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Autore: Ksyl    07/07/2020    4 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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"Come sarebbe a dire, catastrofici? Non è quello che ricordo io", ribatté petulante dopo qualche istante di scompiglio interiore che l'aveva lasciato pietrificato sul posto.
Era cosciente di non star dando il meglio di sé come quell'irresistibile e brillante conversatore che era convinto di essere e di non averle fatto una grande impressione in tal senso - a volersi esprimere con sobrietà e auto indulgenza. Ma era stato colto di sorpresa e non aveva potuto prepararsi adeguatamente a quel loro inaspettato incontro, poteva essere considerata un'attenuante a cui appellarsi?

Kate non sembrò ritenere necessario prendersi la briga di chiarire perché ritenesse che i loro rapporti passati fossero stati disastrosi – un argomento che lui sarebbe stato ansioso di approfondire per mettere finalmente a tacere interrogativi che non avevano mai avuto risposta-, lasciandolo a macerare nei dubbi.
Insicuro su quale mossa sarebbe stata meglio attuare a quel punto, dopo una breve riflessione e spinto unicamente dal bisogno di non separarsi da lei, decise di andarle dietro.
Non gli sembrava che avesse avuto intenzione di abbandonarlo in via definitiva perché infastidita dalla sua presenza, nonostante una prestazione al di sotto degli standard minimi accettabili.
Sperò di averci visto giusto, perché era consapevole di non poter fare troppo affidamento sulla proprie capacità di interpretare correttamente i segnali che lei gli stava inviando, sempre che lo stesse facendo. Sempre che la voglia di stare con lei, esplosa di colpo quando l'aveva casualmente rivista, non lo stesse rendendo troppo invadente e, peggio, incapace di riconoscersi tale.

Mentre si affrettava a raggiungerla – camuffando malamente una certa goffa irruenza-, Kate si voltò d'improvviso verso di lui con uno sguardo che lo disorientò, costringendolo a fermarsi mentre la stava rincorrendo in modo ben poco elegante.
Era qualcosa di nuovo e stupefacente per lui, quel misterioso potere che lei aveva di farlo ammutolire senza sforzo e renderlo inerme. Era colpa della sua incredibile bellezza che non smetteva di scombussolarlo oppure del timore che si dissolvesse nuovamente dal suo orizzonte, lasciandolo ancora a chiedersi che cosa fosse successo e dove avesse sbagliato? E perché gli importava così tanto? Gli sarebbe piaciuto saperlo.

Kate continuò a fissarlo aspettandosi che fosse lui a continuare il discorso, in apparenza per nulla a disagio nel silenzio protratto e per via di tutto quel loro guardarsi negli occhi – cosa che invece creava in lui un turbamento che non avrebbe saputo descrivere.
Vista la situazione, fu costretto a improvvisare.
"Quello che voglio dire è che... siamo stati piuttosto bravi nel risolvere quell'unico caso di omicidio, non trovi? Rapidi ed efficienti. Merito di una perfetta sintonia di intelletti. Sono sicuro che saremmo stati un'ottima squadra sotto ogni punto di vista, se avessimo potuto continuare a lavorare insieme", concluse con una nota di rimpianto nella voce.
La sua brillantezza aveva decisamente perso parecchio smalto, dovette ammettere con dispiacere. Sintonia di intelletti? In che secolo credeva di vivere?

E a peggiorare le cose, qual era la prima cosa che gli veniva in mente di fare, quando aveva finalmente l'occasione di discutere di quello che era successo, occasione che gli era stata preclusa per anni? Si metteva a recriminare per il fatto che lei allora non avesse accolto entusiasticamente la sua proposta di seguirla a tempo indefinito al distretto, che a lui era sembrata legittima e perfino sensata – un colpo di genio si era detto gongolando –, giudicandola solo un capriccio. E che sfortunatamente lei continuava a ritenere tale.
Tutte le certezze sulle sue capacità innate di affascinare una donna grazie all'estro del suo eloquio si infransero rovinosamente al suolo dopo quella patetica spiegazione.

Kate si mordicchiò un labbro con aria assorta, incurante dell'effetto che quel gesto così suo avrebbe avuto su di lui. Di punto in bianco venne riportato indietro al loro ultimo sfolgorante incontro, quel "Non hai idea" sussurratogli all'orecchio, malizioso e definitivo insieme, che aveva promesso mondi per poi sottrarglieli e che gli era per sempre rimasto conficcato dentro.
"E questo tuo convincimento sulla nostra presunta sintonia di intelletti lo dobbiamo sempre alle tue doti medianiche?", domandò serissima.
Un brivido lo percorse. Adorava imbattersi in una sfida dialettica alla pari con qualcuno che sapesse tenergli testa e insieme si prendesse garbatamente gioco di lui, anche se era sicuro che in questo caso avrebbe avuto la peggio. E ne sarebbe stato ben felice.
"Tra le altre cose. Ma non puoi negare che la nostra collaborazione sia stata un successo". E tante altre potenziali cose che non avevano mai visto la luce, ma di cui era sempre stato certo. Per esempio che quella prima sera avrebbe dovuto uscire con lui, invece di girargli le spalle e andarsene, lasciandolo a fissarla con le pive nel sacco, ammaliato e deluso.

Kate alzò un sopracciglio. "Mi duole informarti che avevamo risolto numerosi casi di omicidio con discreta soddisfazione già prima del tuo arrivo. E anche dopo, per quanto strano possa apparirti".
Le sorrise con calore.
"Non mi stupisce, ho sempre pensato che fossi la miglior detective della città. E da quel che so, era un'opinione condivisa".
Era stato uno dei motivi per cui aveva insistito per diventare una sorta di consulente sui generis della polizia, che non avrebbe teoricamente nemmeno previsto quel ruolo che lui si era inventato di sana pianta. Il motivo ufficiale, quantomeno. Il resto non glielo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura. "E sono sicuro che sarai anche la miglior capitana che New York abbia mai avuto". Certamente la più affascinante, ma preferì tenere per sé ulteriori e improprie esternazioni.

Kate abbassò lo sguardo a terra, sorridendo impercettibilmente. Era forse arrossita? Questo significava che era sensibile ai suoi complimenti? Se così, era una notizia incoraggiante. Gli parve di aver conquistato finalmente terreno, aumentando le probabilità che non si desse precipitosamente alla fuga.
Divenne più audace, tanto valeva sfruttare il vantaggio ottenuto. "Ma scommetto che risolvere tutti quei casi senza di me non è stato altrettanto divertente, vero, Kate?", buttò lì, accarezzando il suo nome mentre lo pronunciava.
Il sorriso si spense di colpo, facendolo ripiombare nella confusione. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Aveva solo voluto mantenere il tono scherzoso. C'era un fondo di verità, invece?
"Non serve che lo sia, Castle. Dobbiamo garantire la sicurezza dei cittadini, non organizzare feste nel frattempo. È sempre stato il tuo problema quello di non prendere le cose seriamente", ribatté seccata.
"Le due cose non si escludono a vicenda", osservò, incapace di stare zitto.

Gli piaceva che fosse tornata a chiamarlo come aveva fatto all'epoca, come se fosse stato un collega e non un milionario pigro e svogliato che cercava solo un nuovo gingillo. La stava citando alla lettera. No, non si era affatto offeso a sentirsi definire in tal modo. L'aveva presa benissimo. Lo dimostrava il fatto che non avesse dimenticato una sola parola di quelle da lei espresse con una veemenza che era suonata perfino eccessiva, quando si era opposta in modo irremovibile alla sua proposta.
Che il problema fosse stato che si era divertita troppo insieme a lui, invece che trovarlo insopportabile, come aveva sostenuto? Era questo il motivo del suo rifiuto? L'opposto di quello che aveva sempre pensato? Era evidente che doveva aver toccato un punto sensibile se l'aveva indotta a reagire in modo tanto piccato, apparentemente senza motivo, mentre stavano semplicemente chiacchierando di cose lontane nel tempo.
Era un'ipotesi molto intrigante che era già pronto a sviscerare con cura, su cui però non ebbe il tempo di soffermarsi.

Delle grida concitate e un forte boato risuonarono nell'edificio in cui si trovavano, senza che fosse possibile collocarne la provenienza precisa. Il frastuono improvviso lo fece trasalire in modo violento. Un'ondata di panico si innalzò propagandosi istantaneamente tra le numerose persone presenti all'evento mondano, che cercarono disperatamente di disperdersi all'esterno come mine impazzite, rimanendo di fatto bloccate.
Qualcosa lo costrinse forzatamente a indietreggiare a sua volta, non perché inglobato dalla massa di corpi guidati dal cieco istinto alla fuga, ma perché Kate lo spinse con decisione verso la parete più vicina, piazzandosi davanti a lui con la pistola puntata verso un obiettivo fuori dal suo campo visivo. Era stato tutto così rapido che all'inizio faticò a realizzare che lei, reagendo freddamente grazie al suo addestramento, si era premurata come prima cosa di metterlo al sicuro.

Nella calma immobile e foriera di tragedia imminente che fece seguito a quei primi attimi di caos e che parve congelare la folla ora impietrita, riuscì a recuperare in parte la lucidità che la situazione richiedeva.
Dopo una breve ricognizione si accorse che un giovane uomo di non più di vent'anni - gli pareva più che altro un adolescente efebico e malnutrito – se ne stava in piedi da solo in mezzo alla sala, con una pistola puntata all'altezza del petto del sindaco. La visione spaventosa gli gelò il sangue, ma si impose di ricacciare indietro le emozioni indesiderate in un posto dove non avrebbero danneggiato le sue capacità analitiche.
L'amico, immobile e con le mani alzate, gli parve innaturalmente calmo, mentre il suo assalitore, al contrario, era visibilmente agitato. Non un buon segno. Significava che l'attacco doveva essere il frutto di una decisione estemporanea e non ponderata e questo rendeva la situazione ancora più pericolosa di quanto già non fosse. Non si trattava di un gruppo organizzato, ma di un unico elemento instabile il cui comportamento da lì in avanti sarebbe stato imprevedibile.

Il ragazzo fece un passo in avanti, brandendo la pistola, talmente vicino da sfiorare la sua vittima. La sala emise un unico ansito di terrore collettivo. Doveva intervenire, doveva fare qualcosa per salvare l'amico. Non poteva assistere impotente lasciandolo in balia di uno squilibrato nervoso al punto da far partire un colpo per sbaglio, ipotesi niente affatto remota.
Kate, intercettando telepaticamente il suo proposito di spostarsi verso il centro della sala, voltò brevemente la testa nella sua direzione per lanciargli un muto avvertimento, che non gli fu difficile interpretare. Era cosciente del fatto che fosse lei quella più preparata a gestire un'emergenza di quel tipo e che l'ultima cosa che desiderava fosse quella di averlo tra i piedi, ma non poteva rimanersene impotente mentre c'era la reale possibilità che il giovane perdesse completamente la testa.

Rimase in attesa. Non era il caso di compiere gesti avventati, gli suggerì la prudenza.
Kate gli fece cenno di muoversi lungo il perimetro per posizionarsi alle spalle del ragazzo senza farsi notare. Annuì per assicurarle che avrebbe seguito i suoi ordini alla lettera.
"Chiama il 911", gli bisbigliò concentrata mentre la oltrepassava. "E stai attento". I loro occhi si incontrarono per un fugace istante e fu sorpreso di notare una viva apprensione per la sua incolumità. Le sorrise brevemente, non sapeva se per incoraggiare lei o se stesso. Non aveva nessuna intenzione di deluderla o di correre rischi inutili. Forse Kate aveva deciso di servirsi di lui solo perché era l'unica persona che avesse a disposizione, ma qualcosa gli diceva che lo aveva fatto perché si fidava. Ne fu felice, anche se questo aumentava a dismisura la sua responsabilità.

Mentre cercava un posto più appartato per chiamare le forze dell'ordine senza dare nell'occhio, spostandosi il più silenziosamente possibile, continuò a tenere Kate sotto controllo visivo. Per qualche minuto non successe nulla, poi la vide avanzare lentamente ma con sicurezza tra le persone atterrite che si ritrassero via via per farla passare, notando la pistola che aveva con sé. Continuò a procedere centimetro dopo centimetro con notevole cautela.
Ricordando le sue indicazioni, si mosse a sua volta con la stessa circospezione, finché non raggiunse la posizione che lei gli aveva comunicato poco prima. Il cuore gli martellava nel petto al punto che credeva che sarebbe rimbalzato contro le pareti che parevano rimpicciolirsi sempre di più, ma l'adrenalina che gli scorreva freneticamente in corpo contribuiva a tenergli la mente sgombra, per quanto possibile. Era pronto a dare il suo contributo – si disse con convinzione. Sperava solo di essere all'altezza.

Trattenne il fiato quando l'aggressore voltò la testa nella direzione da cui Kate stava provenendo, accorgendosi infine della sua presenza. L'istinto gli suggerì di approfittare di quel momento di indecisione per disarmarlo, ma la razionalità lo bloccò subito. Iniziative personali erano pericolose e la posta in palio troppo alta perché a quel punto era lei a essere sotto tiro e non più il sindaco. Avvertì un lieve ronzio nelle orecchie e un fiotto di nausea gli risalì dallo stomaco. Fece qualche ampio respiro per riprendersi, non era il caso di avere un cedimento di nervi solo perché lei era diventata il nuovo target dello squilibrato.
Kate iniziò a interagire pacatamente con il giovane, riuscendo a catturare la sua attenzione, o almeno così gli parve. Era troppo lontano per afferrare l'intero contenuto della conversazione, se così si poteva chiamare, ma intuì che lei stesse cercando di creare un contatto senza allarmarlo. Non aveva idea se quel tipo di abilità rientrasse nei compiti di un capitano di polizia – credeva di no, da quel che gli risultava -, ma gli sembrò comunque che se la stesse cavando piuttosto bene. Senza dare troppo nell'occhio avanzò di qualche passo, fino a trovarsi esattamente dietro al ragazzo, che era in condizioni ancora più penose di quanto non avesse percepito all'inizio. Non era però il momento di provare compassione per lui.

Kate doveva avergli chiesto il suo nome, come prima cosa – si chiamava Joe, scoprì, quando lei gli si rivolse con calma e nervi saldi cercando di catturare la sua attenzione e farlo parlare, per distrarlo dai suoi propositi. Joe tremava ormai visibilmente. Era troppo nervoso, doveva essere fermato il prima possibile, ragionò, provando un'altra volta impulso di agire e farla finita una volta per tutte. Di nuovo, non lo fece. Si trattenne e attese.
Kate gli ripeté un paio di volte di abbassare la pistola, con un sussurro composto che riuscì a tranquillizzare perfino i propri nervi scossi e, probabilmente, quelli di tutti i presenti. In principio la richiesta non sembrò produrre alcun risultato. Non si accorse di osservare la scena con le mani strette a pugno e le unghie conficcate nei palmi, incurante del dolore.
Infine, dopo un lungo istante di indecisione che mandò in apnea tutti i presenti, Joe si abbassò e depose l'arma a terra. La situazione precipitò. Kate intercettò il suo sguardo e gli fece un cenno rapido, chiedendogli di intervenire immediatamente. Non ci pensò due volte. Mentre lei dava un calcio alla pistola lui si lanciò verso l'aggressore e lo atterrò da dietro, schiacciandolo con il proprio peso sul pavimento, ancor prima di rendersi conto di quello che stava facendo.

Fu solo quando intervennero i rinforzi sopraggiunti proprio in quel momento ad ammanettare il giovane, permettendogli di abbandonare la presa, che riuscì a tornare presente a se stesso. Emise un sonoro grugnito e si concesse un gesto di trionfo poco signorile, ma smise subito quando si trovò davanti due iridi verdi screziate di nocciola che lo osservavano canzonatorie.
"Tutto bene?", gli domandò Kate con le labbra incurvate da un sorriso che non riusciva a mascherare. Sarebbe stato inopportuno abbracciarla? Aveva bisogno di esprimere fisicamente l'esaltazione che provava e non c'era candidata migliore della persona che, ancora una volta, si era rivelata una perfetta compagna di avventure. Non lo fece, naturalmente. Anzi, tentò malamente di ricomporsi.
"Io... stavo solo...", balbettò.
Iniziava a vergognarsi per essersi lasciato andare a un tale comportamento triviale considerando la serietà della situazione. Come se non lo avesse appena accusato di superficialità e non fosse proprio quello il nucleo fondante della sua disapprovazione.
"Ottimo lavoro, Castle", esclamò prendendolo in contropiede con un complimento che lo spinse nuovamente verso inesplorate vette di euforia, raramente raggiunte in tutta la sua vita, se non si teneva conto di quella volta in cui avevano risolto un caso insieme.
"Ho sempre avuto ragione a dire che potremmo essere ottimi partner, Beckett! Devi ammetterlo una buona volta!", esclamò senza controllarsi.
Non era lui a dirlo. Lo dimostravano rigorosi fatti oggettivi, che nemmeno lei poteva più negare.
"Non farò niente del genere, si chiama solo fortuna del principiante. E quel ragazzo era solo spaventato, non pericoloso", lo fermò subito con espressione imperturbabile.
"Non sono d'accordo, è proprio in casi come questo che la situazione può degenerare in modo imprevedibile".
La vide inarcare un sopracciglio.
"Non fa parte dei miei doni", si affrettò ad aggiungere, prima che ricominciasse a prenderlo in giro. "È merito delle ricerche che ho fatto per i miei romanzi. Sono molto esigente quando si tratta della credibilità delle mie trame. Lo sapresti, se mi avessi permesso di collaborare con te".

Kate incrociò le braccia. "Mi sembra di capire che la nostra mancata collaborazione sia un punto che ti sta ancora molto a cuore. Non è ormai una questione superata, dopo tanti anni?", osservò, prendendosi il tempo di discutere dell'argomento come se fossero da soli e senza un problema al mondo e non al centro di un dramma che si era risolto felicemente solo per un soffio. E grazie alla loro bravura.
"No, Kate. Perché siamo magnifici insieme. Non credi che sia stato uno spreco non approfittare delle nostre capacità e predisposizioni innate in grado di armonizzarsi tanto bene? Hai visto come ti ho aiutato stasera? Salviamo il mondo dai cattivi capendoci al volo, senza nemmeno il bisogno di parlarci. Non è straordinario?", insistette con fare sempre più grandioso.

Stava esagerando, lo sapeva perfettamente. Non la conosceva, prima di tutto. E non aveva nessun motivo per permettersi di dirle certe cose, se non per via di una sfrontatezza arrogante di cui lo avrebbe certamente accusato. Ma era ancora troppo su di giri e, soprattutto, era stato costretto a incassare il benservito in silenzio. Ingiustamente. "E ci divertiamo. Molto. Perché hai detto di no?", concluse ostinato, suggellando così l'epitaffio che sarebbe stato inciso sulla tomba di una loro possibile, futura frequentazione.

   
 
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