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Autore: Restart    12/07/2020    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1999
Caterina scese dal treno a corsa: se non fosse andato alla velocità della luce sarebbe arrivata sicuramente in ritardo. Gli anfibi neri cominciavano già a grattugiarle i talloni e lei si maledisse: mai mettere gli anfibi nuovi in situazioni al limite. Ma erano così belli, così lucidi, le stringhe nuove, pronti a essere indossati. Non trovava mai una situazione perfetta: per andare in università sarebbe significato maciullarsi i piedi, e lo stesso per uscire, visto che ai suoi amici piaceva farsi tutta Firenze a piedi e non stare seduti in un bar. No. Troppo facile. Perciò aveva un paio di scarpe da ginnastica bianca che ormai chiedevano pietà e un paio di anfibi neri intatti, bellissimi, scomodissimi.  Perciò due giorni prima, quando era andata a casa di Gabriele, a Viareggio, aveva messo quegli anfibi nuovi e bellissimi. Si sentiva Winona Ryder. Giovane carina e disoccupata. Ci aveva fatto il callo, o forse sarebbe meglio dire che si era spaccata le caviglie. E correre per raggiungere la facoltà sarebbe significato far finire i piedi in un bagno di sangue.
Presa dalla fretta, Caterina si era anche dimenticata di fare colazione e aveva lo stomaco che le faceva talmente tanto male che probabilmente sarebbe caduta a terra da un momento all’altro. Controllò l’orologio della stazione: erano le nove e dieci. Si sentì avvampare per la vergogna e la rabbia di non aver saputo leggere l’ora. Poi la consapevolezza del cambiamento dell’ora da legale a solare la schiaffeggiò potentemente. Aveva fatto le corse per poter essere in facoltà alle dieci e mezza, era sicura di essere in ritardo mostruoso e non si era resa conto che l’ora era stata cambiata. Anzi, era proprio convinta che avessero sbagliato tutti e che il suo orologio mezzo scassato fosse l’unico ad avere ragione. Improvvisamente con tutto quel tempo libero da riempire, decise che la soluzione migliore sarebbe stata quella di prendere almeno un cappuccino. Il suo piccolo bar di fiducia in via de’ Servi aveva i migliori cornetti alla crema di tutta la città e quando vi entrò il profumo di paste fresche la fece sbarellare. Al primo morso di cornetto stava già infinitamente meglio. Si sedette più comoda sulla sedia e non fece nient’altro che godersi quel momento di solitudine.
Troppo presto.
Un ragazzo poco più grande di lei si era piazzato proprio sulla sedia davanti alla sua: Caterina non poté far altro che arrossire per l’imbarazzo di trovarsi uno sconosciuto pronto alla conversazione. La guardava sorridente dietro quegli occhiali da nerd.
«Ciao, disturbo?» Sì. Pensò velocemente. Si sistemò sulla sua sedia e si schiarì la voce. Un flebile “no” le uscì dalla bocca.
«Non per altro, eh, ma ci sono tutti i posti occupati e questo è l’unico momento in cui riesco a prendermi dei momenti di solitudine, poi tutto il giorno a correre dietro o ai professori dell’università, alle lezioni, oppure ai clienti del bar dove lavoro. Dieci minuti, giuro. Poi levo le tende» dette un morso alla sua pasta e sorrise a Caterina, col naso impolverato dallo zucchero a velo. Lei si sentì inondata da tutte quelle informazioni. Si limitò ad annuire debolmente, continuando a sorseggiare il suo cappuccino. Speriamo non attacchi bottega.
«Comunque, visto che siamo così vicini, sarà giusto presentarsi, che dici? Stefano» le porse la mano. Lei allungò la sua e strinse piano, timida, sperando che lui non si accorgesse di quanto umidiccia fosse la sua, per via della vergogna. «Caterina» la mano di Stefano era morbida, liscia, calda.
«Bello Caterina, nome importante. “Pura” in greco. Sai che è un nome da regine?» lei annuì, nuovamente, a scatti. Non una parola riusciva a trovare la via d’uscita. Nessuna. Era sempre stata una persona timida, siamo d’accordo, eppure non aveva mai avuto questi blocchi davanti alle persone. Sembrava quasi che la personalità di Stefano l’avesse sovrastata. Gli occhi azzurri, il sorriso simpatico, la mano morbida, l’accento napoletano.
«Cosa studi, Caterina? Cioè, studi?» nel frattempo lui continuava a parlare e mangiucchiare la sua pasta, guardando la ragazza fissa negli occhi, come se cercasse di leggerla. Lei, non riusciva a sostenere lo sguardo e cercava di sviare.
«Storia dell'arte» rispose a fior di labbra, inghiottendo un altro sorso di cappuccino. Lui sembrò illuminarsi, ancora più di prima.
«Ma è fantastico! Io faccio Lettere, ma la tua facoltà mi è sempre interessata, anche perché in una città come Firenze, così ridondante di arte, come fai a non volere conoscerla tutta, da cima a fondo? Sai cosa mi piace pensare? Che proprio in queste vie, queste vie dove cammino io ogni giorno, un po’ svogliato, un po’ di corsa, ci camminavano Leonardo, Dante, Michelangelo! È un pensiero infantile, però mi fa stare bene, mi rende felice di aver scelto questa città per studiare» le rivolse un altro sorriso conciliante e a questo giro Caterina riuscì a sciogliere un po’ di quei fili che la tenevano stretta, impettita, sulle sue.
«Anche io la penso così. Pari pari» lo disse ancora troppo debolmente rispetto a come voleva, però sentì una parte della tensione andare via. Stefano sembrò captare questo cambiamento in lei e i suoi occhi ebbero uno strano scintillio. «Bene. Sono contento. Mi piacerebbe che tu potessi farmi da guida turistica uno di questi giorni, eh? Ti andrebbe?» aveva sganciato il pezzo da novanta. La vide fremere un poco, cercare un appiglio esterno. Caterina non voleva dirgli di no. Avrebbe voluto gridare sì, ma si sentiva bloccata. Non aveva mai avuto un appuntamento prima d’allora. Si era sempre bloccata.
Ora non c’era più tempo di bloccarsi. Doveva agire.
«Certo, lasciami il tuo numero o nome, qualcosa via». Il suo tono di voce è finalmente uscito, constatò Stefano con un mezzo sorriso. Strappò un pezzo di quaderno e scrisse tutto quello che le poteva interessare.
«Ci vediamo in giro Caterina» le rivolse un ultimo sorriso conciliante e se ne andò, accodandosi ad un gruppo di ragazzi che molto probabilmente non conosceva nemmeno. Caterina rimase a guardare fuori stringendo tra le mani quella carta ruvida dove c’erano gli scarabocchi più importanti della sua vita. Ma questo lei ancora non lo sapeva.
*
Caterina spostò il peso da una gamba all’altra, continuando a guardare Stefano con le mani incrociate sul petto e le labbra serrate. Non c’era niente da identificare, codificare in lui. Era tutto alla luce del sole. Parlava di tutto quello che gli passava per la testa. E lo faceva sempre con quel sorriso dolce, simpatico. Caterina si chiese quando si sarebbe sentita tradita da lui. Sentiva il sospetto proprio dietro l’angolo. E questo lo rendeva tesa, la bloccava: non a caso non era mai riuscita ad andare oltre il terzo appuntamento. Non era volontariamente fredda e scostante, ma quella stretta allo stomaco che le prendeva ogni volta che un ragazzo interessato si faceva avanti, la terrorizzava, la gelava. Non si spiegava come mai. Non c’erano traumi, non c’era niente imputabile come causa alla sorgente. No. Solamente un’incondizionata paura di lasciarsi andare, di non avere il controllo su tutto. Stefano la faceva sbarellare. Lui non meditava su quello che diceva. Lui parlava. Lui era acuto senza riflettere. Lui era libero. Lei intrappolata in se stessa. Lui era un passo avanti a lei, sempre. Anche in quel momento lui era riuscito a trovarsi il suo punto d’osservazione perfetto per la Venere di Botticelli, mentre lei era rimasta indietro, ostacolata dalla folla.
Stefano se ne accorse dopo qualche minuto: era immerso nella contemplazione estasiata. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile rendere tanta grazia in pittura. Cercò Caterina alle sue spalle e le fece cenno di venire accanto a lui, per godersi meglio il dipinto. Ma lei fece intendere che c’era qualcosa che le impediva di progredire, di andare avanti. Fu lui a retrocedere di qualche passo, mettendosi al suo fianco. Le loro spalle si sfiorarono per un attimo: Stefano poteva sentire il profumo dello shampoo di Caterina. Lei si sentì ancora più paralizzata da quella vicinanza. Stropicciò con le mani umidicce quella brochure che le avevano dato all’ingresso. Manteneva gli occhi fissi in quelli della Venere. Il corpo fremeva. La mano calda di Stefano scivolò fino al suo polso e l’accarezzò. Caterina fremette ancora. E continuò a fremere anche quando lui cercò di stringerle la mano. Si staccò bruscamente da Stefano.
«Andiamo nell’altra stanza, ti va?» lo disse cercando di tenere il tono più fermo possibile, cercando di guardarlo seriamente negli occhi. Lui parve ferito per come l’aveva rifiutato, ma annuì comunque e la seguì.
Fecero tutto il museo: Caterina teneva le distanze, ma rispondeva con tutta sicurezza alle domande di Stefano. E non erano mai poche. Quando arrivarono in cima, sulla terrazza, il cielo ormai era rossastro. Avevano passato un intero pomeriggio dentro gli Uffizi ed erano esausti. Il tempo permetteva ancora di godersi il tramonto all’aperto, senza correre a cercare un posto dentro cui rinchiudersi. Presero un caffè insieme e parlarono di tutto quello che passava per la mente di Stefano. Tutti gli argomenti: cucina, arte, scuola, università, amici. C’era solamente una cosa a cui Stefano non accennava mai: Napoli. Era proprio il suo tasto dolente, l’unica domanda di Caterina che era rimasta senza risposta. Quando gli aveva chiesto come fosse la sua città, Stefano si era limitato ad accennare un piccolo sorriso nostalgico e a sussurrare che fosse bellissima. Inspiegabile a parole.
«Io ti faccio da guida a Firenze, tu mi farai mai guida a Napoli?» Stefano, per la prima volta da quando si erano conosciuti divenne improvvisamente di marmo. I suoi occhi divennero lucidi.
«Certo, se ci andremo» tutto il suo dolore era concentrato in quel periodo ipotetico. Caterina non poteva sapere che stare in Toscana, a centinaia di chilometri da casa per Stefano era una sofferenza indicibile, eppure necessaria se voleva stare bene. Questo paradosso l’avrebbe appreso con gli anni al suo fianco. Stefano non era riuscito a trattenersi e stava piangendo. A Caterina un po’ stupì con quanto poco interesse per gli altri potesse fare una cosa del genere in pubblico. Come di getto gli prese le dita, cercando di potergli dare un supporto, un salvagente. In pochi attimi si era vista sgretolare una figura che le sembrava talmente forte da poter vincere tutto. E si sentiva in parte in colpa. L’aveva trascinato nell’abisso e sentiva suo dovere aiutare a venire a galla. Stefano sbatté un paio di volte gli occhi per realizzare quello che lei stesse facendo: strinse più forte, cercando tutto l’aiuto possibile.
*
2000
Caterina aveva invitato Stefano alla grigliata del 25 aprile a casa di Tommaso. Caterina aveva scoperto che Stefano era nello stesso corso di Massimo. E che erano amici prima che lei lo conoscesse. Lui era pieno di amici. Lei ne aveva pochi, ma era sicura fossero quelli buoni. Quelli che durano per una vita. Lo aveva capito guardando felice la tavolata davanti a sé. Gente diversa, gusti diversi. Guardò ammirata Stefano: era entrato in sincronia con tutti, tutti gli volevano già bene. Era il suo migliore amico. Sul serio. Ma da qualche tempo ormai, i suoi sentimenti per lui sembrano essere cambiati. Se ne era accorta. Sentiva che le piaceva stare al suo fianco. Le piaceva studiare insieme a lui, passare del tempo insieme. Le piaceva andare a Boboli con lui, sedersi sul prato e rimanere lì, in silenzio, ognuno nel suo proprio mondo, col proprio libro in mano, ma con la certezza che l’altro fosse lì, presente.
Stefano le sorrise, facendole passare le dita sul dorso della mano. Durò un secondo, poi lui tornò sulla conversazione accesa con Marco e Massimo. Caterina voleva chiedergli di mettere ancora le dita sulla sua mano, gli voleva chiedere di accarezzarla ancora, di sorridergli ancora. Sentiva quest’energia dentro che per lei era completamente nuova, completamente inaspettata. Ma sentiva il peso del rimpianto, per aver lasciato scappare il momento, opprimerla, farle mancare il respiro.
Da quel momento in poi si rinchiuse nel suo bozzolo sicuro, fremendo.
Appena tutti si alzarono da tavola lei si andò a nascondere sotto il ciliegio maestoso. Sperava che nessuno la vedesse, nessuno si accorgesse di lei. Voleva affogare nella vergogna. Ma le sue speranze rimasero inattese. Stefano era al suo fianco.
«Sei rintanata di nuovo» aveva iniziato ad usare qualche termine toscano e il suo sforzo per impararne il più possibile lo rendevano buffo.
«Non mi sono rintanata. Avevo bisogno di qualche minuto sola» disse lei mentre si tirò su frettolosamente e pulendosi l’abito azzurro. Ma non aveva fatto i conti col fatto che si sarebbe trovata davanti agli occhi cristallini di Stefano. Lui percepì il disappunto di lei nel non aver calcolato tutto passo per passo, come era suo solito. Caterina capì di essere ad un bivio: poteva fare un passo audace, come non ne aveva mai fatti, oppure continuare nel suo cammino di occasioni perse.
Fece un passo nella direzione del ragazzo, la sua mano passò dietro la nuca e lo fece avvicinare. Le loro fronti si sfioravano, i loro nasi erano a contatto, poteva sentire i respiri caldi di Stefano. Avvicinarono le labbra insieme, come colpiti da una spinta sconosciuta e improvvisa. Era quella la scelta giusta. Caterina lo comprese non appena lui le avvolse le braccia attorno alla vita e la fece accostare ancora di più al suo corpo.  Caterina si sentiva al settimo cielo.
   
 
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