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Autore: Juliet8198    15/07/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I colori davanti agli occhi di Jein si rincorrevano e fuggivano, si scontravano in misteriosi connubi e si sposavano in perfette armonie. La ragazza aveva passato gli ultimi venti minuti a fissare il quadro dell'artista anonimo posto davanti a sé nel corridoio del reparto di neurochirurgia. Erano leggermente in ritardo con le visite di controllo. 

 

A forza di fissare insistentemente l'immagine astratta, i suoi occhi avevano iniziato a bruciare e sentiva emergere un leggero mal di testa, perciò distolse lo sguardo. Spostando il peso su un fianco, incrociò le gambe facendo cigolare la sedia metallica e spinse la sua osservazione fino al termine del corridoio. In fondo, poteva intravedere la sala d'attesa principale, quella con la macchinetta del caffè e le poltroncine basse. Immaginò di girare a destra e infilarsi nel secondo corridoio, quello di fronte all'ascensore. Dopo un paio di svolte, sarebbe giunta nella stanza in cui era stata ricoverata fino ad appena una settimana prima. 

 

Con una smorfia, abbandonò il viaggio che la sua mente stava percorrendo e prese a fissare la porta dell'ambulatorio in cui sarebbe dovuta entrare per la visita di controllo. A forza di rimanere seduta lì, in un corridoio deserto, nel totale silenzio senza sapere che cosa fissare, cadde in uno stato quasi ipnotico, in cui i suoi pensieri presero le briglie della sua attenzione. Immagini casuali e assurde apparivano come flash dietro ai suoi occhi, abbagliandola e lasciandola a brancolare in confusione. 

 

Un angelo. La Luna. Delle scatole gemelle. Una casa affacciata su un lago. Un... bambino. 

 

Jein sbatté le palpebre un paio di volte. 

 

Una persona. C'era una persona con lei? Un ragazzo? Non ne era sicura. 

 

Una canzone. Una melodia confusa e lontana ma che significava qualcosa, ne era sicura. Inconsapevolmente, la sua gola iniziò ad emettere le note che la sua mente stava ripescando da chissà quale anfratto della sua memoria. 

 

 

-La visita è finita?- 

 

Jungkook, nervosamente seduto sul ciglio della poltroncina, alzò gli occhi sul suo hyung. Yoongi scosse brevemente la testa, riprendendo a sorseggiare il suo americano. Ogni volta che il medico faceva la visita giornaliera, il giovane diventava un bandolo di ansia e apprensione. Ma, d'altronde, non aveva tutti i torti. Ogni giorno speravano di ricevere buone notizie e ogni giorno ricevevano lo stesso verdetto. 

 

"Finché non siamo sicuri che l'aneurisma si sia completamente chiuso, non possiamo decretare un miglioramento." 

 

Se i nervi di Yoongi erano irritati, quelli di Jungkook stavano per esplodere a causa dell'impazienza. Il maggiore osservò il piede del più giovane tamburellare velocemente sul pavimento, i suoi occhi fissi per terra, concentrati in chissà quale nefasto pensiero. Il ragazzo fece per aprire la bocca, nel tentativo di rasserenare il suo dongsaeng, quando quest'ultimo alzò di scatto la testa come un cane che aveva fiutato un nuovo odore. 

 

Yoongi lo vide spalancare gli occhi e aggrottare le sopracciglia, mentre sembrava tendere l'orecchio verso il suono che aveva preso a diffondersi debolmente nell'aria. Sembrava la voce di una ragazza che mormorava una canzone fra le labbra. 

 

Il più grande guardò con stupore mentre Jungkook si staccava di scatto dalla poltroncina, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il corridoio che portava agli ambulatori. Sembrava avere fatto una scoperta sensazionale, dal modo in cui si muoveva rapidamente e concitatamente, perciò Yoongi fece per seguirlo. Quando entrambi giunsero sulla soglia del corridoio, però, l'unica cosa che videro fu una porta che si chiudeva. Era deserto. Le sedie erano vuote e l'aria era riempita solo dal pressante silenzio. 

 

-Tutto a posto?- chiese a quel punto il maggiore, fissando gli occhi febbrili del più giovane. 

 

Questo rimase ancora qualche istante ad analizzare l'area, come in cerca di qualcosa che si fosse nascosto alla sua vista, ma nulla si mosse. A quel punto, scuotendo debolmente la testa, si voltò e tornò nella sala d'attesa. 

 

-Qualcuno stava cantando la canzone che ho composto. Quella che ho fatto per Jimin hyung.- mormorò infine in risposta. 

 

Yoongi fissò il profilo contratto del suo dongsaeng attraverso il ciuffo di capelli che gli raggiungeva gli occhi. Lo contemplò nel suo modo di abbassare lo sguardo con imbarazzo, di farsi assorbire dai suoi pensieri e di corrucciarsi buffamente quando qualcosa non lo convinceva. Era grande, grosso e muscoloso eppure talvolta gli ricordava un bambino. D'altronde, era così. Era un bambino cresciuto troppo in fretta. 

 

Il maggiore, contemplando quei pensieri, diede brevemente una pacca sulla spalla al minore senza pronunciare una parola. 

 

-Sarà stato qualcuno che ti avrà sentito cantare dalla stanza di Jimin.-

 

"So che sei nervoso, ma non farti ossessionare dai tuoi pensieri." 

 

"Va tutto bene." 

 

Non erano frasi che Yoongi era solito dire ad alta voce. Neanche con il più giovane. Si limitò a trasmettergli quello che voleva dire con quel semplice gesto e Jungkook, che aveva la sua stessa scarsa propensione alle parole, capì all'istante. 

 

-La visita è finita. Potete tornare nella stanza.- 

 

La voce dell'infermiera attirò la loro attenzione, distogliendoli dai loro pensieri. Con un segno di assenso, entrambi si diressero verso la stanza di Jimin, lasciandosi alle spalle la silenziosa sala d'attesa. 

 

~~~~~~

 

Quello che li accolse oltre la porta fu un buio gentile. Non quel genere di buio che divora voracemente tutto ciò che cade nella sua trappola, unificando il mondo in un impietoso nero. Era un buio che lasciava intravedere loro i contorni dell'altra persona, anche se l'ambiente circostante era ancora un mistero. 

 

Non si chiesero dove fossero finiti. Ormai non si facevano più quella domanda. Si lasciavano semplicemente trascinare dalle correnti del sogno, placidi come ramoscelli cullati dalle onde. 

 

La prima fonte di luce ad emergere si stava dirigendo verso di loro. Quando Jimin si accorse che aveva due occhi e che puntava direttamente nella loro direzione, afferrò il braccio di Jein trascinandola al suo fianco. Accanto a loro, sfrecciò una macchina in quella che gradualmente si stava rivelando essere una strada. 

 

Il tragitto della vettura fu bruscamente interrotto da un ostacolo. Un palo della luce che si conficcò nel paraurti dell'automobile producendo un orribile schianto metallico. I due ragazzi guardarono nervosamente dai finestrini, da cui si intravedevano gli airbag esplosi nell'abitacolo e un principio di capelli che spuntava fra il bianco. 

 

Un gruppo di persone si avvicinò alla macchina con il telefono in mano, gridando aiuto e chiedendo un'ambulanza. Jimin distolse lo sguardo non appena notò che Jein stava girando intorno alla vettura e si portava vicino al finestrino del guidatore. Quando vide i suoi occhi spalancarsi con un'oscurità terrorizzata e agonizzante, fu al suo fianco in un istante. Attraverso il vetro si vedeva un volto incosciente, schiacciato dall'airbag contro il poggiatesta e sporco a tratti di sangue fresco. 

 

Jimin sentì un moto di nausea stringergli lo stomaco e alleggerirgli la testa. Sarebbe potuto svenire se non fosse stato in un sogno. Era Jein. Quel volto che amava e che venerava era tumefatto e sanguinante e inerme e più lo guardava più si sentiva svenire dalla sofferenza che la vista gli provocava. La vera Jein, quella al suo fianco, deglutì pesantemente con un leggero tremore e infine distolse lo sguardo. Lui non ci riusciva. 

 

All'improvviso, sentirono una forza prendere il sopravvento sul loro corpo. Era una sensazione bizzarra, come se un'enorme calamita li stesse attirando a sé, trascinando i loro piedi. Era come se si trovassero su un nastro trasportatore. Il pavimento si spostò, conducendoli lontano dalla vettura, dalle persone che gridavano aiuto cercando di aprire la portiera e dal volto sfigurato. Jimin, ritornando violentemente in sé come se avesse trascorso quegli istanti in apnea, afferrò rapidamente la mano della ragazza. Lui stava tremando più di lei. 

 

 

L'oscurità si dissolse lentamente in una stanza che Jimin aveva già visto. Doveva essere la camera di Jein. Una seconda versione di lei era sdraiata sul letto e fissava placidamente il soffitto mentre una ragazza marciava avanti e indietro per la lunghezza della camera, con il viso chiuso in un'espressione irritata e borbottando come una pentola a pressione. 

 

-Jein, sono stufa di questa storia. Non puoi andare avanti così!- 

 

La ragazza non sembrò minimante turbata dalle parole dell'altra. Rimase in silenzio, con gli occhi incollati al soffitto e un'apatica espressione sul viso. 

 

-Se non ci parli tu con i tuoi genitori, lo faccio io! Questa storia deve finire!- 

 

La testa della giovane sdraiata scattò di lato verso l'amica. 

 

-Certo, così magari capiti nel giorno in cui mia madre ti odia e ti becchi un coltello nella schiena.- mormorò freddamente lei in risposta. 

 

La ragazza in piedi fermò la sua marcia, pestando un piede a terra con irritazione. 

 

-Va bene, non è un piano perfetto. Ma devi andare via di qui!- 

 

Assorto nel contemplare la scena, Jimin si accorse improvvisamente del sussurro che la vera Jein, quella accanto a lui, aveva emesso. 

 

-Forse avrei dovuto ascoltare Kiki.- 

 

 

La gigantesca calamita li attirò nuovamente a sé e il nastro trasportatore invisibile fece spostare i loro corpi in un ambiente ancora più luminoso. Un corridoio largo si presentò davanti a loro come la scena di un film di cui erano gli unici spettatori, forzati ad osservare i personaggi appoggiati agli armadietti che recitavano la loro scena. 

 

-Jein, ma come fai ad essere sempre così... così... impassibile?- 

 

Una ragazza guardava con un misto di ironia e ammirazione la falsa Jein, che rispose semplicemente con una scrollata di spalle. 

 

-Che cosa pretendi? Lei è l'Iceberg! È la sua natura essere freddamente cool!- replicò un'altra ragazza, cinguettando allegramente in direzione della prima. 

 

Una giovane, che doveva essere Kippeum, fissava la scena con un'espressione crucciata sul viso. Seguiva infastidita lo scambio tra le due ragazze e poi rimbalzava sul viso di Jein, soffermandosi sui suoi occhi. Lei, d'altro canto, non pareva minimante toccata dalla situazione. Sembrava essere assorta nel suo mondo, un mondo a cui nessuna di quelle persone aveva accesso, fatta forse eccezione per Kippeum. 

 

La vera Jein, accanto a lui, emise uno sbuffo divertito. 

 

-Kiki ha sempre avuto un bel caratterino. Anche se allora non aveva ancora il fegato di farsi valere.- mormorò con un lieve ghigno sulle labbra. 

 

Jimin si aprì a sua volta in un timido sorriso, posando lo sguardo sulla ragazza appoggiata agli armadietti. 

 

-Tu invece sembravi una gangster. Se fossi stata nella mia scuola avrei pensato che fossi una bad girl che portava un mare di guai.- 

 

Appena finì di pronunciare quelle parole, sentì il braccio bruciare e si accorse che Jein l'aveva colpito con un'espressione fintamente offesa negli occhi. Lui allora si lasciò sfuggire una risata, che fu bruscamente interrotta dal movimento delle figure nel corridoio. Dopo che le due ragazze sconosciute se ne furono andate, Kippeum si avvicinò a Jein e le afferrò una mano costringendola a voltarsi verso di lei. 

 

-Non mi piace il modo in cui parlano di te. Se le loro parole ti feriscono...- 

 

-Non hanno detto niente di che. Sto bene e, inoltre, non m'importa.- 

 

Detto ciò, la falsa Jein si chiuse in una semplice scrollata di spalle e si allontanò dall'amica, che la guardava con apprensione. 

 

 

Il nastro trasportatore li trascinò in silenzio vero la scena successiva, lasciando che l'angoscia di Jimin crescesse sempre più. 

 

-Sembra che stiamo andando indietro nel tempo.- sentì mormorare da Jein. 

 

Non fecero in tempo ad abbracciare con lo sguardo il nuovo ambiente che una frase violenta come una frustata tagliò l'aria. 

 

-Cosa vuol dire che hai perso il lavoro?!- 

 

La falsa Jein era in piedi in mezzo alla stanza, con i muscoli del viso contratti in una smorfia di pura rabbia e incredulità. Sua madre, di fronte a lei, si stava accartocciando su se stessa con un'espressione vergognosa. 

 

-Hanno detto che a causa delle numerose assenze non potevano più chiudere un occhio.- sussurrò la donna in risposta.

 

Jein dava l'impressione di volersi strappare i capelli uno ad uno. Contemplava la donna con amarezza e delusione. 

 

-Se avessi preso le medicine avresti potuto andare al lavoro regolarmente!- urlò rabbiosamente. 

 

Jimin, che osservava la scena con il cuore in gola, si accorse che la ragazza accanto a sé si era chiusa in un'espressione di sofferenza che non le aveva mai visto negli occhi. Era rimorso, misto a terrorizzata colpa. 

 

-Io le prendo le medicine, non è colpa mia...- pigolò la donna con le lacrime agli occhi. 

 

-Non è vero! Ho visto che le butti nel water, non dire bugie!- 

 

Ogni parola sferzava l'aria con una violenza inaudita e sembrava ferire i presenti, tagliandogli la pelle e l'anima. La donna si alzò con slancio dal suo bozzolo e puntò gli occhi rabbiosi sulla ragazza. 

 

-Smettila di trattarmi come se fossi tua figlia! Non hai nessun diritto di dirmi quello che devo fare!- 

 

Jein spalancò ancora di più gli occhi davanti alla donna pietosa davanti a sé. 

 

-E allora inizia a comportarti da madre!- gridò con la gola raspante di rabbia. 

 

-No...- 

 

Jimin portò velocemente lo sguardo sulla creatura accanto a sé, che si stava incupendo sempre di più. Aveva iniziato a tremare. 

 

-Non è colpa tua... perdonami...- mormorava con lo sguardo fisso sulla donna distrutta al centro della stanza. 

 

-Perdonami...-

 

 

*CRYING IN JAPANESE*

Ma raga...vogliamo parlare di Your eyes tell? No, non ne vogliamo parlare perché appena ho sentito Jungkook partire per l'Everest con quel falsetto celestiale io ero passata ad altra vita. 

Va beh, sciocchezze a parte... Ho vinto un altro scambio letture! Se continua così l'andazzo mi sa che farò un capitolo apposta per i premi... non pensavo ne avrei mai avuto bisogno lol. 

Comunque, ecco il bollino del primo posto dello scambio di _AnaMariaS_ 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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