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Autore: lipstick_    10/07/2020    0 recensioni
Renée è una dottoressa. Lo ha sempre saputo che avrebbe fatto quel lavoro. Fin da piccola, quando lei le bambole le usava come pazienti e non le faceva giocare come le sue amichette.
Renée sa di essere brava, non permette a nessuno di mettere in dubbio il suo operato.
Ed è per questo che quando incontra Andrea, un ragazzo estremamente bello come estremamente arrogante, non si perde d'animo e risponde per le rime. Non le piace vantarsi, a lei non interessa che gli altri sappiano quanto lei sia brava, ma questo bellissimo ragazzo arriva in un momento caotico e Renée non sa proprio come ma parla senza pensare. Decisamente insolito per la controllata Renée.
__ SAAALVE__ questa è la prima storia che pubblico, non sono una scrittrice e nemmeno una dottoressa, quindi chiedo perdono se alcune cose saranno approssimative.
ci tengo a precisare che personaggi, luoghi e vicende sono del tutto inventati dalla mia testolina.
spero di potervi tenere compagnia e perchè no? spero anche che possa piacervi la mia fantasia.
lipstick_
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO UNDICESIMO
 
 
Ludovica continua a lanciare strane occhiate verso il lato del tavolo in cui ci siamo seduti io e Andrea.
Massimo e il suo ragazzo, Matteo, sono arrivati da un pezzo, ma per la mia amica la notizia più succulenta è un’altra. Come se non fosse stata lei a buttarmi tra le braccia di Andrea.
Non state assieme, state “provando”.
Si, ci piacciamo.
«Aspettate! Ma quindi alla fine questa è un’uscita di coppia tripla!» Massimo ride compiaciuto, Andrea invece, sputa la birra in faccia a Stefano.
Direi che lui non vi considera una coppia a tutti gli effetti.
Direi di no. Almeno ora ne ho la conferma.
Sto per parlare, ma Ludo è più veloce di me «Hai proprio ragione Massimo!» ride la stronza. Ride.
«No. Noi, io e Andrea, non stiamo assieme. Hai capito male» riesco a spiegare la situazione prima che sia troppo tardi.
Massimo diventa rosso per l’imbarazzo «Ah scusa. Che gaffe, è che lui ti ha messo la mano sulla gamba e io pensavo che, insomma voi due… »
È il mio turno di diventare rossa. Si, si Andrea ad un certo punto della serata, con molta nonchalance, ha appoggiato una mano sulla mia coscia. Non ha fatto altro, l’ha solo appoggiata lì, e tra l’altro in questo bar è sempre buio, non credevo che qualcuno se ne fosse reso conto.
«Si piacciono» Ludovica lo dice come se spiegasse tutto. Lo sta facendo apposta, pensa che così Andrea comincerà a mettere le etichette al nostro rapporto.
Ma la verità è che davvero ci piacciamo, non abbiamo parlato di tutto quello che potrebbe comportare una nostra relazione. Non ho programmato niente. E fino a due minuti fa mi stava stranamente bene. Adesso che le cose vengono dette a voce alta, mi sale l’ansia.
Mi muovo a disagio sulla sedia e Andrea si gira stranito verso di me, per poi guardare Ludovica.
«So cosa stai cercando di fare. Vuoi proteggere la tua amica da una delusione? Non voglio deluderla, ma nemmeno spaventarla, ed etichettare i nostri sentimenti mi sembra abbastanza spaventoso per lei»
Mi sento così stupida, la mia migliore amica e il mio non-so-bene-che-cosa parlano di me come se non ci fossi. E soprattutto come se avessi la capacità emotiva di una dodicenne.
E non è cosi?
A Ludo la risposta di Andrea sembra soddisfacente perché sorride e si appoggia alla sedia dove Stefano le circonda le spalle.
A me l’umore è andato sotto le scarpe.
Lunatica.
Non commento nemmeno ciò che si sono appena detti, nessuno commenta, si è creato un silenzio imbarazzante.
«Sono un po’ stanca, possiamo andare?» sono io la prima a parlare, perché stare qui sta cominciando a pressarmi. Probabilmente Andrea capisce il mio stato d’animo perché annuisce senza dire niente.
«Ciao Matteo, è stato un vero piacere conoscerti, la prossima volta giuro che sarà più divertente» mi dispiace, infondo eravamo tutti qui per conoscere lui.
«Non ti preoccupare» sussurra «anche Massimo ci ha messo un sacco di tempo a far uscire i suoi veri sentimenti. Certo, lui per motivi diversi da quelli di Andrea. Ma se vuoi un parere da terapeuta, a me piace come ti guarda» ma che vuol dire?
 
 
 
In macchina la radio parla al posto nostro. Lo so che sto esagerando, esagero sempre, è più forte di me.
Apro la porta di casa, ma Andrea ritira la maniglia verso l’esterno. Mi giro verso di lui «Che fai?»
«Scusa» abbassa lo sguardo verso di me «non volevo trattarti come una bambina» come fa a capire in così poco tempo quello a cui io penso?
«Non è solo quello ma, insomma, noi non abbiamo pensato a niente. Tu fra meno di una settimana vai via. Dove vai? Torni a Roma? Come funzionerà questa cosa?» indico lo spazio tra me e lui.
Mi guarda, sgranando gli occhi «Frena, frena. Perché fra una settimana me ne vado?» ma è scemo?
«Dovevi rimanere solo un mese, sono passate già tre settimane» dico con tono saccente.
Andrea comincia a ridere «Renée, non ho mai detto che sarei rimasto solo un mese. Avevo detto a tua mamma almeno un mese. E anche se fosse solo un mese potrei cambiare idea. Posso lavorare anche da qui. Ho un progetto in mente. E soprattutto, quando ti ho detto che volevo provare a far funzionare le cose tra di noi, non credi che avrei messo in conto di dover tornare a Roma?» in effetti…
«Scusa. Sono così stupida. Non ho pensato a niente e sono andata subito alle conclusioni più banali» sbuffa una risata, mettendomi le mani a coppa dietro la nuca.
Mi corrono i brividi lungo la schiena.
«Renée, ti prego. Puoi smettere di essere così pessimista sul mio conto? E soprattutto, smettila di abbassare la tua stima così tanto. Perché hai questa costante insicurezza? Non ti voglio prendere in giro»
Alzo le spalle, non lo so davvero. «Non lo so» dico infatti «penso di essere sempre stata insicura di questo lato di me, quello che riguarda le relazioni dico. E poi è successo tutto così in fretta che non sembra nemmeno possibile.»
Andrea annuisce, mi ha capito?
«Okay, allora io ti giuro che tutto questo è reale. Ma ti prego, se c’è qualcosa che non ti convince, dimmelo subito. Non ti chiudere, non scappare. Parlami, va bene?» come fa ad essere così paziente da tollerare una come me?
«Va bene»
«Bene»
Poi mi bacia, e io dimentico dell’assalto di domande di Ludo in bagno, di tutte le insicurezze che ho, dimentico tutto tranne lui e me.
Gli piaccio, che devo dire di più?
 
 
«Renée, ho un ragazzo qui al bancone super bello che chiede di te» guardo la cornetta del telefono stranita, come se potessi vedere l’espressione maliziosa di Clizia.
«Emh okay, arrivo» esco dal mio ufficio per raggiungere la caposala, mi fermo quando vedo Andrea appoggiato la bancone, intento a parlare con le infermiere che lo guardano estasiate. Estasiate come penso che sia anche la mia espressione.
Piego la testa di lato per guardarlo bene. Non per fare la rompipalle, ma cosa vedrà in me un ragazzo così stupendo?
Andrea volta il viso verso di me e sorride malizioso. Mi ha beccata fissarlo a bocca aperta.
Mentre mi avvicino, lui si gira appoggiandosi al tavolo con quel favoloso sedere – che non ho avuto ancora l’opportunità di toccare, ma che non è sfuggito per niente al mio sguardo – dando le spalle alle infermiere e guardando solo me. Cosa che non mi sfugge, perché nessuno mi ha mai guardato in questo modo.
Appoggia una caviglia davanti all’altra, e incrocia le braccia al petto.
Sei consapevole che nemmeno una santa potrebbe resistere a questa scena?
«Ciao» lo saluto timida una volta arrivata di fronte a lui.
Il suo sorriso si apre ancora di più «Cosa guardavi prima?» beccata.
«Mmh niente, pensavo. Che ci fai tu qui?» cambio discorso.
Lui ride, sta per rispondere quando Clizia si mette in mezzo «Renée, tesoro, chi è questo bel ragazzo?» ovviamente, non si poteva sfuggire alla caposala.
«Si scusa, Clizia lui è Andrea, hai presente lo zio preoccupato di settimane fa? Ecco è lui. Andrea, lei è Clizia, la mia caposala.» li presento velocemente.
«Ecco perché mi sembrava di averti già visto, sei bello eh, ragazzo» oh Gesù.
Andrea ride un po’ imbarazzato «Molto piacere. La ringrazio.» ripongo ad Andrea la mia domanda, prima che Clizia ricominci a monopolizzare la conversazione.
«Che ci fai qui?» lui si gira per guardare me e prende da terra un sacchetto che prima non avevo visto.
«Ho portato il pranzo. Lo so che ti dimentichi di mangiare quando sei assorbita dal lavoro. Domenica scorsa hai sbattuto contro il muro due volte mentre leggevi qualcosa di medicina.» alza gli occhi al cielo. Si è vero, ha ragione. Ma non mi aspettavo che si preoccupasse di me fino a questo punto.
Ma dai, non puoi essere semplicemente contenta? Ammettilo, ti fa piacere.
Lo fa, si certo.
Sorrido «Ah okay. Andiamo nel mio ufficio?» annuisce e comincia a seguirmi.
«Tesoro tranquilla, se qualcuno ti cerca dico prima di chiamare» Clizia mi fa l’occhiolino. Ma che problemi ha?
Scuoto la testa rassegnata mentre Andrea ride.
«Allora, che mi hai portato di buono?» da quando ho scoperto che mi ha portato il pranzo il mio stomaco ha cominciato a brontolare.
Andrea viene verso di me, vicino alla porta, si sporge e gira la chiave.
Mi fa l’occhiolino «Così se la tua caposala vuole fare scherzetti almeno la porta è chiusa» si, giusto, solo per quello.
«Comunque ti ho portato sushi. L’altra volta hai detto che ti piace» sul serio, è vero questo ragazzo? Dove sta la fregatura?
«Mi hai portato il sushi?» sono consapevole di sembrare una bambina di fronte alla sua prima neve.
Annuisce regalandomi uno di quei sorrisi bellissimi.
Decido di sedermi su una delle poltroncine di fronte alla scrivania, invitando lui a fare lo stesso.
«Me lo sono sempre chiesto. Come mai ti hanno chiamata Renée? Voglio dire, nella tua famiglia sei l’unica ad avere un nome straniero, no?» mi blocco a metà involtino e lo guardo. Da dove gli è venuto in mente?
Poi – probabilmente leggendomi nella mente – indica gli attestati attaccati al muro con il mio nome in bella vista. Chiaro.
«I miei mi hanno concepita in Inghilterra, erano in un hotel portato avanti da una vecchia signora di nome Renée, che si è accorta della gravidanza di mia mamma “guardandola negli occhi”. Mia mamma dice che l’ha presa per mano e le ha detto “aspetti una bellissima bambina”. Quando sono nata i miei hanno deciso di chiamarmi come lei. Fine.» non ho mai creduto a questa storia.
«E tu non ci credi immagino» come volevasi dimostrare, Andrea legge nel pensiero.
«Non voglio dubitare dei miei, ma penso che si siano inventati la storia per farmi stare buona quando da piccola chiedevo il perché del mio nome strano.» alzo le spalle.
Da piccola il mio nome non mi piaceva. Anzi, lo odiavo, mi faceva sentire ancora più “strana”. Poi sono cresciuta, e ho semplicemente capito che non importa il nome di una persona ma ciò che fa nella vita.
«Beh, dai almeno hanno inventato una storia bella. A me piace il nome Renée.»
Lo guardo storta «Ti piacciono molte cose di me».
Alza le spalle tranquillo «Ho paura di aver preso una bella sbandata per te». E io ricomincio a mangiare per non fargli vedere il sorriso che mi è spuntato sulla faccia.
Quando abbiamo finito di mangiare mi alzo per buttare la spazzatura, ma Andrea mi blocca per il polso.
«Sai stavo pensando… potremmo giocare alla dottoressa e al paziente » i miei occhi balzano fuori dalla testa.
Scoppia a ridere di gusto «Sto scherzando Renée. Cioè, se tu volessi farlo non mi tirerei mai indietro. Ma non ora, che dici? Magari adesso solo un bacio?» sono sollevata. Letteralmente, perché Andrea mi appoggia con il sedere alla scrivania e si incunea tra le mie gambe.
«Ti ho spaventata?» rido perché mi ha scioccata, ma pensandoci l’idea non mi sarebbe nemmeno tanto dispiaciuta. Oh mio Dio, e la pudica Renée che fine ha fatto?
Scuoto la testa, ho perso l’uso della parola.
E dieci minuti dopo, quando Andrea esce dal mio ufficio, penso di aver perso anche l’uso della mia lingua.
 
 
 
Torno a casa nel tardo pomeriggio e trovo il moro disteso sul divano con la testa a penzoloni.
«Ehi» un “ehi”, basta quello per farmi sciogliere.
«Ciao, come va?» mi siedo vicino a lui, ma dritta.
Si sistema, in una posizione normale «Bene direi, a te è andata bene?» annuisco.
Sto per avvicinarmi e baciarlo, ma il telefono comincia a suonare - dannato – proprio mentre sono a due centimetri dalle labbra favolose di Andrea.
«Dovresti rispondere» e lo dici con quella voce sexy e lo sguardo sulle mie labbra?
Sbuffo, ha ragione dovrei rispondere «Si dovrei»
Prendo il telefono dal tavolino dove l’avevo appoggiato. È mia mamma.
«Pronto mamma?» Andrea fa un verso strano per prendermi in giro.
«Tesoro ciao, come va?»
«Tutto okay. Voi?» Andrea si avvicina e mi stampa un bacio sulla guancia.
«Bene tesoro...» mia mamma continua a parlare ma io non la sento, perché dalla guancia Andrea ha cominciato a scendere verso il collo.
E lo apprezzo davvero tanto, ma ti prego proprio al telefono con mia madre?
«Renée, mi ascolti?» tiro un pugno sul braccio ad Andrea, che si mette a ridere – grazie a Dio silenziosamente - «no scusa mamma, stavo facendo una cosa delicata»
“delicatissima” Andrea mima con le labbra.
«Stavo dicendo, che vorremmo fare una festa alla nonna domani. È il suo compleanno, sai che ci tiene anche se fa finta di niente. È un po’ tardi ma posso fare una cosa carina lo stesso. Ti va di venire?» mi va? «se vuoi puoi chiedere anche ad Andrea, ovviamente, penso che i suoi verranno, sono tornati per il weekend lungo»
oh.
«Va bene chiedo»
«Oh perfetto, domani mattina ti so dire bene il luogo e l’ora. Ciao tesoro»
«Ciao a domani»
 
Andrea mi guarda con le sopracciglia inarcate.
«Ti va di venire al compleanno di mia nonna domani?»





______
ciao ;) 
siamo arrivati al capitolo undici, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va ^^

 
  
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