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Autore: laurypope    12/07/2020    0 recensioni
Pelle pallida come la neve, diafana come il ghiaccio, che circonda due occhi più verdi dello smeraldo separati da un naso aquilino e appuntito come il mento. La pece e il buio le coloravano i lunghi capelli sempre intrecciati con fili d'oro o raccolte in sinuose trecce in perfetto abbinamento con i lunghi abiti che portava. Eleganti e fini, al sole le tinte verdi e oro risplendevano e i lunghi drappi di seta che le coprivano le spalle seguivano i vuoi movimenti rapidi e decisi per i corridoi del palazzo d'oro.
Hela era appena una ragazza, ma portava dietro di sé l'alone di mistero dalle mille sfumature inafferrabili per chiunque.
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Post Avengers.
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Hela è la figlia di Loki nella mitologia e questi sono un po' di racconti su di lei.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hela, Loki, Thor
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Reið

 


In un mondo come quello di Asgar c’erano due modi per spostarsi: uno con delle piccole barche fluttuanti, le quali erano sempre piene di gente desiderosa di compiere i loro impegni. Oppure si potevano usare i cavalli.
Ovviamente anche il palazzo reale era fornito di destrieri e avevano un sacco di scuderie: stalle per gli ospiti e ambasciatori che si potevano presentare, per le varie legioni di guardia che sorvegliavano il palazzo, per i nobili che componevano la corte e, ovviamente, quella per i la sola famiglia reale.
Per comodità erano state tutte costruite in prossimità della stessa zona, ma con le dovute distanze tra di loro, tuttavia era comunque una delle parti più trafficata dopo le cucine: Gli addetti alle scuderie a alla manutenzione delle stalle facevano sempre avanti indietro trasportando mangime, selle e attrezzi nella loro fretta. Insomma era facile anche solo incrociare qualcuno in quelle zone, anche quando la neve riempiva le strade e faceva calare le temperature.
Ovviamente anche Hela possedeva un cavallo (per la precisione uno stallone), uno di quelli alti e massicci dove la tua testa arriva a metà del suo muso, il quale ti guarda dal suo metro e novanta di altezza scrutandoti con docile indole. Il pelo era folto per resistere alle fredde temperature ma era tenuto alla perfezione grazie alle amorevoli attenzioni della sua padrona che non permetteva a nessuno di spazzolarlo siccome ci voleva pensare lei. Il manto cadeva lungo anche sugli zoccoli coprendoli parzialmente e sugli occhi siccome la criniera era molto corposa, tutta via la principessa aveva parzialmente ovviato al problema creando piccole treccine chiuse con delle piccole pietre colorare. Bjakàn era il suo nome e la sua particolarità era il colore del suo manto che si trovava tra un indefinito bianco e tra un nero tenue; infatti la madre del destriero, Kaen, era una cavalla bianchissima e l’avevano fatta accoppiare con un altro puro sangue nero e il loro figlio era uscito con questa mescolanza indefinita, ma stupenda da vedere.
 
 
Il sentiero era stato spazzato dalla neve quella mattina, ma la neve stava nuovamente ricoprendo la strada. L’inverno non perdonava ad Asgard.
La figlia del principe cadetto si muoveva decisa, il lungo e pesante mantello nero sembrava farla risaltare nella neve e le frusciava silenziosamente tra i piedi sfiorando il terreno. Nuvole di condensa si formavano ad ogni suo respiro le quali si disperdevano nell’aria pungente.
Si trovò difronte ad un bivio: a sinistra per le scuderie delle guardie, a destra per quelle reali. Prese quest’ultima. La neve fioccava e la strada ancora deserta per via dell’ora inusuale – l’alba era sorta meno di un’ora prima – rendeva il paesaggio un posto ancor più incantato. Una landa bianca abbracciata sullo sfondo da alte montagne, il tutto contornato da un silenzio surreale rotto solo dal rumore degli stivali che affondavano nella neve.
Incontrò solo verso la metà della strada il fabbro che, con il figlio, stava trasportando i ferri per gli zoccoli dei cavalli in due enormi sacchi al quanto scomodi.  I due le riservarono un segno di riverenza interrompendo quel abbozzo di discorso bruscamente, prima di continuare nel loro cammino dileguandosi alla svelta.
Per quanto in pessima luce fosse la discendenza di Hela nessuno si permetteva di non salutarla adeguatamente in quanto membro reale, ma la gentilezza e i modi di facciata finivano li: un saluto abbozzato con il capo, un piccolo inchino mentre si spostavano per lasciarle il corridoio libero oppure un formale “Principessa” siccome appena qualche falciate di distanza iniziava un vociare sommesso e spesso intriso di cattiveria; lingue affilate che credevano di non essere udite che lasciavano rotolare fuori commenti decisamente contro ogni galateo.
“La figlia di quel invertito.”
“Che pena che mi fa. La figlia di un traditore.”
“Figlia bastarda.”
E quando non lo dicevano lo pensavano.
In certi momenti, quando odio e astio venivano a galla prepotenti come aguzzini, si riprometteva che l’avrebbe fatta pagare a tutti vendicandosi. Poi si ricordava che se mai avesse distrutto questo posto non avrebbe avuto dove andare, non aveva nessuno al di fuori di sua nonna, la quale l’amava sinceramente come aveva amato suo padre prima di lei e – in alcuni momenti – anche suo zio Thor. Ammetteva che spesso provava ad essere un buon sostituto di Loki ed aiutarla (dopo tutti c’era anche lui nei suoi primi ricordi d’infanzia) anche se il più delle volte risultava impertinente, fuori luogo e decisamente scomodo. Tutta via non era totalmente colpa della inettitudine del dio del tuono ma del fatto che tra di loro c’era ormai una distesa di differenze e incomprensioni che orai era pari alla distanza tra due pianeti. 
Arrivò alla porta della sua scuderia e aprì il grande massello richiudendoselo dietro quasi subito per non far entrare il freddo gelido.
La scuderia conteneva cinque cavalli ed era molto spaziosa.
I puro sangue si mossero a disagio per la folata gelida: “Scusate.” disse la ragazza mentre alzava gli occhi al cielo.
Si incamminò verso la fine della stanza, prese l’attizzatoio senza fermare i suoi passi e con un gesto deciso lo piantò nel largo braciere ravvivando la fonte di calore che presto si tinse nuovamente di quel aranciato accesso. Non esitò oltre e si chinò sulle ceneri, mise una mano a cono davanti alla sua bocca e con un soffio una fiamma esplose riprendendo ad ardere prepotente emanando calore.
“Molto meglio.” Disse fiera guardando il suo operato, era decisamente brava nell’usare la magia e le rune. Finalmente si poté dedicare interamente al suo cavallo.
 
 
 
Bjakàn sembra non curarsi della neve, cosi come colei che lo stava montando.
Andavano veloci per quelle radure sterminate, il vento le tagliava crudelmente gli zigomi e le annodava gli scompigliati capelli neri, ormai sciolti del tutto, erano in balia delle folate, le quali li facevano agitare come lingue di fuoco.
La corsa sfrenata alzava un mucchio di neve e lasciva dietro di sé una pista inequivocabile che si addentrava sempre di più nel cuore della foresta.
Il cavallo saltava tronchi caduti a terra ed Hela riusciva a far restare integro il ritmo di quella sfrenata corsa sfrecciando tra gli alberi.
Ad un occhio esterno poteva sembrare che quella fosse una rotta totalmente casuale, ma la verità era che invece quella era una strada molto conosciuta per i due. In un movimento rapido e deciso la figlia di Loki mollò le redini del suo cavallo – sicura del fatto che l’animale avrebbe continuato la sua corsa tranquillo – prese una freccia dalla faretra che aveva addosso e slacciò i lacci che tenevano legato il suo arco alla sella con uno strattone secco. Caricò, mirò, aspettò e… scoccò. Il dardo volò assordante dritto per dritto per poi incastrarsi su un piccolo piattello appeso ad un albero invisibile ad un occhio qualunque per il fatto che era totalmente ricoperto di neve. L’urto ne fece cadere un bel po’ rivelando che era stato colpito il cento preciso.
Ripeté quei gesti ancora e ancora, e ad ogni lancio le frecce si ficcavano nel centro esatto; i bersagli erano ovunque e sparsi in tutta la foresta.
Hela non se la cavava molto nei combattimenti e in tutte le cose che richiedessero una prestazione fisica elevata, per questo adoperava e specializzava l’uso della magia oltre a leggere praticamente tutti i libri della biblioteca pubblica e privata presenti nel castello. Ma sicuramente il tiro con l’arco e l’equitazione erano le due eccezioni.
 
Aveva un che di liberatorio cavalcare pensò Hela mentre riaccompagnava Bjakàn nella sua scuderia. L’adrenalina saliva facendoti dimenticare il freddo pungente, il vento tra i capelli, l’arco che scocca… ti faceva dimenticare ogni pensiero, era bello in un certo senso e le capitava di farlo spesso.
Il cavallo tirò le redini molli, con cui la sua padrona lo stava guidando facendo uscire nuvole di condensa dalle grosse narici.
“Buono, buono” disse gentile mentre l’accarezzava “Lo so, hai freddo.”
Erano a metà strada quando si affiancò al tato destro del cavallo un giovane ragazzo.
“Principessa buongiorno” disse mentre faceva un profondo inchino che aveva l’aria di essere tutt’altro che rispettoso. I suoi corti capelli di un biondo lucido ondeggiarono con il vento.
“Cosa vuoi Fenrr?” Chiese acida mentre continuava per la sua strada.
Fenrr Halvorsen era il figlio del generale delle guardie di palazzo. Praticamente era una presenza fissa alla corte e suo padre, Borjen Halvorsen, si era fatto distinguere per le sue azioni degne d’onore durante la guerra su Jǫtunheimr e per questo riceveva tutti gli onori oltre che godere della fiducia del re e questo fatto non faceva altro che accrescere l’ego già smisurato del figlio.
“O niente…” iniziò lui con finto disinteresse. Quel ragazzo aveva un pallino che si chiama Hela, la odiava – sentimento più che contraccambiato – e il fatto che condividessero la stessa età e il luogo dove vivevano non aiutava quest’ultima ad evitare l’odiato coetaneo siccome il palazzo spingeva molto per far si che ci fosse una forte aggregazione tra i più giovani.
“Non lo senti questo odore principessa?”
“Quale?” l’inespressività nella voce di Hela faceva intendere il suo interesse per l’argomento.
“Di bastardina.”
Cadde il silenzio. Hela si spaccò il labbro a sangue. Fenrr non avrebbe mai osato dire quelle cose davanti a chiunque che non fosse il suo gruppetto di amichetti, ma ora non c’era letteralmente nessuno.
“Non sono una figlia bastarda.”
“Allora dimmi chi era tua madre.” Disse il ragazzo con un sorrisone. Se non fossero stati loro Hela lo avrebbe trovato bello, molto bello.
“Primo” iniziò decisamente seria “Perché ti interessa tanto di mia madre?” e prima che il suo coetaneo potesse aprir bocca continuò in modo decisamente brutale “E secondo, sai che è vietato chiederlo.”
Fenrr rise, un suono cristallino uscì dalla schiera di diritti denti. Un suono che sarebbe potuto passare come innocente e divertito, ma che risuonò come qualcosa di decisamente poco felice.
“Lo so, sono curioso” face due passi più lunghi portandosi davanti ad Hela “Sai, se la famiglia ci mette sopra un divieto di parlare e di indagare… deve essere molto interessante.”
Si sistemò il ciuffo biondo “E poi… Tutti pensano che tu sia una figlia bastarda. Volevo solo confermarlo.”
“Spero di averti aiutato nei tuoi dubbi.” Disse acida Hela.
“Oh si, è stata la conferma più limpida dell’acqua d’estate… bastardina” 
La principessa cadetta non gli saltò al collo per pura fortuna, fremeva di rabbia.
Fenrr si incamminò allontanandosi vittorioso.
La verità, doveva ammettere Hela, che neanche lei sapeva esattamente tutta la storia su sua madre: era troppa piccola per chiederlo quando suo padre c’era ancora, prima che fosse incarcerato da qualche parte in un luogo remoto per aver tentato di distruggere la terra e la spiegazione che le era stata data era che semplicemente se ne era andata. Hela ci aveva messo sopra una pietra e aveva smesso di pensarci; sua madre era un altro di quei nomi che si aggiungevano a quella lista di persone che non si erano mai interessati veramente a lei. Tutto qui, semplice e cauterizzante. Niente sofferenza, pianti epensieri. Era meglio per evitarsi di portarsi un altro fardello mentre arrancava con la sua vita.
Anche se, mentre osservava quello stronzo di Fenrr allontanarsi verso il castello fino a diventare un puntino che scompare all’orizzonte, la paura che veramente lei potesse essere una figlia bastarda le si insinuò come un tarlo della sua coscienza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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