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Autore: heliodor    05/07/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nessun prigioniero
 
“Bolk meritava di morire?” gli chiese Valya mentre si sporgeva in avanti. Era buio quando erano discesi dalla collina delle Vecchie Pietre ed era ancora buio mentre attraversavano la pianura coperta di erba giallo oro.
Simm grugnì. “Che vuoi che ne sappia?”
“Non sembrava cattivo.”
“Ha provato a rubare le nostre cose” disse fissando un punto davanti a sé. “Poteva farti del male.”
“Lo hai picchiato per difendermi?”
“No” disse suo padre. “E ora torna nel carro e restaci.”
“È buio” disse Valya.
“Lo vedo anche io.”
“Non ci fermiamo?”
“No.”
“Non è pericoloso viaggiare di notte? Bel potrebbe inciampare in una buca e azzopparsi. Una volta ho sentito dire che il cavallo del signor Garl…”
“Per una volta” disse faticando a mantenere la calma. “Potresti fare come dico io? Ho un terribile mal di testa e non ho voglia di discutere.”
E soprattutto non voleva fermarsi per nessun motivo. Da quando Marden li aveva di fatto scacciati via si era guardato alle spalle. Ogni tanto lanciava un’occhiata furtiva alla strada che si stavano lasciando dietro di loro aspettandosi di intravedere dei cavalieri che si avvicinavano.
Valya sedette con le braccia incrociate sul petto e gli occhi bassi, lo sguardo imbronciato. Anche se aveva sedici anni compiuti era ancora ingenua e non aveva visto tante cose.
Sono stato io a volere così, si disse.
“Non avevo mai visto un uomo morire in quel modo” disse Valya.
Simm strinse la mascella. “Io invece ne ho visti troppi” disse a voce bassa.
“Durante la rivolta di Vulkath?”
Annuì. “E anche prima e dopo. La gente muore in continuazione e per i motivi più stupidi.”
“Bolk voleva solo pagare un debito.”
“Ti ha detto una bugia.”
“Sembrava sincero.”
“Allora era molto abile come bugiardo.”
“Diceva di dovere dei soldi ai ragazzi di Marden.”
Simm si accigliò. “Te l’ha detto lui?”
Sua figlia annuì. “È importante?”
“No” si affrettò a dire. “Ora entra nel carro e cerca di dormire un po’. Viaggeremo per tutta la notte.”
“Senza fermarci?”
“Solo un paio di volte per far mangiare questa bestiaccia” disse dando una pazza al cavallo.
“Lascia stare Bel” disse Valya indignata. “Lui è quello che fa il lavoro più pesante.”
“Vai” disse Simm perentorio.
Valya entrò nel carro. La guardò cercare un posto dove sistemare il giaciglio di pelli imbottite e distendersi sul fondo di assi di legno.
Attese finché non vide il suo respiro diventare regolare, infilò la mano nella tunica sgualcita e ne tirò fuori una boccetta piena di liquido bianco.
A prima vista sarebbe sembrato latte.
Latte dei sogni, si disse. Ma in realtà deve scacciare gli incubi.
Tolse il tappo di sughero dominando a stento il tremore delle mani e ne bevve una breve sorsata, mandandola giù a occhi chiusi.
Il liquido gli arse la gola mentre si faceva strada attraverso l’esofago. Rimise al suo posto il tappo e infilò la boccetta nella tasca interna della tunica.
L’aveva cucita lui stesso per avere un luogo riservato dove tenere il latte dei sogni.
Mi sei costato parecchio, pensò. E il povero Bolk ci ha rimesso tutto quanto aveva. Poco male.
Concesse al liquido qualche istante per fare effetto, ma sapeva che era in quei momenti che precedevano la pace che gli incubi si facevano più intensi e vividi.
Un volto gli apparve nella nebbia che era calata attorno a lui. Sentiva il freddo penetrargli nelle ossa, ma a quella vista sentì il calore aumentare.
Cercò di pronunciare il suo nome, ma le parole gli morirono in gola. La sua bocca era paralizzata, come se le sue labbra pesassero come macigni.
L’odore del sangue e del metallo permeava l’aria. In lontananza udiva lo stridore delle spade che cozzavano contro scudi e armature.
Persone stavano morendo nella nebbia, ma lui non poteva vederle.
“Perché siamo ancora qui?” chiese una voce.
“La sua stretta è forte” gli rispose un’altra che sembrava provenire da un abisso insondabile che aveva cercato di colmare in qualche modo.
“Gettala via. Gettala via ora.”
“Guarda, Simm. È lì sotto.”
“Non è giusto.”
“La sua stretta è forte.”
“Non…”
Il dardo si piantò nel legno del carro con un tonfo sordo. Simm aprì gli occhi e sobbalzò nel vederlo spuntare dal sedile, come se fosse cresciuto lì invece di esserci stato piantato.
Da chi? Si chiese ridestandosi come da un sogno.
Girò la testa a destra e poi a sinistra e nello stesso momento diede una spinta con la schiena all’indietro, cadendo nel carro.
Due dardi sibilarono sopra la sua testa attraversando il sottile tessuto che copriva il carro. Allungò la mano verso la mazza ferrata appoggiata sul fondo di legno e la strinse forte.
“Succede?” chiese Valya con voce impastata.
“Niente. Torna a dormire. Mi occupo io della faccenda.”
Sua figlia socchiuse gli occhi. “Perché hai preso la…”
Qualcosa sibilò sopra le loro teste e atterrò sul tetto di tessuto. Il fuoco si sprigionò all’istante iniziando a divorare la parte superiore del carro.
Valya sobbalzò. “Ma che succede?”
Simm strisciò verso la parte posteriore del carro. “Niente. Stai zitta e rimani dietro di me.”
Valya guardò in alto. “Brucerà tutto.”
“Ma non noi. Andiamo.”
Afferrò lo scudo di legno borchiato che aveva riparato poco prima di partire e aveva messo vicino alla cassa con gli attrezzi per un’evenienza come quella. Infilò il braccio sinistro nelle fibbie di cuoio dell’impugnatura e strinse il legaccio per farlo aderire.
Gli bastò quel contatto per sentirsi più sicuro. Strinse la mazza ferrata nell’altra mano, come a volerne saggiare la consistenza e il peso.
Il carro si stava riempiendo di fumo.
“Resta dietro di me” disse a Valya.
Prima che lei potesse rispondere si lanciò giù dal carro, lo scudo alzato di fronte a sé.
Atterrò sui tacchi affondando nel terreno reso molle dalle piogge recenti e piegato sulle ginocchia attese che Valya scivolasse giù dal carro.
“Stai giù” le disse con tono calmo.
“Ma chi sono?”
“Amici di Bolk? Oppure i suoi creditori.”
“Che cosa vogliono da noi?”
“Il carro e quello che c’è dentro.”
Valya guardò in alto, il viso illuminato dalle fiamme che stavano divorando la parte superiore del carro, quella fatta di stoffa.
“Brucerà tutto” disse in tono lamentoso.
“Non se spegniamo l’incendio in fretta.” Indicò un punto in basso vicino al terreno. “Nasconditi lì sotto.”
“Ma sta andando a fuoco.”
“Il legno è umido. Ci metterà un po’ a raggiungerti. Per allora avrò risolto il problema.”
“Voglio aiutarti” disse Valya.
“Come?” chiese esasperato.
“Posso combattere. Dammi una spada.”
“No.”
“Ma…”
“Non ho tempo per queste cose. Infilati lì sotto e restaci finché non torno.”
“E se non torni?”
Lui la ignorò avanzando nel buio. Sentiva lo scalpiccio dei cavali di chi li stava attaccando, ma nel bagliore dell’incendio i suoi occhi faticavano ad adattarsi all’oscurità.
Se non puoi vedere allora ascolta, ricordò le parole che aveva udito anni prima. L’uomo che le aveva pronunciate era morto da tempo, ucciso in un duello.
Ascolta.
Calma il respiro.
Rallenta i battiti del cuore.
Un dardo si conficcò nel terreno a due o tre passi dai suoi piedi facendolo sobbalzare.
Dannazione, pensò. Mi possono scorgere con le fiamme sullo sfondo.
Muovendosi acquattato nell’erba si spostò di una decina di passi descrivendo un ampio cerchio attorno al carro.
Ogni tanto guardava in quella direzione con la coda dell’occhio per assicurarsi che nessuno degli aggressori attaccasse con le fiamme alle spalle.
Piantò lo scudo nel terreno mentre con gli occhi scrutava nel buio per cogliere un movimento o un’ombra. Un paio di volte trasalì pensando di aver individuato uno degli aggressori, ma si rilassò subito dopo quando capì che si era sbagliato.
Sono due, pensò. Entrambi senza armatura a giudicare dal rumore degli zoccoli. A parte la balestra che armi hanno? Spade? Pugnali? Bastoni?
“Secondo me è morto, Perry” disse una voce nel buio.
Simm cercò di individuarla.
“Taci, idiota” rispose una seconda voce.
Alla mia destra, pensò Simm. Si muove lentamente. Sento i passi nell’erba. Deve essere smontato da cavallo per venire a dare un’occhiata da vicino. Pessima mossa.
“Ma Perry” disse la prima voce con tono lamentoso.
“Zitto ho detto” fece l’altra con tono stizzito.
Simm si mosse in fretta, i piedi che sembravano volare sull’erba umida. Nel buio individuò la sagoma netta di un uomo alto forse una mezza testa più di lui. Dal profilo notò che aveva estratto la spada e la teneva puntava verso il terreno.
Sembrava si stesse guardando attorno. Se avesse rivolto il suo sguardo verso Simm, avrebbe visto una sagoma nera che si stagliava sullo sfondo del carro che stava bruciando.
“Glem?” chiese una voce con tono incerto.
Non sono Glem, pensò Simm Keltel sollevando la mazza sopra la testa. Sono la morte.
Fece roteare la mazza sopra la testa facendo leva con la spalla. Nel buio apparve il viso dall’espressione sorpresa di un ragazzo dai capelli castani, la spada ricurva nella mano destra che si stava sollevando.
Alla seconda rotazione della mazza il bulbo di acciaio pieno che aveva saldato su una delle estremità incontrò la mascella dell’altro.
Simm sentì con soddisfazione il rumore delle ossa e dei denti che si spezzavano e la molle consistenza della carne che cedeva sotto la mostruosa spinta di quel colpo.
Schizzi di sangue lo raggiunsero imbrattandogli la tunica e i pantaloni. Gocce di cui si rese conto appena lo colpirono al viso.
Diede un secondo colpo all’avversario aprendogli una profonda ferita alla testa, proprio dietro la nuca. L’uomo sussultò per qualche istante e giacque immobile dopo aver esalato un rantolo profondo.
“Perry?” domandò la voce di prima.
Simm respirò a fondo.
“Il tuo amico è morto.”
Rumore di passi che si avvicinavano.
Idiota, pensò Simm. Ti ho dato la possibilità di andartene.
Corse verso il rumore di passi, incurante se fosse coperto o meno. In quel momento desiderava solo finire in fretta quella storia e tornare al suo sonno senza sogni.
Glem, questo doveva essere il suo nome, apparve sullo sfondo del carro che stava bruciando. Aveva sollevato la balestra, il dardo incoccato.
“Lo hai ammazzato” stava dicendo. “Dannato bastardo, lo hai ucciso.”
“Sì. E ora ucciderò anche te” ringhiò prima di gettarsi in avanti roteando la mazza.
Glem sollevò la balestra e gliela puntò contro. “Ti ammazzo” gridò.
Sì, sì, sì pensò Simm con foga. Scocca quel dardo, dannato idiota e cerca di non mancarmi. Metti fine alla mia lunga veglia senza sogni.
Un urlo squarciò l’aria e una figura apparve al fianco di Glem. Reggeva tra le mani qualcosa di rotondo e largo e l’aveva sollevato sopra la testa.
Glem si girò di scatto, la balestra ancora puntata in avanti.
Valya calò lo scudo sopra il braccio di Glem. Il dardo partì conficcandosi nell’erba con un tonfo sordo.
Glem gettò via la balestra ed estrasse la spada ricurva. “Prima ammazzo te” disse sollevandola sopra la testa.
Valya alzò lo scudo e intercettò il fendente calato dall’alto verso il basso. Simm la vide spostarsi di lato per parare il secondo assalto di Glem.
Coprì la distanza che lo separava dall’uomo con una mezza dozzina di balzi e gli fu addosso. La mazza calò sulla spalla dell’uomo, spaccando le ossa che si trovavano al di sotto.
Glem gridò come un animale ferito e lasciò cadere la spada.
Simm ne approfittò per colpirlo al petto e costringerlo in ginocchio.
Glem rantolò qualcosa di incomprensibile e alzò il braccio sano. “Basta, hai vinto, mi arrendo.”
Simm rimase con la mazza sollevata sopra la testa per qualche istante.
Glem, la mano stretta al petto, stava sputando sangue che nella penombra sembrava nero.
“Mi arrendo” disse con voce roca.
Simm alzò la mazza. “Nessun prigioniero stanotte.”

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