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Autore: Atenah    01/07/2020    0 recensioni
[Un'alternativa inufficiale al 22esimo volume di Sherlock, Lupin e io, ambientato dopo "Grande inganno al Royal Hotel".]
Il mondo sta cambiando, il tempo passa, la storia continua e decisioni vanno prese. Non c'è nessuno che questo lo sappia meglio di Mycroft Holmes e così egli assegna agli abitanti di Briony Lodge un'ultima missione che andrà a congiun gere passato con futuro.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Irene Adler, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quella lontana giornata di ottobre Londra sembrava esser stata spennellata con varie sfumature di marroni, gialli e rossi da qualche ignoto pittore.
L'autunno si era posato sorprendentemente caldo sulla capitale del regno unito e così tutto il mese di settembre e buona parte di quello di ottobre erano passati avvolti in un piacevole torpore. Ora che le strade e i prati dei parchi erano ricoperti da un tappeto di foglie di varie dimensioni e colori, un freddo vento umido stava arrivando a riappropriarsi della città.
Così quella mattina mi ero decisa a fare il mio cambio di guardaroba e passare definitivamente ai miei vestiti più pesanti. Stavo davanti allo specchio e me li provavo uno ad uno e più ne provavo, più cresceva la frustrazione in me.
Sembrava non esserci una sola cosa che mi stesse, eppure erano i miei vestiti. In alcuni le maniche erano troppo corte, ma per la maggior parte mi stavano stretti sul petto.
Se ora ci ripenso mi viene da ridere ricordandomi di come con un ultimo sbuffo scocciato avevo lasciato cadere a terra un lungo abito color ocra e avevo deciso di farmi un bagno caldo per rilassare il mio animo.
Ovviamente i miei poveri vestiti non portavano alcuna colpa e in realtà neanch'io. La semplice risposta a questo problema era che ero cresciuta e non solo in altezza.
Pensai alla mia lezione che il professor Hardwicke aveva tenuto il giorno precedente. Mi aveva parlato dell'evoluzione umana, dall'australopitecus all'homo sapiens. In un certo senso anch'io ero evoluta durante l'ultimo anno, o forse mi stavo ancora evolvendo. Il mio corpo e il mio viso da bambina stavano lentamente mutando in quello di una donna e avevo il sospetto di trovarmi solo a metà di questo processo e che avrei cambiato ancora molti vestiti.
Quando uscii dalla vasca mi avvolsi in un grande asciugamano e notai con piacere che ero effettivamente più calma. Mi osservai allo specchio mentre avvolgevo in un secondo asciugamano i miei capelli; i miei zigomi iniziavano ad essere più pronunciati e tutto il mio viso in generale sembrava più spigoloso e le labbra più piene. Altre parti del mio corpo si erano invece ammorbidite, come per esempio i miei fianchi o il mio seno. Non c'era niente da fare: avevo bisogno di fare acquisti.
Quella mattina ancora non me ne resi conto, ma in realtà io non ero l'unica ad essere in evoluzione. Erano gli anni 20 e tutto il mondo si muoveva a grande velocità. Tutto mutava, tutto cambiava e anche se a molte persone il cambiamento fa paura, esso non è sempre un male, anzi, cambiamento vuol dire anche nuove opportunità, nuove avventure.
Non lo sapevo ancora, ma dei cambiamenti erano in realtà già pronti a bussare alla porta di Briony Lodge ed essi sarebbero stati alcuni degli scalpello che mi hanno fatto diventare la persona che sono oggi. Un nuovo capitolo era proprio sul punto di incominciare.
 
Per il momento però la mia preoccupazione consisteva nell'andare a fare compere, quindi scesi in salotto per cercare mia madre, ma vi trovai soltanto Sherlock immerso nella lettura del Times. Stavo per aprire bocca per chiedergli dove fosse Irene, ma egli sembrò leggermi nel pensiero e mi indicò la sala da pranzo.
Quando entrai nella stanza mi si presentò dinanzi una scena alquanto buffa. Lupin era in piedi su uno sgabello e cercava di attaccare un Rembrandt al muro, mentre mia madre era in piedi a pochi passi di distanza con le mani sui fianchi: "Mon amie, continua ad essere storto così!", stava dicendo in quel momento.
Il delizioso quadretto era arrivato pochi giorni prima da Parigi e proveniva da ciò che Lupin chiamava la sua "collezione personale". Holmes aveva alzato un sopracciglio dubbioso, ma alla fine nessuno aveva voluto sapere da dove venisse esattamente quel Rembrandt.
Entrai in sala da pranzo e spiegai in poche parole secche che avevo bisogno di nuovi vestiti e così poco dopo Irene andò a chiamare uno scocciatissimo Sherlock affinché finisse di aiutare Arséne con il quadro e uscì insieme a me di casa.
Adoravo queste scappatelle in città improvvise con mia madre! Irene era solita a portarmi in moltissimi posti nuovi, farmi assaggiare una pietanza esotica a qualche bancarella o raccontarmi un aneddoto di una suo avventura vissuta con i suoi grandi amici.
Quella mattina la seguii fino a Regents Street, in uno dei quartieri più lussuriosi e infine ci fermammo davanti ad una lucente porta verde al numero 627, Monsieur Laurent tailleur vi era scritto sopra a lettere dorate.
"Questo", mi raccontò Irene con un sorriso: "era il mio sarto quando abitavo qui a Londra da giovane e visto che anche tu ora sei una giovane donna, credo che sia arrivato il momento di farti confezionare qualche abito su misura.".
Io arrossii un po' per l'emozione, ma sorrisi contenta a mia madre e insieme entrammo.
Chino e intento ad annotarsi qualcosa su un foglietto di carta su imponente bancone laccato di lilla stava un uomo ormai abbastanza vecchio che a prima vista mi ricordò una cavalletta. Era ossuto e spigoloso, ma un modo diverso da Sherlock nel quale si poteva vedere che possedesse forza, il sarto sembrava fatto di carta.
Quando alzò lo sguardo su di noi notai subito due baffi impomatati e due occhietti grigi che ispiravano simpatia, da come era vestito sembrava essere rimasto indietro di almeno un secolo.
Appena ebbe posato gli occhi su Irene, sembrò quasi prendere il volo. "Madame Irene Adler!  Oh mon dieu, je ne peux pas y croire!  Madame Irene Adler!  Oh, c'est un plaisir de vous voir enfin!  Le plus beau client que j'ai jamais eu!  C'est un plaisir, c'est un plaisir! (Signora Irene Adler! Oh mio Dio, non posso crederci! Signora Irene Adler! Oh, è un piacere rivederla finalmente! La cliente più bella che io abbia mai avuto! È un piacere, è un piacere!)", esclamò e per un momento temetti che gli potesse cedere il cuore.
"Mon cher Laurent, alors flatte-moi! (Mio caro Laurent, così mi lusinga!)", rispose Irene con un sorriso mentre i due si scambiavano due bacetti alla francese: "Questa è  mia figlia Mila", mi presentò poi: "Spero che potrà mostrare il suo talento e confezionare qualche abito per lei.", continuò poi.
Il sarto mi fece un formalissimo baciamano: "Absolument! (Assolutamente!) È sempre un piacere vestire signorine tanto graziose!", mi sorrise egli.
Quando uscimmo dalla sartoria due ore più tardi, avevamo acquistato tre abiti, due giacchette e una sciarpa che sarebbero stati consegnati a Briony Lodge nei prossimi giorni, come al solito Irene mi aveva viziata.
Visto che era ormai ora di pranzo ci fermammo in un piccolo, ma delizioso ristorante in Oxford Street e poi decidemmo di tornare verso casa a piedi, anziché chiamare un taxi.
Ci godemmo l'ultima aria tiepida di ottobre e i colori delle foglie cadute, ero immersa in una piacevole tranquillità.
Quella rilassante bolla scoppiò quando svoltammo in Serpentine Avenue e trovammo davanti a Briony Lodge una macchina scura con Sherlock e Lupin vestito di tutto punto ad aspettarci.
Era Mycroft Holmes, mi dissi, solo lui mandava macchine a prenderci misteriosamente. Però qualcosa nello sguardo di Sherlock mi turbò e la stessa cosa accadde ad Irene, perché ella si affrettò a raggiungere i suoi amici con la fronte corrugata, la seguii.
Holmes teneva in mano una busta che era decisamente da parte di suo fratello, ma non era una delle solite buste blu pallido del Diogenes Club, ma bensì una spessa busta grigia. La porse a mia madre: "Sei pregato di presentarti a Pall Mall a casa mia questo pomeriggio. Porta Mila e se vuoi anche gli altri due. M.H.", lesse lei ad alta voce. Le rughe sulla sua fronte si fecero ancora più profonde: "Perché mai Mycroft ci inviterebbe a casa sua e non al Diogenes? Non l'ha mai fatto.", espresse poi ad alta voce il dubbio che tutti condividevamo. "Non lo so.", fece Sherlock, ma la sua espressione non mi piacque affatto.
   
 
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