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Autore: Restart    08/07/2020    0 recensioni
Mia è in procinto di sposarsi con Gabriele, quando una bufera di neve improvvisa la costringe a passare il pomeriggio col suo vicino di casa Massimo. La convivenza porterà a galla questioni irrisolte.
Primo capitolo della serie "Per le vie di Firenze".
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Martedì 15 Dicembre
La verità
Mia
Prendo la mia biro preferita e traccio sul diario un bel “-4 giorni” sorridendo come un’ebete. Ormai è già tutto pronto, tutti sono elettrizzati, non stanno più nella pelle. Gabriele lo vedo salterellare da ogni parte, sembra tenuto in vita da una scarica elettrica di agitazione ed eccitazione. Ormai non c’è più niente di cui occuparsi. C’è solamente un’unica, piccolissima commissione che devo fare: andare a provarmi il vestito per l’ultima volta. Il mio vestito finito.
Ora penserete: che male c’è? È solo un vestito che ti sei già provata una dozzina di volta (sì, avete letto bene, una dozzina, perché ogni volta che lo provavo mi consigliavano delle modifiche spettacolari e io non riuscivo a dire di no), devi solo essere tranquilla. Respirare. A lungo. A lungo Mì, non è difficile.
Di colpo un’immagine di Max che mi dice di respirare a lungo mi balza in mente. L’avevo rimosso: lui prima del mio esame di maturità. Mi guarda negli occhi e sorride. “A lungo Mì, non è difficile”. E questo turba tutta la mia giornata. Ne sono sicura.
Okay, bella, focalizzati solo su una cosa. Focalizzati sul vestito. Sulla seta bianca. Focalizzati sul tulle del velo. Focalizzati su qualsiasi altra cosa che non sia Massimo. Per favore. Fallo per la tua sanità mentale.
Mi alzo e frettolosamente mi cambio per uscire. Ho bisogno di sortire di qui, respirare aria fresca. E quando sto per aprire la porta mi arriva un messaggio di Viola che mi chiede di fare un brunch insieme. Grazie a Dio.
Viola mi aspetta davanti alla chiesa di S. Lorenzo. È elegante come sempre nel suo cappottino nero fino alle ginocchia. Ha i capelli raccolti in una coda bassa super chic e un basco verde scuro, perfetto col rosso acceso della sua chioma. Al suo fianco c’è anche Caterina, al cellulare come sempre.
«Ciao Mì» Viola mi abbraccia e io vengo investita dal suo profumo fin troppo dolce per i miei gusti. Poi manda un’occhiata triste verso Caterina. «Maria. Sta facendo la bastarda un’altra volta. È per quell’articolo sulla rivista». Guardo una delle mie migliori amiche urlare al telefono con le lacrime agli occhi e mi sento praticamente impotente. Ma lasciate che vi spieghi: Maria è sua suocera (ex), una stronza che non ha lasciato respirare Caterina da quando Stefano se ne è andato. Prima sulle proprietà che aveva lasciato e ora per tutti gli articoli che escono su di lui, sulla sua famiglia che non l’ha mai appoggiato e sulla sua nuova famiglia che si era creato in Toscana.
«Basta, Maria, basta chiamare. Per favore» non urla nemmeno più, le parole le escono tra un singhiozzo e l’altro. E decide di attaccare.
«Scusate, mi ha rovinato la giornata e ora io la sto rovinando a voi» si pulisce il viso e cerca di sorridere. «Vogliamo andare a vedere questo famigerato vestito? Poi andiamo a mangiare che sto per svenire» mi prende sottobraccio e si avvia con passo spedito e io non posso fare altro che procedere seguendo lei.
C’è un piccolo intoppo prima di arrivare alla boutique: lo so che starete pensando “wow, che novità”, ma ei, non sono io a decidere. Insomma, il negozio si trova poco sopra la libreria di Max. Eh già, un colpo da telenovela. Ma non posso dire che la mia vita non abbia dei tocchi da soap. Così cerco di andare più velocemente possibile e guardandomi le punte delle scarpe.
E quando arrivo davanti alla vetrina della boutique tiro un leggero sospiro di sollievo. Mi ricompongo, cercando di sfoggiare il mio falso sorriso migliore e guardo le mie amiche.
«Forza belline, c’è da farsi due risate con il vostro abito» le incito ad entrare. Okay, sono realmente eccitata nel vedere le loro reazioni al vestito che ho scelto per loro. Blu, maniche lunghe, semplice ed elegante. Come sono loro.
E infatti, come previsto le vedo illuminarsi. Era l’unico che potesse andare bene con i loro stili talmente diversi, talmente lontani l’un l’altro.
Le vedo uscire dai camerini, entrambe raggianti, entrambe meravigliose. Mi viene da saltare dalla gioia. Finalmente sta succedendo. Sono veramente ad un passo dallo sposarmi, ad un passo dal cominciare la mia vita da persona adulta. Per davvero, nero su bianco. Legata ad un uomo per la vita.
Oh cazzo
Mi sta venendo un attacco di panico. Gesù, lo sento tutto. M’irrigidisco, mi manca l’aria. Ora svengo. Si, si, ora svengo. Davanti a me tutto diventa scuro.
«Oh cazzo! Mia che fai!» la voce di Cate è l’ultima cosa che riesco a sentire. E poi un busso per terra.
Quando riapro gli occhi, mi ritrovo davanti quelli di Viola. 
«Non me lo dire…» biascico, strusciandomi la mano sul viso. Lei sorride e annuisce appena.
«E caddi come corpo morto cade…» decanta, ridacchiando. «Eh già amica mia, ti sei dantizzata. Vieni su, devi essere al massimo della forma per il tuo vestito» mi alzo ma sono ancora molto debole. Però poi mi mettono davanti il mio abito, il mio meraviglioso abito bianco e per poco non perdo il respiro. Un’altra volta.
«Dai sbrigati che sto morendo di fame» mi esorta Cate prendendo in mano un’altra volta il cellulare. Okay l’abbiamo persa di nuovo. Anche se in realtà è durata più di quanto pensassi.
Concentriamoci piuttosto nell’entrare in quell’abito di seta.
Nel camerino sono sola, sola con quelle luci fastidiosamente malefiche, quelle che ti fanno vedere la cellulite della cellulite. E passo la mano sul tessuto morbido, osservando ogni singolo dettaglio di quel vestito. Ho un breve flash di quando passai una notte intera a disegnarmi il mio vestito da sposa. Avevo diciannove anni, qualche settimana prima di lasciarmi con Max. Mi ricordo che glielo mostrai la mattina dopo e lui mi ridicolizzò tutto il tempo. E alla fine si tenne il disegno, anche se io ne avevo una copia. Ed è proprio quella copia che sono andata a cercare qualche mese fa. Ora ce l’ho davanti agli occhi. Lentamente mi spoglio e me lo faccio scivolare sulle cosce. E non appena le spalline toccano le mie spalle sento arrivare la commessa a chiuderlo. Mi viene da piangere, di nuovo. Vediamo di ricomporci un po’ eh.
Faccio la mia sfilata fino davanti alle mie amiche e le trovo già in un pietoso lacrimare.
«Tesoro!» Viola mi viene incontro e mi abbraccia.. «Togli il fiato» ma da sopra la sua spalla vedo la vetrina. E davanti alla vetrina c’è lui, in modalità stalker. Non ha nemmeno il cappotto addosso nonostante il freddo sferzante di questi giorni; è solo lì, in piedi, gli occhi fissi su di me, le mani infilate nelle tasche dei jeans, le labbra screpolate, le sue labbra sempre morbide, rosee.
«Ma che diavolo…» mi sciolgo dall’abbraccio con la mia migliore amica per avvicinarmi al vetro. Ma lui se ne è già andato. Forse ho le allucinazioni.
«Che succede Mì?» domanda Caterina. «Tutto ok? Possiamo andare adesso? Scusa tesoro, ma Giulio esce prima oggi e lo devo passare a prendere». Mi passa una mano tra i capelli e cerca di fare un timido sorriso. «Scusa se ti rovino una delle migliori giornate della tua vita con i miei problemi» alzo le spalle e sorrido anche io.
«Stai tranquilla, mi cambio» e me ne ritorno in camerino, non prima di aver lanciato un’occhiata alla strada.
*
Quando Max tornò a casa da lavoro quel pomeriggio, si diresse velocemente in camera sua. Aveva un pallino fisso nella mente, e aveva bisogno di ritrovare quel foglio. Cercò i vari diari che custodiva gelosamente nel fondo del suo armadio e li aprì tutti. Tutti, fino al 2003. E c’erano tutti, tutti sistemati ordinatamente in quel grande scatolone, eccetto uno. Quello dell’estate 2003, quello che riuscì a riempire a tempo record, scaraventandoci tutti i suoi sentimenti, tutta la sua voglia di rivedere Mia ancora una volta. Quello che aveva in mezzo il sogno che entrambi coltivavano per il loro futuro e che non è mai stato realizzato. Per un attimo Max sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, pronto a piangere per il nervosismo. Ma poi realizzò che quel quadernino verde l’aveva sempre tenuto in un nascondiglio ancora più top secret, sotto il letto. Non che avesse mai brillato per queste missioni da agente segreto, ma non riusciva a pensare ad un posto migliore. Il foglio spiegazzato e un po’ ingiallito veniva fuori dalle pagine. Lo prese lentamente e lentamente lo aprì. Notò con una punta di dispiacere che i contorni fatti a lapis stavano sbiadendo. Eppure lui era sempre lì, con le sfumature azzurrognole ai bordi, la firma svolazzante di Mia.
“Me lo sono sognata la scorsa notte e ho pensato che ti sarebbe piaciuto averlo. Sicuro lo troverò nel tuo cestino nel giro di mezzo secondo, ma lasciami immaginare che l’hai tenuto, magari conservato in uno di quei brutti diari che tieni nell’armadio. Un bacio, l’amore della tua vita –M”.
Max non si accorse nemmeno di sorridere. Un bel sorriso da deficiente stampato sul volto, e le lacrime che gli rendevano gli occhi lucidi. E poi sentì una stretta allo stomaco che gli bloccò il respiro come qualche ora prima, quando aveva visto quello stesso vestito addosso a lei.
Si stese sul letto e cercò di inspirare ed espirare a lungo, profondamente, evitando di pensare a quanto fossero luminosi gli occhi azzurri di Mia con quell’abito addosso. Cercando di non pensare a lei. Ma gli parve pressoché impossibile. Ovunque girasse lo sguardo ecco che il suo volto gli appariva sempre più vivido. E fu quando la vide perfino riflessa nel suo specchio, decise che non poteva essere un semplice segno o coincidenza. Doveva agire e doveva farlo in fretta. E allora a grandi falcate raggiunse la porta d’ingresso, attraversò il corridoio, trovandosi davanti al portone scuro di casa sua. Preso da un inspiegabile impulso e coraggio bussò varie volte. Ma nessuno rispose, nemmeno quando suonò il campanello. Non gli rimase altro che lasciargli una lettera, a suo rischio e pericolo che Gabriele la trovasse, la leggesse e lo piegasse dalle botte. Sorrise. Gabriele non sarebbe mai stato in grado di fare una cosa del genere; si sentiva in colpa anche ad uccidere le zanzare. Perciò tornò in casa e sfoderò la sua arma migliore, la stilografica di suo padre, e rovesciò sul foglio tutti i suoi sentimenti, tutto quello che aveva provato negli ultimi anni, del suo amore per lei e di come la neve a Firenze fosse riuscita a riportarlo a galla. Paradossalmente, per lui la neve non aveva coperto niente come in T. S. Eliot, ma aveva risvegliato le sue emozioni. L’inchiostro scivolava veloce, talmente tanto che Max non si rese conto d’aver scritto per più di un’ora, riempiendo cinque pagine. Si sentì orgoglioso di ogni parola su quei pezzi di carta. Sorrise, sentendo il cuore scoppiargli nel petto. Stava per fare una cosa terribile, stava per rovinare il matrimonio a due persone, ma nonostante questo non sentiva nessuna colpa. Piegò la lettera accuratamente, scelse una busta color panna e scrisse il nome di Mia sul davanti, cercando di camuffare la sua calligrafia. Sebbene fosse sicuro che Gabriele non l’avrebbe picchiato, preferiva che non l’aprisse in nessun caso.
Attraversò nuovamente il corridoio, ma questa volta scese giù fino all’ingresso per infilare la busta nella cassetta delle lettere di Mia. E ritornò su a grandi falcate.
*
Quella sera torno a casa completamente distrutta. Il mio giorno libero l’ho speso a frullare da un negozio all’altro, dedicandomi alle più stupide frivolezze che dovrebbe fare una donna qualche giorno prima del matrimonio. Cose che, come avrete immaginato, ho odiato con tutta me stessa.
Quando chiudo il portone in fondo di scale mi sento improvvisamente rigenerata. Mi aspetta una tranquilla serata all’insegna di schifezze e film romantici. Da sola, completamente sola.
Faccio qualche passo e con la coda dell’occhio noto qualche volantino colorato spuntare dalla mia cassetta delle lettere. Aprendola mi si rivoltano tutti ai piedi. Ma non sono gli unici. C’è anche una busta chiara, senza niente scritto sopra, senza francobollo né altro, solo il mio nome in nero. Uhh un ammiratore segreto forse? Ma non sono troppo vecchia per una cosa del genere? Decido di portarmela in casa per leggerla sul divano in comodità. Magari con un bel bicchiere di Morellino di Scansano.
E così, dopo essermi versata il vino apro la busta misteriosa. E vengo colpita dalla scrittura: è come un doloroso schiaffo in pieno viso. La riconoscerei tra migliaia la calligrafia di Max; elegante, allungata. Una parte di me mi sta dicendo di buttarla via, di metterla nel fuoco, cestinarla, qualunque cosa, basta non leggerla. Ma l’altra parte decide di non ascoltarla e comincio a leggere.
Quando finisco sento gli occhi andarmi a fuoco dalle lacrime, e il cuore mi esplode nel petto. Per tutto quello che faccio dopo incolpo maggiormente il vino che ha offuscato la mia capacità d’intendere e di volere. Attraverso il corridoio alla velocità della luce e mi ritrovo a bussare furiosamente alla porta di Max.
«Bastardooo» urlo tirando fuori il Giacomo Poretti che è in me. “Aprimi”. E quando mi apre la prima che faccio, quasi come reazione involontaria, gli tiro un pugno sulla spalla.
«Sei uno stronzo! Come ti permetti di dirmi cose del genere! COME? Lo sai che mancano pochi giorni al mio matrimonio? Eh? Rispondi!!» continuo a urlargli contro, ma lui sembra impassibile. Accenna solamente un mezzo sorrisetto ironico che mi fa ancora più innervosire.
«Non potevo resistere. Non potevo stare in silenzio quando sentivo di provare ancora qualcosa per te» risponde con calma, una calma incomprensibile, visto che l’ho riempito di pugnetti per due minuti buoni.
«E quindi hai avuto la meravigliosa idea di venire a scrivermi questa meravigliosa lettera d’amore. Cosa ti frullava per il cervello, eh? Come credi che avrei reagito? Sarei crollata tra le tue braccia senza esitazione? Max, sono fidanzata con Gabriele, io amo lui. Io e te non stiamo insieme da più di dodici anni. Va’ avanti, per favore»  devo ammettere che sto parzialmente mentendo.
«Hai detto che è una lettera meravigliosa» commenta, con un debole sorriso sulle labbra.
«Sì, Max, è la cosa più bella che qualcuno abbia mai scritto per me. Mi ha tolto il fiato. E in maniera positiva. Dio, Max come hai potuto farmi una cosa del genere? Io amo Gabri. Io amo lui» piagnucolo, cercando di non versare neanche una lacrima. Non è il momento per frignare. Lui sembra non essere nemmeno sfiorato dalle mie parole continua a rimanere lì impalato come uno stupido, guarda nei miei occhi con lo sguardo perso, forse leggermente ferito. Vedo che vuole dire qualcosa, ma le parole gli sono rimaste intrappolate dalle labbra carnose.
«Non hai niente da dire?» il mio tono di voce è vagamente disperato, forse dentro di me coltivo la speranza che lui mi chieda di non sposarmi, di ritornare da lui. Nutro la speranza che mi abbia perdonato per averlo lasciato tredici anni fa, per essere scomparsa senza proferire parola, di averlo lasciato a Firenze con il cuore spezzato e un anello tra le dita, anche se sapevamo entrambi che sarebbe stato troppo presto per un matrimonio. Ma sarebbe comunque stata una promessa di vita insieme, una vita piena di alti e bassi, ma tutto sommato colma d’amore. Per tutto il tempo passato da mia nonna nel Regno Unito ho egoisticamente sperato che lui mi perdonasse quello che avevo fatto. E questa lettera sembra finalmente un perdono. Ma quindi cosa sto aspettando? Perché mi sono bloccata così, ho smesso di amarlo forse? Non credo, sennò l’avrei ignorato, sicuramente non l’avrei baciato qualche giorno fa. È forse quel lieve senso di dispiacere che provo nei confronti di Gabriele? Alla fine mi è stato accanto tutti questi anni…
I miei occhi si spostano nuovamente sulla figura longilinea di Massimo. Il suo volto si è oscurato, sta facendo fatica a dire una parola che sia una, forse fa fatica anche a respirare.
«Max…» non mi lascia nemmeno iniziare che poggia le sue labbra sulle mie e sento il mio cuore fare salti mortali. Ma dura pochissimo, lui si stacca subito.
«Volevo darti l’ultimo bacio prima di dirti addio per sempre. Devi sposare Gabriele, Mì, noi non saremo completamente felici insieme» lo dice con una tristezza che mi spezza il cuore in due. La sua mano calda mi carezza delicatamente la guancia e sento le lacrime pungermi gli occhi. Le sue non si sono vergognate a mostrarsi e adesso stanno rigando il suo volto punteggiato da una spruzzata di lentiggini. Rimaniamo una manciata di secondi così e poi lui si allontana, chiudendosi alle spalle il portone di legno.
   
 
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