Ci sono dei momenti in cui nella
tua vita vedi all’opera
un disegno più grande.
Alcuni lo chiamano
destino, io non saprei come chiamarlo,
so solo che in
certi momenti
è rassicurante. Ti fa sentire meglio sapere
che sei attirata
verso certe persone da
qualcosa di più del mero caso.
-Misato Uehara
Era sabato, un freddo sabato di
novembre, pioveva forte
come se le forze della natura stessero tentando di annegare Tokyo.
Io mi strinsi nel giubbotto di pelle e mi toccai i
capelli di un verde brillante, l’allieva del corso di
parrucchiera avevano deciso
di provare quel colore e non mi stava male. In ogni caso mi piaceva
cambiare
colore ogni due settimane, mi dava un senso di libertà.
Rabbrividii, la cosa più importante era tornare nel mio
appartamento, lì avrei potuto continuare a riflettere al
caldo e all’asciutto.
L’ombrello da borsetta era troppo piccolo e non mi riparava
bene.
Il mio cuore saltò un battito e poi si mise a correre al
galoppo, una figura era semisdraiata all’ingresso del mio
condominio. Era un innocuo
barbone? Oppure un ladro o peggio?
Non sapevo cosa fare, voltarmi e scappare oppure
affrontare il pericolo?
Presi un respiro profondo e continuai a camminare, tutti
i nervi all’erta e pronta a reagire a un eventuale attacco.
Arrivata vicino
alla figura, il mio cuore saltò di nuovo un battito, tirai
un sospiro di
sollievo e infine venni assalita dalla preoccupazione.
Quello che giaceva sui gradini del condominio era Shin,
doveva essere lì da ore perché era bagnato
fradicio, lo toccai: era anche
parecchio freddo. Lo scossi più forte che potevo fino a che
non si svegliò, i
suoi occhi misero lentamente a fuoco la scena.
“Misato…”
Sussurrò, poi mi accarezzò piano una guancia, io
presi la sua mano tra le mie.
“Ehy.”
Tentai di sorridere.
“Da quanto sei qui?”
“Non lo so. Tanto.”
“Ce la fai ad alzarti? Ti porto nel mio appartamento,
lì
potrai fare un bagno caldo e dovrei avere uno yukata per te.”
“Yukata? Non è da ragazze?”
“È unisex. Ce la fai ad alzarti.”
Lui sembrò dare una controllatina al suo corpo e poi
annuì.
Con un po’ di fatica e aiuto da parte mia si tirò
in
piedi, io gli passai un braccio lungo i fianchi e insieme entrammo nel
condominio. Ero preoccupata per lui, alternava momenti in cui era del
tutto
assente ad altri in cui in il suo sguardo esprimeva un dolore immenso,
quello
di un uomo che brucia impossibilitato a spegnere o provare a salvarsi
dall’incendio.
Era successo qualcosa, ma che cosa?
Arrivammo al mio appartamento e lo lasciai per andare a
prendere un asciugamano, rimase in piedi per fortuna. In bagno
acchiappai al
volo uno fresco di bucato e tornai da Shin, lo avvolsi con cura e poi
gli
sorrisi.
“Adesso ti preparo un bagno caldo o ti prenderai una
polmonite.
Andrà tutto bene.”
L’ultima frase non aveva senso se collegata alle altre, ma
parve rianimarlo.
“Misato?”
“Sì?”
“Abbracciami, per favore.”
Feci quello che mi disse, tremava e io morivo dalla voglia di
chiedergli cosa
diavolo fosse successo di così terribile, ma sapevo che ora
come ora non me lo
avrebbe detto.
Mi staccai, lo presi per mano e lo condussi in bagno, lui
si sedette sul water dopo aver abbassato la tavoletta e mi
guardò riempire la
vasca di acqua calda.
“Qui c’è il sapone, qui lo shampoo e
puoi usare quella
salvietta per asciugarti.”
Lo abbracciai di nuovo ed uscii.
Ero molto stanca, mi cambiai e mi stesi qualche secondo
sul letto, dal bagno venivano i rumori di qualcuno che si spogliava.
Sospirando
mi alzai e cominciai a cercare nei cassetti lo yukata che mio padre si
era
dimenticato qui una volta in cui era venuto a trovarmi con la mamma. Lo
trovai
alla fine, bianco a righe azzurrine ricordava quello delle terme.
Shin a quest’ora doveva essere nella vasca, armandomi di
tutto il mio coraggio bussai alla porta del bagno, mi rispose un fioco
“avanti”.
Dalla vasca sporgeva il torso magro, il resto era coperto
dalla schiuma, per fortuna.
“Ti ho portato uno yukata e della biancheria pulita.
Tutto da uomo, mio padre se l’è dimenticata qui
una volta che è venuto a farmi
visita. Ho lavato tutto, non preoccuparti.”
Lui sorrise debolmente.
“Misato, sono una persona orribile.”
“Non so chi te l’abbia detto, ma tu non sei una
persona orribile.”
Dissi decisa, lui sgranò gli occhi.
Nemmeno io sapevo da dove mi venisse quella certezza dato
che non ci conoscevamo da molo tempo, ma sapevo di essere nel giusto.
Istinto,
immagino.
“Cambierai presto idea dopo quello che ti
dirò.”
Io alzai un sopracciglio.
“Senti, vista l’ora io ceno. Del ramen
preconfezionato ti
va bene?”
“Sì, non ci sono problemi.”
Uscii, non mi sembrava carino trattenermi oltre.
Andai in cucina, presi due confezioni di ramen, misi
l’acqua sul fuoco e preparai la tavola per due.
Perché diavolo Shin doveva essere una persona orribile?
A parte il piccolo incidente al nostro primo incontro lui
con me si era sempre comportato bene, era un ottimo ascoltatore e mi
faceva
ridere. Stavo bene con lui e lui sembrava stare bene con me, chi era
stato?
La porta del bagno si aprì e lui apparve in cucina, stava
molto bene con lo yukata, arrossii come una ragazzina.
“Sembra quello che ti danno alle terme.”
“Sì, lo usano anche nelle terme. È
molto comodo, almeno
io la vedo così.
Tu?”
“È comodo, ma non vedo l’ora che i miei
vestiti siano
asciutti, sono leggermente a disagio.”
“Capisco. Siediti.”
Lo invitai a sedersi al tavolo, lui sorrise.
“Sembrano buoni.”
“Grazie del complimento, ma è solo cibo
precotto.”
“Suona stupido, ma non mi sono ancora abituato alla cucina
giapponese. Quando
sono a casa mangio
cibo precotto
straniero.”
Iniziammo a mangiare in silenzio, il dolore negli occhi di Shin non
dimiuiva.
Dovevo riuscire a farlo parlare, per il suo bene
soprattutto, o quella convinzione avrebbe finito per scavare un buco
dentro di
lui.
Mangiammo un paio di mandarini e un budino, poi – mentre
lui sparecchiava – io controllai lo stato dei suoi vestiti:
ora erano asciutti.
“Shin! I tuoi vestiti sono a posto!”
“Ok. Vado in bagno a cambiarmi.”
Io annuii e lavai i piatti, finito lo trovai raggomitolato sul divano,
io mi
sedetti accanto a lui.
“Cosa è successo?”
“Sono una brutta persona.”
“Perché lo dici? Non è vero!”
Lui sospirò.
“Ho un figlio, Misato. Un figlio di cui non potrò
mai
occuparmi.”
Lo guardai senza capire, un figlio?!
“Reira è rimasta incinta, lo ha scoperto dopo la
morte di
Ren quando è stata ricoverata perché non
mangiava. Solo che invece di venire da
me e parlarne, è corsa da Takumi, come sempre del resto.
Insieme hanno deciso di riconoscerlo come loro, solo che
è Hachi che se ne sta occupando e lei non ce la fa. Non
posso biasimarla – ha
già una bambina di cui prendersi cura – ma sono
arrabbiato, Takumi non la aiuta
minimamente. Oggi io e lui abbiamo litigato e lui mi ha detto che non
ho voce
in capitolo, che non posso offrire nulla a mio figlio ed ha ragione.
Sono una pessima persona, ho abbandonato mio figlio come
mia madre ha fatto con me.”
E così era quello il problema, non conoscevo Takumi, ma
avevo intuito che aveva causato un sacco di problemi a mia sorella e
ora stava
sconvolgendo anche la vita di Shin. Strinsi i pugni e sentii in gola il
sapore
dell’odio, amaro come bile e forte come sakè.
“Non è colpa tua! Tu sei una vittima non meno di
tuo
figlio o di Nana-san.
Tu sei il padre, no? Reira sarebbe dovuta venire da te e
non andare da Takumi. Sono loro ad avere sbagliato, ti hanno tagliato
fuori da
ogni decisione.
Non sei una cattiva persona, Shin. Se Reira ti avesse
detto del bambino non ti saresti tirato indietro, giusto?”
“Sì, non l’avrei fatto.”
“Ecco. Questa è la prova. Non sei una cattiva
persona.
Ma…”
“Ma?”
“Tu ami ancora Reira?”
Lui scosse lentamente la testa.
“Come potrei? Dopo quello che ha fatto è chiaro
che io
non sono quello che ama, lo sapevo fin dall’inizio, ma questa
è la prova del
nove. Non posso stare con una persona che ha costantemente in mente
un’altro.
Non posso.”
Io sorrisi piano.
“Sì, sei proprio una brava persona. Migliore di me
di
sicuro.”
“Perché dici così?”
Io mi raggomitolai su me stessa.
“Ti ho detto che ho amato una persona che non dovevo
amare, ti sei mai chiesto chi fosse?”
“Sì. Era un uomo sposato?”
Io scossi la testa, sarebbe stato tutto molto più semplice
se fosse stato così.
“No. Mi ero innamorata di Takahiro, il mio fratellastro,
il primo figlio di mio padre.”
Lui rimase un attimo in silenzio.
“Shion mi ha detto che è successo
perché era l’unico ad
apprezzarmi delle persone più o meno nella mia
età, ma questo non rende le cose
migliori, no?
Quale persona di buonsenso lo farebbe?
Nessuna.
Forse dei due sono io la peggiore.”
Lui mi strinse la mano e mi abbracciò più stretta
che
poté data la mia posizione.
Il mio cuore saltò un battito, non era scappato e non gli
avevo fatto schifo.
“No, non lo sei e poi ti è passata.
Diciamo che entrambi non siamo esattamente dei santi, ma
questo lo sapevamo già.
Possiamo diventare amici o creare un club delle pessime
decisioni.”
Ridacchiai, con una sola battuta era riuscito a risollevarmi
il morale, lo apprezzai molto, mi scesero un paio di lacrime, lui mi
guardò
senza capire.
“Tutto ok?”
Mi chiese premuroso.
“Sì, tutto ok. Sono solo felice, una persona
normale se
la sarebbe data a gambe levate, tu mi hai addirittura
abbracciato.”
“Ti dispiace?”
“No.”
“Cosa significa?”
“È importante?”
Lui rimase un attimo in silenzio.
“No, per ora no.”
Si stiracchiò.
“Vado a casa, credo sia meglio.”
“Sì. Aspetta un attimo.”
Corsi all’ingresso e presi un ombrello nero.
“Per te, così non ti bagni.”
Ci sorridemmo a vicenda, poi lui lo prese, mise le scarpe e se
andò lasciandomi
felice come non lo ero da tanto tempo.
La mattina dopo il sole splendeva
alto nel cielo, mi
chiesi se Shin fosse sveglio mentre facevo colazione,.
Decisi di mandargli un messaggio per esserne sicura.
“Buongiorno!
Dormito bene?
Ti sei ammalato dopo la
pioggia di ieri?”
Lavai le stoviglie, mi cambiai e presi lo zaino per la
scuola.
Lui aveva risposto.
“Ciao!
Sì. Ho dormito bene, ma sono nervoso.
Stamattina ho un
servizio fotografico, ma torno nel
pomeriggio per il film.
Ho scoperto che devo
proprio recitare per fare i servizi
fotografici, non mi piacciono!
Sto bene, ho vissuto in
Svezia, due gocce d’acqua di
Tokyo non possono farmi nulla.”
Io risi.
“Ok, superuomo
svedese. La piccola donna giapponese va a
scuola XD
Ci vediamo oggi
pomeriggio.”
“Non vedo
l’ora. Il caffè come lo prepari tu non lo
prepara nessuno. ”
Sorrisi e misi il cellulare nella tasca interna del
chiodo di pelle e uscii di casa, a testimoniare la pioggia del giorno
prima
c’erano delle pozzanghere. Io ci saltellai dentro come una
bambina, forte dei
miei anfibi, avevo bisogno di energia positiva perché a
scuola mi consideravano
tutti una raccomandata e quindi mi stavano alla larga. Avrei dovuto
odiare Nana
per essere mia sorella, pur non essendoci mi rendeva la vita difficile,
ma io
ne ero orgogliosa. Il mio cervello funzionava in modo strano.
Arrivai a scuola, varcai il cancello sentendomi pronta
per un altro lungo giorno.
Le lezioni si svolsero al solito ritmo, di solito mi
interessavano un sacco, oggi invece dovetti quasi litigare con il mio
cervello
per costringerlo a prestare attenzione. I miei pensieri continuavano ad
andare
alla sera prima, a quando Shin mi aveva abbracciata e a come ci sarebbe
stato bene
un bacio. La vita però non era un manga e tutti e due
eravamo pieni di casini,
quindi sarebbe passato un po’ prima che ci baciassimo.
-Ma il giorno in cui ci
baceremo sarà memorabile, me lo
sento. Anche se sarebbe meglio che mi concentrassi su mate o stasera
non ci
capirò un cazzo quando dovrò fare gli esercizi.-
Sorrisi lievemente al pensiero, era un vero peccato che
Shin non avesse fatto il liceo o avrebbe potuto darmi una mano con i
compiti.
Arrivò finalmente il momento del pranzo e io scattai via,
verso la metropolitana, verso Shin. Come sempre c’erano delle
malelingue che
sputavano inacidite che lo stage lo avevo ottenuto grazie al fatto che
ero la
sorellina di Nana, ma non mi importava. Non più, ora ero
motivata da altro per
dare il meglio e dimostrare a tutti che si sbagliavano. Lui non lo
sapeva, ma
mi dava molta forza, quasi quasi non ci credevo nemmeno io. Presi la
solita
linea e mangiai il panino mentre osservavo distratta il paesaggio,
c’erano un
sacco di gru: a Tokyo si costruiva ed abbatteva sempre.
Mi stupivo sempre di come fosse diversa dalle città in
cui avevo abitato, Osaka non era un villaggio e nemmeno Okayama, ma lo
sembravano comparate alla capitale.
-Uno come Shin non lo
avrei incontrato a Osaka o a
Okayama, anzi probabilmente mi starei ancora dibattendo se sono pazza o
no e
cercherei di compiacere mio fratello. È un bene che io sia
qui, questa volta
l’istinto di fuga delle Osaki mi ha salvato la vita.
Mi chiedo se anche Nana
si senta così o le manchino i
suoi amici…-
Cercavo di sintonizzarmi sulle stesse onde mentali di mia
sorella per cercare di capire perché se ne fosse andata e
dove, ma finora non
avevo ottenuto grandi risultati. Solo in due occasioni avevo intravisto
la
verità ballare davanti agli occhi, ma quando stavo per
strapparle i veli era
sparita, lasciandomi solo vaghe impressioni che non riuscivo a
collocare.
Io ero scappata perché credevo che nessuno mi avrebbe
capito ed ero anche arrabbiata per il casino che era la mia famiglia
e i
segreti che aveva custodito. Uno dei veli vibrava di emozioni simili,
ma non
riuscivo a capire. Le poche volte che avevo incontrato gli amici di
Nana mi
erano sembrati delle brave persone, incapaci di tradirla o farle del
male. Ma
allora cosa era quella strana sensazione che non se ne andava?
Un tentativo patetico di proiettarmi su Nana, facendole
vivere le mie situazioni, o un indizio valido?
Mi vergognavo di dirlo a Shin, quindi me lo tenevo per
me, probabilmente un giorno avrei avuto in mano tutti gli elementi per
capirlo
e allora avrei parlato. Non aveva senso dire qualcosa che poteva essere
interpretato come offensivo senza avere in mano uno straccio di prova.
Arrivai al mio luogo di lavoro ed entrai, salutai Misato
e poi Shin con un gran sorriso, la mia superiore non sembrò
contrariata. Ci
guardò a lungo e poi fece un cenno impercettibile di
assenso, non so se diretto
a noi o a sé stessa, il cui significato era chiaro: per lei
era ok che noi
avessimo una storia. Ne fui sollevata, la sua approvazione contava
molto per me.
Durante una pausa mi si avvicinò, mi sembrava piccola e
indifesa, data l’espressione timida, ma sapevano tutti che
era una specie di
lady di ferro.
“Ehy, Misato.”
“Ehy!”
Le risposi allegra.
“Hai presente quando hai detto che potevamo essere
amiche?”
“Sì, certo che me lo ricordo.”
“Ti va di prendere un caffè, così mi
racconti di Sh..lui,
se ti va.”
“Certo, mi farebbe piacere.
Misato, stai bene?”
“Mi manca Nana, per anni è stata il centro del mio
mondo. Negli ultimi tempi
non sapevo più se mi interessavo così tanto a lei
e ai Blast perché era la mia
sorellastra o per altro.
Temevo di essermi innamorata di lei.”
“Sorellastra? Innamorata?”
“Sì, io e lei abbiamo probabilmente lo stesso
padre.”
La notizia mi scosse, forse perché ero convinta di essere
l’unica di avere il
privilegio di un legame di sangue con lei.
“Capisco.”
“Fatto sta che adesso mi sento vuota.”
“Ma io non posso prendere il posto di Nana, voglio essere tua
amica, ma…”
Lei sorrise.
“Mi sono espressa male, è Shin quello che rischia
di
finire al posto di Nana, ma non voglio che succeda.
Io voglio dei rapporti normali con la gente, senza niente
di morboso, l’ho capito grazie al fatto che lei se ne
è andata.”
Questa volta fui io a guardarla a lungo, continuava a
sembrare piccola e indifesa, bisognosa di qualcuno che la facesse
ridere.
“Un giorno nella tua vita arriverà qualcuno che
spezzerà
questa specie di incantesimo in cui sei finita, lo so perché
è successo anche a
me. Scrivimi luogo e ora per il caffè.”
Lei mi sorrise grata, io ricambiai.
Stavo imparando alla svelta che ognuno aveva le sue crepe
e che prima o poi emergevano, sebbene ci si sforzasse sempre di
nasconderle
agli occhi impietosi degli altri.
“Come fai a esserne sicura?”
“Di cosa?”
“Che troverò una persona del genere?”
“Quando me ne sono andata da casa mia ero in una situazione
molto simile alla
tua e non sapevo cosa fare, avevo provato a essere gentile con lui per
renderlo
felice e farmi bastare sorrisi e affetto e non aveva funzionato.
Così me ne
sono andata e qui avevo un sacco di cose da fare, il suo fascino su di
me
diminuiva, ma la notte no. Poi ho incontrato Shin ed è come
se l’incantesimo
che mi teneva legata a quella persona fosse stato spezzato. Gli voglio
bene, ma
ora so che è il bene accettabile, quello che provo per Shin
è a un livello
diverso. Le cose possono cambiare e a volte, sorprendentemente, in
meglio.”
Misato non mi sembrava molto convinta, ma non disse nulla e tornammo
tutte e
due al lavoro.
Le ore volarono come sempre, adoravo fare quel lavoro, mi
sembrava di far parte di qualcosa di importante senza la seccatura
della fama.
Speravo che anche l’anno prossimo mi scegliessero per lo
stesso stage, questa
esperienza mi piaceva tanto.
Alla fine del mio orario di lavoro salutai tutti, presi
la giacca e lo zaino e mi diressi verso l’uscita,
preparandomi mentalmente al
lavoro al videonoleggio. Anche quello non era male, ma avevo sempre un
po’
paura nel fare il turno di notte. Poteva entrare un ladro o uno yakuza
oppure
potevo essere aggredita quando riportavo le chiavi al proprietario o
mentre andavo
verso la metro.
Forse avrei dovuto dirlo a Shin, ma non mi andava di
imporgli di farmi da babysitter, dovevo cavarmela da sola.
“Misato!”
Mi sentii chiamare mentre accendevo una sigaretta e notai il bassista
che
correva verso di me.
“Ehy, Shin.”
“Senti, mi ha appena scritto Hachi. Il 30 è il suo
compleanno e vorrebbe
festeggiarlo con noi, ti va di venire?”
“Io? Ma io non faccio parte della vostra cerchia.”
Lo guardai confusa, lui mi sorrise.
“No, ma fai parte della mia e sei l’unica che io
voglia
portare. Ci sarà anche Misato e potrai conoscere gli altri
membri dei Blast.
Potrai anche vedere l’appartamento 707.”
Alzai un sopracciglio, non capivo l’accenno a questo
appartamento.
“È l’appartamento dove Nana e Hachi
hanno vissuto
insieme, dove i Blast per come li conosci tu si sono formati.
È un posto
importante.”
Sorrisi, sentendo un calore al cuore.
“Ok, vengo. E come mi presenterai?”
“Sorpresa!”
Mi rispose lui con un sorriso identico al mio.
“Ora devo rientrare, mi aspettano per lavorare.
Ci vediamo stasera dopo il lavoro, non mi va che tu vada
a casa da sola.”
Arrossii.
“Ma non ti devi disturbare così!”
“Mi piace essere disturbato così.”
Mi scompigliò i capelli e tornò dentro.
Fuori era sera, la luna stava sorgendo in un cielo
trapuntato di stelle; ma nel mio cuore era una calda giornata estiva al
mare,
scandita dal tintinnio lontano di un furin.
-È questo
l’amore? Era così che ti sentivi con Ren, Nana?
Vorrei parlartene, ma tu
non ci sei e se ci fossi
vorresti ascoltare questa estranea?-
Finii la sigaretta e scesi in metropolitana, il treno
arrivò subito e io tirai fuori il secondo bento della
giornata, quello della
cena, gli occhi mi si chiudevano dalla stanchezza, ma mi imposi di
mangiare
tutto.
Arrivai al mio luogo di lavoro, salutai il mio collega
e indossai la casacca del videonoleggio.
Vivere a Tokyo non era facile, consumava tutte le mie
energie tra scuola e lavoro, ma mi sentivo anche viva, padrona del mio
destino.
E adesso c’era Shin, sentivo che tutta la confusione e la
sofferenza che avevo provato stavano per trovare un senso.
Si era alzato il vento e non avevo paura.
Guardai l’orologio dietro al bancone, non vedevo
l’ora
che il turno finisse per poterlo vedere, non era passato molto da
quando c’
eravamo salutati e già mi mancava.
Doveva essere l’amore, quello vero, di cui tutti
parlavano.
A queste condizioni era bello da vivere, faceva piacere
abbandonarvisi.
Finora Tokyo mi aveva portato bene, sperai che
continuasse a farlo e che non mi distruggesse come aveva fatto con
Nana. Dovevo
smetterla di pensare a lei, eravamo sorelle, ma ciò non
significava che quello
che era successo a lei sarebbe successo anche a me.
Eravamo due persone diverse, con diverse personalità e
destino.
Era arrivato il momento di dimostrarlo, soprattutto a me
stessa.
Forza, Misato!