Anime & Manga > Owari no Seraph
Ricorda la storia  |       
Autore: A_Typing_Heart    04/07/2020    1 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La macchina nera con la scritta sugli sportelli parcheggiò con un movimento fluido di fronte ad alcuni caseggiati del quartiere di Satbury dall'aria fatiscente. L'uomo dai capelli castani se li spettinò passandovi la mano in mezzo mentre lanciava uno sguardo alle finestre e aprì la portiera.

«Questo è l'ultimo indirizzo conosciuto... diamo un'occhiata?»

«Sembra piuttosto decrepito questo posto, eh?»

«Dovevano demolirlo due anni fa per costruirci una palazzina nuova, ma un cavillo legale ha bloccato il progetto e adesso ci sta dentro ogni sorta di vagabondi... magari c'è anche quello che stiamo cercando, era casa sua prima che lo sbattessimo in gattabuia.»

«Avremmo dovuto lasciarcelo.»

«Non dipende da noi, detective O'Brian... se no ci chiamerebbero procuratore O'Brian e procuratore Purcel

«Sai che mi ero dimenticato che ti chiamassi Purcel?» domandò O'Brian, aprendo lo sportello. «Ti chiamo Purr da una vita ormai.»

«Spiritoso.»

«Sono serio, e poi quando non ti chiamo Purr ti chiamo George.»

«Non so quale sia peggio, chiamami “fratello” piuttosto che George.»

George Purcel si avvicinò alla porta del palazzo cadente e O'Brian lo seguì gettandosi la treccia di capelli rossi sulla schiena dalle spalle larghe. Mentre bussava alla porta stinta dalle intemperie fece scorrere gli occhi blu sulla facciata e sulle finestre per carpire dei movimenti, ma non ne vide alcuno. Purcel bussò di nuovo con più decisione.

«Sai.» disse l'altro poliziotto con aria svagata. «Non capisco perché non ti piaccia il nome George.»

«Perché dovrebbe piacermi?»

«Beh, perché... è un nome normale. Un nome da uomo. Quando lo dici tutti penseranno a George Clooney, no?»

«Non è un bel termine di paragone quando mi presento a una donna, Crowley.»

«Eh, anche questo è vero.» ammise lui. «Scusa se sono schietto, ma Dio non ti ha fatto granché belloccio. Dovresti fare qualcosa per quella stempiatura, sai? Ti fa sembrare più vecchio.»

«Tch, al diavolo. Meglio calvo che rosso, irlandese maledetto.»

Mentre Purcel bussava di nuovo con stizza Crowley scoppiò in una breve risata.

«Qui non c'è un'anima... o forse non ci vogliono aprire.» sbottò Purcel. «Chissà quanta coca sta andando giù per il cesso in questo momento, eh?»

«Se sapessimo come recuperarla dai tubi diventeremmo ricchi.»

Purcel scoppiò a ridere e ridiscese i gradini dell'ingresso.

«Certo, come no... l'integerrimo detective Crowley O'Brian Eusford che rivende della cocaina? Nello stesso giorno si scopre che il Papa non crede in Dio e possiamo dar fuoco al mondo intero!»

«È davvero così difficile pensare che potrei essere corrotto?»

«Non è difficile, è impossibile, cazzo, che domande fai? Non ho mai visto un uomo più onesto di te al mondo, io. Tu sei quello che una volta ha trovato un portafoglio con dentro ottocento dollari, l'hai restituito con tutti i soldi e ti sei anche scusato di aver preso due dollari per saldare il conto del taxi con cui sei andato a casa di quel tizio.»

«Beh, non erano mica soldi miei...»

«E tu sei quello che se solo pensa di aver strisciato una macchina lascia il biglietto da visita per il risarcimento...»

«Non lo fanno tutti?»

«E tu sei quello così onesto che non ha mai coperto nessuno a scuola e che non si è mai fatto coprire da nessuno... andiamo, Crowley, eri quello che alzava la mano per confessare a frate Ignazio che non avevi fatto i compiti! Sei onesto ai limiti dell'idiota, lo sa chiunque!»

«Resto ben stanziato dentro il limite della saggezza.» commentò Crowley.

George aprì la portiera mentre Crowley faceva il giro per mettersi al posto di guida quando il portone sverniciato si aprì e ne uscì un giovane portoricano. Teneva le mani affondate nelle tasche della felpa, portava scarpe da ginnastica nuove fiammanti e un piccolo tatuaggio sullo zigomo, essenziale quest'ultimo per identificarlo: era Ezekiel Hernandez, l'uomo che stavano cercando. Il giovane scambiò uno sguardo con Crowley, si accorse di essere stato riconosciuto e iniziò a correre.

«È lui, fermiamolo!» gridò Purcel. «Fermo, Hernandez! Polizia!»

«Oh, no, dai.» gemette Crowley. «Non scappare, insomma...»

Sospirando richiuse la portiera e seguì il ragazzo che era partito a scheggia e il suo collega che si era lanciato al galoppo dietro di lui: girò l'angolo e lo vide imboccare un vicolo sulla sinistra, mentre George venne rallentato da un veicolo che inchiodò davanti a lui. Si guardò un momento intorno e si avvicinò a un ragazzo che smontava da una moto, confuso dall'inseguimento cui stava assistendo.

«Polizia di New Oakheart, devo requisire il suo veicolo.» gli disse mostrandogli il distintivo. «È un'emergenza.»

«Ma...»

«Presenti qualsiasi lamentela o richiesta di risarcimento al dipartimento di polizia di Oakheart.» replicò montando in sella. «Ma non fare il furbo, l'ammaccatura sulla destra l'ho vista, non l'ho fatta io.»

Diede il gas e tagliò con fin troppa avventatezza la strada trasversalmente, imboccando una perpendicolare che l'avrebbe portato sulla diciassettesima. Era cresciuto tra i quartieri di Satbury e North End, non c'era un vicolo che non avesse percorso, una buca che non avesse preso almeno una volta in macchina, in moto o in bicicletta, un muretto sul quale non si fosse mai seduto, un marciapiede sul quale non fosse mai passato a piedi o in skateboard: sapeva perfettamente dove quel ragazzo sarebbe sbucato dopo aver scavalcato una recinzione divisoria.

Riemerse sulla diciassettesima appena in tempo per vedere Hernandez schizzare fuori dal vicolo di corsa, piegò la moto e gli si mise alle costole. Non appena una madre con un bambino uscì dalla zona di rischio montò sul marciapiede accelerando: in pochi secondi lo raggiunse, stese il braccio e lo colpì sulla schiena mandandolo faccia in giù per terra e arrestando la sua corsa. Crowley frenò lasciando una lunga sgommata nera sul cemento e si girò a contemplare il proprio lavoro con una certa soddisfazione. Fece appena in tempo a smontare dalla moto che George accorse, col fiato corto, e come lui osservò la scena.

«Ma che...?»

«Ezekiel Hernandez, sei in arresto per aver violato i termini della libertà vigilata.» dichiarò Crowley a voce alta e chiara. «E per resistenza all'arresto... le manette, detective Purcel

«Adesso si decide a chiamarmi Purcel.» commentò l'altro. «E nemmeno ha corso, il bastardo.»

Mentre Hernandez veniva ammanettato dal collega Crowley si limitò a sorridere.

 

 

Il dipartimento di polizia dove Crowley era stato trasferito e dove si trovava la squadra omicidi si trovava a Satbury; lui era nato nel North End e dopo il liceo era entrato in polizia senza nemmeno prendere in considerazione di andare all'università. Per tutte queste ragioni non poteva dire di essere pratico del distretto di West End e gli bastò entrarci per notare molte differenze con altre zone della città: il West End era pieno di negozi singolari incastonati in mezzo a boutique e ristoranti, i palazzi di appartamenti erano generalmente di poche unità e ben tenuti, con colori vivaci di facciate e graziosi giardini, e per essere un'area grande quanto Satbury era molto silenziosa e con poco traffico per essere l'ora della pausa pranzo.

Si trattava di una zona dalla media di età molto giovane, con diverse scuole prestigiose e il campus delle facoltà di storia, lettere, arte e scienze sociali dell'università di New Oakheart.

È un posto piuttosto vivace di notte, al contrario di Satbury... ma di giorno è bello ordinato.

Rallentò in prossimità del semaforo e diede un'occhiata alle case: era un bel quartiere residenziale, certo una buona zona per chi pensava di metter su famiglia, visti gli spazi verdi, la buona offerta di scuole e il traffico moderato... non fosse stato per la comparsa recente di un serial killer dal modus operandi brutale e raccapricciante che aveva ucciso e menomato tre bambini in meno di cinque mesi. Un brutto caso davvero, che teneva impegnati quattro suoi colleghi alla squadra omicidi per lunghi straordinari che fino a quel momento non avevano portato a nessun risultato.

Crowley parcheggiò senza difficoltà proprio davanti alla sua destinazione e scese dalla moto puntellandola prima di sfilarsi il casco e sistemarsi la treccia con un gesto divenuto automatico dopo anni. Alzò gli occhi sull'insegna che identificava l'esercizio come una libreria specializzata e negozio di artigianato esoterico, in lettere gialle sullo sfondo viola, e il nome Magick in lettere fronzolute bianche spiccava impossibile da ignorare sull'edificio e serigrafato su tutte le vetrine.

Forse era un'idiozia, ma Crowley era convinto che un poliziotto non potesse prendere un criminale se non pensava come lui, e che fosse questo il motivo per cui non riuscivano a prendere il serial killer battezzato dalla stampa Vampiro di West End: lasciava le vittime quasi senza sangue con un foro sulla gola e il cuore strappato dal petto, firmandosi con strani simboli dipinti col sangue sulla pelle. Se non capivano che cosa significava per lui quel rituale era impossibile che riuscissero a prevederlo né a prenderlo, a meno che il Vampiro non si incastrasse da solo in qualche sciocco modo. Diede una fugace occhiata alla vetrina, perso in questi ragionamenti, e aprì la porta causando il tintinnio di un campanellino.

Dietro il bancone di legno non vide nessuno. Lasciò che la porta si richiudesse e lasciò vagare lo sguardo dentro a un negozio come non ne aveva mai visti: oltre a essere enorme aveva scaffalature altissime di libri, contrassegnate da lettere e numeri come nelle biblioteche, il soffitto era adorno di una serie di strani oggetti appesi tra i quali mazzi interi di piume di pavone e in alcuni espositori di vetro erano disposte punte di cristallo, sfere trasparenti o nere, teschi di animali, candele incise con simboli e statuette di dèi cornuti e dee nude dalle forme armoniose. L'aria del negozio solleticava il naso di Crowley con un profumo nato dalla miscelazione di più incensi e dall'odore tipico della carta stampata.

Non c'era ancora nessuno dietro il bancone e Crowley venne attratto da un libro su uno scaffale vicino alla porta: aveva lo stesso nome del negozio, Magick, e non senza un sorriso di vago divertimento lo prese in mano per leggere il nome dell'autore.

«Aleister Crowley.» lesse.

«Oh, cielo, un corpo del genere meriterebbe proprio l'eternità.»

Crowley girò di scatto la testa verso il bancone. Dalla porta che dava sul retro, la cui tenda si muoveva ancora, era uscito un uomo che lo guardava con un'insistenza quasi imbarazzante appoggiando il gomito al ripiano scuro: aveva lunghissimi capelli color argento legati sulla nuca da un nastro di colore rosso, come rossi erano gli orecchini pendenti che portava ai lobi, la pietra dell'anello sul sottile dito medio e anche i suoi occhi. Con un sorriso più teso sulle labbra si sporse leggermente e Crowley non poté fare a meno di pensare che stesse spudoratamente studiando il suo posteriore.

«Cercavi il libro o i tarocchi? Di Aleister Crowley.» aggiunse, indicando il libro. «Li tengo dietro il bancone, sono articoli che tendono a vaporizzarsi nell'aria, se capisci che cosa intendo.»

«Ah... no, io ero solo curioso. Porta il mio stesso nome.»

Crowley ripose il libro e si avvicinò al bancone: in completa onestà quell'uomo gli suscitava una bizzarra curiosità per i suoi occhi rossi, per lo stile vittoriano della sua camicia con il nastro rosso al collo fermato da un cammeo, per l'interesse che non provava nemmeno a nascondere che aveva verso di lui. Sapeva di trovarsi davanti a un essere umano singolare e lui trovava sempre interessanti le persone strane.

«Ah, sì? E dimmi, in che cosa ti potrei essere utile, agente Crowley?»

«Mh, come sai che sono un poliziotto?»

«La tua cintura.» rispose lui, e l'indicò. «Quel segnetto ve lo fate attaccandoci la fondina.»

«Ah, davvero niente male, hai buon occhio!» rispose Crowley sorridendo. «Ma sono detective, non agente... e Crowley è il mio nome di battesimo. Sono il detective O'Brian Eusford, della squadra omicidi.»

«Eusford... eh?»

«... Sì, c'è qualcosa di strano?»

L'aria meditabonda che gli era apparsa sul viso scomparve all'improvviso e sorrise ampiamente.

«Oh, ma sono in arresto, detective? Se lo sono ti prego, voglio le manette e il manganello~»

«Non vorrei deludere tante aspettative, ma non sono qui per questo... sto cercando un libro... forse, più di uno.»

«Ah, dimmi che cosa stai cercando, detective Eusford, questo umile libraio è completamente tuo finché non sarai soddisfatto.»

Un angolo della bocca di Crowley si sollevò cogliendo un senso vagamente erotico in quella frase, ma non diede altro segno di averlo percepito. Aveva una richiesta molto precisa da fare che si era preparato minuziosamente per tutta la mattina.

«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»

«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»

«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»

Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più. Sembrava un bambino dentro un negozio di caramelle con le tasche piene di spiccioli da sperperare.

«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»

Non era una domanda e Crowley non fece né segno di diniego né cenno di assenso. Non ne aveva bisogno, comunque.

«Meraviglioso! Vediamo che cosa posso darti, detective. Ci metto un minuto.»

Dato che si era aspettato di vederlo spulciare titoli tramite computer come aveva sempre visto fare a chiunque nelle biblioteche Crowley si stupì di vederlo uscire da dietro il bancone e avviarsi lungo gli scaffali, ma lo stupore fu dissipato quasi all'istante quando poté vedere che portava degli stivali neri alti fino alla coscia con un tacco di dieci centimetri con cui avrebbe potuto forare una lattina di cola senza difficoltà da quanto era appuntito. Quella vista fece salire spontaneo un sorriso divertito al poliziotto che si morse il labbro sentendosi vagamente colpevole per quell'eccesso di ilarità; si coprì la bocca con la mano e guardò una serie di calici adorni di pietruzze nella teca dietro la cassa, ma la distrazione durò solo qualche secondo, poi tornò a guardare l'umile libraio che con quei trampoli riusciva anche a salire sui pioli della scala senza batter ciglio.

Attese circa tre minuti anziché uno, ma non poté dire di essersi annoiato mentre lo guardava aggirarsi a passo sicuro tra gli scaffali a prendere tomi quasi senza guardarli, come se conoscesse l'intera libreria a memoria centimetro per centimetro. Alla fine tornò con una pila che contava tredici libri.

«Archeologia del vampiro non lo abbiamo più, ma posso ordinartelo se pensi ti possa interessare... ci vorrà una settimana, al massimo. Se riesco a trovare il mio amico al reparto spedizioni però posso averlo in due giorni.»

«... Tutti questi parlano di vampiri?»

«Ne ho molti di più che parlano di vampiri, ma secondo la mia personale esperienza questi sono quelli attendibili... per prendere un vampiro non ti interessa sapere chi coniò quella parola, che cosa credeva di aver visto Stoker in Olanda o che il gonfiore cadaverico indusse ignoranti popoli medievali a impalare giovani donne defunte nelle loro bare.» disse lui. «E poi ci sono tanti altri libri che sono pura fantasia, non hanno nessun fondamento se non la creatività di qualche scrittore dell'horror...»

«Sono tanti.» commentò Crowley scorrendone i dorsi. «Non so se troverò il tempo di leggerli tutti quanti.»

«Se vuoi sapere qualcosa di particolare lo potresti chiedere a me, detective Eusford.»

L'uomo si appoggiò con i gomiti al ripiano nero lucido, intrecciò le dita delle mani e vi posò il mento senza smettere di sorridere.

«Mica li saprai a memoria, no?»

«Non ne ho bisogno. Dopotutto, io sono un vampiro in carne corrotta e ossa maledette.»

Crowley lo fissò dritto negli occhi rossi per diversi secondi. Certo, il West End era famoso per ospitare una certa quantità di personaggi insoliti, per citarne uno il famoso Licantropo di West End conosciuto alla polizia per un numero record di denunce per disturbo della quiete pubblica nelle notti di luna piena; era lì che avevano fondato la Congrega della Quinta Luna Crescente, una comunità di adoratori degli spiriti naturali che avevano la bizzarra abitudine di camminare scalzi e intonare cori in determinati giorni dell'anno... ma entrare per la prima volta nel West End dopo anni e trovare un vampiro libraio nel primo negozio in cui entrava?

I tipi strani li conosceva da sempre; dopotutto era di origini irlandesi, e gli irlandesi mai trascorrevano una vita intera senza vedere almeno una volta un folletto o una fata, neanche i più cattolici di loro. Pure nella sua carriera breve in polizia non aveva mancato di incontrare un ladro convinto che fosse un angelo a dirgli cosa prendere e a chi, una donnina che parlava a Santa Lucia, una donna convinta di aspettare il prossimo Gesù nel suo grembo, e un ragazzo che aveva cercato di mordergli un braccio perché era convinto di essere un ghoul e di potersi alimentare solo di carne umana... perché avrebbe dovuto trovare più strano e meno interessante un tizio convinto di essere un vampiro?

Crowley rispose al suo sorriso, abbandonò i libri sulla pila e si appoggiò al bancone. Si avvicinò tanto da lasciare solo pochi centimetri tra il suo naso e quello sottile del sedicente vampiro e sorrise anche più ampiamente quando notò un leggerissimo segno rotondo intorno alle iridi rosse: portava lenti a contatto.

«Un vampiro vero, mh?»

«Sissignore~»

«È la prima volta che ne vedo uno, almeno credo... sei piuttosto umano a vederti.»

«Sai, non amiamo molto farlo sapere in giro... preferiamo far finta di non esistere, e funziona benissimo.»

«E allora... cosa spinge un vampiro a dire a un mortale che è un vampiro?» domandò Crowley, passandosi con finta noncuranza il dito sotto il colletto della maglia. «Stai per mordermi?»

Per un attimo Crowley ebbe il timore che lo facesse davvero: il modo in cui guardò il dito scoprire un centimetro di pelle del collo era lo stesso in cui un disperso nel deserto avrebbe guardato dell'acqua fresca zampillare da una fontanella ed ebbe l'impressione che avesse accennato ad aprire la bocca come per dare un morso, tuttavia non lo fece.

«Beh... non si incontra tutti i giorni un uomo che...»

Ma non seppe mai che tipo di uomo il vampiro non incontrasse spesso perché dal retro apparve una figurina minuscola con il vestito nero che scaricò un calcio sul polpaccio del libraio, facendolo urlare di dolore e saltellare sulla gamba sana. Pronunciò una parola incomprensibile, poi la ragazzina gli pestò il piede di sostegno e lo fece cadere a terra. Crowley, perplesso e vagamente allarmato, si sporse per guardarlo e lo vide tenersi il polpaccio e lanciare un’occhiata mortifera alla ragazzina, con le lacrime agli occhi.

«KRUL! Mi hai fatto malissimo, ma sei pazza?!»

«Ti pago per vendere i miei articoli, non per rimorchiare i clienti!» inveì la ragazza. «Se ti pesco di nuovo a fare il cascamorto ti licenzio di nuovo, mi hai capito?!»

«Tanto mi riassumi tutte le volte!»

La ragazza di nome Krul sollevò il piede, dotato anche quello di uno stivaletto con tacco affilato. Quei due armati di speroni acuminati rimandarono al poliziotto la bizzarra immagine dei combattimenti tra galli organizzate dalle gang ispaniche.

«Mi hai capito, Ferid?!»

«S-sissignora, ho capito...»

«E allora muoviti e lavora, non hai nemmeno finito di etichettare gli athame

«Lo stavo facendo, ma è entrato un cliente!» protestò Ferid rimettendosi in piedi. «Ma se vuoi che ignori i clienti per appiccicare etichette basta dirlo, lo sai?!»

«Non voglio che li ignori, ma non devi flirtarci, e lo fai sempre.» commentò lei seccamente, e guardò Crowley. «Non ti montare la testa, non sei mica l'unico.»

«Non è un po' indisponente, signorina?» domandò Crowley. «Se fosse stato un altro sarebbe uscito di corsa dal suo negozio. Per quanto la possa sorprendere Ferid mi stava servendo benissimo.»

Accennò alla pila di libri posati sul banco, che la ragazza guardò con espressione indecifrabile per un certo tempo.

E praticamente questa è un'aggressione a piede armato. Chissà se me l'accetterebbero come dicitura sul verbale.

«Beh, quand'è così, continuate pure. Anche se preferirei che Ferid continuasse a servirti benissimo a una certa distanza personale.»

«Mi dispiace molto.» rispose Crowley sorridendo. «Ero incuriosito dai suoi occhi rossi e ho voluto vederli da vicino... non succederà più.»

«Bene, allora.»

«Potresti almeno scusarti per avermi scarnificato una gamba!»

«Sai benissimo per quali motivi te lo meriti comunque.»

La ragazza che pur con quei tacchi non arrivava al metro e settanta scomparve in una saletta adiacente, della quale il poliziotto intravide solo una parete coperta da centinaia di ciondoli, senza aggiungere parola. Ferid sibilò come un serpente a sonagli.

«Piccola strega sadica, maledetta subdola schiavista di...»

«Allora ti chiami Ferid, uh? Che origine ha questo nome? Suona bizzarro.»

«Uh... beh, è arabo.»

«Arabo, uh? Non sembri arabo, però.»

«Non lo sono, ho solo un nome arabo.»

«Giusto, è perfettamente sensato.» commentò Crowley. «Sai che cosa significa?»

Ferid lo guardò come se tanto interesse nelle sue faccende fosse strano, il suo sguardo divenne sospettoso.

«A quanto ne so, significa "speciale” o “prezioso".»

«Ehh...? Cavoli, Ferid, è un nome importante... e ce l'hai da sempre?»

«Ma che vuol dire, scusa?»

«Beh, sei un vampiro... non trovi difficile nascondere il fatto che non muori né invecchi mai? Pensavo che ogni tanto cambiassi nome.»

Questo ragionamento lo prese in palese contropiede, ma poi sorrise più che mai. Crowley non poté non trovare divertente che si emozionasse tanto a essere preso sul serio quando era palese che la sua fosse una recita appena smentita dal fatto che si era fatto prendere a dolorosi pestoni da una donna della taglia di una bambina.

«Non ne ho bisogno, io. Ho questo nome da sempre e non lo cambierei mai.»

«Lo capisco... sai, ho un amico che invece cambierebbe nome domani se potesse.»

Crowley rimuginò un po' sul nome di Ferid, su quello di George dal significato tutto sommato poco edificante di “agricoltore”, e sul proprio, dal significato più evocativo di “figlio di un grande eroe”; anche se gran parte delle comunità non irlandesi lo considerava di etimologia inglese e quindi come “bosco dei corvi”.

«Perché tanto interesse per i nomi? Sei un appassionato di onomastica?»

«Oh, no, no davvero… ma sai, sta per nascere un altro mio nipotino, e la mamma mi ha chiesto di scegliergli il secondo nome. Non ho molta fantasia per cose del genere, quindi cerco ispirazione.»

Normalmente quando gli era capitato di accennare alla nascita dei suoi nipotini -benché in realtà fossero i figli dei suoi cugini- la gente si congratulava con lui come fossero figli suoi, porgeva gli auguri, gli chiedeva quando sarebbero arrivati o altre cose. Ferid non commentò nulla e rimase a guardarlo con quell’ambiguo sorriso.

Alla fine si riscosse dai suoi pensieri sui nomi e sulle convenzioni sociali e pensò che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi a tornare in centrale se voleva anche mangiare qualcosa.

«Senti, dammi i libri in cui si parla delle loro abitudini e della loro predazione, non posso comprarli tutti oggi, sono venuto in moto.»

«Predazione, uhm? Che termine accurato, detective~»

«Quando riesco guardo National Geographic.»

Ferid sorrise, scelse cinque libri e solo a quel punto usò il computer per leggervi i codici a barre. Mentre strisciava la sua carta di credito Crowley non poté non pensare con una certa ilarità a quanto fosse strano vedere un sedicente vampiro con tanto di abbigliamento vintage usare con tanta disinvoltura un pos. Non smise di sorridere neanche mentre metteva i libri dentro un ampio sacchetto con il logo del negozio e gliela porgeva, seppure quello fosse il congedo.

«Torna a trovarmi, detective Eusford... per gli altri libri, se vuoi una scusa per farlo.»

«Credo che lo farò... per gli altri libri.» replicò Crowley prendendo la sporta. «Grazie, Ferid. Sei stato molto utile.»

«Buona giornata, detective~»

Crowley aprì bocca per ricambiare il saluto e nello stesso momento un fracasso di vetri rotti lo fece tacere. Girò la testa alla ricerca della fonte del rumore senza venirne a capo. Ferid uscì da dietro il bancone e raggiunse un angolino: vicino allo scaffale dove era esposto il libro di Aleister Crowley un piccolo quadretto appeso alla parete era caduto mandando il vetro in frantumi.

Ferid lo raccolse con gran delicatezza nonostante non fosse altro che una stampa di una poesia con un disegno di un uccello nero in calce. Crowley si chiese se non fosse un pezzo di valore insospettabile o se fosse qualcosa di sentimentale, perché Ferid sembrava molto turbato.

«Ehi, è tutto okay?» gli domandò. «Era in vendita o era solo decorativo?»

«Non... non è niente... farò... sistemare il vetro.»

«Beh, tanto meglio... buona giornata, Ferid.»

«Detective, aspetta. Solo un attimo.»

Ferid posò distrattamente il quadretto sul tavolino più prossimo e sparì nella stanza dei ciondoli dove era andata Krul poco prima. Crowley lanciò uno sguardo al quadro e poté scoprire che era una semplice stampa effetto pergamena con scritta la poesia di Edgar Allan Poe chiamata Il corvo, e l'uccello scuro era proprio uno di essi. Che Ferid fosse un ammiratore delle sue opere?

Perché no, è il tipo di letteratura inquietante che gli calzerebbe a pennello addosso.

Ferid ritornò di fretta dalla sala adiacente così come l'aveva raggiunta, gli si avvicinò e gli infilò dalla testa una collana prima ancora che avesse modo di capire che cosa stesse per fare.

«Ehi, che stai...»

«Portala con te, è un amuleto.» gli disse. «Ti proteggerà dal male.»

«Ferid, ti ringrazio, ma io sono irlandese, ho Dio che mi protegge...»

«Se vuoi puoi credere che sia Dio a dirmi di dartelo, ma tienilo.» tagliò corto lui, e glielo infilò sotto la maglia. «Non rifiutarlo, fammi questo favore. Te lo regalo io, portalo addosso almeno per oggi.»

Il suo sorriso era scomparso, aveva un'aria preoccupata e la sua unica priorità sembrava essere che gli accordasse quel favore. Crowley si domandò se non avesse a che vedere con quel quadro rotto, se non fosse un presagio di sfortuna come rompere uno specchio... non credeva a questo genere di superstizioni, ma da buon irlandese sapeva che gli oggetti fortunati esistevano; non poteva arrecare nessun danno alla sua anima immortale indossare un ciondolo regalato con una buona intenzione, quindi pensò che fosse molto più facile per entrambi se glielo concedeva.

«Beh... non è un problema con il tuo capo?» gli chiese sottovoce, vedendola ricomparire sulla soglia.

«Lo pagherò io, non c'è nessun problema con Krul.»

«Mh... beh, a me non cambia niente, quindi se ci tieni tanto...»

«Grazie, detective... allora, arrivederci.»

«Buona giornata, Ferid.»

Crowley attraversò i pochi metri fino alla porta e uscì lasciandosi alle spalle nuovamente il rumore del campanellino.

Ferid rimase qualche istante in piedi a guardarlo camminare sul marciapiede per avvicinarsi alla moto, poi gli voltò le spalle per rimediare ai vetri rotti sul pavimento. Si trovò di fronte Krul, per quanto con quella statura gli arrivasse appena al collo.

«Che cosa gli hai dato, Ferid? Non sarà una delle collane del sortilegio d'amore, vero? Ti prego, dimmi che non è quella.»

«Certo che non lo era...» replicò lui, e le girò intorno andando a scribacchiare un appunto velocissimo su un blocchetto. «Puoi detrarla dallo stipendio? Non ho contanti.»

«Neanche stavolta?»

«Io non ho mai contanti.»

«Hai paura di essere rapinato o che cosa?»

«Senti, Washington aveva l'alitosi, Jefferson era uno sbruffone, Hamilton era una spia britannica e Franklin se lo portasse il diavolo, era di una saccenza insopportabile.» ribatté Ferid. «Grant poi, mai visto un tale guerrafondaio nella mia vita, e porca miseria quanti ne ho visti! Non voglio la faccia di quella gente nel mio portafoglio.»

Krul emise una risata sottile che era molto raro sentire.

«Ah, Ferid, sei davvero una sagoma... ma non mi hai detto che collana gli hai dato, alla fine.»

Ferid sparì nel retro del bancone recuperando la scopa e solo quando vide che al suo ritorno Krul era ancora in attesa di una risposta si rassegnò: non avrebbe mollato l'osso finché non avesse ceduto, ne poteva stare certo.

«Gli ho dato lo scudo di San Michele.»

«Lo scudo di San Michele?» ripeté lei, sorpresa. «Deve andare in guerra domani o che altro?»

Ferid radunò le schegge di vetro, pensieroso, poi si voltò verso la vetrina. La moto non c'era più, Crowley era già andato via.

«Non credo che debba aspettare domani.»

Krul lo guardò con vaga perplessità, ma non replicò e rimase in silenzio mentre Ferid spazzava via i vetri rotti. Prese la cornice della poesia, forse per domandargli che cosa intendesse farne ora, quando il rombo di un tuono venne da fuori dove il cielo si era già fatto scuro. Un rumore familiare fece notare loro che le tende viola che riparavano le vetrine iniziavano a venire scosse da un vento crescente. Stava per arrivare tempesta.

 

 

Quando Crowley tornò dalla saletta dove avevano stipato tre grosse fotocopiatrici con tutte le copie dei suoi ultimi rapporti a malapena notò quanto diluviasse fuori dalla finestra: con in mano le cartelline di otto plichi, le fotocopie sotto il braccio e il naso ficcato tra le pagine a cercare di capire come diavolo quello strumento infernale avesse fascicolato aveva ben poco interesse per le condizioni climatiche.

Raggiunse la sua scrivania ma parte delle sue copie scivolarono da sotto il suo gomito e si sparpagliarono per terra, facendogli alzare gli occhi al cielo con sulle labbra un paio di ricercati epiteti in gaelico. Si chinò sbuffando a raccoglierle e si sedette scomposto sulla sedia cercando di capire come era meglio procedere per riordinarle.

«Ehi, Crowley!»

Alzò gli occhi sulla ragazza che gli aveva parlato.

«Ehi, Chess.»

La conosceva bene Chess Belle, un recente ma promettente acquisto della squadra omicidi con la quale aveva frequentato anche l'accademia di polizia e, per qualche settimana, avevano frequentato insieme anche il suo letto. Come succedeva quasi sempre al detective Eusford, si era lasciato in ottimi rapporti di amicizia con la sua ex. I suoi vispi occhi color nocciola scorsero la scrivania e il caos che vi regnava sopra.

«Hai fatto tardi per sistemare i rapporti?»

«Tardi?»

Guardò il suo visetto che dava ancora l'idea di stare parlando con una ragazzina e realizzò che cosa gli sembrava anomalo: di solito non incrociava Chess al lavoro, lui smontava alle sei e lei entrava in servizio poco dopo per il turno di notte; anche se a causa del serial killer di West End gli orari di tutti erano sottosopra di solito non la vedeva alla centrale. Guardò l'orologio e vide che erano già le sette e sette minuti.

«Accidenti.»

«Se continui con tutti questi straordinari finirà che ti licenzieranno per risparmiare!»

«Di solito non li segno mai... non è colpa di qualcuno se mi metto a sistemare scartoffie quando dovrei andare a casa.»

«Ti do una mano? Sto aspettando il capitano, ho tempo.» si offrì lei.

«No, figurati, che stai dicendo? Prenditi un caffè se hai tempo. Oggi non era neanche tanto male.»

«Dai, ti aiuto, o alla fine della settimana sommergeranno anche un orso grande e grosso come te!»

«Beh...»

Il caos era immenso e quando posò gli occhi sulle fotocopie rimescolate avvertì una vaga fitta alla tempia.

«Grazie, Chess.» cedette alla fine. «Ti devo un favore.»

«Ma che, non ho nemmeno ripagato tutti quelli che mi hai fatto tu all'accademia! Tutte quelle ripetizioni, e le ore che hai passato a insegnarmi a sparare senza che la pistola mi saltasse via di mano? Dovrei sistemarti i fascicoli finché non andrai in pensione!» disse lei in tono allegro. «Neh, Crowley, è nuovo, quello?»

Accennò al proprio collo e Crowley sollevò la mano, toccò la collana che gli aveva dato Ferid e ne fu sorpreso. Aveva dimenticato di averla, nemmeno l'aveva guardata bene e le lanciò un'occhiata rapida. Si trattava di uno scudo a forma di ala piumata con una piccola croce. Sul retro era incisa una frase in latino, ma non si preoccupò di leggerla e cacciò l'amuleto sotto la maglietta.

«Non è niente, è solo un regalo che mi hanno fatto...»

«Un regalo, eh? Una nuova ragazza?»

«No, no... un... un amico e basta.»

Crowley si mise a girare i fogli tutti dallo stesso verso, mentre Chess prese alcuni incartamenti e li spostò sulla sua scrivania per guadagnare spazio. Per caso spostò proprio quelli che aveva posato sulla sportina del negozio. Il logo catturò l'attenzione della ragazza.

«Magick... che negozio è?»

Allungò la mano per prendere la sportina e forse sbirciarci dentro, ma Crowley fu più veloce e l'afferrò, ficcandola nel cassetto con troppa urgenza per farlo passare come un gesto naturale. La ragazza ridacchiò.

«È un regalino per una ragazza, vero? È una cosa sexy?»

«Chess, ti prego... sono irlandese, noi non facciamo regali del genere...»

«Ma smettila con questa storia dell'irlandese tutto casa e chiesa, non ti calza proprio... dai, fammi vedere, ti dico se è un bel regalo per una donna o no!»

«Non è un regalo per una donna, ti ho de... no, Chess, dico sul serio!»

Impedì al cassetto di scorrere per più di un paio di centimetri e incrociò lo sguardo di Chess: sembrava molto divertita.

«Dev'essere una cosa piccantissima se tu ti vergogni di averla comprata!»

«Sono libri, okay? Soltanto libri, e sono per me... ora, possiamo tornare a...?»

George Purcel entrò trafelato nella sala interrompendo la loro discussione: era bagnato fradicio.

«Chess, andiamo, abbiamo una chiamata dal West End! Una bambina di otto anni è scomparsa dal giardino della Congregazione della Quinta Luna, potrebbe averla presa il nostro uomo!»

«Il Vampiro di West End?!» esclamò Chess, e prese giacca, distintivo e pistola. «L'hanno visto?!»

«No, ma un testimone della Congrega ha detto di aver visto la bambina salire su un'automobile!» disse lui. «Andiamo a prendere quel bastardo, la stradale sta cercando la macchina, lo troveremo, stavolta!»

«Siete da soli, Purr?» domandò Crowley.

«Dakin e Dom stanno andando sul posto proprio ora!»

«Vengo con voi.» disse, e prese l'arma infilandola nella fondina.

«Crowley, nemmeno dovresti essere qui a quest'ora, avanti!»

«Sono il più alto in grado tra voi quattro.» tagliò corto infilando la giacca a vento. «Finché non ci raggiunge il sergente o il capitano qualcuno deve prendersi la responsabilità di questo.»

«Ah, fa' come ti pare, testone d'un irlandese!» sbottò Purcel. «Basta che metti il tuo culo in macchina in fretta!»

Non che ci fosse bisogno di farglielo presente: si scaraventò sul sedile posteriore della macchina veloce come se stesse scappando dalla mietitrice in persona e pochi istanti dopo Purcel lanciava l'auto a sirena spiegata per le strade battute dalla pioggia impietosa lungo il percorso più breve per il West End.

Comunicazioni della polizia stradale si susseguivano alla radio alla quale Chess rispondeva comunicando con l'altra pattuglia formata da Dakin Atkinson e Domenic Rosetti, entrambi amici di Crowley da alcuni anni.

Non l'abbiamo ancora perso. Se non lo perdiamo di vista non può uccidere quella bambina come ha fatto con gli altri. Gli serve tempo per il suo rituale.

Gli sembrò un'eternità quella che impiegarono per raggiungere il West End e per attraversarne buona parte per portarsi in zona, ma finalmente ci arrivarono: la stradale aveva perso di vista la Charger turchese per qualche minuto quando poi era riemersa in una zona più a sud, probabilmente sperando di aggirare i blocchi stradali per passare uno dei ponti e raggiungere il distretto di South River.

Quando la stradale comunicò la nuova posizione dell'avvistamento i tre poliziotti sull'auto trasalirono e Chess strizzò gli occhi per cercare di vedere qualcosa nella pioggia. Crowley le prese la radio dalle mani.

«Siamo i più vicini, tenete gli occhi aperti!» esclamò Purcel.

«A tutte le unità stradali in zona West End, detective di terzo livello O'Brian Eusford.» disse nella radio. «Se dovesse cercare di sfondare un blocco non sparate per nessun motivo, ha con sé una bambina. Limitatevi a tracciare la sua posizione, non lo dobbiamo perdere neanche per un attimo.»

«Ricevuto, detective.»

«Eccola!» esclamò Chess. «La Charger del '70 turchese, dev'essere lui, Purcel!»

«Dove accidenti siamo?»

«Credo che siamo sulla Twilight... no, sul Jefferson Boulevard!»

«Dieci-ottanta! Dakin, abbiamo un contatto, sul Jefferson Boulevard, va in direzione del fiume, lo inseguiamo!»

Dopo un vistoso gracchiare la voce profonda di Dakin gli rispose con la consueta pacatezza e fermezza.

«Gli tagliamo la strada... questa volta lo abbiamo in pugno, Crowley.»

«Certo che sì.» commentò Crowley, ma aveva già deposto la radio.

Sfilò la pistola d'ordinanza dalla fondina, aprì il finestrino e venne immediatamente investito da vento freddo e pioggia impetuosa. I suoi occhi si fissarono sulla Charger che aveva accelerato, ma non abbastanza da staccare gli inseguitori. Aveva paura di perdere il controllo in quella tempesta o semplicemente non voleva seminarli?

«Crowley... che cazzo vuoi fare con quella, non puoi sparargli!»

«Sparerò alla gomma.»

«È rischioso per la bambina e tu nemmeno sei un gran tiratore!»

«Ho un brutto presentimento, Purr, bruttissimo.»

«Crowley...» iniziò titubante Chess.

«Quello ci scappa se non lo fermiamo adesso, è il suo territorio! Perché ha rapito una bambina in un posto frequentato come la Congregazione, perché con una macchina così vistosa, quando le altre volte era praticamente invisibile? Ci vuole prendere in giro, se lasciamo che faccia come vuole ci sparirà sotto il naso in un vicolo, in un garage o chissà dove!»

Detto ciò ignorò Purcel che imprecava contro i suoi presentimenti e Chess che gli elencava ottime ragioni per non essere impulsivo, si sporse con il busto dal finestrino e si ritrovò inzuppato come se si fosse immerso direttamente dentro un acquario. Tese le braccia e puntò l'arma davanti a sé, ma di certo erano condizioni terribili per sparare con precisione: riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti, la pioggia era così fitta da rendere i fanali accesi una sorta di bagliore senza forma e negli spruzzi che si sollevavano dall'asfalto le ruote erano praticamente inesistenti...

La Charger inchiodò in un testacoda, i fanali li accecarono e per poco la frenata improvvisa di Purcel non scaraventò Crowley sull'asfalto dato che era fuori dal finestrino fino alle cosce: dovette aggrapparsi alla sirena per scongiurare il rischio ma nel farlo l'arma gli scivolò dalle mani.

Successero molte cose simultaneamente: Crowley si aggrappò al tettuccio per saltare fuori dal finestrino e recuperare la sua arma, Purcel e Chess scesero spalancando le portiere, il conducente della Charger scese e puntò su di loro una Desert Eagle. Scoppiò un lampo nel buio, Chess gridò e cadde a terra, Purcel imprecò e una serie di colpi esplosero; uno di essi mandò in pezzi il finestrino dello sportello dietro il quale il detective si stava riparando.

«Chess! Crowley!»

«La prendo io!»

Sparò dei colpi contro l'uomo senza quasi badarci; erano solo un diversivo per potersi avvicinare a Chess. La raggiunse e lei gli si aggrappò alla spalla con la mano che tremava. Non riusciva a vedere dove fosse stata colpita ma le sue dita erano insanguinate e cercò di soffocare il panico mentre la trascinava di peso al riparo dietro l'auto.

«Va tutto bene, Chess, va tutto bene.» disse, non sapendo se cercava di rassicurare lei o entrambi. «Resta qui, io...»

Il respiro e con esso le parole restarono impigliati nella gola quando si accorse di altre figure lungo il marciapiede, tutte armate di pistole il cui metallo rifletteva la luce dei fanali e del lampeggiante blu. Fu costretto ad abbandonare Chess sull'asfalto per puntare l'arma contro di loro e sparare, ma una dozzina di lampi precedettero di un istante i proiettili. Mentre il finestrino si sbriciolava sull'asfalto Crowley sbatté la schiena contro la carrozzeria con la sensazione di essere appena stato investito in pieno da un camion.

Si portò la mano al petto mentre la destra si lasciava sfuggire l'arma, la sua vista si inclinò e si ritrovò a terra con un dolore sordo al torace, il respiro corto, una pungente sensazione di freddo e la pioggia che gli batteva sul viso. Sentiva un forte ronzio nelle orecchie, tipico disturbo dato dall'esplosione di colpi d'arma da fuoco ravvicinati, e da molto distante gli arrivavano voci che gridavano, rumori, sirene... una sgommata precedette un'altra serie di tuoni, ma Crowley non riusciva nemmeno a girare la testa per vedere cosa stava succedendo. Cercò di dire qualcosa, di chiamare Chess o Purcel, anche soltanto di pronunciare una parola per pregare, ma gli uscì dalle labbra solo del liquido con il sapore ferroso del sangue.

Tutto tacque, tutto tranne la pioggia e il fischio dei timpani. Il cielo era uno sfondo grigio-nero, il lampeggiante blu stava ancora baluginando, ma era tutto quello che vedeva. Il corpo non si muoveva come voleva, a malapena riuscì a muovere le dita, ma sentì solo la ruvidezza dell'asfalto e l'acqua.

«Crowley! Mio Dio, Crowley, mi senti?»

Nel suo campo visivo apparve un viso familiare protetto da un cappuccio antipioggia: cortissimi capelli biondi tendenti al bianco, il naso con la gobba che si era rotto in gioventù, le rughe intorno agli occhi di un delicato colore verde, la bocca dalle labbra sottili e segnata dalle rughe del vizio del fumo... il capitano della squadra omicidi di New Oakheart, Joey Alford, era chino su di lui.

«Crowley, per l'amor del cielo, resisti! Chiamate i soccorsi subito, è ancora vivo!» urlò a qualcuno. «Subito!»

Crowley cercò nuovamente di parlare ma i muscoli della sua mascella erano così contratti da non riuscire a non serrare i denti. Tutto il suo corpo iniziò a muoversi involontariamente mentre il freddo aumentava e la vista si appannava. Alford gli strinse la mano.

«Resta con me, ragazzo, resta con me! Non sei ancora pronto a scoprire se Dio è rosso di capelli come credete voi ubriaconi irlandesi, hai sentito?»

La sua schiena si piegò contratta da una convulsione e Alford tentò di tenerlo fermo come poteva; lo sentì gridare da distanze siderali per sollecitare i soccorsi. Il respiro gli era sempre più difficoltoso e seppe, in un remoto angolino ancora un poco lucido della mente, che stava davvero per andare a conoscere Dio. La mano che Alford non stringeva tra le sue si sollevò quasi di sua propria volontà, dato che Crowley non la sentiva più, e annaspò sul petto. Joey serrò le dita intorno a quella e si chinò per guardarlo negli occhi ancora più da vicino.

«Resta qui, ragazzo... non siamo ancora pronti a lasciarti andare... resta con noi...»

La vista gli parve tornare un po' più lucida, forse solo perché non gli pioveva più sul viso, ma puntò gli occhi blu in quelli del suo capitano. Non sentiva più le estremità, ma le sue dita strinsero con forza quelle dell'uomo. Continuò a guardarlo e a prendere rochi, dolorosi respiri mentre l'uomo iniziava a recitare l’Ave Maria, ma prima che terminasse di recitarla la seconda volta l'udito di Crowley si spense. Pochi attimi dopo i suoi occhi blu si rovesciarono all'indietro e perse i sensi.

 

* La storia sarà aggiornata ogni sabato mattina, salvo eccezioni di necessità, che saranno comunicate sui canali elencati di seguito. Se un capitolo verrà rimandato sarà pubblicato non appena possibile e la notifica sarà inviata ai follower su Facebook e Twitter.

Pagina Facebook per notifiche, notizie e curiosità: @atypingheart
Instagram: @a_typing_heart
Twitter (solo aggiornamenti diretti dalla pagina Facebook): @a_typing_heart
Facebook personale: 
https://www.facebook.com/azzurrafaso
Telegram: https://t.me/endless_meme
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Owari no Seraph / Vai alla pagina dell'autore: A_Typing_Heart