveva proferito più parola da quando si erano addentrati nel bosco, Jiang Cheng si guardava febbrilmente attorno, il respiro leggermente affannato mentre si affrettava in ogni direzione senza sapere effettivamente dove andare. Lan Xichen poteva solo immaginare quanta ansia stesse provando, ma cercava di rimanere calmo per entrambi, correggendo il tiro delle loro ricerche quando il cultore al suo fianco non si rendeva conto di guidarlo verso una zona che avevano già controllato.
Dopo lunghe ore, nemmeno loro erano riusciti a trovare il bambino, nonostante a un certo punto si fossero messi a gridare il suo nome con ogni briciola di energia. Avevano provato anche con i talismani, ma niente. L’unica cosa che avevano ricevuto in risposta era l’eco dei versi degli animali notturni, che li osservavano appollaiati sui rami con i loro grandi occhi dorati.
Mancava poco all’alba quando Lan Xichen si fermò. Jiang Cheng se ne accorse solo dopo qualche falcata. Si volse verso il cultore e scosse la testa quando vide la sua espressione cupa.
- Non possiamo fermarci! – esclamò, la voce rauca per la fatica. Il suo volto era segnato dal panico che aveva consumato ogni sua forza, lasciando solo profonde occhiaie e una scintilla di disperazione nei suoi occhi. Lan Xichen fece qualche passo in avanti, le figure degli alberi attorno a loro che si schiarivano mentre la luce cominciava a fare capolino, rendendo l’atmosfera meno tetra. Erano entrambi esausti, e la cosa più saggia da fare era riprendere le forze prima di continuare la ricerca.
Jiang Cheng fece un passo indietro quando la Prima Giada si avvicinò, scuotendo nuovamente la testa.
- Capoclan Jiang, dobbiamo riposarci.
- No! Io continuo a cercarlo – ribatté testardamente l’altro. Zidian vibrò, e Lan Xichen gli gettò un’occhiata preoccupata. Non gli importava della veste, ma non voleva finire con una bruciatura lungo tutto il corpo.
- Ascoltatemi, non possiamo continuare a vagare alla cieca. Torniamo indietro, così potremo capire se qualcuno ha trovato qualche indizio.
- Andate voi, io rimango – il tono feroce di Jiang Cheng non lo ingannava. La prima Giada sapeva che era sul punto di crollare, lo vedeva nei suoi occhi, nel modo in cui le sue spalle erano curve sotto al peso di quella responsabilità che gli toglieva il respiro. Nel modo in cui nei suoi occhi poteva leggere una preghiera silenziosa. Non lasciarmi.
- Ho detto che rimango – strepitò quando Lan Xichen fece un altro passo avanti. Il volto dell’uomo si scurì, ma solo quando il capoclan gli diede le spalle per andarsene gli afferrò il polso -Jiang Cheng si ribellò a quella presa, spintonandolo, e in quella frazione di secondo il cultore non riuscì a trattenersi. In meno di un istante lo spinse indietro, posandogli una mano sul petto e sbattendolo contro un tronco, immobilizzandolo con il peso del proprio corpo.
Jiang Cheng sgranò gli occhi, furioso, ma la stretta sui suoi polsi era d’acciaio; lo sguardo della Prima Giada lo fulminò sul posto quando provò a dimenarsi, mentre il suo corpo lo schiacciava contro l’albero.
- Smettetela! – non aveva mai sentito la voce di Lan Xichen così. Così sfibrata, così rabbiosa, così preoccupata. Fu quella che lo riportò in sé, che gli schiarì la mente, che gli fece realizzare in quale vortice di paura e di terrore era caduto. Jiang Cheng smise di provare a liberarsi, col respiro affannoso, posando la testa contro la dura corteccia e fissando l’uomo che lo teneva incatenato, con gli occhi che si riempivano lentamente di lacrime. La Prima Giada si immobilizzò quando vide lo scintillio del pianto che gli annebbiava la vista; le sue labbra si schiusero in preda alla sorpresa, le sue iridi chiare si riempirono di rimpianto per il tono che aveva usato –voleva solo abbracciarlo.
- Per favore – mormorò, la voce dolce come miele, e Jiang Cheng non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo volto esausto e meraviglioso. Lentamente, sentì il suo corpo cedere -per fortuna non erano le sue gambe a sostenerlo, ma Lan Xichen stesso, che non appena avvertì la gravità trascinarlo verso il basso lo afferrò fulmineo per i fianchi, reggendolo in piedi, spingendolo di nuovo contro l’albero per impedirgli di accasciarsi a terra.
Solo in quel momento entrambi si resero conto delle condizioni in cui erano -Lan Xichen di come avesse stretto i polsi del capoclan fino a lasciare segni rossastri sulla sua pelle, Jiang Cheng di come fosse completamente abbandonato sul corpo del cultore, le sue mani che gli affondavano nei fianchi incendiando la pelle sotto agli strati di stoffe. I loro visi erano a meno di una spanna di distanza, i respiri spezzati accarezzavano uno il volto dell’altro.
- Torniamo – sussurrò Lan Xichen, una sconfinata dolcezza nelle sue iridi chiare. Jiang Cheng chiuse gli occhi e non riuscì a impedirsi di posare la fronte sulla spalla dell’uomo, inspirando il suo profumo, stringendo le vesti bianche tra le dita, mentre per un attimo la paura scivolava via. – Va bene – sussurrò sulla sua pelle, mentre la Prima Giada sentiva un brivido correre su per la schiena, arrossendo -e cingendo delicatamente il corpo dell’uomo in un tenero abbraccio.
Sentì le mani di Jiang Cheng aggrapparsi con forza alle spalle, stringerlo fino a fargli male. Rimase in silenzio, con il cuore in gola, appoggiando la guancia alla sua testa mentre qualcosa di umido gli scorreva lungo il collo, mentre il suo respiro spezzato gli scaldava il collo. Le lacrime lasciarono striature bollenti sulla sua pelle.
- Lo troveremo – sussurrò – lo prometto.
Sulla via del ritorno, mentre la delicata luce dell’alba tingeva la foresta attorno a loro di un verde brillante e di scie dorate, Jiang Cheng era rimasto in silenzio, senza osare nemmeno guardarlo in faccia. Sul suo volto, stanco ma composto, non c’era più traccia delle violente emozioni che l’avevano fatto crollare. Né di lacrime. Lan Xichen gliele aveva asciugate teneramente con la manica mentre teneva lo sguardo fisso per terra, cercando di riprendere il controllo. Gli era sembrato anche di sentire, per un lieve istante, le dita della Prima Giada sfiorargli la guancia -ma di sicuro se lo era solo immaginato. Doveva esserselo immaginato.
Ancora non riusciva a credere a come si fosse lasciato andare in quel modo di fronte a Lan Xichen. Non appena i suoi pensieri turbinavano verso quella direzione, riportando alla memoria ciò che era successo, sentiva le gambe cedere. Anche solo il pensiero di essere scoppiato a piangere così, sulla sua spalla, stringendosi a lui come un bambino perso e spaventato, gli faceva venire le vertigini. Per non parlare poi del modo irrispettoso con cui si era rivolto alla Prima Giada dopo averlo svegliato nella notte e trascinato a cercare un bambino di cui lui e lui soltanto aveva responsabilità, facendolo vagare per ore senza alcun risultato. E nel ricordare il modo in cui era riuscito a spazientirlo, provocando la reazione più violenta che gli avesse mai visto, costringendo lui, uno dei più rispettabili e potenti coltivatori, a immobilizzarlo pur di calmarlo… il sangue gli si gelava nelle vene. Non ci voleva pensare. Eppure era l’unica cosa su cui il suo cervello pareva riuscisse a concentrarsi.
La vergogna era cocente, e non avrebbe mai più guardato in faccia Lan Xichen, Jiang Cheng aveva deciso. Non osava nemmeno gettare una timida occhiata al suo volto, temendo di trovarvi solo fastidio e disprezzo.
Ovviamente ciò che il viso della Prima Giada esprimeva non era affatto quello. Per una volta nemmeno lui sapeva cosa dire, intrappolato tra i dubbi che gli frullavano in mente. Avrebbe voluto fermarsi e guardare il capoclan dritto in faccia, dicendogli che non c’era bisogno di essere così nervoso, di evitare il suo sguardo, di tornare sui propri passi ogni volta che cercava di dire qualcosa. Non avrebbe di certo giudicato Jiang Cheng per aver mostrato la sua vulnerabilità, non per averla rivelata a lui -non quando il bambino che era sfuggito alla sua custodia era la sola famiglia che gli rimaneva. Non dopo che i sensi di colpa lo avevano tormentato tutta la notte. Ma Lan Xichen non sapeva come esprimere tutti quei pensieri senza mettere in imbarazzo l’uomo che gli camminava accanto, quindi rimase semplicemente in silenzio, impedendosi di sfiorare la sua mano con le dita per rassicurarlo con un tocco gentile.
Quando i profili dei tetti delle case di Yunmeng si rivelarono oltre al fogliame degli alberi, illuminati delicatamente dall’alba, Jiang Cheng sospirò sollevato. Gettò una rapida occhiata alla Prima Giada e sentì il cuore mancare un battito mentre notava la sfumatura perlacea che i suoi occhi avevano assunto, colpiti dalla luce del sole, così come la calda tonalità della sua pelle, risaltata dal candore delle sue vesti, rovinate dal segno nerastro della bruciatura di Zidian.
Non appena li videro avvicinarsi i servitori corsero loro incontro, i volti spaventati –solo dalle loro espressioni Jiang Cheng capì che non avevano trovato suo nipote, e il terrore riguadagnò rapidamente terreno nel suo petto.
Diede ordine di mandare squadre di uomini a perlustrare i dintorni alla luce del sole, di far interrompere ogni attività e spedire ogni abitante alla ricerca del bambino, la voce intrisa di preoccupazione. Vedeva come lo guardavano, mentre ascoltavano le sue vuote parole -accusatori, increduli. Che razza di zio fa scappare suo nipote? Che razza di uomo spaventa un bambino al punto da farlo scappare?
Mentre superavano il ponte che una volta aveva condotto alla stanza di Yanli, il profumo delle magnolie che riempiva l’aria frizzante, per un attimo il volto di sua sorella apparve nella sua mente. Immaginò le parole che gli avrebbe rivolto -parole d’accusa, di condanna. Come hai potuto perdere mio figlio? Come hai potuto essere così incapace? Dov’è adesso? Dov’è la parte di me che hai promesso di proteggere per sempre?
- Capoclan Jiang – si riscosse dai pensieri, rendendosi conto di essersi fermato proprio davanti alla porta di quello che era stato il jingshi di Yanli, dove non era mai più entrato. Dove non aveva mai permesso a nessuno di entrare -pena cento frustate. Lan Xichen lo guardava preoccupato, ancora così vicino. Jiang Cheng rabbrividì, mentre un improvviso pensiero lo coglieva di sprovvista -senza dire una parola, con la mano che tremava, fece scorrere la porta della stanza, entrando esitante nella penombra.
La Prima Giada lo seguì, incerto, consapevole che l’espressione di dolore che era apparsa sul suo volto rivelava che quella non era una stanza normale. Si chiuse la porta alle spalle e quando si voltò per un secondo il suo cuore mancò un battito -Jiang Cheng era caduto in ginocchio, le mani che artigliavano il pavimento, la testa chinata verso il basso, il volto coperto dalla cascata di capelli corvini.
- Jiang Cheng! – non riuscì a impedirsi di urlare il suo nome, mentre si precipitava al suo fianco, allungando le braccia per stringerlo a sé.
Rompendo ogni promessa che si era fatto, Jiang Cheng afferrò il braccio della Prima Giada, posando la testa contro il suo petto, soffocando un altro singhiozzo. Lan Xichen non capiva -un misto di preoccupazione, sgomento e confusione lo attanagliò, mentre abbracciava il capoclan fino a spezzargli il respiro, cercando di alleviare almeno un po’ del suo dolore, di tenere insieme quel fragile corpo sul punto di andare in pezzi. Non capiva -almeno finché con la coda degli occhi non notò qualcosa alla loro sinistra. Voltando la testa, la morsa di violente emozioni improvvisamente scomparve dal suo petto.
La minuscola sagoma di Jin Ling era distesa sul letto, avvolta tra le coperte del letto di Yanli. Il volto paffuto era affondato nel cuscino ancora intriso del profumo della sua mamma, le guance striate da scie di lacrime secche, i capelli a coprire gli occhi gonfi. Al petto stringeva un foglio -il ritratto che una volta era stato appeso alla parete, il ritratto dei tre fratelli ridenti nel pieno della loro spensierata giovinezza. Il ritratto che la notte prima, allungando le braccia verso l’alto fino a farsi male per riuscire a raggiungerlo, piangendo disperato, mentre mille spilli di dolore gli perforavano il cuore, aveva staccato dal muro. Il ritratto che aveva abbracciato finché si era addormentato, cercando di immaginare il calore del corpo della sua mamma, cercando di sentire il morbido tocco delle sue carezze attraverso quel sottile pezzo di pergamena. Anche nel sonno, il suo volto era oscurato da un’ombra di dolore, la fronte aggrottata e le labbra che tremavano, le piccole dita che premevano quel foglio freddo sul cuore.
Jiang Cheng rimase immobile per qualche istante, abbandonato contro il petto della Prima Giada, cercando di trattenere il pianto che gli occludeva la gola. Poi, lentamente, le mani che accarezzavano lentamente quelle del suo cultore, si sottrasse alla sua presa, rialzando la testa. Le gocce che erano rotolate sulle sue guance erano lo specchio di quelle che avevano bruciato la pelle di suo nipote la notte prima. Erano il riflesso dello stesso, agonizzante dolore.
Jiang Cheng si rialzò, prendendo un respiro profondo, avvicinandosi lentamente al bambino addormentato, inginocchiandosi e osservando con gli occhi lucidi di tenerezza il suo visino pallido. Con delicatezza, sfiorò i suoi capelli disordinati, temendo di svegliarlo. Mentre quel tocco gentile scaldava la sua testolina infreddolita, Jin Ling si mosse. Una delle manine lasciò esitante il ritratto, afferrando istintivamente quella di suo zio -enorme, calda, protettiva. Le sue labbra tremarono, mentre Jiang Cheng si chinava su di lui e lo avvolgeva in un abbraccio, stringendolo al petto, baciando la sua fronte.
La fronte di Jin Ling si spianò, la sua espressione si rasserenò.
Finalmente era al caldo.
Finalmente era al sicuro.
 
 
   
 
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