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Autore: Ksyl    20/07/2020    4 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Si lasciò alle spalle l'ospedale, dove si era recato in mattinata per la quotidiana visita all'amico sindaco ricoverato da alcuni giorni. Era stato inaspettatamente colpito da un infarto alcune ore dopo i concitati eventi che lo avevano visto protagonista, quando la situazione era sembrata finalmente tranquilla.
Castle era stato chiamato nella notte poco dopo essersi congedato da Beckett, e gli era stata riferita la notizia. In preda al panico, era corso da lui per stargli accanto – per quanto gli era stato concesso, non facendo parte della famiglia –, finché non lo avevano dichiarato fuori pericolo. Da allora non aveva più abbandonato il suo capezzale, trascorrendo con lui molte lunghe giornate, finché le sue condizioni generali non erano migliorate, con suo enorme sollievo. Aveva finalmente potuto ricominciare a respirare.

Si sentiva molto stanco e con livelli di energia pericolosamente vicini all'esaurimento. Quel concentrato di eventi stressanti, sommato alle poche ore di sonno e all'ininterrotta preoccupazione per le sorti di una persona che gli era cara, iniziavano a presentare il conto. Era ancora scosso e non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di allerta costante.
Inspirò profondamente, assaporando il piacere di essere all'aria aperta in una perfetta giornata primaverile, rincuorato dalle prime buone notizie ricevute da diverso tempo a questa parte. Il sindaco non poteva ancora essere dimesso – i medici erano stati perentori - ma la strada verso la guarigione appariva meno impervia. Non sarebbe stato in grado di riprendere il lavoro a pieno ritmo tanto presto perché avrebbe dovuto sottoporsi alla necessaria riabilitazione, avevano sostenuto, ma il peggio era passato.

Decise di fare una passeggiata, aveva bisogno di sgranchire le gambe dopo essere stato confinato al chiuso tanto a lungo. E, soprattutto, aveva la necessità di lasciar vagare i pensieri liberamente. Concentrato sull'emergenza, non aveva avuto la possibilità, come gli sarebbe invece piaciuto, di ripensare al resto, all'incontro con Beckett e tutto ciò che ne era seguito.
Questo gli aveva impedito di iniziare a valutare come comportarsi con lei in futuro. Perché un futuro era proprio quello che voleva. Non per forza a lungo termine, ma non aveva nessuna intenzione di arrendersi e lasciare che si perdessero nuovamente di vista solo perché le cose erano più complicate di quanto non si fosse aspettato. Doveva esserci un modo. Moderato, rispettoso della situazione, mettendo in atto più precauzioni del solito, ma doveva essere fattibile.

Averla rivista aveva portato alla luce qualcosa di sé che era sempre rimasto latente: quella manciata di giorni in cui si erano sfiorati, collaborando allo stesso caso, aveva prodotto in lui una traccia indelebile. Il che era sconcertante. Era convinto di essere andato oltre quella che aveva considerato una breve parentesi finita male. Non era così. Più passava il tempo e più si scopriva smanioso di chiamarla o farsi vivo con lei. Finora non lo aveva fatto. Ma forse era arrivato il momento di pensarci seriamente, ora che era tornato in possesso della sua vita.

L'esistenza di un bambino era un fatto incontrovertibile che doveva essere ponderato in modo accorto. Non perché lui lo considerasse un ostacolo, tutt'altro, semplicemente perché rendeva necessario un approccio più cauto. Non aveva idea di quale fosse il rapporto tra Kate e il padre di suo figlio – sapeva solo che non stavano insieme, ma non aveva idea di quando avessero smesso di farlo. Poco tempo prima? Se fosse appena uscita da una relazione forse non avrebbe avuto voglia di ricominciare a vedere tanto presto un altro uomo. Magari aveva deciso per un futuro di totale ascetismo in cui si sarebbe dedicata solo al compito materno.
Sperava di no.

Non voleva apparirle inopportuno o troppo insistente, anche se lei non avrebbe di certo avuto problemi a rispedire al mittente qualsiasi approccio sgradito. Voleva muoversi con buonsenso. E rivederla. Quello era in cima a qualsiasi lista.
Era il momento di agire, non poteva aspettare un minuto di più. Senza ponderare troppo la cosa, decise che passare a trovarla in ufficio senza prima annunciarsi, con la scusa di aggiornarla sulla salute del sindaco e farsi raccontare gli ultimi sviluppi del caso – ne aveva diritto, essendo stato coinvolto, giusto? - fosse una soluzione abbastanza ragionevole da reggere di fronte alle occhiate sospettose che lei gli avrebbe sicuramente rivolto. Avrebbe sempre potuto dirle che era il sindaco stesso ad averlo mandato in avanscoperta in modo ufficioso. Non che avere una raccomandazione dall'alto sarebbe servito a piegare la sua volontà – era già accaduto una volta e senza successo – ma forse in questo caso si sarebbe ammorbidita, viste le circostanze.

Non aveva inoltre dimenticato che era stata proprio lei, in extremis, a rimescolare le carte prima di salutarsi, proponendo che si rivedessero. Continuava ad avere il legittimo dubbio che si fosse espressa così solo per mitigare l'effetto troppo lapidario dell'uscita precedente, quando lo aveva in sostanza messo alla porta senza troppi giri di parole. Non voleva illudersi, ma nemmeno trascurare un dettaglio che non riteneva insignificante. Ed era l'unico su cui si potesse basare per andare avanti.

Giunto nei pressi del distretto si rese conto che non ci sarebbe stato bisogno di inventarsi alcun motivo plausibile per presentarsi al suo cospetto. La intravide, girata di spalle, intenta a ordinare un caffè in uno dei locali che costellavano la strada in entrambe le direzioni.
"Buongiorno, capitano", esordì a voce bassa, arrivandole silenziosamente alle spalle. Si sentiva emozionato come un ragazzino e altrettanto nervoso.
Nel sentirsi rivolgere la parola, Kate ruotò verso di lui con un'espressione accigliata, come se desse per scontato di essere in presenza di uno scocciatore – chissà se era un'esperienza così comune per lei da giustificare una tale reazione automatica – ma si sciolse in un sorriso quando lo riconobbe, provocandogli un'ondata di autentico piacere.
Era molto bella e professionale, in un completo severo nei toni pastello che sottolineava sapientemente le curve del suo corpo.
"Ehi, Castle, che cosa ci fai qui? Non abbiamo in programma di sventare altre aggressioni oggi". Poteva già dire che era adorabile o sarebbe apparso troppo stucchevole?
"Ma sono sempre pronto a offrirvi la mia disponibilità, nel caso vi servisse una mano".
"Intendi quindi rimanere a gironzolare nei dintorni nell'eventualità di esserci utile?"
"Volevo invitarti a pranzo", gli uscì di getto.

Kate rimase senza parole. Anche lui. Aveva saltato qualsiasi preambolo, qualsiasi ragionevole cautela sulla quale aveva concordato con se stesso solo qualche minuto prima. A sua discolpa poteva dire di non aver avuto nessuna intenzione di chiederle di uscire, non così presto, non senza un minimo di convenevoli o almeno qualche chiacchiera introduttiva.
Quando se la trovava davanti era sempre mosso da un'urgenza che gli era difficile spiegare senza ricorrere a complesse motivazioni metafisiche che si riconducevano a un unico, banale denominatore. Era stato vittima di un colpo di fulmine? Anche se si trattava di una persona che aveva già incontrato in passato? Era definibile in altro modo? Era saggio, soprattutto?

Attese trepidante la sua reazione, ormai il danno era stato fatto, si sarebbe assunto la responsabilità delle proprie azioni, per quanto insensate le sarebbero certamente apparse.
Invece di rispondere, Kate strinse le dita intorno al contenitore del caffè. Lo interpretò come un segno negativo. "Io...", esordì titubante.
Ci aveva visto giusto. Non era un no, ma mancava poco a diventarlo.
"Non considerarlo come un appuntamento". Che cosa gli saltava in mente? Certo che era un appuntamento. "Visto che è quasi ora di pranzo e ci siamo casualmente incontrati, ho pensato sarebbe stato carino mangiare qualcosa insieme. Senza impegno", bofonchiò in fretta, irriconoscibile perfino a se stesso.
Senza impegno erano le parole meno romantiche che gli fossero mai uscite di bocca in tutta l'intera vita. In più, nessuno avrebbe creduto che non fosse lì di proposito, lei per prima.

"Ti ringrazio per l'offerta, ma purtroppo non ho molto tempo. Avevo deciso per uno spuntino veloce in ufficio visto che devo uscire presto per un impegno che ho più tardi", spiegò dispiaciuta, mostrandogli il sacchetto contenente il cibo da asporto che era appena stato posizionato sul bancone davanti a loro da un solerte barista, che si dileguò subito.
"Capisco. E se invece dell'ufficio ti proponessi una panchina? Devi comunque pranzare e magari ti fa piacere cambiare panorama". Se non ne avesse trovata una l'avrebbe fatta installare a sue spese con una targa commemorativa sopra a imperitura testimonianza degli eventi. "E ti prometto che sarà una cosa molto breve, proprio come se fossi alla tua scrivania".

In una sommaria ricognizione attraverso le vetrate del locale si accorse dell'esistenza di un piccolo parco – un fazzoletto di terra, niente di più - dall'altra parte della strada. Glielo indicò.
Forse stava giocando male le sue carte e quell'incontro imbastito in modo rudimentale avrebbe precluso altre occasioni più formali – magari Kate avrebbe ritenuto di aver soddisfatto la promessa, che gli aveva fatto quella sera, di rivedersi in un'altra circostanza. Al momento era sprovvisto della lungimiranza necessaria e chiedeva solo di non doversene andare senza aver goduto almeno di qualche minuto della sua compagnia.

Guardò dubbiosa nella direzione che lui le aveva indicato. La diffidenza che emanava da lei era molto più che percepibile.
"Ho davvero poco tempo", insistette. "Meno di quello che pensi".
"Dì la verità, temi di essere vista insieme a me da qualche giornalista ancora in attesa di una dichiarazione esclusiva sul nostro contributo nello sventare l'aggressione. Io però mi sono attenuto alle regole e non ho parlato con nessuno. Devi riconoscermelo".
Era andata proprio così. Aveva declinato ogni richiesta di intervista, nonostante gliene fossero arrivate e, in generale, aveva tenuto un profilo basso, sia perché obbligato dal fatto di aver trascorso tutte le sue giornate in ospedale, sia perché lei era stata molto determinata nel raccomandarsi discrezione. Era al di sopra di ogni sospetto.
Kate soppesò le sue ultime dichiarazioni. "Va bene. Non credo che corriamo grossi rischi, visto che si tratta di pochi minuti. Ma mi pare scortese dovermene andare tanto in fretta".
La guardò dubbioso, convinto di aver capito male. Si stava rammaricando di non avere più tempo a disposizione?

Ancora sconcertato, ordinò qualcosa anche per se stesso e, dopo aver lasciato le banconote sul bancone senza attendere il resto, la invitò verso l'uscita. Raggiunsero insieme il parco, non esattamente uno dei migliori che New York avesse da offrire, con ciuffi di erba rachitici e troppo cemento per i suoi gusti. Ma non avevano alternative.
Presero posto su una panchina – l'unica presente e in pieno sole - ognuno con il proprio pacchetto di cibo, che decisero spontaneamente di condividere, per rendere il pranzo un po' più generoso di quanto non apparisse. Lo trovò un gesto stranamente intimo, ma non disse niente a riguardo.

"Non ricordo da quanto non mi prendo una pausa fuori dall'ufficio". Fu lei a riempire per prima il silenzio. "Di solito ho giusto il tempo di un caffè alla macchinetta. È sempre orribile, se te lo stai chiedendo". Alzò lo sguardo verso le cime dei pochi alberi che dovevano aver recentemente subito una drastica potatura. "Non mi ero nemmeno accorta che fosse arrivata la primavera".
"E io che ti immaginavo alle prese con picnic domenicali a Central Park insieme a tuo figlio. A proposito, come si chiama?"
Sì, il suo commento sarebbe potuto apparirle forzato, e lo era. Aveva deciso che voleva affrontare subito quell'argomento sensibile, senza girarci intorno. A scanso di equivoci, voleva che fosse chiaro che lui aveva ben presente la situazione con cui aveva a che fare e che non aveva problemi a riguardo. Non voleva fingere che il bambino non esistesse. A lui interessava tutto quello che faceva parte della sua vita, nessuno escluso. In più, gli erano sempre piaciuti i bambini a prescindere, lo sapevano tutti.

"Thomas. Ma noi lo chiamiamo Tommy".
Parlando del figlio si accorse che gli occhi le si erano colmati di dolcezza. Non riusciva a smetterla di guardarla, beandosi delle sue espressioni così diverse da quelle che assumeva di solito quando doveva presentarsi come l'integerrimo tutore della legge. Era un lato di lei che non aveva mai visto ."E di solito la domenica – tutte le domeniche - preferisce andare al museo a vedere i dinosauri, rifiutando le mie proposte di fare qualche attività all'aria aperta, di cui probabilmente ho più bisogno io, che passo le mie giornate in ufficio".
"Anche a mia figlia piaceva andare al museo da piccola. E anche io ho un debole per i dinosauri, è una passione che non si esaurisce nel tempo, temo".
"Vorrà dire che mi inizierò a rubare qualche minuto di aria e sole mentre sono al lavoro, proprio come adesso".
Se era un invito camuffato, lui si sarebbe fatto trovare pronto.
"Oppure... possiamo organizzare dei picnic durante la tua pausa pranzo, magari un po' più lunga di quella di oggi. Posso occuparmene io, ho già delle idee...", propose in preda all'entusiasmo.
Lo avrebbe fatto. Aveva in mente cestini di vimini, tovaglie a quadretti, bottiglie di vino e bicchieri di cristallo. O bicchieri più rustici, in linea con il resto. Avrebbe cucinato personalmente e le avrebbe comprato la migliore frutta di stagione. Sapeva già dove trovarla.

Kate gli rivolse un'occhiata divertita.
"Non darebbe affatto nell'occhio starmene seduta con te su un prato nel bel mezzo di una giornata lavorativa e proprio sotto le finestre del mio ufficio. Non sarebbe meglio qualcosa di classico come una cena in un ristorante? O è troppo poco creativo per te? Sai, essendo tu scrittore..."
Aveva detto cena? Quella precisa parola era uscita dalla sua bocca? Era stato convinto di dover insistere, convincere, forse perfino supplicare. E lei se ne usciva invece candidamente a irrobustire le sue speranze.
Nascose troppo tardi il moto di stupore che provò. Sicuramente lei se ne era accorta e doveva aver riso dentro di sé trovandosi di fronte un tale sprovveduto facilmente impressionabile, ma era troppo educata per mostrarlo.
Magari faceva tutto parte di una precisa strategia per disorientarlo e fargli fare la figura di una pera cotta nel caramello. Non vedeva altro motivo per cui fosse tanto disponibile nei suoi confronti. Si era aspettato di essere assalito da una serie di aculei lanciati nella sua direzione prima ancora che osasse esprimersi vagamente sui loro rapporti futuri.
Una cena. Loro due da soli. Era troppo perfino per lui. Non poteva essere tanto semplice. Non quando, per l'appunto, era stato impossibile in passato convincerla a dargli una possibilità.

"Certo. Naturalmente. La cena andrà benissimo. Credevo ti fosse difficile liberti la sera, per via della babysitter e di tutto il resto".
Non voleva toglierle ore da trascorrere con il figlio, visto che di giorno era molto impegnata. E voleva anche farsi bello ai suoi occhi, non poteva negarlo.
"È vero, di solito preferisco passare tutto il mio tempo libero con Tommy, che però non è sempre dello stesso avviso". Si lasciò andare a una risata cristallina che lo incantò. "Tommy è spesso da mio padre o è lui a venire da noi, quando non è in viaggio per lavoro. Non vedono l'ora di sbarazzarsi di me per starsene da soli a confabulare alle mie spalle. Anzi, non fanno che lamentarsi perché non riescono a vedersi a sufficienza e ti assicuro che capita abbastanza spesso".
"Devono essere molto legati".
Gli piaceva scoprire nuovi dettagli sui suoi rapporti familiari, sapere che il bambino era circondato da una rete affettuosa.
"Per Tommy è una sorta di figura paterna e mio padre stesso sembra rinato da quando è diventato nonno. Lui... ha passato degli anni difficili". Si accarezzò l'orologio che aveva al polso, senza approfondire il discorso. "Sono felice che Tommy l'abbia aiutato a stare meglio".
Era così immerso nel suo racconto da rendersi conto solo dopo che, tra i dettagli che gli aveva confidato sulla sua vita privata, il padre di Tommy non era mai stato menzionato, nemmeno lontanamente, a parte l'accenno al fatto che fosse il nonno ad aver riempito un posto che, a quel che gli era parso di capire, doveva essere rimasto vacante. Ma non voleva fare ipotesi troppo azzardate.

Lei continuò il discorso, sorridendo.
"Quindi la sera mi capita di essere libera, per quanto strano possa apparire. A volte lo scopro solo una volta tornata a casa, Tommy mi viene incontro con il suo zainetto, mano nella mano al nonno, e mi salutano allegramente andandosene. E senza aver chiesto il mio permesso".
Adorava il fatto che, al contrario di quanto si potesse immaginare, fosse una madre poco severa. Ed era innamorata del figlio, si vedeva benissimo.
"Se una di queste sere si ribelleranno di nuovo alla tua autorità...".
Attese che lei cogliesse l'idea sottesa, ma non lo fece. "Permettimi di invitarti a cena", concluse in tono un po' troppo formale, dovuto a un improvviso imbarazzo.
"Te lo permetto", rispose Kate con aria altrettanto solenne.
Scoppiarono a ridere entrambi.
"Scusami, di solito non sono così impacciato...".
Non concluse la frase, non poteva di certo confessarle che era lei a fargli quell'effetto, ma seguì un silenzio incerto che non seppe come riempire. Fu lei a salvare la situazione, come ormai capitava sempre più spesso.
"Devo considerarlo un invito ufficiale o è solo una fase preliminare in cui valuti se ci sono le condizioni per esprimerti? Solo per sapere se abbiamo un appuntamento a tutti gli effetti prima di scappare al lavoro. Ho esaurito i miei minuti d'aria per oggi".
Che donna terribilmente sfacciata. E sempre più affascinante, anche se non sapeva come uscire dalla situazione conservando intatto il suo amor proprio.
"Capitano, sembra quasi tu non veda l'ora di uscire con me". Era strano perfino dirlo, ancor più credere che fosse vero.
"Ti piacerebbe, Castle, ma in realtà voglio solo, a nome del distretto e della cittadinanza, ringraziarti per il tuo eroico contributo dell'altra sera e non sentirmi più in debito con te".
"Capisco. Hai quindi in mente una sorta di cerimonia istituzionale, che non ha niente a che vedere con un appuntamento galante. E io che mi ero illuso...".
Le fece una smorfia. "Ne sarò comunque soddisfatto. È prevista anche un'onorificenza? Una medaglia, magari?"
"Di questo passo potrei cambiare idea e limitarmi a una stretta di mano".
"Noto con piacere che diventare capitano ha fatto emergere quella vena dispotica che ti è sempre appartenuta, soprattutto nei confronti degli uomini".
"Questa tua ultima affermazione non sta andando a tuo beneficio, ti avverto", replicò alzandosi e fingendo di non essere divertita tanto quanto lui.
"Hai ragione. Sarò molto felice di farmi tiranneggiare a cena, o in qualsiasi luogo o circostanza tu voglia concedermi la tua dispotica presenza. Ti basta per considerarlo un invito ufficiale o devo inviarti una notifica giudiziaria?"

Si era alzato anche lui. Rimasero in piedi uno di fronte all'altra, senza sapere come concludere il loro incontro o, forse, senza volerlo. Lui di certo avrebbe voluto prolungarlo senza porsi limiti, ma era cosciente del fatto che lei dovesse tornare in ufficio.
"Grazie per il pranzo, ma ora devo proprio andare. Più tardi la classe di Tommy farà un piccolo spettacolo per noi genitori e lui mi ha fatto promettere che non sarei mancata. Ci tiene molto, ne parla in continuazione da settimane. E se hai avuto esperienza di bambini, sai che questo significa che è impossibile zittirlo. Canta la stessa filastrocca all'infinito e io ho iniziato a odiarla, soprattutto perché non riesco a togliermela dalla testa".
Era intenerita e orgogliosa e questo, di riflesso, tendeva a far emozionare anche lui. Se fosse rimasta per altri cinque minuti le avrebbe chiesto di accompagnarla alla festicciola. Quel bambino gli piaceva già moltissimo ma, soprattutto, trovava straordinario l'effetto che l'amore materno produceva in lei.
Naturalmente non lo avrebbe fatto. Sperava di riuscire a non commettere errori di alcun genere affinché le cose potessero dispiegarsi nel modo più equilibrato per tutti, soprattutto per Tommy. Aveva iniziato a chiamarlo anche lui così.

"Non voglio trattenerti. So quanto sono importanti queste attività per i bambini. Alexis da piccola viveva per giorni in uno stato di euforia tale da farmi venire voglia di avere un pulsante che la spegnesse, almeno per qualche minuto".
Kate si fissò la punta delle scarpe, prima di tornare a guardarlo negli occhi. "Non sempre riesco a essere presente e sono l'unica che può farlo. A parte mio padre, ma non è la stessa cosa".
Annuì. La capiva. Era successo lo stesso anche a lui. Essere l'unico genitore non era semplice, soprattutto quando si aveva una carriera impegnativa come la sua. Lui, al contrario, era stato molto più libero. Si domandò per l'ennesima volta perché il padre di Tommy fosse una figura apparentemente assente. Era lontano? Troppo impegnato? Disinteressato? Peggio?

"Quindi... ci sentiamo?" domandò Beckett, interrompendo la catena dei suoi interrogativi mentali.
Trovava curioso che fosse sempre lei a chiudere le loro conversazioni alludendo a un futuro incontro, come se volesse accertarsi di tenere aperto uno spiraglio. Che le piacesse sul serio la sua compagnia? Come era possibile? Perché allora avevano perso tutti quegli anni?
"Certo. Quando vuoi. Quando sei libera. Domani?"
Continuò, prima che a lei venisse voglia di arrestarlo. "So che questo può dare l'impressione che io sia un individuo pericoloso o solo molesto, ma la verità è che temo che tu possa cambiare idea e decidere di non rivedermi, se avrai abbastanza tempo per rifletterci su".
"Dai per scontato che se uscirò con te, invece, avrò voglia di rivederti? Ora che ci penso ho vaghi ricordi di questa tua enorme e mal risposta fiducia in te stesso".
"Ora non puoi negare di essere un po' dispotica".
"Vuoi cancellare l'invito per trovare qualcuno di più accomodante?"
"No. Voglio uscire con te, a qualsiasi condizione".
"Ottimo, Castle, temevo di dover rimanere qui tutto il pomeriggio per fartelo dire".
Gli sorrise con la consueta grazia e se ne andò, lasciandolo a fissarla inebetito e ancora incredulo.

   
 
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