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Autore: Restart    08/07/2020    0 recensioni
Mia è in procinto di sposarsi con Gabriele, quando una bufera di neve improvvisa la costringe a passare il pomeriggio col suo vicino di casa Massimo. La convivenza porterà a galla questioni irrisolte.
Primo capitolo della serie "Per le vie di Firenze".
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Martedì 8 Dicembre
Avrò fatto un errore?
È questo quello che mi ripeto da qualche giorno. Una litania terribile, angosciante.
Lo devo dire o no a Gabriele?
Mi viene incontro con un sorriso smagliante, quello che si dovrebbe fare al futuro coniuge dopo qualche settimana di assenza. Io sembro avere una paralisi facciale invece. Ho un sorriso falso come le labbra di mia zia. Anche se in realtà da una parte sono sollevata. Avere il mio fidanzato accanto in qualche modo stabilizzerà la mia vita. E a supporto di questo c’è da aggiungerci che per fortuna Max è a Roma dai suoi per il ponte dell’Immacolata. Almeno fino a domani sera non dovrò vederlo.
«Ciao Mì» mi bacia sulle labbra e io cerco di fare la naturale. Cerco di camuffare il fatto che beh, teoricamente, l’ho tradito una manciata di giorni fa. Chiudo gli occhi e provo a ritornare a quella sera.
Gigi è arrivato beccandoci con le zampe nel sacco. O meglio, non ha visto niente, solo interrotto il momento. Ci siamo ricomposti un attimo e poi gli abbiamo aperto. Il tempo di preparare un caffè e lui aveva già aperto il portone di Max. Gigi ci ha mollato un’ora dopo perché ha attaccato bottone come fa sempre. E poi, quando siamo rimasti un’altra volta da soli ci siamo solo guardati negli occhi per qualche minuto, riflettendo sulla cazzata che avevamo appena fatto. Io ad un passo dal matrimonio, lui ad un passo dal divorzio. E poi volete metterci anche tutta la storia che c’è stata tra noi? Mi ha detto che doveva andare a recuperare Federico e se ne è andato. Io non me ne sono accorta, ma sono rimasta a fissarlo mentre si allontanava tutto dinoccolato, con il passo sgraziato e quel cappotto marrone che possiede da una vita. Ho anche sorriso, forse, ma ora non ricordo. Ero già attanagliata dall’ansia per il ritorno di Gabriele, per come sarei riuscita a tenere per me questo segreto. Che brutta l’ansia di quando fai le corna. Soprattutto quando le fai a mezzo, ad un uomo che ti è stato accanto no matter what e te lo sfanculizzi così, tranquilla.
«Tutto pronto per il grande giorno?» mi chiede quasi distrattamente, mentre controlla il cellulare.
«Mh, mia madre e tua madre mi stanno alle costole, da una parte non vedo l’ora che sia passato. Sto vivendo in un periodo di ansia costante». Bella scusa Mia. Ti vuoi salvare in calcio d’angolo.
«Ho chiamato Michel, dobbiamo discutere del menu, ma ho quasi ultimato tutto» mi dice, continuando ad evitare il mio sguardo. Meglio così. Non riuscirà a percepire la mia angoscia.
Per il resto non ci diciamo niente, lui non mi racconta niente di Berlino e beh, io forse è meglio se sto zitta. Non c’è niente che possa interessargli. O almeno non positivamente.
*
Roma
Max stava quasi sdraiato sulla poltroncina di vimini, cercando di catturare qualche raggio di timido sole dicembrino. Solo due giorni prima a Firenze era immerso nella neve fino al ginocchio e adesso stava prendendo un po’ di sole sulla terrazza dei suoi. Era quasi caldo (forse a malapena dodici gradi, ma la temperatura perfetta per mettersi solo un maglioncino infeltrito di un rosso sbiadito e le Converse scolorite pronte a essere rottamate). E poi, preso da un estro di fantasia aveva voluto prepararsi uno Spritz, leggermente troppo alcolico, ma perfetto per cercare quel vago senso di annebbiamento che gli provoca un po’ di alcool a stomaco vuoto. E così, con un bicchiere tra le dita, una sigaretta rollata non benissimo e i suoi occhiali che arrivavano direttamente dagli anni novanta, Max Rossi, come ai vecchi tempi, si era spiaggiato sul terrazzo dei suoi, cercando di fare il meno possibile. O almeno cercare di scordarsi della cazzata che aveva fatto solo qualche giorno prima. Non sapeva che pensare, non riusciva a comprendere se quello che aveva fatto, quel bacio, fosse stato positivo o negativo. Sul momento poteva sembrare la cosa più normale e bella di tutta la sua vita, ma ripensandoci (anzi, rimuginandoci, come era sua abitudine, fino a consumarsi il fegato), rischiava di mandare all’aria un matrimonio per una cazzata. O meglio, non del tutto una cazzata, però qualcosa che lui non era solito fare. Quasi. Sapeva cosa significava essere l’altro, quello con due corna che sfioravano il soffitto e quindi, avrebbe dovuto regolarsi. Ma era sicuro, cioè si sentiva sicuro del fatto che Mia non gli permetteva di mantenere il controllo. Non l’aveva mai fatto.
Si passò infastidito la mano sul viso e tra le dita scorse gli occhi felini di sua madre.
«Non sei cambiato per niente. Dopo tutti questi anni sei sempre su quella poltrona a rimuginare. Prima dei quarant’anni ti friggi il fegato bello mio» non c’era neanche una nota di dolcezza nella voce di sua madre. Stava solo facendo quello che aveva sempre amato fare: rimbeccarlo per ogni cosa facesse. Ma era comprensibile visto che era l’unico figlio a cui potesse stare accanto. Sua sorella Rebecca, una vera vipera, non la voleva vedere da quasi vent’anni.
«A quanto pare pensare è l’unica cosa che mi viene bene, che mi è sempre venuta bene» disse lui, tirandosi su seduto e rivolgendo un sorriso ironico alla madre.
«Io ci aggiungerei anche quel bambino che sta facendo ammattire sua zia giù sotto» si sedette accanto a lui e gli passò una mano dietro la schiena. «Che hai combinato questa volta?» Max scosse la testa. Non aveva voglia di parlarne con lei, era sicuro che gli avrebbe fatto una partaccia, ricordandogli quanto fosse brutto essere l’amante, che lei l’aveva fatto per tanti anni e così via.
«Stavo pensando a come riordinare la casa al mare. La vorrei affittare per luglio, tanto non ci vado mai» mentì, o almeno in parte. Era una delle sue priorità sistemare quella villetta meravigliosa sulla costiera amalfitana che aveva avuto in eredità dalla sua prozia da parte di madre, in quanto unico nipote che potesse vedere (si ritorna sempre lì, Rebecca era mal sopportata da tutta la famiglia di sua madre, tranne che da sua madre).
«Oh bene, anche io ci avevo fatto un pensiero… La zia Etta avrebbe voluto sistemarla. Quando abbiamo un po’ più di tempo libero ne parliamo. Ora fammi il favore di venire giù che ci stiamo per mettere a tavola. E per l’amor di Dio cambiati codesto maglione, mi sembra che tu abbia solo quello!» esclamò tirandogli una leggera pacca sulla spalla. Poi si alzò e con grande eleganza ritornò giù a gestire come un caudillo la casa.
Max rimase un’altra manciata di minuti a rimirare il profilo di Roma, così bello e suggestivo, tanto da fargli venire le lacrime agli occhi. La sigaretta ormai si era finita tra le sue dita senza che potesse fare più di due tiri. Si alzò piano e sempre piano scese le scale per andare in sala da pranzo dove l’aspettava una parte della sua famiglia.
«Oh, finalmente si vede arrivare il nostro filosofo!» era la voce di sua sorella Letizia ad accoglierlo, mentre procedeva verso il tavolo con un vassoio di ravioli burro e salvia fumanti. «Ti stavi per perdere i ravioli di nonno». Gli dette un paio di baci sulla guancia. «Salut mon frère».
Da lì iniziò a dare e ricevere baci da quelli che erano la sua famiglia più stretta, vale a dire circa una ventina di persone. Quattro fratelli, i rispettivi coniugi e una marea di nipoti di cui non si ricordava sempre i nomi. E poi c’erano due persone, forse quelle più importanti nella sua vita: i suoi nonni, i genitori di sua madre. Se ne stavano seduti a battibeccare sul divano con ancora la luce negli occhi.
«O Massimino, come sei sempre più magro…» era la prima cosa che gli aveva detto suo nonno con un sorriso raggiante sul volto. Per un breve istante però si ammutolì e lo sguardo si fece serio. «Che succede Massimino? Hai conosciuto una bella ragazza, eh?».
«Più o meno» rispose Max vagamente, cercando di sviare. Già troppe persone erano riuscite a capire cosa stesse pensando. Com’era possibile che in una famiglia di attori lui fosse l’unico che non sapeva mentire manco per sbaglio?
«Dov’è papà?» chiese a Vittorio mentre gli passava velocemente davanti. Il fratello lo guardò di sfuggita e alzò le spalle.
«Penso sia nello studio a parlare con Tiziani. A quanto pare hanno avuto un problema con la protagonista…» disse sua nonna sistemandosi un po’ i capelli prima d’infilarsi una sigaretta in bocca.
«Mara, ce la faccio a fumarne una?» chiese velocemente. La faccia di Mara si contrasse in una smorfia infastidita.
«Mamma, è tutto pronto, anche no dai. Massi vai a chiamare il papà?» ma appena finì la domanda si vide arrivare Augusto Rossi con la sua camminata lenta e un po’ goffa. Aveva un sorriso stampato bene sul viso, ma non sembrava felice. I suoi occhi s’illuminarono non appena incrociarono quelli di Massimo.
«Finalmente! Credevo tu volessi prendere la residenza sulla terrazza…» gli dette una pacca sulla spalla e lo fece sedere accanto a sé, come aveva sempre fatto. Non era un segreto che Max fosse il figlio preferito di Augusto; d’altronde era quello che aveva dovuto e voluto proteggere da tutto e tutti, soprattutto dai riflettori e anche un po’ dai fratelli più grandi. Era quello che portava sempre con sé sul set, quello che faceva sedere sulle ginocchia mentre lui lavorava. Gli altri quattro fratelli erano molto più grandi di lui, ma nonostante questo c’era sempre stata in loro una punta di gelosia. Soprattutto Letizia, visto che fino all’arrivo di Max era la vera regina della casa. Non aveva vissuto quasi mai con suo padre fino a che non ha avuto quindici anni che si è dovuta trasferire da Parigi a Roma. Max era sempre stato il prediletto, il figlio del suo grande amore per Mara.
«Se dopo si riesce ad essere cinque minuti da soli ce la faccio a parlarti?» chiese Massimo abbassando la voce. Suo padre sorrise affettuosamente dandogli una pacca sulla spalla.
«Solo se si tratta di cose belle» si prese una pausa per scrutare gli occhi verdi del figlio che si erano improvvisamente scuriti. «È una cosa bella?». Massimo non seppe rispondere. La sua testa diceva, no, non è per niente bella, ma sentiva il suo cuore pulsare talmente forte che gli parve che stesse urlando “sì, è la cosa più spettacolare della mia vita”. Il suo volto probabilmente lo tradì, perché vide lo sguardo di suo padre alleggerirsi ancora di più e le labbra stendersi in un sorriso pieno d’amore e comprensione.
«Dopo ne parliamo» e lo invitò a sedersi a tavola davanti a Simone, il suo secondogenito. D’un tratto Massimo si sentì nuovamente bambino. Il più piccolo ad un tavolo di persone che lo trattavano come un principino, ma allo stesso tempo che lo consideravano il giusto perché ancora troppo ingenuo. E forse un po’ di quell’ingenuità ce l’aveva sempre dentro di sé, era quella che gli permetteva di vivere ancora serenamente, o almeno di farlo la maggior parte del tempo. Questa storia di Mia l’aveva reso adulto tutto d’un colpo. Si era reso conto che non basta l’amore puro, cristallino, per poter ottenere tutto quello di cui si ha bisogno. I suoi occhi scivolarono sui volti adulti di tutti i suoi fratelli per cercare gli occhi di Federico. Non aveva bisogno di lui: in mezzo a tutti i suoi cugini era l’intrattenitore, il fulcro, l’unico che unisse quelli più grandi, già laureati a quelli più piccoli. Max vide in suo figlio qualcosa che non gli era mai appartenuto, ma che era certo avesse preso dalla madre: il carattere affascinante. Era quello che aveva fatto innamorare Max di Anita. E il proprio carattere infantile ha portato la loro storia alla fine. Fissò a lungo il viso dolce e paffuto del figlio e lo invidiò. Anche lui voleva tornare bambino, voleva non avere più problemi.
«Dimmi, come procede il mercato del libro?» fu la voce di Simone a risvegliarlo dalla catalessi in cui era finito. Perciò fu costretto a girare gli occhi per incontrare quelli di ghiaccio del fratello.
«Male, si vende sempre meno» borbottò controvoglia, preparandosi mentalmente allo sfottò sulla sua professione che i suoi fratelli gli riservavano ogni volta.
«Mi chiedo come mai tu non abbia mai continuato a scrivere. Eri bravo, avresti fatto fortuna» inforchettò un paio di ravioli e l’infilò in bocca. Max lo fissò a lungo, sfoderando uno sguardo di sfida. Si chiese come potessero essere tanto rompicoglioni delle volte.
«Non mi interessa far fortuna. E poi non è così facile. Non schiocchi le dita e improvvisamente hai il libro già pronto»
«Ma come? Vittorio mi aveva detto che ne avevi già uno pronto ad essere pubblicato, eh? Vittò, è vero?» l’altro fratello, quello più timido e introverso, si girò mostrando il suo viso rosso come un pomodoro.
«No, macché, non ti avevo detto niente del genere» la sua bocca stava dicendo una cosa, ma i suoi occhi alludevano ad altro. Alludevano ad uccidere seduta stante Simone. Max si ruotò per guardare il fratello. Vittorio era sempre stato il suo miglior alleato, forse perché era quello più vicino d’età, anche se aveva dieci anni più di lui. «Senti Massi, scusa, ma cercavo una penna qualche tempo fa e ho trovato una bozza di un tuo libro. E lo sai, sono curioso e ho dato un’occhiata. Una storia meravigliosa se posso permettermi». Max lo fulminò con lo sguardo.
«Non è un libro pronto» asserì profondamente, col tono più duro che riuscisse a tirar fuori.
«Ma se mi permetti, ci sono solamente un paio di aggiustamenti da fare, ma pochissimi e poi sarebbe da mandare in stampa. Potrebbe venirci fuori una sceneggiatura interessante fuori, se vuoi…»
«No.» Max sbatté il pugno sul tavolo, zittendo tutti gli altri commensali. «Non voglio. Non posso raccontare una storia del genere. Basta ora» e riprese a mangiare, cercando di far finta di non sentire tutti quegli sguardi addosso pregando che il discorso si spostasse su altri argomenti. E forse per una volta le sue preghiere furono ascoltate. Tutti gli occhi erano rivolti verso Marta, la figlia di Simone, che aveva appena avuto una bambina. La voce roca, ma al tempo stesso dolce della nipote riempì la stanza e Max poté finalmente estraniarsi da quel gruppo di persone di cui si sentiva la pecora nera. Tutti i suoi fratelli avevano delle carriere da fare invidia, e poi c’era lui, che aveva preferito la solitudine al successo. Per un breve istante si chiese se le sue conquiste in amore sarebbero potute andare meglio se lui avesse approfittato della fama dei suoi genitori. E dei suoi nonni. Ma poi pensò che le uniche due donne che aveva mai amato in vita sua l’avevano amato per il suo essere solo Massimo Rossi, non “il figlio di…”.
Arrivarono al dessert che Max non aveva ancora spiccicato parola dopo la mezza discussione con Simone. Ma nessuno si era mai impegnato a coinvolgerlo nelle conversazioni. I suoi nonni dall’altra parte del tavolo l’osservavano ogni tanto, spingendo Augusto a parlargli, ma quest’ultimo sapeva che il figlio aveva bisogno di sbollire. E quando finirono il pranzo Max fu il primo ad alzarsi ed andarsene, andarsene in terrazza, lasciando che tutti i suoi parenti sparlassero di lui. Non gliene importava più di tanto. Gli importava di finirsi il pacchetto sgualcito di sigarette. Si riposizionò sulla sua poltrona e se ne accese una. Il cielo era cambiato: delle nuvole grigie coprivano il sole, un vento gelido si era alzato. Max sentì un brivido corrergli lungo la schiena, ma pensò che era meglio avere freddo piuttosto che tornare giù. Anche andare in camera sua sarebbe significato incontrare almeno uno dei suoi fratelli. Ma la solitudine non durò a lungo. Sentì dei tacchi rimbombare nelle scale e dal passò s’immaginò la figura un po’ goffa del padre. E in effetti ci azzeccò.
«Volevi parlare, ma sei sparito» disse l’anziano, cercando di riprendere fiato. Aveva il viso paonazzo e un’espressione quasi comica in volto.
«Scusa, non respiravo più là sotto» fece Max tra un tiro e un altro. «Lo sai che non sopporto quei discorsi campati in aria. E poi non mi aspettavo una caduta di stile del genere da parte di Vittorio»
«Tutto quello che hanno fatto o detto i tuoi fratelli era con buone intenzioni, lo sai» suo padre si sedette accanto a lui e lo guardò dolcemente.
«Cosa c’è che ti turba Massi?» i suoi occhi erano diventati scuri come il cielo. D’improvviso suo padre sembrava invecchiato di cinque anni. Gli succedeva sempre quando si faceva serio; gli veniva una profonda ruga tra le sopracciglia che intimoriva Max fin da quando era piccolo.
Il figlio si mise a sedere per poter incrociare lo sguardo del padre e si passò una mano tra i ricci bruni.
«È rientrata nella mia vita. Così, di botto. E questo mi ha scombussolato e non poco» sentì gli occhi bruciargli, sentì le lacrime pizzicargli le palpebre. «E io non so come comportarmi». Finì l’ultima frase con un debole piagnucolio. Il padre si avvicinò ancor di più a lui e gli passò una mano sulla spalla. D’un tratto gli sembrò di essere tornato a una decina d’anni prima quando lei, Mia, era al centro delle loro conversazioni. E allora gli chiese quello che gli sembrava più giusto.
«Ma tu provi sempre qualcosa per lei, vero?»
Max alzò gli occhi e li fissò in quelli scuri del padre. Era la domanda che più aspettava. E si era preparato a rispondere, sicuro che lo era. Ma le parole non gli uscivano dalla bocca, gli rimanevano intrappolate in gola, ferme, fisse, fastidiosamente fisse lì.
Augusto sorrise debolmente: era il figlio che sicuramente gli somigliava più caratterialmente. Avevano entrambi avuto numerose storie, relazioni, ma l’amore erano riusciti a trovarlo veramente poche volte.
«Non voglio farti un lungo discorso, voglio solamente dirti una parola: coraggio. Devi farti coraggio Massi, e quello che sto per dirti ti sembrerà macinato già tante volte, ma sappi che non c’è più grande verità. Hai solo una vita e meriti di viverla al massimo, devi star bene. Se tu rimanessi chiuso in te stesso per paura che lei ti faccia star male come aveva fatto tempo fa, staresti peggio. Quindi, coraggio. Fatti coraggio, dille quello che senti. E se sarà tanto sfacciata da rifiutarti un’altra volta, beh allora tu un’altra volta ricomincerai a costruire la tua vita senza di lei. Magari troverai l’amore della tua vita. A me è successo così» gli batté una mano sulla spalla e si alzò, andandosene, sapendo che non sarebbero servite altre parole per convincerlo. Era un insicuro di base, ma sapeva quando un ragionamento filava e non poteva dargli torto.
Perciò Max si decise ad alzarsi e fare la cosa giusta.
   
 
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