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Autore: Layla    08/07/2020    0 recensioni
Questa fiction inizia alla fine dell'ultimo capitolo pubblicato del manga.
Cosa è successo a Nana? Come mai se ne è andata?
Come ha raggiunto Londra.
E Hachi? Hachi cerca di vivere la sua vita senza di lei, imprigionata nella sua vita di casalinga con due figlie, ma innamorata di un altro uomo. Il suo scopo è trovare Nana.
Quando troverà Nana troverà il coraggio di cambiare la sua vita?
Shin, da parte sua, troverà finalmente l'amore in qualcuno di inaspettato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo diciottesimo

 

Ci sono dei momenti in cui nella tua vita vedi all’opera un disegno più grande.
Alcuni lo chiamano destino, io non saprei come chiamarlo, so solo che in
certi momenti è rassicurante. Ti fa sentire meglio sapere che sei attirata
verso certe persone da qualcosa di più del mero caso.
-Misato Uehara

 

Era sabato, un freddo sabato di novembre, pioveva forte come se le forze della natura stessero tentando di annegare Tokyo.
Io mi strinsi nel giubbotto di pelle e mi toccai i capelli di un verde brillante, l’allieva del corso di parrucchiera avevano deciso di provare quel colore e non mi stava male. In ogni caso mi piaceva cambiare colore ogni due settimane, mi dava un senso di libertà.
Rabbrividii, la cosa più importante era tornare nel mio appartamento, lì avrei potuto continuare a riflettere al caldo e all’asciutto. L’ombrello da borsetta era troppo piccolo e non mi riparava bene.
Il mio cuore saltò un battito e poi si mise a correre al galoppo, una figura era semisdraiata all’ingresso del mio condominio. Era un innocuo barbone? Oppure un ladro o peggio?
Non sapevo cosa fare, voltarmi e scappare oppure affrontare il pericolo?
Presi un respiro profondo e continuai a camminare, tutti i nervi all’erta e pronta a reagire a un eventuale attacco. Arrivata vicino alla figura, il mio cuore saltò di nuovo un battito, tirai un sospiro di sollievo e infine venni assalita dalla preoccupazione.
Quello che giaceva sui gradini del condominio era Shin, doveva essere lì da ore perché era bagnato fradicio, lo toccai: era anche parecchio freddo. Lo scossi più forte che potevo fino a che non si svegliò, i suoi occhi misero lentamente a fuoco la scena.
“Misato…”
Sussurrò, poi mi accarezzò piano una guancia, io presi la sua mano tra le mie.
“Ehy.”
Tentai di sorridere.
“Da quanto sei qui?”
“Non lo so. Tanto.”
“Ce la fai ad alzarti? Ti porto nel mio appartamento, lì potrai fare un bagno caldo e dovrei avere uno yukata per te.”
“Yukata? Non è da ragazze?”
“È unisex. Ce la fai ad alzarti.”
Lui sembrò dare una controllatina al suo corpo e poi annuì.
Con un po’ di fatica e aiuto da parte mia si tirò in piedi, io gli passai un braccio lungo i fianchi e insieme entrammo nel condominio. Ero preoccupata per lui, alternava momenti in cui era del tutto assente ad altri in cui in il suo sguardo esprimeva un dolore immenso, quello di un uomo che brucia impossibilitato a spegnere o provare a salvarsi dall’incendio.
Era successo qualcosa, ma che cosa?
Arrivammo al mio appartamento e lo lasciai per andare a prendere un asciugamano, rimase in piedi per fortuna. In bagno acchiappai al volo uno fresco di bucato e tornai da Shin, lo avvolsi con cura e poi gli sorrisi.
“Adesso ti preparo un bagno caldo o ti prenderai una polmonite.
Andrà tutto bene.”
L’ultima frase non aveva senso se collegata alle altre, ma parve rianimarlo.
“Misato?”
“Sì?”
“Abbracciami, per favore.”
Feci quello che mi disse, tremava e io morivo dalla voglia di chiedergli cosa diavolo fosse successo di così terribile, ma sapevo che ora come ora non me lo avrebbe detto.
Mi staccai, lo presi per mano e lo condussi in bagno, lui si sedette sul water dopo aver abbassato la tavoletta e mi guardò riempire la vasca di acqua calda.
“Qui c’è il sapone, qui lo shampoo e puoi usare quella salvietta per asciugarti.”
Lo abbracciai di nuovo ed uscii.
Ero molto stanca, mi cambiai e mi stesi qualche secondo sul letto, dal bagno venivano i rumori di qualcuno che si spogliava. Sospirando mi alzai e cominciai a cercare nei cassetti lo yukata che mio padre si era dimenticato qui una volta in cui era venuto a trovarmi con la mamma. Lo trovai alla fine, bianco a righe azzurrine ricordava quello delle terme.
Shin a quest’ora doveva essere nella vasca, armandomi di tutto il mio coraggio bussai alla porta del bagno, mi rispose un fioco “avanti”.
Dalla vasca sporgeva il torso magro, il resto era coperto dalla schiuma, per fortuna.
“Ti ho portato uno yukata e della biancheria pulita. Tutto da uomo, mio padre se l’è dimenticata qui una volta che è venuto a farmi visita. Ho lavato tutto, non preoccuparti.”
Lui sorrise debolmente.
“Misato, sono una persona orribile.”
“Non so chi te l’abbia detto, ma tu non sei una persona orribile.”
Dissi decisa, lui sgranò gli occhi.
Nemmeno io sapevo da dove mi venisse quella certezza dato che non ci conoscevamo da molo tempo, ma sapevo di essere nel giusto. Istinto, immagino.
“Cambierai presto idea dopo quello che ti dirò.”
Io alzai un sopracciglio.
“Senti, vista l’ora io ceno. Del ramen preconfezionato ti va bene?”
“Sì, non ci sono problemi.”
Uscii, non mi sembrava carino trattenermi oltre.
Andai in cucina, presi due confezioni di ramen, misi l’acqua sul fuoco e preparai la tavola per due.
Perché diavolo Shin doveva essere una persona orribile?
A parte il piccolo incidente al nostro primo incontro lui con me si era sempre comportato bene, era un ottimo ascoltatore e mi faceva ridere. Stavo bene con lui e lui sembrava stare bene con me, chi era stato?
La porta del bagno si aprì e lui apparve in cucina, stava molto bene con lo yukata, arrossii come una ragazzina.
“Sembra quello che ti danno alle terme.”
“Sì, lo usano anche nelle terme. È molto comodo, almeno io la vedo così.
Tu?”
“È comodo, ma non vedo l’ora che i miei vestiti siano asciutti, sono leggermente a disagio.”
“Capisco. Siediti.”
Lo invitai a sedersi al tavolo, lui sorrise.
“Sembrano buoni.”
“Grazie del complimento, ma è solo cibo precotto.”
“Suona stupido, ma non mi sono ancora abituato alla cucina giapponese. Quando sono  a casa mangio cibo precotto straniero.”
Iniziammo a mangiare in silenzio, il dolore negli occhi di Shin non dimiuiva.
Dovevo riuscire a farlo parlare, per il suo bene soprattutto, o quella convinzione avrebbe finito per scavare un buco dentro di lui.
Mangiammo un paio di mandarini e un budino, poi – mentre lui sparecchiava – io controllai lo stato dei suoi vestiti: ora erano asciutti.
“Shin! I tuoi vestiti sono a posto!”
“Ok. Vado in bagno a cambiarmi.”
Io annuii e lavai i piatti, finito lo trovai raggomitolato sul divano, io mi sedetti accanto a lui.
“Cosa è successo?”
“Sono una brutta persona.”
“Perché lo dici? Non è vero!”
Lui sospirò.
“Ho un figlio, Misato. Un figlio di cui non potrò mai occuparmi.”
Lo guardai senza capire, un figlio?!
“Reira è rimasta incinta, lo ha scoperto dopo la morte di Ren quando è stata ricoverata perché non mangiava. Solo che invece di venire da me e parlarne, è corsa da Takumi, come sempre del resto.
Insieme hanno deciso di riconoscerlo come loro, solo che è Hachi che se ne sta occupando e lei non ce la fa. Non posso biasimarla – ha già una bambina di cui prendersi cura – ma sono arrabbiato, Takumi non la aiuta minimamente. Oggi io e lui abbiamo litigato e lui mi ha detto che non ho voce in capitolo, che non posso offrire nulla a mio figlio ed ha ragione.
Sono una pessima persona, ho abbandonato mio figlio come mia madre ha fatto con me.”
E così era quello il problema, non conoscevo Takumi, ma avevo intuito che aveva causato un sacco di problemi a mia sorella e ora stava sconvolgendo anche la vita di Shin. Strinsi i pugni e sentii in gola il sapore dell’odio, amaro come bile e forte come sakè.
“Non è colpa tua! Tu sei una vittima non meno di tuo figlio o di Nana-san.
Tu sei il padre, no? Reira sarebbe dovuta venire da te e non andare da Takumi. Sono loro ad avere sbagliato, ti hanno tagliato fuori da ogni decisione.
Non sei una cattiva persona, Shin. Se Reira ti avesse detto del bambino non ti saresti tirato indietro, giusto?”
“Sì, non l’avrei fatto.”
“Ecco. Questa è la prova. Non sei una cattiva persona.
Ma…”
“Ma?”
“Tu ami ancora Reira?”
Lui scosse lentamente la testa.
“Come potrei? Dopo quello che ha fatto è chiaro che io non sono quello che ama, lo sapevo fin dall’inizio, ma questa è la prova del nove. Non posso stare con una persona che ha costantemente in mente un’altro.
Non posso.”
Io sorrisi piano.
“Sì, sei proprio una brava persona. Migliore di me di sicuro.”
“Perché dici così?”
Io mi raggomitolai su me stessa.
“Ti ho detto che ho amato una persona che non dovevo amare, ti sei mai chiesto chi fosse?”
“Sì. Era un uomo sposato?”
Io scossi la testa, sarebbe stato tutto molto più semplice se fosse stato così.
“No. Mi ero innamorata di Takahiro, il mio fratellastro, il primo figlio di mio padre.”
Lui rimase un attimo in silenzio.
“Shion mi ha detto che è successo perché era l’unico ad apprezzarmi delle persone più o meno nella mia età, ma questo non rende le cose migliori, no?
Quale persona di buonsenso lo farebbe?
Nessuna.
Forse dei due sono io la peggiore.”
Lui mi strinse la mano e mi abbracciò più stretta che poté data la mia posizione.
Il mio cuore saltò un battito, non era scappato e non gli avevo fatto schifo.
“No, non lo sei e poi ti è passata.
Diciamo che entrambi non siamo esattamente dei santi, ma questo lo sapevamo già.
Possiamo diventare amici o creare un club delle pessime decisioni.”
Ridacchiai, con una sola battuta era riuscito a risollevarmi il morale, lo apprezzai molto, mi scesero un paio di lacrime, lui mi guardò senza capire.
“Tutto ok?”
Mi chiese premuroso.
“Sì, tutto ok. Sono solo felice, una persona normale se la sarebbe data a gambe levate, tu mi hai addirittura abbracciato.”
“Ti dispiace?”
“No.”
“Cosa significa?”
“È importante?”
Lui rimase un attimo in silenzio.
“No, per ora no.”
Si stiracchiò.
“Vado a casa, credo sia meglio.”
“Sì. Aspetta un attimo.”
Corsi all’ingresso e presi un ombrello nero.
“Per te, così non ti bagni.”
Ci sorridemmo a vicenda, poi lui lo prese, mise le scarpe e se andò lasciandomi felice come non lo ero da tanto tempo.

 

La mattina dopo il sole splendeva alto nel cielo, mi chiesi se Shin fosse sveglio mentre facevo colazione,.
Decisi di mandargli un messaggio per esserne sicura.
“Buongiorno! Dormito bene?
Ti sei ammalato dopo la pioggia di ieri?”
Lavai le stoviglie, mi cambiai e presi lo zaino per la scuola.
Lui aveva risposto.
“Ciao! Sì. Ho dormito bene, ma sono nervoso.
Stamattina ho un servizio fotografico, ma torno nel pomeriggio per il film.
Ho scoperto che devo proprio recitare per fare i servizi fotografici, non mi piacciono!
Sto bene, ho vissuto in Svezia, due gocce d’acqua di Tokyo non possono farmi nulla.
Io risi.
“Ok, superuomo svedese. La piccola donna giapponese va a scuola XD
Ci vediamo oggi pomeriggio.”
“Non vedo l’ora. Il caffè come lo prepari tu non lo prepara nessuno. 
Sorrisi e misi il cellulare nella tasca interna del chiodo di pelle e uscii di casa, a testimoniare la pioggia del giorno prima c’erano delle pozzanghere. Io ci saltellai dentro come una bambina, forte dei miei anfibi, avevo bisogno di energia positiva perché a scuola mi consideravano tutti una raccomandata e quindi mi stavano alla larga. Avrei dovuto odiare Nana per essere mia sorella, pur non essendoci mi rendeva la vita difficile, ma io ne ero orgogliosa. Il mio cervello funzionava in modo strano.
Arrivai a scuola, varcai il cancello sentendomi pronta per un altro lungo giorno.
Le lezioni si svolsero al solito ritmo, di solito mi interessavano un sacco, oggi invece dovetti quasi litigare con il mio cervello per costringerlo a prestare attenzione. I miei pensieri continuavano ad andare alla sera prima, a quando Shin mi aveva abbracciata e a come ci sarebbe stato bene un bacio. La vita però non era un manga e tutti e due eravamo pieni di casini, quindi sarebbe passato un po’ prima che ci baciassimo.
-Ma il giorno in cui ci baceremo sarà memorabile, me lo sento. Anche se sarebbe meglio che mi concentrassi su mate o stasera non ci capirò un cazzo quando dovrò fare gli esercizi.-
Sorrisi lievemente al pensiero, era un vero peccato che Shin non avesse fatto il liceo o avrebbe potuto darmi una mano con i compiti. 
Arrivò finalmente il momento del pranzo e io scattai via, verso la metropolitana, verso Shin. Come sempre c’erano delle malelingue che sputavano inacidite che lo stage lo avevo ottenuto grazie al fatto che ero la sorellina di Nana, ma non mi importava. Non più, ora ero motivata da altro per dare il meglio e dimostrare a tutti che si sbagliavano. Lui non lo sapeva, ma mi dava molta forza, quasi quasi non ci credevo nemmeno io. Presi la solita linea e mangiai il panino mentre osservavo distratta il paesaggio, c’erano un sacco di gru: a Tokyo si costruiva ed abbatteva sempre.
Mi stupivo sempre di come fosse diversa dalle città in cui avevo abitato, Osaka non era un villaggio e nemmeno Okayama, ma lo sembravano comparate alla capitale.
-Uno come Shin non lo avrei incontrato a Osaka o a Okayama, anzi probabilmente mi starei ancora dibattendo se sono pazza o no e cercherei di compiacere mio fratello. È un bene che io sia qui, questa volta l’istinto di fuga delle Osaki mi ha salvato la vita.
Mi chiedo se anche Nana si senta così o le manchino i suoi amici…-
Cercavo di sintonizzarmi sulle stesse onde mentali di mia sorella per cercare di capire perché se ne fosse andata e dove, ma finora non avevo ottenuto grandi risultati. Solo in due occasioni avevo intravisto la verità ballare davanti agli occhi, ma quando stavo per strapparle i veli era sparita, lasciandomi solo vaghe impressioni che non riuscivo a collocare.
Io ero scappata perché credevo che nessuno mi avrebbe capito ed ero anche arrabbiata per il casino che era la mia famiglia e i segreti che aveva custodito. Uno dei veli vibrava di emozioni simili, ma non riuscivo a capire. Le poche volte che avevo incontrato gli amici di Nana mi erano sembrati delle brave persone, incapaci di tradirla o farle del male. Ma allora cosa era quella strana sensazione che non se ne andava?
Un tentativo patetico di proiettarmi su Nana, facendole vivere le mie situazioni, o un indizio valido?
Mi vergognavo di dirlo a Shin, quindi me lo tenevo per me, probabilmente un giorno avrei avuto in mano tutti gli elementi per capirlo e allora avrei parlato. Non aveva senso dire qualcosa che poteva essere interpretato come offensivo senza avere in mano uno straccio di prova.
Arrivai al mio luogo di lavoro ed entrai, salutai Misato e poi Shin con un gran sorriso, la mia superiore non sembrò contrariata. Ci guardò a lungo e poi fece un cenno impercettibile di assenso, non so se diretto a noi o a sé stessa, il cui significato era chiaro: per lei era ok che noi avessimo una storia. Ne fui sollevata, la sua approvazione contava molto per me.
Durante una pausa mi si avvicinò, mi sembrava piccola e indifesa, data l’espressione timida, ma sapevano tutti che era una specie di lady di ferro.
“Ehy, Misato.”
“Ehy!”
Le risposi allegra.
“Hai presente quando hai detto che potevamo essere amiche?”
“Sì, certo che me lo ricordo.”
“Ti va di prendere un caffè, così mi racconti di Sh..lui, se ti va.”
“Certo, mi farebbe piacere.
Misato, stai bene?”
“Mi manca Nana, per anni è stata il centro del mio mondo. Negli ultimi tempi non sapevo più se mi interessavo così tanto a lei e ai Blast perché era la mia sorellastra o per altro.
Temevo di essermi innamorata di lei.”
“Sorellastra? Innamorata?”
“Sì, io e lei abbiamo probabilmente lo stesso padre.”
La notizia mi scosse, forse perché ero convinta di essere l’unica di avere il privilegio di un legame di sangue con lei.
“Capisco.”
“Fatto sta che adesso mi sento vuota.”
“Ma io non posso prendere il posto di Nana, voglio essere tua amica, ma…”
Lei sorrise.
“Mi sono espressa male, è Shin quello che rischia di finire al posto di Nana, ma non voglio che succeda.
Io voglio dei rapporti normali con la gente, senza niente di morboso, l’ho capito grazie al fatto che lei se ne è andata.”
Questa volta fui io a guardarla a lungo, continuava a sembrare piccola e indifesa, bisognosa di qualcuno che la facesse ridere.
“Un giorno nella tua vita arriverà qualcuno che spezzerà questa specie di incantesimo in cui sei finita, lo so perché è successo anche a me. Scrivimi luogo e ora per il caffè.”
Lei mi sorrise grata, io ricambiai.
Stavo imparando alla svelta che ognuno aveva le sue crepe e che prima o poi emergevano, sebbene ci si sforzasse sempre di nasconderle agli occhi impietosi degli altri.
“Come fai a esserne sicura?”
“Di cosa?”
“Che troverò una persona del genere?”
“Quando me ne sono andata da casa mia ero in una situazione molto simile alla tua e non sapevo cosa fare, avevo provato a essere gentile con lui per renderlo felice e farmi bastare sorrisi e affetto e non aveva funzionato. Così me ne sono andata e qui avevo un sacco di cose da fare, il suo fascino su di me diminuiva, ma la notte no. Poi ho incontrato Shin ed è come se l’incantesimo che mi teneva legata a quella persona fosse stato spezzato. Gli voglio bene, ma ora so che è il bene accettabile, quello che provo per Shin è a un livello diverso. Le cose possono cambiare e a volte, sorprendentemente, in meglio.”
Misato non mi sembrava molto convinta, ma non disse nulla e tornammo tutte e due al lavoro.
Le ore volarono come sempre, adoravo fare quel lavoro, mi sembrava di far parte di qualcosa di importante senza la seccatura della fama. Speravo che anche l’anno prossimo mi scegliessero per lo stesso stage, questa esperienza mi piaceva tanto.
Alla fine del mio orario di lavoro salutai tutti, presi la giacca e lo zaino e mi diressi verso l’uscita, preparandomi mentalmente al lavoro al videonoleggio. Anche quello non era male, ma avevo sempre un po’ paura nel fare il turno di notte. Poteva entrare un ladro o uno yakuza oppure potevo essere aggredita quando riportavo le chiavi al proprietario o mentre andavo verso la metro.
Forse avrei dovuto dirlo a Shin, ma non mi andava di imporgli di farmi da babysitter, dovevo cavarmela da sola.
“Misato!”
Mi sentii chiamare mentre accendevo una sigaretta e notai il bassista che correva verso di me.
“Ehy, Shin.”
“Senti, mi ha appena scritto Hachi. Il 30 è il suo compleanno e vorrebbe festeggiarlo con noi, ti va di venire?”
“Io? Ma io non faccio parte della vostra cerchia.”
Lo guardai confusa, lui mi sorrise.
“No, ma fai parte della mia e sei l’unica che io voglia portare. Ci sarà anche Misato e potrai conoscere gli altri membri dei Blast. Potrai anche vedere l’appartamento 707.”
Alzai un sopracciglio, non capivo l’accenno a questo appartamento.
“È l’appartamento dove Nana e Hachi hanno vissuto insieme, dove i Blast per come li conosci tu si sono formati. È un posto importante.”
Sorrisi, sentendo un calore al cuore.
“Ok, vengo. E come mi presenterai?”
“Sorpresa!”
Mi rispose lui con un sorriso identico al mio.
“Ora devo rientrare, mi aspettano per lavorare.
Ci vediamo stasera dopo il lavoro, non mi va che tu vada a casa da sola.”
Arrossii.
“Ma non ti devi disturbare così!”
“Mi piace essere disturbato così.”
Mi scompigliò i capelli e tornò dentro.
Fuori era sera, la luna stava sorgendo in un cielo trapuntato di stelle; ma nel mio cuore era una calda giornata estiva al mare, scandita dal tintinnio lontano di un furin.
-È questo l’amore? Era così che ti sentivi con Ren, Nana?
Vorrei parlartene, ma tu non ci sei e se ci fossi vorresti ascoltare questa estranea?-
Finii la sigaretta e scesi in metropolitana, il treno arrivò subito e io tirai fuori il secondo bento della giornata, quello della cena, gli occhi mi si chiudevano dalla stanchezza, ma mi imposi di mangiare tutto.
Arrivai al mio luogo di lavoro, salutai il mio collega  e indossai la casacca del videonoleggio.
Vivere a Tokyo non era facile, consumava tutte le mie energie tra scuola e lavoro, ma mi sentivo anche viva, padrona del mio destino.
E adesso c’era Shin, sentivo che tutta la confusione e la sofferenza che avevo provato stavano per trovare un senso.
Si era alzato il vento e non avevo paura.
Guardai l’orologio dietro al bancone, non vedevo l’ora che il turno finisse per poterlo vedere, non era passato molto da quando c’ eravamo salutati e già mi mancava.
Doveva essere l’amore, quello vero, di cui tutti parlavano.
A queste condizioni era bello da vivere, faceva piacere abbandonarvisi.
Finora Tokyo mi aveva portato bene, sperai che continuasse a farlo e che non mi distruggesse come aveva fatto con Nana. Dovevo smetterla di pensare a lei, eravamo sorelle, ma ciò non significava che quello che era successo a lei sarebbe successo anche a me.
Eravamo due persone diverse, con diverse personalità e destino.
Era arrivato il momento di dimostrarlo, soprattutto a me stessa.
Forza, Misato!

 

   
 
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