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Autore: A_Typing_Heart    11/07/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Joey Alford aveva perso il vizio del fumo da circa dieci anni, sostituendolo dapprima con l'insalubre mania di rosicchiarsi le unghie e in seguito con una quantità spropositata di gomme da masticare: fu sorpreso di veder riemergere quel tic che la sua stessa moglie aveva detestato tanto e dopo cinque giorni tutte le sue dieci dita avevano unghie decimate fino quasi a sanguinare.

Quando un'infermiera entrò nell'ambulatorio si spostò rapidamente alle sue spalle e tentò di sbirciare all'interno. Intorno al letto vide il medico con una piccola pila intento a eseguire un esame di reattività della pupilla, un'infermiera che staccava elettrodi e altre due che si affaccendavano a fare chissà che cosa. Non vide altro in quella manciata di secondi prima che la porta si richiudesse.

«Maledizione.»

Si voltò martoriandosi il pollice già provato, ciondolando verso le sedie del corridoio, quando la porta si riaprì: uscirono tutte le infermiere tirando e spingendo il letto. Tentò di seguirle ma venne bloccato dal medico. Gli ci vollero alcuni secondi per ricomporsi.

«Allora, come sta?»

«Gli esami non evidenziano danni cerebrali, nonostante la massiccia perdita di sangue... i due colpi hanno mancato il cuore di un soffio, uno da un lato e uno dall'altro, e nonostante l'arresto cardiorespiratorio il corpo non ha subito conseguenze... è... non ho mai visto niente del genere nella mia carriera, e ho fatto vari esami aggiuntivi perché... beh, perché non ci si crede.» ammise il medico. «Che posso dire? È un miracolo. Non è morto e tra qualche tempo uscirà di qui praticamente come nuovo. Se non è un miracolo questo non so cosa potrebbe esserlo.»

«Eh! Certo che lo è, dannazione! Posso parlarci adesso?»

«Beh, sì... gli abbiamo tolto l'ossigeno, ora riesce a respirare, quindi può anche parlare... ma è ancora convalescente dall'operazione, quindi non lo faccia alzare né agitare... è nella stanza... Marjorie, nella dodici?»

Un'assistente sanitaria con la divisa color giallo si fermò mentre passava loro accanto tenendo in mano una rosa e guardò il medico vagamente confusa per un attimo, poi annuì.

«Se sta parlando del signor Eusford, sì, nella dodici...»

«Grazie.» rispose Alford.

Cercò per la seconda volta di partire con il suo passo notoriamente spedito, ma la donna lo trattenne per il braccio e gli porse la rosa.

«L'hanno lasciata per il paziente, può portargliela lei?»

Gliela mise tra le mani e si affrettò a tornare al carrello sanitario e spingerlo via con il suo macabro carico di guanti usati, asciugamani impregnati di sangue e altre cose che al capitano ancora davano un solenne fastidio allo stomaco. Abbassò gli occhi verdi sulla rosa, che aveva un lungo stelo senza spine, una corolla di petali di un viola intenso ed era avvolta da un foglio di carta da composizione che era argentata dentro e nera sull'esterno, stretta da un lungo nastro rosso intorno al gambo.

Scrollò le spalle e partì spedito per raggiungere la stanza dodici: trovarvi dentro Crowley che si appoggiava più dritto contro i cuscini con l'aiuto di un'infermiera fu un balsamo per lui dopo quella difficile settimana.

«E il popolo eletto sarebbero gli ebrei? Sono gli irlandesi, piuttosto!»

Crowley girò la testa, incrociò il suo sguardo e sorrise, ignorando del tutto l'infermiera che metteva un nuovo flacone alla flebo nel suo braccio.

«Capitano... oh, non dirmi che quella è per me, ti potrei ammazzare. Lo sai che non sono il tipo di uomo che si conquista con i fiori...»

«Eh? Ah, questa? No, te l'ha lasciata qualcun altro poco fa, non so chi.»

«Vi porto un vaso per quella.» disse l'infermiera. «Devo tornare per portare gli effetti personali del signor Eusford, in ogni caso.»

Senza attendere risposta la donna uscì dalla stanza. Crowley sorrise, chiedendosi con una certa curiosità se non fosse stato Dakin Atkinson a mandargli quel fiore, mentre il capitano si sedeva accanto al letto su una delle sedie per i visitatori. Aveva un aspetto trasandato e vagamente malsano, come di chi non mangia bene e dorme abbastanza da un po'. Lui forse si rese conto di come lo guardava, perché si passò le mani tra i capelli chiari striati di bianco e sospirò profondamente.

«Per la miseria, Crowley... mi hai fatto tribolare per giorni... non ho più l'età per questo stress, lo sai?»

Crowley cambiò espressione e il suo sorriso scomparve. Girò la testa guardando dalla finestra il cielo coperto del primo pomeriggio. Nella sua mente scorsero stralci sconnessi di ricordi: la chiesa di Saint Thomas dove padre Gilbert teneva la messa, la fotocopiatrice inceppata, Ferid saliva su una scala con dei tacchi vertiginosi, Chess cercava di prendere qualcosa dal suo cassetto... Chess che gridava e cadeva a terra sull'asfalto.

Crowley trasalì e deglutì a fatica mentre i lampi e i tuoni degli spari si ripetevano nella sua memoria, poi girò la testa per guardare il capitano Alford. Non si sentiva più niente dentro il corpo se non uno stomaco pesante come un'incudine.

«Da quanto tempo sono qui?»

«Beh... ti hanno operato e poi... sei rimasto incosciente per cinque giorni.»

«Chess... come sta Chess? L'ha colpita...»

La fermezza dello sguardo del capitano bastò come risposta. Cercò di deglutire, ma sentiva la gola completamente asciutta.

«N-no.»

«Mi dispiace, Crowley...»

«Non può essere.»

«Siete finiti dritti in una trappola... quando sono arrivato con i rinforzi della stradale i bastardi si sono dispersi, qualcuno l'abbiamo preso quella sera, ma...» iniziò Alford, e sospirò. «Non c'è stato nulla da fare... eri l'unico ancora vivo quando sono arrivato.»

«L'u... l'unico... che cosa... George? George è morto?»

«Chess... George... Domenic e Dakin, che sono arrivati a vostro supporto... erano già tutti morti quando siamo arrivati...»

L'addome di Crowley si contrasse producendo un involontario movimento delle spalle, si morse il labbro e si coprì la bocca con il pugno serrato stretto così forte da tremare. Vide che la vista gli si offuscava e chiuse gli occhi che bruciavano.

«Mi dispiace, Crowley... se solo fossimo arrivati due minuti prima non avrebbero osato iniziare un conflitto a fuoco con decine di agenti... non ho parole per dirti quanto sono affranto per la loro perdita... ma tu sei ancora qui, e starai bene, questo è...»

«La bambina.» sussurrò con un filo di voce. «La bambina è viva?»

Non vide il capitano chiudere gli occhi come colto da un dolore fisico, ma l'esitazione nella risposta era già un presagio.

«Purtroppo no... l'abbiamo trovata la mattina dopo nel cimitero di Silver Waters... stessa cosa dei casi precedenti...»

In uno scatto d'ira tirò un pugno così forte che ammaccò l'alluminio del comodino e lo scaraventò contro il letto vuoto accanto, ribaltandolo con un fracasso da svegliare un isolato intero. Per un momento di surreale silenzio che seguì si sentì solo una delle rotelline che continuava a girare a vuoto, poi Alford si alzò e lo rimise in piedi trascinandolo al posto di prima.

«Per favore, non perdere la testa, Crowley.»

«Metà della nostra unità è MORTA!» sbottò lui. «Come diavolo è successo?! Stavamo seguendo il Vampiro, da dove sono arrivati quegli altri?!»

«Erano membri dei Silver Fang... tutti molto giovani, probabilmente i novizi pronti per il rito d'iniziazione...»

«Un... rito d'iniziazione?! Ma quale gang si mette a sparare contro dei poliziotti per testare i nuovi?!»

«Abbiamo preso qualcuno di loro, l'alpha era un ragazzo di nome Echevierra, Antonio Echevierra... era quello al volante della Charger.»

«Co... al... volante? Non era il Vampiro?»

«A quanto pare il bastardo si è fatto vedere apposta a prendere la bambina.» disse Alford, stringendosi le mani intrecciando le dita. «E poi, sapendo che avrebbero cercato la macchina, è andato nella zona dei Silver Fangs a dirgli che avrebbe pagato mille dollari per ogni poliziotto che ammazzavano e di usare la sua macchina per l'imboscata.»

«Non era in macchina quando l'abbiamo trovato...»

«No, c'era già Echevierra... vi ha portati dritti in una trappola, mentre quello psicopatico probabilmente stava già torturando quella bambina in chissà quale cantina o magazzino abbandonato, bello comodo e all'asciutto... ci ha fregato completamente, Crowley. Ci siamo cascati in pieno e abbiamo pagato un prezzo altissimo.»

Crowley non riuscì a dire niente, schiacciato da una tormenta di pensieri burrascosi: una rabbia come mai ne aveva provata prima, il dolore sordo al petto che non aveva nulla a che vedere con la ferita fisica, immagini ripescate dalla sua memoria in cui scherzava con George quando erano ancora bambini, di momenti molto meno innocenti condivisi sia con Chess che con Dom e i dubbi mai del tutto fugati su Dakin e sull'interesse che credeva che nutrisse per lui...

L'infermiera fece ritorno con il vaso dove sistemò il fiore, disse qualcosa che Crowley non sentì nemmeno e lasciò una busta con i suoi effetti personali sulla coperta. La sentì andarsene, il capitano non diceva nulla e così, solo per fare qualsiasi cosa che sembrasse normale prese il sacchetto e lo rovesciò sul letto. Non vi trovò vestiti, ma c'era il cellulare, il portafoglio, il distintivo, la cintura, l'orologio, il crocefisso d'oro e un oggetto ammaccato che non riconobbe.

Lo prese tra le dita e quando lo girò gli tornò in mente che cosa fosse: era l'amuleto che gli aveva messo al collo quel bizzarro uomo della libreria. Ammaccato com'era la novena sul retro era difficile da leggere, ma comprese abbastanza parole latine per capire che era una preghiera a San Michele Arcangelo.

«Ti ha salvato la vita, quello.» disse Alford. «Il chirurgo ha detto che ha deviato due proiettili, e non ti hanno colpito il cuore... se non l'avessi avuto addosso avrei trovato cinque miei uomini morti su quella strada, quindi chiunque te l'abbia regalato o venduto dimmi chi è, perché gli vorrei stringere la mano.»

Crowley voltò la testa e posò gli occhi sulla rosa viola nel vasetto prima di allungare la mano e prenderla. L'osservò ma non trovò alcun tipo di biglietto; non ne fu sorpreso. Un sospetto sul mittente di quell'omaggio iniziò a serpeggiare con insistenza in lui quando notò che era lo stesso viola del logo del Magick, poi lo sguardo gli cadde sul nastro rosso: era di pregevole fattura, non era un nastro di fibra artificiale di quelli usati per i pacchetti regalo, era in vera seta color rosso vivo. Sapeva dove l'aveva già visto e malgrado tutto tirò gli angoli della bocca in un accenno di sorriso.

«Forse l'hai visto.»

«Che cosa?»

«L'uomo che mi ha dato quell'amuleto giusto ieri... ah... no, cinque giorni fa...»

«Dove?»

«Beh, sono abbastanza sicuro che sia quello che ha lasciato questa per me.» replicò, accennando al fiore. «L'ha data a te?»

«No, l'ha lasciato a un'assistente sanitaria, almeno credo. L'ha dato lei a me.»

«Niente di irreparabile... ho come l'impressione che lo vedrò di nuovo...»

Avvicinò il fiore al naso, ma il profumo era appena percettibile, come consuetudine delle rose. La ripose nel vasetto e solo allora cominciò a rendersene davvero conto: posso annusare un fiore. Sono ancora vivo.

«Beh, quando lo vedi digli che un capitano di polizia ci terrebbe a offrirgli da bere.»

«Ah, non so se è una buona idea... io continuerei con la stretta di mano.»

«Perché?»

Crowley si appoggiò ai cuscini. Provava un dolore terribile dentro di lui, gli bastava chiudere gli occhi per rivedere un momento con uno o l'altro dei colleghi perduti, sentiva le lacrime trattenute bruciare ancora, eppure provò l'impulso di ridere quando la domanda fece deviare i suoi pensieri in zona Magick, Ashland street 137, West End.

«Oh, è un tipetto un po'... diciamo che... probabilmente è un po' schizzinoso su quello che beve.»

«Non credo di capire, ma...»

«Non importa... se dovessi vederlo lo capirai subito.»

«È un soggetto così eccentrico il tuo amico? Per regalarti quello credevo fosse uno della tua parrocchia.»

«Ah, decisamente non è della mia parrocchia, no.»

«Qualsiasi cosa voglia da bere ti assicuro che gliela offro, non importa quanto costa.»

Crowley emise una secca risata ma dovette soffocarla, gli dava molto dolore al petto. Il capitano l'invitò a sdraiarsi e riposare, ma se pensava di dare un ordine a un irlandese si era sbagliato di grosso: si scambiarono qualche rispostaccia e alla fine il capitano acconsentì di aggiornarlo sul caso, se Crowley si fosse sdraiato promettendo di non affaticarsi. Scivolò quindi più in basso sui cuscini e fissò il soffitto mentre Alford gli rispiegava nei dettagli l'accaduto e tutte le indagini che erano seguite.

Se quel Vampiro pensava di continuare ad ammazzare bambini innocenti e amici suoi nella sua città si stava sbagliando di grosso e appena dimesso gli avrebbe insegnato che cosa succedeva a chiunque si fosse messo contro Crowley O'Brian Eusford.

 

 

Crowley, vestito di tutto punto e seduto sul letto dell'ospedale accuratamente rassettato da lui stesso, rileggeva accigliato il quotidiano del giorno. Lettere cubitali titolavano sull'omicidio numero cinque dell'ormai famoso Vampiro di West End: la quinta bambina sotto gli undici anni a scomparire per poi essere ritrovata priva di vita, quasi prosciugata del sangue e con il cuore asportato dal petto con tecnica efficace ma rudimentale.

Mentre dall'editoriale saliva lo spettro della discriminazione della polizia verso le vittime -quali un'ebrea, una francese, una russa, una figlia della comunità wiccan e un'asiatica- dalle frecciate abilmente sparse dal Witness Bulletin emergeva la semplice, colpevole incompetenza della squadra omicidi di New Oakheart. Il Morning Telegram dal canto suo addossava la colpa alla politica di tagli alle spese per la sicurezza dell'attuale sindaco, ma il Key Press se possibile faceva anche di peggio, accusando la polizia di perdere tempo dietro a delinquentelli di strada -tali classificava i pericolosi Silver Fangs- anziché dare la caccia al predatore di bambine psicopatico.

Ripiegò il Witness con la sensazione che la testa gli stesse esplodendo e si massaggiò le tempie. Sei mesi: cinque terrificanti omicidi di bambini in sei mesi e la polizia brancolava nel buio nel più classico e letterale dei sensi, senza trovare testimoni, indizi, prove; senza avere anche soltanto un sospettato. La sola cosa certa sembrava essere il giorno prediletto dell'assassino: tutti i suoi omicidi erano caduti di giovedì notte.

Ottimo, pensò Crowley stizzito al solo pensiero, basta arrestare tutte le migliaia di abitanti che non hanno alibi per quei cinque giovedì ed è fatta.

«Ehi, Crowley, hai l'aria di uno che è al lavoro ancora prima di essere dimesso.»

Crowley sollevò la testa ma aveva già riconosciuto la voce del capitano Alford. Non sapeva che cosa ci facesse lì, ma immaginò che avesse qualche novità sul caso, o almeno lo sperava: se prima prendere il Vampiro di West End era una questione importante ora era diventata una missione sacra.

«Capitano, novità?»

«Ah, non proprio… sono venuto a prenderti, sapevo che ti dimettevano oggi.»

«Ah... tutto qui?»

«Mi potrei offendere per questo tono... ma immagino che ti aspettassi delle notizie sul caso, quindi capisco la delusione.»

«Scusami… apprezzo che sia venuto, ma sì… avevo sperato in qualche novità… la stampa ci sta massacrando.»

«Strano, era sembrato anche a me di cogliere questo messaggio, così, tra le righe.» ironizzò lui con un sorriso teso. «Ma ora tornerai al lavoro, e tu sei il nostro uomo migliore… troverai anche un valido aiuto in ufficio.»

«Di che aiuto parli?»

«Ho richiesto qualcuno che potesse darci una consulenza... ci aiuterà a trovare quel figlio di puttana.»

Non aveva la minima idea di chi fosse l'aiuto di cui parlava ma per quanto era disperato avrebbe chiesto aiuto persino a una veggente o a un folletto.

Impilò il giornale sopra gli altri sul comodino e lo sguardo del capitano cadde sulle quattro rose nel vaso, private della carta da confezione: la più vecchia ormai chinava la corolla e aveva perso tutti i petali tranne due, una cominciava a piegarsi, una aveva appena iniziato a cedere la bella forma del suo fiore mentre la più nuova era perfetta come un gioiello.

«Quella è nuova… di oggi?»

«Di ieri.» rispose Crowley. «Me le porta sempre di martedì mattina. Forse è il suo giorno libero.»

«Sei riuscito a parlarci?»

«No, le ha lasciate tutte alle infermiere.»

«Non era un tuo amico? Perché si prende il disturbo di portarti un fiore per quattro settimane ma non di entrare a chiederti come stai? Gli agenti l’avrebbero accompagnato dentro.»

«Penso sia perché non ci conosciamo, ci siamo parlati solo una volta.» ammise Crowley con una scrollata di spalle. «Non mi era sembrato, ma magari è un tipo più timido di quanto credessi.»

«Sei sicuro che sia lui?»

«Ah, su questo non ho dubbi.»

«… E perché?» l'incalzò Alford, dato che non arrivavano delucidazioni.

«Ho controllato su internet… sai che cosa significa la rosa viola?»

«Non posso dire che il linguaggio floreale sia un mio cavallo di battaglia, no.»

«Beh, i siti danno tutti lo stesso significato…» esordì, e con pochi tocchi accese lo schermo del suo cellulare e vi lesse direttamente. «La rosa viola simboleggia l'incantesimo

Alford rimase lì con le mani in tasca in attesa del proseguimento, che però non venne perché Crowley ficcò il cellulare nella tasca dei pantaloni con un sorriso che avrebbe avuto uno che aveva appena presentato la prova più lapalissiana del creato.

«… E quindi?»

«E quindi, non mi stupirei se fosse un incantesimo vero.»

«Crowley, o tu hai preso una botta in testa forte dall'ultima volta che ti ho visto, o a me manca un pezzo fondamentale.»

«Sì, ti manca un pezzo, e ti porto a prenderlo. Portami in un posto prima di andare in centrale, per favore.»

«Ah... beh, se è necessario... dove, a casa?»

«West End, 137 Ashland street.»

 

La perplessità di Alford restò ad alti livelli durante tutto il tragitto fino al West End ma raggiunse la totalità quando si rese conto di che esercizio commerciale sorgesse al numero 137. Rimase così stordito che fissò le vetrine mentre Crowley slacciava la cintura, scendeva dall'auto e si avviava lungo il marciapiede verso l'ingresso; solo quando fu certo che non stava scherzando si decise a seguirlo.

Il campanellino annunciò l'apertura della porta. Come la volta precedente non c'era nessuno dietro il bancone, ma Ferid era in piena vista, seduto in cima alla scaffalatura contrassegnata dalle lettere A-B: accanto a lui c'era una pila di grossi volumi dall'aria antica, ne teneva uno aperto sulle gambe accavallate, il tacco a spillo dei suoi stivali poggiava sul piano della scaletta e sembrava molto assorto nella lettura; questo almeno finché non alzò gli occhi rossi sugli avventori.

«Oh, detective Eusford!»

«Ciao, Ferid.» lo salutò Crowley avvicinandosi alla scala. «Cosa fai lassù? Sembri il gufo di Merlino.»

Ferid non rispose ma gli regalò un sorriso ampio come Crowley pochi ne aveva ricevuti, mise giù il libro che stava sfogliando e scese dalla scaletta malconcia con la scioltezza di qualcuno che percorreva un'ampia e dolce scalinata di marmo. Crowley allungò la mano per aiutarlo a scendere dati i tacchi quasi al livello di quelli della volta precedente, ma lui non la prese e con un balzo saltò gli ultimi tre pioli senza nemmeno un indizio che facesse pensare che potesse perdere l'equilibrio su quegli stivali così alti come un qualsiasi altro mortale soggetto a forza di gravità.

La prima cosa che fece fu passare le braccia intorno al collo di Crowley con una confidenza decisamente eccessiva data la scarsa conoscenza tra loro, ma lui quasi se lo aspettava, al contrario di Alford.

«Ah, non puoi sapere quanto sono felice che tu sia uscito dall'ospedale~» gli disse lui, senza considerare assolutamente la presenza di Alford e il suo sbigottimento. «E sei anche venuto a trovarmi appena uscito~»

«Sì, beh, ho qualcosa di tuo.»

«Se parli del cuore lo puoi tenere~»

Riesce a dire cose così straordinariamente imbarazzanti persino davanti ad altri? Decisamente non ha evitato di vedermi in ospedale per timidezza, chissà che cosa ha raccontato alle infermiere di lui e di me...

Crowley non riuscì a non sorridere nonostante questo pensiero e sfilò dalla tasca dei pantaloni un lungo nastro rosso di seta. Gli bastò un istante per capire che Ferid l'aveva riconosciuto.

«Credo proprio che questo sia tuo... non è che li hai finiti, eh, Ferid?»

Ferid si passò la mano nei capelli sciolti e li gettò indietro sulla schiena senza accennare una risposta positiva né negativa. Il suo sorriso si allargò se possibile ancora di più.

«Come fai a dire che è mio?»

«È il tuo nastro per i capelli, lo portavi quando ci siamo visti qui in negozio il mese scorso.»

«Uhm? Non sono sicuro di averne uno di quel colore.»

«Certo che ce l'hai... sono un poliziotto, i dettagli sono il mio mestiere.» insistette Crowley. «E poi, c'è un'altra cosa.»

«Impronte digitali? DNA?»

«Olio di cocco.»

Questa volta Ferid sembrò molto sorpreso, ma si riprese quasi subito e sorrise di nuovo. Crowley dubitava che potesse sembrare più felice persino il giorno del suo matrimonio; i suoi occhi quasi brillavano per l'entusiasmo tracimante.

«Questo nastro odora di olio di cocco.» spiegò, più a beneficio di Alford che di Ferid. «E l'olio di cocco si usa per rendere i capelli lucidi... anche i tuoi, no? Sotto quel faretto al bancone luccicano più di tutto quello che c'è nelle teche del negozio.»

Una volontaria eccedenza di complimenti, non troppo invasiva: una tattica che portava la firma di un certo istruttore dell'accademia di nome Vic Schmidt e che con certe personalità narcisiste dava più frutti che a sconquassare un albero di mele mature, per dirla proprio alla sua maniera. Con Ferid fu uno strike esemplare e l'uomo gli sfilò il nastro dalle dita.

«Sono colpevole, detective Eusford, lo confesso~»

«Sei anche recidivo, direi.»

Estrasse il nastro di seta viola lasciando che Ferid se lo riprendesse sfilandolo dalla mano come aveva fatto con quello rosso e non abbassò il braccio continuando a guardarlo. A lui ci volle qualche istante per notare che il nastro di velluto nero era avvolto intorno al suo polso, ma quando lo vide non ci fu bisogno di dirgli altro: tirò l'estremità sciogliendone il nodo e ne recuperò un giro per volta con tutta la calma di chi si sta godendo il momento. Crowley non riuscì a fingere di non divertirsi quando vide i suoi occhi rossi indugiare sul polso sinistro dove portava solo l'orologio.

«E quello blu dov'è, detective Eusford? Me l'hai sequestrato?»

«Oh, ne manca uno? Devo averlo lasciato nella mia borsa.» rispose Crowley. «Te lo riporterò la prossima volta.»

«Lo spero davvero, mi piace molto quello blu.»

«Ma a voler essere del tutto onesti, Ferid, sono qui per parlare di un'altra cosa di cui sei colpevole.»

Un vago stupore balenò sul suo viso. Non rispose, passando il nastro rosso dietro il collo e sollevandovi la chioma argentata lucente. Gli bastò una manciata di secondi per ottenere una coda fluida retta da un fiocco di seta perfettamente simmetrico, poi tornò a guardare il poliziotto. Crowley tirò fuori dall'altra tasca una catenella e poi fece capolino il misero resto deformato dello scudo di San Michele, dondolando; Ferid allungò la mano toccandolo con palese sorpresa che non riuscì o non volle celare.

«Sei stato tu a darmi questo... e questo ha impedito che due proiettili mi si piantassero nel cuore.» gli disse. «Consapevole o no, mi hai salvato la vita... grazie.»

Ferid sorrise e lasciò la collana.

«È stato un piacere, detective.»

Dalla saletta delle collane emerse una coppia di giovani ragazze, a giudicare dal loro aspetto in età da primo anno di università: avevano scelto qualche braccialetto colorato e la bionda delle due teneva in mano una collana a forma di cuore.

«Ah, scusatemi un momento.» disse Ferid ai due uomini, e raggiunse la ragazza bionda. «Oh, allora hai scelto, tesoro?»

«Sì... spero tanto che faccia effetto...»

«Lo farà, garantito.» le assicurò lui passando dietro il bancone. «E quando tua sorella troverà l'uomo dei suoi sogni tornerai a dirmelo, vero?»

«Se lo trova, verrò a comprarne una anche per me!»

«Funzionano meglio se vengono regalate, sai?»

Ferid guardò l'amica afroamericana della bionda e le fece un fugace occhiolino che le fece ridacchiare entrambe.

Crowley lo guardò con tutto un nuovo interesse: quasi non sembrava nemmeno lui ora che aveva abbandonato quel tono da donna provocante e quella gestualità femminile accentuata. Con le spalle più rilassante, con quel tono cortese ma non affettato in cui emergeva di più il timbro di voce di un uomo, con i movimenti e la camminata sensibilmente meno femminili a Crowley suscitò un interesse separato dalla sua pretenziosità esoterica, una sincera curiosità verso la sua persona piuttosto che un superficiale desiderio di osservarne i modi buffi.

«Eccolo qui, sono bravo con i fiocchi, hai visto?» disse alla ragazza, dandole un pacchetto regalo dal nastro rosso. «Serve anche a te?»

«A me no, sono tutti per me questi!» rispose gioviale la ragazza afroamericana.

«Non posso credere che tu abbia bisogno di tutti questi braccialetti per l'attrazione, bella come sei... sei forse innamorata di un ragazzo cieco?»

La ragazza, dopo essere rimasta in un silenzio imbarazzato per qualche attimo, iniziò a borbottare qualcosa troppo piano perché i due poliziotti riuscissero a sentirla; anzi anche Ferid si sporse un poco sul bancone per ascoltare quello che gli stava dicendo.

«Beh, ha un suo perché, non trovi?» sussurrò con un certo divertimento Crowley al capitano. «Certo si vende benissimo.»

«Crowley, davvero?»

«… Cosa?»

«Lo so già che tu non sei per niente un cliente difficile, ma quel tipo…»

«No… no, ehi, Alford, che dici? No, non sto dicendo che mi interessa, è…»

«Non serve mica che tu lo dica, si vede.»

«… Capitano, con tutto il rispetto… se questo è l'intuito da poliziotto che ti è rimasto, vattene in pensione

«Crowley, devo parlarti di una cosa… volevo aspettare di rientrare in centrale, ma alla luce di…»

Le due ragazze salutarono Ferid con tanto entusiasmo che le loro voci indispettirono le orecchie di Alford e s'interruppe. Ferid le salutò con la mano.

«Se non funziona ricordatevi che io sono sempre qui e sono anche scapolo!»

Ferid non smise di sorridere quando le perse di vista fuori dalle vetrine e guardò i due poliziotti. Assistettero alla sua riconversione: cambiò postura e si appoggiò al bordo del mobile con un appeal inequivocabilmente femminile. Questa sua spaccatura così evidente era fonte di grande curiosità per Crowley, che pur avendo avuto parecchi partner uomini non ne aveva mai visto uno dalle facce così vistosamente diverse.

«Che cosa stavamo dicendo, signori?»

«Nulla, in realtà, ma già che ci siamo posso presentarti il capitano della squadra omicidi?» chiese Crowley, indicandolo. «Ci teneva a conoscere chi mi aveva dato l'amuleto e a offrirgli da bere.»

«Offrire da bere? A me?» domandò lui sorpreso, e si accigliò. «E tu gli hai spiegato a cosa va incontro?»

«Gli ho detto che hai dei gusti sofisticati, sì.»

Ferid girò lentamente intorno al bancone senza staccare gli occhi dal capitano, facendo ondeggiare un po' il bacino a ogni passo gli andò vicino e i due si guardarono negli occhi per un momento che a Crowley sembrò incredibilmente lungo tanto era gravido di tensione. Alford aprì bocca per dire qualcosa nello stesso momento in cui Ferid si avventò contro il suo collo.

Crowley l'afferrò per il braccia tirandolo indietro con uno strattone ma si accorse subito che non lo aveva morso: Alford si toccò il collo con l'aria disgustata di qualcuno che si sente camminare un grosso insetto sulla pelle e Ferid emise un sospiro tremulo denso di piacere frustrato, abbandonandosi di schiena contro il petto di Crowley.

«Ahh, che buon odore... gli uomini maturi non sono i miei preferiti, ma per te farei un'eccezione senza pensarci due volte!»

«Oh, avanti, Ferid, ti sembra il modo di comportarsi?» gli chiese Crowley, cercando di stare più serio di quanto si sentisse con una risata bloccata da qualche parte in gola. «Trattalo bene il mio vecchio capitano.»

«Oh... oh, cielo, detective, non mi avrai mica portato già tuo padre?» domandò Ferid, allarmato. «Se l'avessi saputo mi sarei vestito un po' meglio di così!»

Crowley non riuscì a soffocarla due volte e rise, un po' perché era divertente che avesse davvero pensato che Joey Alford fosse suo padre, un po' chiedendosi in che cosa consistesse il vestito migliore di Ferid coi precedenti che aveva. Alford invece era estremamente serio, non sembrava nemmeno essersela presa per i commenti sull'età. Gli porse la mano molto formalmente.

«Sono Joey Alford, il capitano di Eusford.» si presentò. «Non sono sicuro di aver capito il suo nome.»

«Oh... Ferid. Ferid Bathory. E il lei non serve, non sono così vecchio né così importante.» disse Ferid, con un sorriso. «Sono solo un umile libraio, dopotutto.»

«Da dove vieni, Ferid? Sei di qui, del West End?»

«Ormai sì, ci vivo da tanti anni... ormai è casa mia.»

«Però hai un accento britannico ancora discretamente marcato... sei inglese?»

«No, davvero? E io che credevo d'averlo perso del tutto ormai... spero non ce l'abbiate ancora con la Madre Patria, nel caso vi dico subito che io vivevo in Russia quando avete combattuto per l'indipendenza.»

Crowley ignorò il delirio di Ferid e guardò di sottecchi il suo capitano. Non era da lui fare tante domande a una persona appena incontrata; nemmeno a quelli della sua squadra aveva mai domandato se fossero nati a Satbury o in altri distretti, e quando lo vide allungare la mano e sfiorare l'orecchino rosso di Ferid capì che qualcosa non quadrava. Non si sarebbe mai permesso tanta confidenza con nessuno, non il capitano che conosceva ormai da anni.

Restò a fissarlo mentre parlava di star pensando di regalare a sua moglie degli orecchini per giustificare il suo interesse e dovette dominarsi per non esplodere mentre erano lì.

Probabilmente il modo in cui si congedò da Ferid dieci minuti dopo fu sbrigativo e freddo comparato a come si erano salutati all'arrivo, ma non vi fece caso e a malapena attese che la portiera del guidatore si chiudesse dopo che Alford ebbe preso posto al volante.

«Che cosa diavolo era quella messinscena di prima, capitano?» domandò bruscamente Crowley. «Tua moglie se n'è andata in Francia dieci anni fa. Che erano tutte quelle domande e perché ti interessavano tanto i suoi orecchini, posso saperlo?»

«Sì che puoi saperlo, ma non qui.»

Alford manovrò per uscire dal parcheggio e si immise nel traffico verso Satbury. Solo dopo aver controllato gli specchietti quattro volte in dieci minuti si decise a rilassare leggermente la schiena.

«Echevierra ha deciso di patteggiare stamattina.» gli comunicò. «In cambio ha fatto i nomi dei ragazzi che non avevamo preso e ci ha dato una descrizione della persona che ha incontrato, quella che gli ha promesso i soldi e lasciato la Charger.»

«Che stai cercando di dirmi, che quella persona è Ferid?»

«Ha detto che non sa dire se fosse un maschio o una femmina, era un tipo ambiguo. L'ha detto lui, ha detto proprio ambiguo. Pioveva, era già buio e si copriva il capo con una mantella cerata... aveva anche una sciarpa o qualcosa del genere su naso e bocca, ma ha detto di ricordare sopracciglia chiare, occhi celesti e che l'uomo o donna che fosse aveva un orecchino pendente rosso.»

«Non essere ridicolo, Alford, non può essere lui.»

«E perché? Perché ti ha dato un amuleto che per pura fortuna ti ha salvato? Perché il suo cuore è tuo e puoi tenerlo?»

«Sei veramente uno stronzo quando fai così.»

«Quello voleva ammazzare te e tutti i tuoi amici e io sono lo stronzo?»

«Sopracciglia chiare, occhi celesti e un orecchino rosso, dici sul serio? Posso arrestare dieci persone che calzano questo straccio di descrizione anche solo tra quelli che mi sono scopato nell'ultimo anno!»

«Linguaggio, ragazzo.» l'ammonì il capitano.

«Quello che voglio dire è che non è una descrizione affidabile.» ribatté Crowley, cercando di contenere il suo scatto d'ira. «Non ha saputo dire neanche il colore dei capelli... e poi che ne sai? Non sai di che colore ha gli occhi Ferid sotto quelle lenti a contatto.»

«Perché non te lo fai mostrare, visto che siete diventati amici?»

«Non apprezzo la tua ironia, capitano, e se vuoi che io scopra altri indizi del tutto circostanziali che ti facciano avere uno straccio di ipotesi plausibile che quell'uomo è il Vampiro di West End dovrai chiedere un mandato.» tagliò corto. «E sappiamo tutti e due che nessuno ti firmerà neanche un tovagliolo solo perché Ferid vive nel West End e porta degli orecchini rossi.»

«Quel tizio pensa di essere un vampiro, davvero non ti è venuto neanche un sospetto?»

«Quel tizio finge di pensare di essere un vampiro, c'è una bella differenza.»

«Bene, allora cominciamo dall'inizio... invitalo al distretto a fare una chiacchierata informale con te su dov'era giovedì. Ogni giovedì in cui è morta una bambina.»

«Sono d'accordo, Alford. Cominciamo dall'inizio... da un'indagine che abbia un capo e una coda, per esempio.»

Non si dissero altro lungo la strada fino alla centrale e Crowley guardò fuori dal finestrino per tutto il tempo. Era sconvolto dal dolore come il capitano e probabilmente anche più, era infuriato con il Vampiro per la sua crudeltà e per la sua vigliaccheria come lo era il capitano, voleva prendere il bastardo come lo voleva lui... ma per convincerlo che tra le centinaia di migliaia di persone del West End era andato a inciampare per caso proprio sul Vampiro ci voleva molto di più di un paio di vaghe allusioni. Non avrebbe creduto che quell'uomo fosse un assassino di bambini finché non avesse trovato una pila di rapporti di prove scientifiche e logiche alta almeno quanto i suoi tacchi.

 

   
 
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