Capitolo diciannovesimo
Sai Nana, penso spesso al mio
ventunesimo compleanno. Mi
ricordo l’appartamento
buio e poi le luci degli
accendini che mi mostravano i
volti delle persone che
amavo, mancava solo Nobu
eppure lo sentivo vicino.
Credo che quella sia
stata l’ultima volta in cui io sono
stata davvero felice.
Il 30 novembre era arrivato, avevo
trascorso tutta la
giornata cucinando la cena e la torta per il mio compleanno. Compivo
ventidue
anni e me ne sentivo addosso sessanta.
Takumi si era occupato dei bambini, lanciandomi ogni
tanto occhiate di traverso, chiaramente per lui stavo perdendo tempo
oppure,
peggio ancora, ne sottraevo a lui. Non mi importava.
Alle sei e mezza chiamai un taxi e infilai dentro il cibo
e me stessa, per l’occasione mi ero messa un abito di Nana:
rosso e pieno di
rouches.
Sapevo che era quello che indossava il giorno in cui Ren
se ne era andato, era un abito bello ma pregno di dolore. Era adatto a
festeggiare un compleanno quanto mai sgradito, il primo senza Nana.
Sapevo che sarebbero venuti tutti, questa volta anche
Nobu, e che Shin avrebbe persino portato una ragazza, non vedevo
l’ora di
conoscerla.
La città scorreva sotto i miei occhi indifferenti, quando
ero appena arrivata a Tokyo mi stupivo di tutto, adesso non mi
importava di
nulla. Le luci, la gente, le insegne, niente mi scuoteva davvero,
pensavo
ossessivamente a una notte di neve in cui il destino di due ragazze
dallo
stesso nome e della stessa età si era intrecciato.
Il taxi imboccò la strada che costeggiava il fiume Tama e
il mio cuore saltò un battito, mi sporsi per vedere meglio
il vecchio palazzo
in stile occidentale, un palazzo che sembrava incongruo in Tokyo visto
che
sembrava arrivare dritto da certi quartieri di New York.
Qualche minuto dopo il taxi si fermò, io scesi e tirai
fuori il cibo e la torta, dall’ombra vicino
all’entrata emerse Yasu e prese
quello che io non riuscivo. Pagai il taxi e noi due rimanemmo da soli,
lui mi
sorrise.
“Buon compleanno, Hachi.”
“Grazie, Yasu.
Come stai?”
“Bene. Forza, portiamo questa roba di sopra.”
“Sì. Sei già salito?”
“Sì, l’appartamento sembra aspettarci. A
proposito, bel vestito.”
Ridacchiai.
“Lo hai riconosciuto, vero? È quello che Nana
indossava
quando ha salutato Ren.”
“Sì, l’ho riconosciuto.”
“Il forno a microonde c’è?”
“Sì, c’è.”
Io annuii, alcune cose andavano riscaldate, ecco perché ne
avevo comprato uno e
lo avevo portato all’appartamento. Finalmente arrivammo alla
porta del 707,
appoggiai il cibo in terra e frugai nella borsa, trovai le chiavi e
aprii la
porta. Io e Yasu entrammo e deponemmo le borse sul tavolo costruito da
Nana, il
lontano ricordo del battere di un martello fece capolino, ma io lo
cacciai via,
non sarei sopravvissuta se avessi permesso ai ricordi di prendere il
sopravvento.
Infilai nel forno quello che doveva essere scaldato, finii
per utilizzare anche quello tradizionale, Yasu sedeva al tavolo e
fumava
tranquillo.
“Miu arriverà?”
“Sì, più tardi. La sua carriera sembra
stia andando bene, la chiamano più
spesso.”
“Ottimo, sono felice per lei. E la vostra storia?”
“Va bene. Sono felice con lei, entrambi diamo molta
importanza al lavoro quindi non litighiamo per il tempo che ci
dedichiamo.”
“Questa è una bella cosa.”
Pensai a Takumi, ma soppressi anche quel pensiero, non ci fu tempo per
parlare
ancora perché suonò il campanello. Corsi al
citofono e risposi.
“Sì?”
“Sono Nobu.”
“Sali, io e Yasu siamo qui.”
Il cuore mi batteva forte, come l’avrei trovato dopo questi
mesi?
Il tempo che ci mise per salire le scale mi sembrò
eterno, ma finalmente la porta si aprì: aveva i capelli un
po’ più lunghi, il
suo colore naturale – un bel castano – faceva
capolino e i suoi vestiti erano
ancora tendenti al punk, ma meno estremi. Ci guardammo per un attimo
che parve
infinito, poi lo abbracciai stretta e lui ricambiò,
seppellendo il volto tra i
miei capelli.
“Mi sei mancata.”
Sussurrò a voce bassissima.
“Anche tu e non sai quanto.”
Risposi io.
Ci sciogliemmo dall’abbraccio e lui andò a
salutare Yasu,
io rimasi ancora un attimo alla porta per assaporare meglio quei pochi
istanti
in cui eravamo stati vicini. Erano dolce miele comparati
all’amaro degli ultimi
mesi e calore rispetto al freddo che emanava mio marito.
Avevo fatto la scelta sbagliata tanti mesi prima e lo
sapevo, ma non potevo correggere il tiro senza far soffrire degli
innocenti.
Tornai in cucina e mi gingillai con i piatti per la cena,
giusto per avere qualcosa da fare, per non venire sommersa dai ricordi.
L’appartamento 707 era diventato un tempio al dolore, al
tempo passato e alle
scelte giuste che non erano state fatte. Se fossi rimasta con Nobu, nel
giardino di Nana, lei se ne sarebbe andata lo stesso?
Dopo Nobu arrivarono Jun e Kyosuke, poi Miu e Misato,
l’unico che mancava ancora all’appello era
Shin, stavo per chiamarlo quando la porta si aprii. Mi
paralizzai, accanto
a lui c’era una ragazza che
somigliava così tanto
a Nana da farmi
pensare che si fosse presentato con un fantasma. Mi faceva male il
cuore, avevo
gli occhi spalancati e dovevo essere sbiancata.
La ragazza parlò.
“Sono Misato Uehara, la sorellastra di Nana, piacere di
conoscerti, Hachi.”
Disse con voce incerta, anche quel soprannome detto da lei faceva male.
“Io… Io sono Nana Komatsu, ma mi chiamano tutti
Hachi.”
Balbettai.
“Tutto bene?”
Mi chiese premurosa lei.
“Sì, va tutto bene, è solo
che… Tu somigli molto a Nana e
per un momento ho pensato che lei fosse tornata, scusami.”
“È tutto okay, lo so che le somiglio, non ti devi
preoccupare.”
“Forza, entrate.”
Entrarono e si sedettero intorno al tavolo, avevo portato
un tavolo da casa il giorno prima in modo da avere più
spazio, l’altro poteva
ospitare al massimo sette persone. Iniziai a servire le pietanza e le
chiacchiere seguirono naturalmente. Junko e Kyosuke stavano
frequentando con
successo l’università e una galleria si era
interessata ai loro lavori, ero
molto felice per loro, al contrario di me avevano talento per
l’arte.
Yasu stava andando alla grande allo studio dove era stato
assunto e Miu riceveva sempre più ruoli, non le chiesi del
suo problema di
autolesionismo, ma notai che non portava più un polsino:
forse aveva smesso.
Nobu disse che stava familiarizzando con la pensione
Terashima, ma che i suoi genitori non sarebbero andati in pensione
tanto presto
così stava pensando di aprire una sala musica per i ragazzi
del paese, molti
avevano preso ispirazione dai Blast o dai Trapnest. Era felice, ma
un’ombra era
sempre presente nel suo sguardo. In quanto a Misato Tsuzuki continuava
a
lavorare alla Shikai Corporation, si occupava della carriera di Shin e
non
c’era nessun ragazzo all’orizzonte per lei.
Guardai curiosa Shin, cosa avrebbe detto? Cosa mi avrebbe
raccontato di sé stesso e di Misato?
“Shin, tu ti sei portato una ragazza e non ci dici
niente?
È un piacere
rivederti, Misato.”
Guardai Nobu incuriosita.
“La conosci?”
“Sono passato una volta al ristorante di suo padre quando
cercavo Nana, abbiam
parlato un po’.”
“Ah, capisco.”
Aveva senso, ci aveva detto che sarebbe andato a Okayama.
“È un piacere anche per me. Ho conosciuto Shin al
lavoro,
io sono una stagista alla Shikai Corporation per via di un accordo con
il mio
liceo. Devo dire che il primo incontro non è andato
benissimo.”
“Che ha combinato Shin?”
Nobu stava ghignando, Shin sembrava imbarazzato.
“Stavano parlando in un bar e mi ha detto che per una
certa somma sarei potuta andare a letto con lui, ovviamente
l’ho piantato lì
dopo avergli dato del maniaco.”
Nobu gli diede un leggero scappellotto sulla nuca.
“Ma la smetti con ‘sta cosa? Sembri davvero un
maniaco.”
“Nobu ha ragione, Shin. Dovresti smetterla.
Dopo si è comportato bene?”
Domandai apprensiva a Misato.
“Sì, è stato bravo.”
“State insieme?”
“Non ufficialmente.”
“Shin, sbrigati. Una bella ragazza come lei te la fregano
facilmente, lo sai
che somigli tantissimo a Nana?”
“Lo so, me lo dicono in tanti.”
Il suo tono era incerto.
“Tutto bene?”
“Sì, solo che ogni tanto mi chiedo se la gente mi
parli perché somiglio a mia
sorella o perché è me che apprezzano.”
Io rimasi in silenzio, non sapevo bene cosa risponderle.
“Sembri una ragazza simpatica, coraggiosa per essere
tornata da Shin dopo che lui si era presentato in quel modo.”
“Forse sono solo pazza, ma sono felice di esserlo,
perché lui mi ha cambiato la
vita.
In meglio.”
Sorrise timida e io sorrisi a mia volta, in quel momento non mi
importava che
somigliasse a Nana, vedevo solo una ragazza innamorata e ne ero felice.
Shin si
meritava qualcuno di speciale, non solo storie incasinate, il pensiero
di Reira
mi fece venire voglia di strozzarla: rovinava la vita di chiunque la
conoscesse.
“Ottimo, allora andrai d’accordo con noi. Siamo
tutti
pazzi qui.”
Ridemmo tutti e riprendemmo a cenare.
Finito Misato mi aiutò a lavare i piatti e mi chiese
qualche ricetta, viveva da sola e voleva stupire Shin con qualche
manicaretto e
poi saper cucinare era sempre utile: lei sapeva fare solo okonomiyaki.
“Un giorno me li devi far assaggiare.”
Lei mi guardò sorpresa.
Sentii che potevo andare d’accordo con questa ragazza, non
era Nana – nessuno
poteva esserlo – ma era una tipa a posto.
Yasu si affacciò alla porta della cucina e ci
guardò per
un attimo.
“Hachi, puoi uscire un attimo dall’appartamento,
per
favore?”
Flashback dell’ultimo compleanno si affacciarono prepotenti
alla mia mente,
avevo la sensazione che il mondo avesse iniziato a ondeggiare. Era
tutto solo
nella mia testa, me lo ripetei più che potei
“Certo, la torta è qui.”
Indicai una scatola quadrata.
“Ottimo, adesso vai.”
Uscii dalla cucina, passai per la sala, gli altri mi salutarono
allegramente e
uscii anche dalla porta dell’appartamento 707 ritrovandomi
nel corridoio vuoto.
Guardai da una finestra mentre aspettavo, si vedeva il fiume Tama, il
ricordo
delle volte in cui ci eravamo divertiti tutti insieme lungo le sue
sponde mi
faceva venire voglia di piangere. Era come guardare i ricordi avvenuti
un
secolo prima, quando era passato solo poco più di un anno,
mi toccai la pancia
con rabbia. Era anche per questo che non volevi figli, Nana?
Non volevi ritrovarti a rimpiangere la gioventù non
vissuta da vecchia?
Il mio cellulare vibrò nella mia mano, era un messaggio
di Shin, “Entra!” diceva semplicemente. Tornai
davanti alla porta, appoggiai la
mano sulla maniglia e la tirai verso il basso, la porta si
aprì.
Dentro era tutto buio, mi venne il batticuore, da un
momento all’altro mi aspettavo di vedere il volto di Nana
emergere
dall’oscurità come un anno prima.
Le luci degli accendini cominciarono a illuminare i volti
di Jun, Kyosuke, Yasu, Miu, Shin, Nobu, le due Misato e infine le
candeline
della torta.
La sensazione di déjà-vu si fece più
prepotente che mai,
quanti anni compivo? Ventuno o ventidue?
Ero incinta o avevo già partorito? Quella era Nana o era
Misato?
“Buon compleanno!”
Urlarono tutti insieme, riportandomi alla realtà, io
sorrisi.
Non avevo perso tutto, avevo ancora tanto e persone con
cui festeggiarlo, ma non avrei mai smesso di cercare la mia amica. Mai.
Le lacrime iniziarono a scendere da sole, non le
controllavo più e non sapevo dire se si trattasse di lacrime
di gioia o di
dolore. Mi rifugiai nelle braccia di Nobu, erano calde e accoglienti,
sapevano
di casa. Era lui la mia casa. Mi alzò il volto con dolcezza.
“Tutto bene, Hachi?”
“Sì, sono solo felice.”
Gli risposi sorridendo e asciugandomi le ultime lacrime, ora tutte le
luci
erano accese e tutti sembravano contenti, anche la mia torta era bella.
Miu iniziò a tagliare la torta e mi passò il
piattino con
la prima fetta.
“Tanti auguri, Hachi e cento di questi giorni.”
“Grazie.”
Passare cento giorni con loro alla ricerca di Nana non mi
sarebbero dispiaciuti, ma domani sarei tornata a essere la casalinga,
la madre
di Satsuki e Ren.
Cercai di non pensarci, come con tante altre cose, quella
casa era il santuario delle cose non dette, me lo ripetei di nuovo.
Mangiammo la torta chiacchierando come ai vecchi tempi,
quando sognavamo che i Blast avessero successo e Nana mi prometteva che
mi
avrebbe costruito una casa con la veranda.
Finito Shin si alzò e tornò con un pacchetto, io
arrossii.
“Da parte mia e di Misato.”
Me lo porse.
“Grazie, ma non dovevate.”
Lui sbuffò e io iniziai a lacerare la carta, dentro
c’era una scatolina di
carta dorata, incuriosita la aprii e mi ritrovai a rigirare tra le mani
un
plettro con la scritta Blast attaccato a una collanina
d’argento.
“È il plettro che ho usato al nostro primo
concerto, ho
pensato che sarebbe stato carino che lo avessi tu. Senza di te sarei
ancora un
ragazzino sbandato.”
Mi scese una lacrima.
Per smorzare la tensione anche gli altri mi diedero i
loro regali: Miu mi diede un altro libro sull’arte della
vestizione, Yasu una
sciarpa, Misato Tsuzuki una maglia dei Blast che non era mai andata in
produzione, Kyosuke e Junko un cappello e un quadro che avevano dipinto
insieme.
Guardai Nobu e lui mi fece cenno che me l’avrebbe dato
dopo, doveva essere una cosa personale e con dei riferimenti al nostro
rapporto, allora. Il mio cuore accelerò i battiti.
“Grazie a tutti! Non dovevate, davvero!”
“Hachi, è il tuo compleanno. Lasciaci dimostrare
che
siamo felici che tu sia al mondo e che tu faccia parte della nostra
vita.”
Mi disse Junko, facendo scendere altre lacrime.
Finirono per
avvolgermi in un abbraccio collettivo, mi sentivo di nuovo un essere
umano con
un qualche valore e non solo una casalinga con due figli a carico e un
marito
assente.
“Forza, basta lacrime!”
Intervenne Shin.
“Siamo qui per festeggiare, no? Ho portato un po’
di
musica.”
Inserì una musicassetta nel vecchio stereo e le note di una
canzone punk si
diffusero nell’appartamento, ricordandomi i primi concerti
dei Blast. Iniziammo
a ballare, cercando di lasciar perdere il passato che feriva e il
futuro
incerto, in quel momento contava solo il presente.
Osservavo le coppie intorno a me, soprattutto Shin e
Misato, sembravano andare particolarmente d’accordo, ridevano
molto. L’altra
Misato ronzava loro attorno e anche lei mi sembrava felice.
Mi fermai un attimo per bere e la Misato che conoscevo mi
si avvicinò.
“Sei felice?”
“Sì, certo. È come se una parte di Nana
fosse tornata e poi…”
Arrossì leggermente.
“Misato ha detto che vuole essere mia amica, è la
prima
persona che vuole esserlo. È buona e gentile e rende Shin
felice. Mi sento
fortunata perché per un tanto tempo ho pensato che non avrei
mai potuto
esserlo.”
“Sono contenta per te.”
“Pensa anche alla tua felicità, Hachi.”
Ci buttammo di nuovo nelle danze, sembravano un gruppo di liceali
scatenati,
ero così leggera che temevo sarei volata via da un momento
all’altro, come un
palloncino.
Arrivata mezzanotte e mezza qualcuno bussò alla nostra
porta, dovevano essere i nostri vicini che volevano dormire. Scoppiammo
tutti a
ridere e poi spegnemmo lo stereo.
“Ora di andare a casa.”
Disse Yasu con voce chiara.
Salutai tutti con un abbraccio sentito e un
“grazie”,
piano piano se ne andarono, rimase solo Nobu seduto al tavolo.
“Ti do una mano a sistemare questo casino.”
“Ok, grazie.”
Avevo il sospetto che volesse rimanere anche per un altro motivo, ma
decisi di
lasciargli i suoi tempi. Lavammo i piatti e pulimmo cucina e salotto,
l’appartamento era tornato quello di sempre, Nobu si
tormentava i lembi della
sua maglia.
“Hachi, c’è qualcosa che vorrei
darti.”
Io annuii e mi avvicinai.
Lui prese qualcosa dalla tasca della sua giacca di pelle
buttata sul divano, era un sacchetto lungo, e me lo porse. Io lo
guardai
curiosa e poi lo scartai: era un collare di pelle uguale al suo e a
quello di
Nana.
“Nobu…”
“Questo è il mio primo collare di pelle, me lo
regalò Ren
tanti anni fa e voglio che lo abbia tu.
Hachi… Nana… io, è difficile da dire.
Lo so che sei sposata con Takumi, ma se un giorno volessi
tornare da me indossa quel collare e io lo saprò senza che
tu mi dica o mi
spieghi nulla.”
Sentii le lacrime iniziare a pungermi gli occhi.
“Nobu, io continuo a farti del male. Io ti voglio troppo
bene per continuare a farti soffrire, non so se posso
accettarlo.”
“Nana, io soffrirò comunque. Preferisco soffrire
sapendo di avere una speranza
che senza averne affatto.
Per favore, accettalo.”
Annuì e lo allacciai al mio collo, la pelle era un
po’ rovinata, ma morbida:
sembrava fatto apposta per me.
“Grazie, Nobu.”
Lo baciai d’impulso.
Un bacio a stampo, ma era come se avessi dato origine a
una reazione a catena, quel semplice bacio non era abbastanza. Tutta la
voglia
di lui che avevo accumulato in quei mesi esplose e sentivo che anche
per lui
era lo stesso.
Io lo amavo, lui mi amava.
Eravamo stati separati per tanto tempo e ora eravamo di
nuovo insieme con nessuno a fermarci, avevo spento il cellulare non
appena ero
arrivata nell’appartamento come se una parte di me sapesse
sin dall’inizio che
sarebbe successo questo.
Continuammo a baciarci e quando una sua mano si infilò
sotto la mia camicia all’altezza della vita rabbrividii e
gemetti.
“Nana…”
“Non smettere, ti prego.”
Sussurrai. Se il tempo in quella stanza era fermo a
quell’estate che non
potemmo offrire a Nana io ero la ragazza di Nobu e non c’era
nulla di male.
Quando il bacio finii lo presi per mano e lo condussi
nella mia stanza dove avevo fatto mettere un futon, lui
sgranò gli occhi, ma
questo non bastò a nascondere il suo desiderio.
“Nana, sei sicura?”
“Sì, sono sicura.”
Continuammo dove ci eravamo interrotti e ben presto i nostri vestiti
erano
sparsi per la stanza, io sentivo le sue mani dappertutto sul mio corpo,
incendiavano ogni centimetro della mia pelle strappandomi ansiti e
gemiti. Io
accarezzavo il suo petto magro, le spalle, i capelli, il suo membro,
ogni suono
che riuscivo a strappargli mi eccitava sempre più. Raggiunsi
il primo orgasmo
prima ancora che lui mi penetrasse, solo con i movimenti delle sue dita
dentro
di me.
Quando finalmente finimmo i preliminari ero fuoco allo
stato puro, ogni spinta mi mandava dritta verso il paradiso, graffiavo
la
schiena di Nobu per mantenermi attaccata alla terra.
Continuammo finché tutti e due raggiungemmo
l’orgasmo,
lui ricadde su di me, ansimando, io presi ad accarezzargli i capelli.
Mi
ricordavo quanto gli piacesse e presto mi ritrovai tra le sue braccia,
ci
coccolavamo a vicenda.
Ora c’era silenzio, ma c’era una cosa che dovevo
dirgli.
“Ti amo.”
Sussurrai.
“Ti amo anche io.”
“Ma ora non posso stare con te.”
“Lo so.”
“Sai anche che credo nel destino e nel ruolo del numero
sette nella mia vita.”
Lui annuii.
“Ogni mio compleanno, per sette anni, sarò tua e
poi
decideremo.
Spero che in sette anni troveremo Nana e spero di essere
in grado di liberarmi dalla dipendenza da Takumi.
So di chiederti molto, ma… puoi vedere delle altre
ragazze, se vuoi, ma ricordati di questa promessa… se
deciderai di accettarla.”
Lui mi guardò con i suoi occhi dolci, mi passò
una mano
tra i capelli accarezzandoli piano e mi baciò la fronte.
“Va bene, per sette anni ad ogni tuo compleanno indossa
questo regalo e poi vedremo cosa fare, io sono sicuro che il tempo ci
darà le
risposte che cerchiamo.”
“Tra sette anni daremo a Nana l’estate che tanto ha
cercato l’anno scorso e in
quell’estate noi eravamo insieme.”
“L’estate migliore della mia vita, penso che mi
ricorderò sempre di quei fuochi
che non volevano saperne di accendersi sulle rive del fiume
Tama.”
“Anche io lo ricordo ogni giorno.”
Tornai a raggomitolarmi nelle braccia di Nobu.
“Se io, in quell’estate, avessi combattuto di
più per te,
tu saresti rimasta con me?”
“Non lo so, io allora volevo che i Blast avessero successo e
non mi sarei
perdonata di essere un intralcio.”
“Non lo saresti stata, saresti stata una motivazione per
dare il meglio di me.”
Accarezzai la guancia di Nobu.
“Sei un inguaribile romantico, spiegami come fai.”
“Ci sono nato.”
“Vorrei essere pura come te, ma dentro di me
c’è il
buio.”
Lui mi abbracciò e non disse nulla per un po’.
“È nel buoi freddo dello spazio che nascono le
stelle e
tu sei una stella.
Se sentirai freddo ti riscalderò e, se vorrai la mia
luce, sarà tutta per te.”
“Ti amo.”
Mormorai con la voce spezzata.
Non meritavo un amore così puro e incondizionato, non
dovevo sprecarlo.
Nei prossimi sette anni dovevo impegnarmi al massimo per
trovare Nana e garantirmi un minimo di indipendenza finanziaria da
Takumi. Solo
così avrei potuto analizzare la situazione più
lucidamente.
Nobu avrebbe avuto la sua risposta ed entrambi speravamo
fosse positiva.
Solo il tempo l’avrebbe confermato o smentito.