Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Evali    16/07/2020    0 recensioni
Spin off che scaverà in profondità nei personaggi di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark; un'ipotesi, o meglio, una mia versione, di come potrebbero essere andate le cose al tempo, una storia che non tratterà strettamente solo l'amore scoppiato tra i due, ma anche l'intero contesto in cui il nostro eroe e la nostra eroina vivevano, nonché gli anni del regno del Re Folle. Potrebbe esserci qualche piccola modifica rispetto alle informazioni rivelate nei libri.
Appartenente ad una saga, ma non è necessario aver letto le altre due storie per iniziarla.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aerys II Targaryen, Arthur Dayne, Elia Martell, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Schiavi d’amore
 
 
La principessa continuò a vomitare l’intera colazione che aveva consumato quella mattinata, senza tregua, trattenendosi l’oramai ingombrante e pesante pancione con la mano, mentre lady Ashara le reggeva i capelli indietro.
- Elia … - la richiamò affabilmente la giovane dama, in tono allarmato. – State rigettando cibo da quasi trenta minuti. Volete che mandi a chiamare il Gran Maestro …?
- No – la interruppe immediatamente la principessa, pulendosi la bocca con il dorso della mano. – Oggi è il primo giorno del torneo. Non posso permettermi di darmi malata – rispose categorica.
- Mia signora, state male. Se continuate così non avrete le forze per reggervi in piedi durante la giostra …
- Non dovrò stare in piedi, difatti. Mi basterà rimanere seduta sulle gradinate – la rassicurò voltandosi verso di lei e accennandole un lieve sorriso.
- Siete ancora sicura di non volere che mandi a chiamare vostro marito? Si preoccuperà se verrà a sapere solo dopo il torneo quanto siete stata male.
- Non proporlo nemmeno, Ashara. Ora lo scudiero di Rhaegar lo sta preparando per la giostra, tra meno di un’ora avrà inizio.
Lui non deve assolutamente venire a conoscenza del mio attacco di questa mattina.
Dunque, mi aspetto che tu non ne faccia parole nemmeno con tuo fratello, Ashara.
Quest’ultima annuì, cercando di nascondere lo sguardo inquieto.
 
- Devi infilare prima il cosciale e poi lo schiniere! – esclamò la giovane lupa trattenendo il respiro mentre il pettorale stretto le opprimeva il seno sottostante fasciato abbondantemente con delle bende, per appiattirlo il più possibile.
Il giovane crannogmen continuò ad allacciarle il cosciale con sguardo dubbioso. – Non cambia nulla se lo infilo prima o dopo lo schiniere.
- E invece sì, te lo dico io, Howland! Dovresti prestarmi attenzione, sono molto più esperta di te in queste cose, non ho fatto altro che infilare queste assurde armature ai miei fratelli sin da quando ero piccola.
Oramai la sua soglia di frustrazione e agitazione stava raggiungendo picchi inesplorati, e la vittima di quello stato d’animo pronto ad esplodere era il povero Howland, l’unico a conoscere il suo inestimabile segreto, l’unico complice.
Aveva trascorso l’intera nottata ad allenarsi, senza chiudere occhio.
Non che non lo avesse fatto anche nei giorni prima, non appena si trovava da sola e ne aveva l’occasione, chiedendo talvolta a Ned, talvolta a Brandon, di farle da sfidante.
Di nuovo, quel groppo di senso di colpa che le invadeva la gola per non aver fatto parola della sua folle idea ai suoi fratelli le oppresse il respiro.
Tuttavia, si ripeté per l’ennesima volta che non poteva metterli in pericolo in tal modo.
La responsabilità era sua e sua soltanto.
E di Howland.
Ma di Howland non poteva fare a meno per mettere in atto ciò che aveva in mente.
Non avrebbe potuto evitare di coinvolgerlo e, oramai, il crannogmen vi era dentro quanto lei.
Guardò il ragazzino inginocchiato dinnanzi a sé, concentrato ad allacciarle quel pesante pezzo di metallo intorno alla coscia, rendendola sempre più somigliante ai cavalieri che avrebbe affrontato fuori da quella tenda, che desiderava tanto emulare.
Quando si era iscritta al torneo all’alba, quella mattina, con un ingombrante mantello a coprirla da capo a piedi, aveva dichiarato di voler partecipare per vendicare l’onore di un crannogmen.
Qualche giorno prima aveva chiesto ad Howland quali fossero i cavalieri che lo avevano maggiormente e persistentemente infastidito prima dell’inizio del torneo.
Uno di Casa Haigh, uno di Casa Blount e un altro di Casa Frey, aveva detto il crannogmen.
Li avrebbe affrontati senza timore sul campo, lo doveva ad Howland, per tutto ciò che aveva fatto per lei, per aiutarla a realizzare il suo desiderio impossibile, rischiando a sua volta di essere scoperto.
Era stato lui a reperirle tutti i pezzi necessari a comporre un’armatura completa, elencatigli minuziosamente da lei stessa, rivolgendosi ad un vecchio fabbro e supplicandolo di donargli tutti gli avanzi delle armature che aveva realizzato nel corso degli anni.
Erano vecchi catorci, ma avrebbero adempiuto alla loro funzione almeno l’indispensabile, Lyanna ne era certa, nonostante le pesassero addosso come macigni e puzzassero di metallo ossidato.
Si legò la lunga chioma di capelli in una treccia, che attorcigliò su se stessa e legò in cima alla testa.
Fortunatamente l’elmo che il fabbro aveva dato ad Howland era talmente grande da coprirle tutto il capo.
Quando il crannogmen aveva avuto la bella pensata di scolpire la sagoma di un albero cuore sul malmesso scudo che aveva reperito, alla giovane lupa era venuta una brillante idea. Il “Cavaliere dell’Albero che Ride” sarebbe stato il suo nome.
Un rimando alla sua infanzia, alla sua amata casa nelle lande del Nord che tanto le mancava, nonostante fosse giunta ad Harrenhal solo da poche settimane.
Sì, quel nome le piaceva, tanto quanto immaginava l’avrebbero odiato tutti gli altri.
La scusa che aveva rifilato ai suoi fratelli per giustificare la sua assenza al torneo era perfetta, almeno per i primi giorni.
A volte si sorprendeva lei stessa delle sue doti da bugiarda: assumendo il suo miglior sguardo afflitto, dolorante e melodrammatico si era attorcigliata alle coperte del letto e aveva cacciato malamente i suoi fratelli appena entrati nella tenda, biascicando e urlando loro di essere vittima di dolori insopportabili, poiché il sangue le era tornato ancora e loro, “poveri” fortunati, non avrebbero mai potuto comprendere i tormenti di una donna.
Poteva accadere che una donna perdesse sangue due volte al mese, di tanto in tanto, non era così strano.
Rise sotto i baffi al pensiero di quella esibizione impeccabile che aveva convinto i suoi fratelli a starle alla larga e a lasciarla a letto, senza farle pressioni per farla assistere al torneo.
Sicuramente, a suo padre, a Robert e a Cat si erano limitati a dire che la loro scapestrata sorella avesse un malore allo stomaco e nulla di più.
Quando Howland ebbe terminato di allacciarle tutte le parti dell’armatura, si rialzò in piedi e la osservò in silenzio.
- Allora…? – gli domandò in aspettativa.
- Sembri un cavaliere – si limitò a risponderle il ragazzo.
- Davvero?? Sembro davvero un cavaliere?
- Sì. Sei solo un po’ bassa, ma l’armatura ti rende più robusta, almeno.
- Beh, è già qualcosa – gli rispose sorridendogli raggiante. – Grazie di tutto, Howland. Non dimenticherò mai ciò che hai fatto per me.
- Non devi ringraziarmi – le rispose egli accennandole un sorriso a sua volta. – Tu mi hai salvato da quei ragazzi. Ti considero un’amica.
A ciò, Lyanna gli si avvicinò e lo abbracciò, stringendolo a sé, nonostante l’impalcatura che avesse addosso glielo rendesse non poco difficile.
Sì, sarebbe andato tutto bene se gli dèi l’avessero assistita.
D’improvviso, senza alcun motivo logico, un fulmine a ciel sereno squarciò il sollievo e la pace che aveva acquisito da pochi secondi.
Il ricordo della sera precedente, ancora fresco, limpido e lampante nella sua mente, le scosse le membra.
Quella mattina avrebbe rivisto il principe ereditario e, forse, lo avrebbe persino affrontato in campo.
L’avrebbe riconosciuta?
La parte di lui che era stata Calen lo avrebbe fatto? Avrebbe ricordato le parole che ella gli aveva pronunciato alla locanda?
E se avesse capito fosse lei, come avrebbe agito?
La giovane lupa non seppe trovare risposta a tali domande.
Sapeva solamente che un malessere e un fastidio alla bocca dello stomaco avessero cominciato a manifestarsi non appena aveva cominciato a pensare a lui, all’impossibile incontro che aveva avuto con il principe Targaryen solo poche ore prima, a quanto l’avesse scossa in ogni modo immaginabile ciò che aveva scoperto su colui che credeva il suo primo e intoccabile amore.
Come poteva aver creduto di amarlo?
Fino a che punto era stata accecata dall’innato fascino di quel forestiero per credersi innamorata di lui dopo quei brevi incontri?
E come poteva pretendere qualcosa di ulteriormente meraviglioso da tutta quell’assurda situazione, dopo aver sentito il cuore batterle tanto forte ed essersi resa conto di essere molto più donna di quanto si aspettasse?
Doveva esserci il risvolto della medaglia. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Sperare che il ragazzo che avesse incontrato quelle sere esistesse davvero e aspettasse solo che lei lo trovasse, era una fantasia degna della più ingenua e stupida delle bambine cresciute a pane e fiabe d’amore.
Ma il fatto che quell’uomo, tra tutti, fosse proprio il futuro re dei sette regni, era un’informazione che ancora non riusciva a digerire, ed era convinta che mai vi sarebbe riuscita.
Era stata debole la sera prima. Debole e vile.
Era stata debole e vile per aver ceduto alla sua voce.
Lo era stata per essersi lasciata incantare e commuovere da quel bellissimo canto.
Quello con il quale aveva parlato la sera prima era un uomo che non conosceva, un estraneo, qualcuno capace di farla sentire inadatta, indegna, sciocca e senza importanza con un solo, freddo sguardo.
Improvvisamente, il suono del corno annunciò l’imminente inizio della giostra, distogliendola dai suoi pensieri, facendola allontanare da Howland.
- Devo andare.
Ma poco prima che avesse modo di infilarsi l’elmo e di accingersi ad uscire dalla tenda che li ospitava, una presenza a lei estremamente familiare piombò dentro l’abitacolo.
Per poco non urlò non appena gli occhioni chiari e spalancati di Benjen si posarono sul suo volto e sull’armatura da cavaliere che indossava.
- Lyanna …? – esalò il giovane lupo sconvolto, venendo immediatamente artigliato per le spalle da sua sorella e trascinato vicino a lei.
- Ben, per tutti gli dèi del cielo! Cosa accidenti ci fai qui?!? Non dovresti essere ad aiutare Ned e Brandon con le armature??
- Stavo girovagando nei dintorni per trovare qualcosa da fare … mi sembrava di aver riconosciuto la tua voce da fuori questa tenda, così sono entrato – si giustificò il suo fratellino.
- Benjen!!
- Che ho fatto di male?!
Lyanna scosse la testa e cercò di non urlare, per mantenere la calma e prepararsi ad uscire dall’abitacolo.
- Stammi bene a sentire, uragano: non dire una sola parola di ciò che hai visto ad anima viva, intesi? Intensi, Ben??
Questa sera ti spiegherò tutto.
 
Elia piangeva di dolore da tre ore ma rifiutava di farsi preparare qualcosa dal Gran Maestro.
Era assistita da una dozzina di dame, ma non voleva per nessun motivo al mondo farsi vedere in quello stato da lui.
Gli aveva ordinato di uscire dalla camera e di lasciarla sola, in compagnia solo delle sue dame, Ashara prima di tutte.
Non aveva potuto far altro che obbedirle, senza opporsi.
Quando attacchi tanto dolorosi e di tale gravità colpivano sua moglie, si sentiva totalmente impotente, disarmato, incapace di fare altro che non fosse accondiscendere alle sue parole disperate e singhiozzate.
Quei momenti erano sin troppo familiari per il giovane drago.
Quando era bambino e udiva sua madre lamentarsi e urlare dalla sua camera, non poteva fare nulla per alleviare il suo dolore, se non tenersi a distanza quando lei voleva restare sola, o restarle accanto quando ella aveva bisogno del suo affetto e del suo amore incondizionato.
Eppure, anche se avesse provato a riaddormentarsi come lo aveva pregato di fare Elia, occupando un’altra camera del castello, sapeva perfettamente di non esserne capace.
Nulla al mondo avrebbe potuto fargli l’incommensurabile dono di un’ora di sonno profondo ininterrotta, di pace e tranquillità.
La sua testa martellava, presa d’assalto.
Le allucinazioni erano meno frequenti rispetto a prima, ma gli incubi erano più imperterriti che mai.
La teoria di Arthur e di Richard, i quali ipotizzavano che oramai vedesse quelle immagini e sentisse quelle voci in testa anche quando erano assenti, ora non gli sembrava poi così discutibile.
Dopo aver convinto Arthur a rimanere con Elia e averlo rassicurato di star bene, aveva sceso l’immensa scalinata che lo avrebbe condotto ad uno dei piani inferiori dell’enorme e buio castello, muovendosi in silenzio, nonostante i suoi passi rimbombassero sulle mattonelle dure e fredde.
Stranamente, era una notte particolarmente calda.
Il pensiero che l’indomani sarebbe stato il primo giorno di torneo e avrebbe richiesto una consistente quantità di ore di sonno non lo preoccupava minimamente.
Attraversò il salone, notando una lampada accesa in una stanzetta che si affacciava ad uno dei corridoi.
Senza pensarvi, si avvicinò a quella luce, affacciandosi alla stanza.
Al suo interno, vi trovò il Ragno Tessitore seduto a terra, a gambe incrociate, con le mani abbandonate mollemente sulle ginocchia coperte dalla tunica, lo sguardo disteso e gli occhi chiusi.
Il tappeto doveva rendergli inaccessibile il freddo del pavimento, mentre la presenza di diverse lampade ad olio sparse per la stanza allietava l’ambiente, donandogli un aspetto confortevole e caldo.
Rhaegar non disse niente, non parlò, restando a guardarlo dal ciglio della porta per qualche secondo, con sguardo neutro.
- Se avessi saputo mi avreste fatto visita, vi avrei accolto come avreste meritato, Vostra Altezza – ruppe il silenzio Varys, continuando a tenere le palpebre chiuse, muovendo solo le labbra.
- Quello che state facendo vi aiuta a conciliare il sonno? – gli domandò il giovane drago, restando a sua volta fermo, sul ciglio della porta.
A ciò, il Ragno Tessitore aprì gli occhi per guardarlo. – Quando eravate bambino avevate lo stesso problema.
Non riuscivate mai a dormire, mio principe.
- Da bambino non riuscivo a dormire per motivazioni ben differenti da quelle che mi tengono sveglio ora, lord Varys – rispose facendo vagare le iridi per la stanza, osservandola.
Il Ragno accennò un sorriso. – Nutrite nostalgia di quei tempi, a loro modo spensierati?
Rhaegar tornò a guardarlo negli occhi. – Voi la nutrite?
- Se ne avete piacere, potete entrare e provare anche voi – lo invitò. – La meditazione aiuta a liberare la mente più di quanto qualsiasi altra pratica sia in grado di fare.
- Non credo che con me sortirà l’effetto sperato – rispose il principe entrando comunque nella stanza e sedendosi a gambe incrociate a sua volta, di fronte all’altro.
- Ciò vi desta preoccupazione? Il fatto che i vostri tormenti siano rimasti, nonostante ciò che è accaduto due notti fa in quella casa.
- Oramai non più. Ho accettato la mia maledizione.
- Vostra moglie? Sa in che stato siete?
Rhaegar accennò un sorriso amaro. – Il dolore che prova ella non è comparabile al mio. La principessa ha già il suo fardello a cui pensare.
- Posso chiedervi che cosa dicono?
Il principe lo guardò interrogativo. – A chi vi riferite?
- Le voci che udite tartassarvi la mente.
Rhaegar abbassò lo sguardo. – Alcune parole sono in lingue che non conosco.
Principalmente sono le voci dei miei avi, che mi incolpano per ciò che è accaduto alla Sala d’Estate.
Ma ce ne è una in particolare, che sovrasta tutte.
- Che cosa dice?
- “Il drago ha tre teste”.
Lord Varys schiuse le labbra, come se volesse dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
- Ho qualcosa per voi – disse dopo qualche minuto, alzandosi in piedi, mentre Rhaegar lo seguiva con lo sguardo, attendendo che continuasse.
- Come ben sapete, i miei uccellini sono pieni di risorse.
Sapevo soffriste di tali problematiche già da qualche tempo.
Recentemente ho avuto modo di far realizzare un potente siero, proveniente direttamente dalla Cittadella.
Nulla di rischioso da assumere, i Maestri sanno quello che fanno – gli disse prendono un’ampolla contenuta in un cassetto e porgendola al giovane drago.
- Se i Maestri hanno fatto il loro dovere, cinque gocce di questo siero al mattino dovrebbero aiutarvi ad affrontare il torneo lucidamente e senza distrazioni, placando quasi totalmente i mali che affliggono la vostra mente.
Purtroppo, l’effetto non è permanente, dura dalle cinque alle dieci ore, a loro detta.
Per tale motivo dovrete ricordarvi di assumerlo ogni mattina.
Rhaegar prese l’ampolla in mano, alternando lo sguardo tra questa e l’uomo dinnanzi a sé. – Da quanto state progettando di far realizzare questo siero appositamente per me?
- Da qualche mese.
Ovviamente, prima non sapevo che i vostri incubi sarebbero arrivati a tanto, ricordavo solamente i tormenti che vi avevano fatto passare intere notti insonni quando vivevate ancora ad Approdo del re, ma non avevo idea di quanto si fossero aggravati.
Tuttavia, dovrebbe funzionare comunque, poiché i Maestri l’hanno preparato al minimo dettaglio, un antidoto puro e concentrato, sotto mia esplicita richiesta.
Se siamo fortunati, la sua assunzione giornaliera vi farà tornare anche l’appetito – concluse il Ragno.
Rhaegar continuò a guardarlo in silenzio, essendo rimasto senza parole.
- Grazie, Varys – gli disse infine, rivolgendosi a lui per la prima volta senza appellativi.
- Non ringraziatemi se non volete offendermi.
È mio inequivocabile dovere e onore assicurarmi che colui che salirà al trono, governando su tutti e sette i regni, mi auguro il più a lungo possibile, sia in pace, in salute e al sicuro da ogni male che potrebbe affliggerlo.
Inoltre, vi ho visto crescere.
Vogliate credermi o no, mio principe, ma, malgrado tutto ciò che mi è accaduto e che mi ha condotto qui al vostro fianco oggi, sono ancora in grado di nutrire dei sentimenti.
- Manca solamente il mantello, Altezza, dopo di che avrò finito – il suo scudiero lo riscosse da quel ricordo di qualche ora prima, mentre era intento ad allacciargli l’ultimo pezzo dell’imponente armatura che avrebbe indossato per gareggiare al torneo quella mattina.
Il ragazzo strinse il laccio del pettorale nero e rosso che aderiva addosso al futuro sovrano, con lo stemma del drago a tre teste inciso sopra, mentre Rhaegar prendeva dimestichezza con quella sin troppo familiare corazza di metallo.
Aveva assunto le cinque gocce del siero appena sveglio, come lord Varys si era raccomandato, e, improvvisamente, quelle voci erano quasi scomparse, la spossatezza della nottata in bianco era svanita e l’appetito gli era tornato.
La fame lo aveva colto di colpo, come se dovesse ripagare al proprio corpo ogni briciolo del sostentamento che gli aveva negato in quell’ultima settimana tutto in una volta, spingendolo a consumare con impeto un’abbondante colazione composta da latte, pagnotte al burro, frutta, uova e carne.
Non mangiava così tanto a colazione da quando era bambino e aveva bisogno di energia solida per fare qualsiasi cosa.
Finalmente si sentiva in forze come lo era qualche settimana prima, con la mente libera, attiva, sveglia e lucida.
Quel siero doveva essere una miscela composta con il nettare degli dèi stessi.
Sperò solamente che l’effetto durasse almeno quanto si augurasse.
- Ecco fatto. Vado immediatamente a prendere il mantello, Maestà – disse il ragazzo ammirando il lavoro fatto su di lui, per poi volatilizzarsi fuori dalla stanza, lasciandolo solo.
Nel giro di pochi minuti il corno avrebbe suonato, annunciando l’inizio del primo giorno del tanto atteso torneo.
Improvvisamente, la serata appena trascorsa gli tornò alla mente, insieme a tutto ciò che aveva condotto ad essa.
Ripensò alla infantile e indicibilmente ignobile azione di suo padre di esiliare il giovane ser Jaime ad Approdo del re neanche cinque minuti dopo che il ragazzo aveva preso il bianco, divenendo ufficialmente un membro della Guardia reale, esattamente la sera prima dell’inizio del torneo, nel quale egli avrebbe dovuto e voluto gareggiare. Il tutto, solamente per capriccio.
Ripensò anche alla strana e inquieta conversazione che aveva tenuto con lady Stark, alla scomoda posizione in cui l’aveva messa, senza considerazione né riguardo nei suoi confronti e per i suoi sentimenti, facendole intendere di pensare solamente a se stesso, al proprio nome e alla propria reputazione.
Un pesante velo di rammarico gli adombrò totalmente il bel volto disteso e illuminato dal sole che entrava dalla finestrella in alto, facendogli ripercorrere ogni singolo errore commesso da lui nell’ultima settimana.
Un cuore buono, un animo impavido e scoppiettante come quello della ragazza che aveva avuto modo di conoscere alla locanda non sarebbe mai dovuto essere atterrito e mortificato da ciò che era accaduto tra loro, un errore perfettamente evitabile, una circostanza tra le più assurde mai createsi.
Fortunatamente, ora il tutto era terminato, quella breve parentesi che vi era stata tra loro non l’avrebbe più angustiata, volatilizzandosi come polvere al vento.
Eppure, qualcosa gli diceva che sarebbe dovuto accadere qualcos’altro.
Una stupida sensazione, nulla di più.
Quella veggente, alla locanda, aveva parlato di un destino comune tra lui e quella che aveva scoperto essere lady Stark.
Quella che poteva essere benissimo una ciarlatana, aveva sgranato per il terrore i suoi occhi stralunati dinnanzi a ciò che aveva visto, sul futuro che spettava loro.
Avrebbe mentito a se stesso se avesse negato che ciò lo allarmasse.
Il corno suonò, giusto qualche secondo prima che il suo scudiero rientrasse nella stanza con il lungo e maestoso mantello tra le mani.
La sua mente era libera, il torneo avrebbe avuto finalmente inizio, tutto sarebbe proseguito secondo i suoi piani.
Non vi era spazio per nessuna presunta profezia che determinasse il suo destino in quel momento, poichè, forse per la prima volta, se lo sentiva suo.
 
La giostra ebbe inizio.
Re Aerys restò a guardare dal punto più alto del soppalco per tutta la durata di quel primo giorno di competizione, affiancato da lord Varys.
Inaspettatamente, i quattro figli di lord Whent, palpabili vincitori, vennero disarcionati quasi subito, mentre una misteriosa figura, un certo Cavaliere dell’Albero che Ride, aveva stupito tutti i presenti, disarcionando consecutivamente ben tre cavalieri, uno di Casa Haigh, il secondo di Casa Blount e il terzo di Casa Frey.
Lo sconosciuto sembrava venuto al mondo per combattere in quel torneo, e ad Aerys ribollì il sangue nelle vene al sospetto che, dietro la sua identità nascosta, potesse celarsi quella dell’abilissimo spadaccino e combattente che aveva esiliato ad Approdo la sera precedente, quel ragazzino altezzoso e pieno di sé, figlio del suo odiato Primo cavaliere, Tywin Lannister.
Lo avrebbe strozzato e scorticato con le sue stesse mani se solo avesse potuto.
Lui, suo figlio, la puttana di sua figlia e quello scherzo della natura che aveva l’ardire di chiamare terzogenito.
Se solo la moglie del Lannister fosse stata ancora viva, sarebbe stata l’unica che avrebbe lasciato in vita.
E come se non bastasse, Rhaegar non stava muovendo un dito dinnanzi alla sprezzante audacia di quel ciarlatano che cavalcava con in mano quel rottame sul quale era scolpita la sagoma di un albero.
Se davvero si fosse trattato di Jaime Lannister, quel gesto sconsiderato, compiuto disobbedendo ad un ordine diretto del re dei sette regni, era considerato un insulto esplicito all’autorità di Aerys, punibile con la morte.
Ma Rhaegar sembrava quasi non curarsi di quel moccioso impertinente, non vedendo il pericolo che egli costituiva nonostante lo avesse ad un palmo dal naso.
Suo figlio cavalcava e combatteva come un glorioso guerriero in sella al suo possente destriero, pronto a far valere il proprio nome, il proprio onore, la propria inscalfibile aura dorata, totalmente incurante di chiunque macchiasse e infangasse il potere e la regalità di suo padre.
Ciò lo faceva imbestialire più del pensiero e della prospettiva del figlio di Tywin Lannister come vincitore del torneo.
- Lord Varys – pronunciò secco, richiamando l’attenzione del Ragno accanto a lui, facendo voltare Elia a guardarlo a causa del tono di voce platealmente indisponente e nervoso.
- Sì, Maestà?
- Andate immediatamente a riferire al principe ereditario di catturare quel ciarlatano che ha disarcionato tre avversari consecutivamente e di consegnarlo a me.
- Come desiderate, Altezza. Tuttavia, è mio dovere informarvi che ciò che desiderate voglio figlio faccia metterebbe in allarme l’intera platea di spettatori, rovinando l’atmosfera di lieta convivialità creatasi in questa prima giornata di torneo – gli comunicò il Ragno.
- Non mi interessa!!
Ti ho appena ordinato di fiondarti da mio figlio e di mandarlo ad imprigionare quel dannato Lannister insolente e traditore!! Crede che io non lo abbia riconosciuto, ma quel maledetto ragazzino non ha considerato che io non sono cieco quanto Rhaegar!!
Eseguite immediatamente ciò che vi ho detto, Ragno, o farò rinchiudere voi al suo posto!
- Subito, Altezza.
A ciò, lord Varys scese discretamente le gradinate, dirigendosi a passo spedito verso lo spazio riservato ai cavalieri partecipanti, scorgendo il principe impegnato a sistemare la sella del suo cavallo, affiancato da Arthur.
- Mio principe – richiamò la sua attenzione con urgenza, avvicinandoglisi.
- Qual buon vento – commentò il dorniano, guardandolo seccato.
- Lord Varys? Cosa ci fate qui? – gli domandò Rhaegar sorpreso.
- Vostro padre mi ha ordinato di riferirvi di catturare e di arrestare colui che si fa chiamare Cavaliere dell’Albero che Ride.
Il principe sgranò gli occhi prima di rispondere. – Parlate sul serio …?
- Sì, assolutamente. Il re crede che egli sia in realtà il giovane ser Jaime Lannister, il quale ha disobbedito ai suoi ordini ed è rimasto ad Harrenhal per partecipare al torneo sotto mentite spoglie.
Arthur rimase a bocca aperta più del principe stesso, dinnanzi a tale assurda supposizione. – Il succitato, in questo esatto istante, è sul campo e sta per partecipare ad un altro duello – lo informò, facendo voltare il viso di Varys verso il campo.
Il Cavaliere dell’Albero che Ride si ergeva sul suo destriero con abilità, reggendo la lancia con la mano e il braccio destro, pronto a guidare il suo cavallo dritto verso il suo avversario dall’altro lato dell’arena.
Improvvisamente, poco prima che i due duellanti si sfidassero alla giostra, si udì un urlo rabbioso e gracchiato provenire dalla cima delle gradinate, dalla posizione nella quale si trovava Aerys.
Il re si era alzato in piedi e stava gridando contro il misterioso cavaliere, sputando e imprecando furente. – Rivela ora la tua identità, spregevole scellerato!! Rivelala a me adesso, o ti farò bruciare vivo dinnanzi ai miei occhi!!
A tali parole, il misterioso cavaliere si allarmò e picchiettò con impeto la caviglia sulla carne del suo destriero, il quale cominciò a correre a gran velocità, portandolo lontano dall’arena.
Nessuno degli spettatori, degli altri cavalieri e degli uomini della Guardia reale sapevano cosa fosse appena accaduto, eccetto per Rhaegar, Arthur e Varys.
- Catturalo!! Portalo da me!! Ora!! – urlò Aerys, facendo comprendere al giovane drago di dover velocemente prendere in mano la situazione e sottostare a quell’ordine perentorio e delirante di suo padre, per non far peggiorare ulteriormente la situazione.
Rhaegar saltò svelto sul suo stallone e afferrò le redini. – Ristabilite l’ordine e rassicurate la platea e i partecipanti. Fate proseguire il torneo in tranquillità come è stato finora, mentre io mi occupo di quel cavaliere – si raccomandò ai due, poco prima di sfrecciare con il suo destriero fuori dall’arena a sua volta, senza attendere risposta.
Il misterioso sfidante si era diretto verso il selvaggio bosco, ben oltre gli accampamenti, andando ad addentrarsi nei meandri di quella natura frastagliata e ostile.
Il principe cavalcò con velocità e costanza, riuscendo a scorgere il suo bersaglio a distanza, ancora intento a scappare da lui agguerrito.
- Fermatevi! – provò ad esortarlo, oramai abbastanza vicino da potersi far udire, nonostante i metri di distanza che ancora li dividevano. – Non ho intenzione di farvi del male, ve lo garantisco!
Improvvisamente, in un attimo di distrazione fatale per lo sconosciuto, l’armatura di quest’ultimo si impigliò in un ramo particolarmente intricato con altri, facendolo cadere da cavallo e precipitare sull’erba.
A ciò, il giovane drago fermò il suo destriero e scese a terra a sua volta, avvicinandoglisi cautamente. Tuttavia, il fuggitivo scattò immediatamente in piedi nonostante la caduta, sguainando la spada contro il suo inseguitore.
In risposta, per stabilire un contatto visivo con la persona che gli era dinnanzi e spingerla a fidarsi delle sue parole, Rhaegar si sfilò l’elmo che aveva indossato nel momento in cui era corso all’inseguimento, facendolo cadere a terra.
Non appena mostrò il volto, notò che il fuggitivo ebbe un attimo di esitazione, vacillando.
Quella reazione confermò maggiormente le supposizioni del giovane drago.
Aveva sospettato che fosse lei sin dal momento in cui aveva saputo che un cavaliere misterioso avrebbe partecipato al torneo, quella mattina.
Poi, quando l’aveva visto duellare e battere i suoi avversari uno ad uno con una grinta, un impeto e un’impavidità fuori dal comune, aveva quasi avuto la certezza si trattasse di lei.
Come gli aveva garantito una di quelle sere alla locanda, Doen aveva davvero partecipato al torneo come cavaliere, nascondendo il suo volto e la sua identità per avere accesso alla competizione nonostante fosse una donna.
La guardò, dritto nel foro dell’elmo nel quale immaginava i suoi occhi lo stessero scrutando, sulla difensiva.
- Non vi farò nulla di male.
Avete la mia parola – tentò nuovamente, rivolgendole uno sguardo rassicurante.
Ma ogni sua speranza venne meno nel momento in cui ella parve riprendere il controllo di sé, rinforzando la presa sull’elsa della spada e puntandogliela contro, indietreggiando con decisione.
Lo attaccò per prima, forzandolo a difendersi, quasi sfidandolo a tenerle testa.
Ella sferrò una serie di attacchi particolarmente precisi e violenti, costringendo il giovane drago a contrattaccare, piuttosto che a limitarsi a difendersi, come era sua volontà.
Combatterono per un po’, in una serie di colpi di lama sferrati con forza e irruenza.
Il giovane drago comprese che il punto forte della ragazza fosse la sua implacabile energia, l’improvvisazione della sue mosse sempre diverse, la sua rabbia e la sua determinazione.
Ella invece, fu costretta a fare i conti con l’impeccabile tecnica, l’evidente abilità e maestria del principe drago nel combattimento, unita a suoi movimenti scattanti, fluidi e forti, perfettamente calibrati e puliti.
Stava provando con tutta se stessa a metterlo davvero in difficoltà, a costringerlo a combattere seriamente con lei, a difendersi con la stessa tenacia e convinzione che avrebbe mostrato per affrontare un qualsiasi altro avversario al suo livello, un cavaliere e uno spadaccino degno di quel nome.
L’unico obiettivo della giovane lupa in quell’esatto momento, era quello di vedere la fatica nel volto e negli occhi del principe drago, di scorgere delle gocce di sudore lambirgli la pelle e bagnargli il viso.
Se fosse persino riuscita a ferirlo, anche solo superficialmente, sarebbe stata una gloriosa vittoria che avrebbe portato con sé fino alla tomba.
Ma egli era forte, forte e molto capace, proprio come temeva.
Tuttavia, non si arrese. Il desiderio di vederlo arrancare dinnanzi a lei, abbassarsi, piegarsi, la animò come lava nelle vene.
- Ve lo ripeto: non voglio combattere contro di voi, né ferirvi o farvi del male – le disse ancora, mentre si difendeva senza fatica.
Irritata da quelle parole, Lyanna avanzò verso di lui, guadagnando terreno con una serie di colpi improvvisi e particolarmente violenti che egli non aveva previsto, mettendolo con le spalle contro un grosso tronco.
La sorpresa nel volto granitico del giovane principe fu come un dolce nettare sulla lingua della giovane lupa, la quale, con un portentoso movimento che neanche lei sapeva di essere in grado di compiere, gli storse il braccio con il piede, disarmandolo, per poi puntargli la lama della spada sulla gola.
Rimasero in quella posizione per quella che parve un’eternità.
Lyanna con il fiatone e la punta della spada poggiata sulla carne del collo dell’altro, mentre Rhaegar la guardava, immobile, tranquillo, senza il minimo timore a velargli lo sguardo.
- Lady Lyanna – la richiamò, facendola vacillare.
Dunque, l’aveva riconosciuta.
L’aveva riconosciuta fin da subito.
Per quanto ancora voleva provare l’inebriante brivido di avere tra le proprie mani la vita della persona più rispettata e invidiata di tutti e sette i regni? Per quanto ancora voleva abbandonarsi all’ebbrezza di aver messo con le spalle al muro colui che l’aveva sedotta, usata e ingannata?
Lyanna non seppe rispondersi, ma la mano del principe che si mosse con lentezza andando ad abbassare la lama dal suo collo la prese alla sprovvista e la convinse che poteva bastare.
Lo lasciò fare, accompagnando il suo movimento e abbassando l’arma, lasciandola scivolare distrattamente fin quando non raggiunse il terreno.
Sapeva di essere stata scoperta.
Ma quel pensiero, per qualche motivo, non la preoccupava minimamente in quel momento.
Lui avrebbe sospettato in ogni caso che il misterioso cavaliere fosse lei, anche senza l’inseguimento appena avvenuto e il confronto che ne sarebbe conseguito.
Nonostante l’immensa soddisfazione di averlo disarmato, la giovane lupa tremava ancora di rabbia.
Era rabbia ciò che sentiva quando lo guardava?
- Lady Lyanna, non sono qui per recarvi danno.
- Allora perché mi avete inseguito? – si affrettò a controbattere.
- Sono stato costretto. Mio padre è convinto che dietro quell’elmo si nasconda qualcun altro. Come sapete, egli ha il potere di farvi imprigionare e uccidere al solo pronunciare una parola.
- Dunque, mi state ordinando di smetterla con questa farsa e di assistere al torneo come tutte le altre lady presenti? – domandò indietreggiando, stringendo i pugni.
- Non lo farei mai.
- E allora perché siete qui??
- Per mettervi in guardia.
E per placare gli animi, fornendo a mio padre una ragione per restare seduto al suo posto e far proseguire il torneo senza altri innecessari deliri.
Lyanna rimase in silenzio, prendendosi ancora qualche minuto prima di decidersi a togliersi l’elmo.
Abbassò lo sguardo, involontariamente, mentre egli la guardava.
- Lady Lyanna …
Nonostante il richiamo, ella rimase con lo sguardo basso, senza muoversi.
- Lady Lyanna, non muovetevi.
A quelle parole, la giovane lupa alzò di scatto il viso verso di lui, notando quanto egli fosse allarmato mentre fissava con insistenza un punto basso, appena dietro di lei.
- Non … vi … muovete … - sussurrò scandendo bene ogni parola, facendole comprendere in che circostanza si trovasse e quale fosse il pericolo che stava correndo in quell’istante.
La giovane lupa continuò a guardarlo immobile, fissando quegli occhi chiari seguire i movimenti dell’animale che si trovava troppo vicino alla sua gamba.
- È un serpente … ? – gli domandò con un filo di voce, sentendo le foglie secche strusciare dietro di lei.
Egli annuì, guardandola negli occhi.
La paura prese il sopravvento e la giovane lupa, quasi senza accorgersene, ebbe un violento spasmo, che le costò caro.
Il serpente le circondò la caviglia e la morse sul polpaccio in un istante, affondando i denti nella carne morbida sprovvista di armatura.
Improvvisamente i sensi della ragazza si annebbiarono, facendola barcollare e perdere l’equilibrio, ma prima che cadesse a terra, il giovane drago la afferrò, affrettandosi a colpire il serpente con la lama della sua spada, per poi condurre Lyanna accanto all’albero più vicino.
- Vi prego, vi prego!! La gamba mi fa malissimo!! Il dolore è insopportabile! Vi prego, aiutatemi!! Fate qualcosa, vi scongiuro!! – delirò sudando freddo, stringendo le dita sugli avambracci di Rhaegar quasi volesse stritolarli, aggrappandosi a lui.
- Lady Lyanna, ascoltatemi! Seguite la mia voce, restate vigile! – la esortò con vigore Rhaegar, facendola sedere con la schiena poggiata all’albero. – Conosco il serpente che vi ha morso, ora state mostrando i primi sintomi. Il suo veleno non è letale, ma vi farà stare molto male, per giorni, se non lo estraggo subito. Voi dovete solo rimanere sveglia e vigile, intesi?? – le disse mantenendo la calma, mentre lei continuava a stringere la sue braccia convulsamente, tremando, sudando in preda agli spasmi e delirando.
- Vi prego!! Toglietelo, toglietelo immediatamente!!
A ciò, il principe si affrettò a strapparle il tessuto dei pantaloni nel punto in cui era stata morsa, mettendo in pratica le conoscenze che aveva acquisito tempo addietro: usò la striscia di stoffa strappata legandola stretta appena sopra la carne bucata del polpaccio per bloccare la circolazione del sangue, dopo di che, con solo l’ausilio delle dita, spremette le due ferite provocate dai denti del rettile, insistendo con forza fin quando un misto di sangue e veleno non uscì fuori dai buchi.
Lyanna urlò di dolore per tutto il tempo, continuando ad aggrapparsi a lui con le forze rimastegli, cercando con tutta se stessa di rimanere ancorata alla realtà, come il giovane drago le aveva chiesto di fare, e non vi era modo migliore per farlo se non artigliandosi a lui, ascoltare la sua voce e concentrarsi sulla sua immagine, sui suoi movimenti mentre egli la liberava da quel doloroso flagello con accortezza e lucidità.
Quando la giovane lupa riaprì gli occhi, era quasi il tramonto.
Batté le palpebre diverse volte per mettere a fuoco l’ambiente intorno a sé, realizzando di trovarsi ancora nel bosco, sdraiata sulle foglie secche, liberata dai pezzi di armatura più ingombranti, i quali erano poggiati su di lei a mo’ di coperta.
Dinnanzi ai suoi occhi vi era un bel focolare acceso, mentre, dall’altra parte del fuoco, lo scorse.
Egli era seduto sulle foglie come lei, ma con la schiena poggiata ad un grosso masso; aveva il busto coperto solo dalla casacca scura che i cavalieri usavano indossare sotto l’armatura, poiché tutta la parte anteriore di quest’ultima era assente e poggiata accanto a lui, mentre sulle lunghe gambe piegate vi erano ancora cosciali e schiniere.
Sembrava addormentato, i capelli ancora legati, gli occhi chiusi, il volto disteso e la testa poggiata al masso dietro di sé.
Era assurdo come egli riuscisse a mantenere un portamento tanto nobile anche quando dormiva.
Lyanna provò ad alzare il busto e a muovere la gamba morsa, accorgendosi, con suo grande sollievo, di sentire solo un lieve prurito sulla zona lesa.
Alzò lo strato di stoffa dei pantaloni per controllare e si accorse che vi fossero delle particolari foglie appiccicose adagiate sopra il morso.
Accennò un sorriso, domandandosi come un principe riuscisse a sapere come gestire impeccabilmente una situazione simile.
Si sciolse i capelli, liberandoli dalla costrizione di quella strettissima treccia appuntata, e se li legò con il laccio più morbidamente.
Stranamente la casacca leggera non le stava facendo patire il freddo del venticello che muoveva foglie e rami degli alberi, sicuramente per merito del focolare.
Provò a rianimarlo un po’ con un bastoncino, osservando le fiamme muoversi e intrecciarsi, emettendo quella luce tanto ipnotica che le contraddistingueva.
Improvvisamente, un movimento del principe attirò la sua attenzione.
Iniziò con un flebile lamento, un verso sommesso, il quale catalizzò gli occhi della giovane lupa sul suo volto.
Sembrava scosso da qualcosa, nel bel mezzo di un terribile incubo.
Le sue palpebre si strinsero, il volto si contrasse, il respiro divenne affannoso, mentre la testa si girava e rigirava a scatti.
Colta dalla preoccupazione, Lyanna gli si avvicinò, accovacciandosi vicino a lui, non sapendo bene come agire.
Mentre lo vedeva muoversi e lamentarsi incosciente, ebbe la tentazione di posargli delicatamente una mano sul volto, per svegliarlo e porre fine ai suoi incubi, assistendolo come egli poco prima aveva fatto con lei, ma si trattenne.
Decise invece di adoperarsi, per rendersi utile a sua volta: girò per il bosco, intenta a cercare un particolare fiore che sua madre le faceva bere quando era bambina, sotto forma di infuso, schiacciato insieme ad altre erbe calmanti.
Quel liquido dolce e profumato era sempre in grado di scaldarla e di farle dormire sonni tranquilli durante le gelide nottate di inverno che portavano con sé tempeste di neve e rumori di bestie leggendarie.
Ricordava il colore, la forma e il profumo di quel fiore, ma non il nome.
Quando il giovane drago riaprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto da quell’ennesimo incubo che lo aveva colto all’improvviso non appena aveva ceduto alle seducenti premure del sonno, si rese conto che l’effetto del siero datogli da lord Varys fosse svanito.
Socchiuse gli occhi, colpito in volto dagli ultimi raggi di quel sole morente che scorgeva all’orizzonte, ben visibile nonostante la fitta schiera di alberi che popolavano il bosco.
Quando si guardò intorno, ricordò come era finito in quella situazione, riconoscendo il focolare che aveva acceso poco dopo che lady Stark avesse perso i sensi.
Si rese conto che il fuoco era stato ben alimentato mentre era addormentato, e che, dinnanzi a sé, dall’altra parte delle fiamme, non vi fosse più la sagoma della giovane lady dormiente.
Prima che avesse il tempo di guardarsi intorno, ancora frastornato dall’incubo che lo aveva tormentato poc’anzi, percepì una presenza avvicinarsi a lui e scorse una mano porgergli un recipiente costruito con della spessa corteccia colmo di un infuso profumato.
Si voltò e scorse lady Lyanna in piedi accanto a lui, in attesa che egli prendesse l’oggetto. Il suo volto sembrava tranquillo, in pace, colorito, molto differente rispetto a come lo ricordava qualche ora prima, quando era stata appena morsa dal serpente.
- Noto che la vostra gamba non vi reca dolore – le disse prendendo il recipiente e spostando lo sguardo sulla gamba infortunata della ragazza.
Ella si sistemò dove l’aveva posta a riposare poco prima, sedendosi a gambe incrociate.
- Sì, e ve ne sono infinitamente grata. Avete fatto un ottimo lavoro con la medicazione, non mi fa affatto male.
- Ne sono lieto.
- Voi come state? – domandò ella un po’ titubante, guardandolo in volto.
- Io?
- Vi lamentavate molto nel sonno – spiegò lei. – Ad un tratto mi sono allarmata.
- Non vi preoccupate, era solo qualche incubo – la tranquillizzò, per poi posare lo sguardo sull’infuso che aveva tra le mani, ancora inviolato. – Questo cos’è?
- Un intruglio che mi preparava mia madre quando ero piccola, serviva a calmarmi.
Fortunatamente, il fiore che lasciava in infusione cresce anche qui.
Volevo fare qualcosa per aiutarvi, così ho pensato che quello potesse farvi bene – disse alimentando il fuoco con un bastoncino, discostando lo sguardo.
A ciò, Rhaegar accennò un sorriso e bevve un sorso dell’infuso, meravigliandosi della dolcezza di quel rimedio naturale. – È molto buono. Vi ringrazio.
- Non è nulla – rispose ella. – Dove avete imparato a curare un morso di un serpente velenoso? – gli chiese poi, non riuscendo a trattenere la curiosità.
In risposta, il principe sorrise. – So bene che è convinzione frequente credere il contrario, ma avere sangue reale non implica il rimanere rinchiusi tra quattro mura per la maggior parte della vita – disse senza arroganza.
- Non intendevo dire quello, ma … sì, infondo lo pensavo – ammise Lyanna.
- Mi sono già trovato in una situazione simile, durante un’escursione. Inoltre, ho trascorso molto tempo sopra i libri, acquisendo conoscenze tra le più varie, molte delle quali sono certo non mi saranno utili nell’effettività – aggiunse continuando a sorseggiare l’infuso.
- Vi capita spesso di avere incubi che vi fanno agitare in tal modo? – azzardò la giovane lupa.
Rhaegar puntò lo sguardo altrove, sospirando impercettibilmente e facendo trascorrere alcuni minuti prima di rispondere.
- Quando sono giunto in quella locanda per la prima volta – cominciò, attirando immediatamente l’attenzione di Lyanna. – … non è stato per puro sfizio o capriccio. Avevo bisogno di distrarmi, di cambiare aria. Non dalla mia famiglia o dai miei doveri, ma da ciò che mi invadeva la mente perpetuamente – le rivelò.
- Che cosa vi invadeva la mente?
- Non lo ancora neanche io, di preciso.
O meglio, dopo aver tentato in tutti i modi di scoprire da dove venga e come liberarmene, ho capito di non potermene privare.
Dovrò convivere con questa maledizione.
- Emerge solo quando dormite? O anche quando siete sveglio?
A tale domanda, il principe si astenne dal rispondere, tornando con gli occhi su di lei.
- Raccontandovi ciò, non pretendo che voi facciate lo stesso con me.
Posso immaginare i motivi che vi abbiano spinta a vestirvi da ragazzo e ad entrare in una locanda, ne ho avuto la dimostrazione giusto oggi. E anche nel caso in cui vi abbiano mossa ragioni differenti, non intendo chiedervi spiegazioni – le disse invece.
- Non mi sento in dovere di darvene, non temete.
Tuttavia vi confermo che, come ben saprete, non avrei mai immaginato che entrare per gioco in una locanda vestita da ragazzo, avrebbe portato a quel che c’è stato, facendomi incontrare voi – rispose ella.
Trascorsero altri minuti senza che parlassero, prima che Rhaegar ruppe il silenzio.
- Infondo, vi ho creduta sin da subito, quando mi avete detto che avreste partecipato al torneo, nonostante sospettassi già foste una ragazza – le confessò, accennando un sorriso, invogliandola a fare altrettanto.
- Davvero?
Egli annuì. – C’era una determinazione senza eguali nel vostro sguardo. I vostri occhi erano animati dalle fiamme.
Di nuovo quella sensazione. Quel buco infondo allo stomaco che fece portare una mano della giovane lupa sul proprio ventre.
Anche dinnanzi a lui, si sentiva disarmata, impotente ma in modo diverso.
No, non erano la stessa persona lui e Calen, ma qualcosa li accomunava, ed era certa che anche il principe pensasse lo stesso di lei, riconoscendo alcune caratteristiche di Doen in lei.
E anche ciò che li differenziava, non la respingevano, ma la attraevano.
- Ed ora cosa credete di una ragazzina di alto rango che gioca a fare il cavaliere, irritando vostro padre e indisponendo gli spettatori del torneo? – gli domandò facendo apparire la sua voce più irritata di quel che volesse. – Vorreste che io tornassi a ricoprire il ruolo che dovrei ricoprire, suppongo, vestendo corpetto e crinolina e sedendomi su quegli spalti, lasciando che il torneo proceda senza sorprese sgradite o altri inghippi.
Il principe si alzò in piedi, stagliandosi in tutta la sua statura, liberandosi distrattamente da alcune foglie secche attaccate ai pantaloni. – Tutto il contrario – le rispose. – Se desiderate combattere, continuate a farlo e non tiratevi indietro come partecipante del torneo. So che siete incurante del rischio che ciò comporta e che siete disposta a correrlo, milady.
Semplicemente, vi presenterete nell’arena nel momento dell’inizio della competizione, ogni giorno, e ve ne andrete alla fine, prima che chiunque possa anche solo vedervi fuggire.
Posso mettere una buona parola con mio padre e rassicurarlo sulla vostra identità dicendogli che, sebbene io non sia riuscito a catturarvi, ho scorto il vostro volto e ho appurato che non siete ser Jaime Lannister come egli crede.
Quando avrà ricevuto tale notizia, non si curerà molto di voi e della vostra partecipazione al torneo.
Lyanna impiegò qualche minuto per riprendersi dalla sorpresa per tale notizia.
Si alzò in piedi a sua volta quando il principe aveva già spento il focolare e si stava accingendo a rinfilarsi la sua armatura.
- Che cosa gli direte sulla vostra assenza durata ore, dunque? – gli domandò.
- Che sono stato morso da un serpente nel bosco – le rispose con leggerezza, finendo di allacciarsi la cintura di metallo.
- Mi state davvero incoraggiando a continuare a partecipare al torneo …? – domandò nuovamente la giovane lupa, non credendo ancora alle sue orecchie.
A ciò, Rhaegar volse lo sguardo su di lei. – Io non vi sto incoraggiando a fare nulla, lady Lyanna. La scelta spetta a voi e a voi soltanto.
Io non ho la minima rilevanza nella vostra decisione.
- I miei fratelli non sanno nulla di tutto ciò – si affrettò a dire la ragazza, per precauzione, per evitare che, qualsiasi cosa fosse accaduta nel caso avesse davvero deciso di continuare con quella farsa, la sua famiglia ne avrebbe rimesso in alcun caso.
Ed era la verità, eccetto che per un piccolo e selvaggio giovane lupo che l’aveva colta in flagrante quella mattina.
Si sarebbe dovuta inventare qualcosa anche lei per spiegare la sua assenza prolungata a Brandon e a Ned, ma a quello avrebbe pensato in seguito.
- Vi credo. Non dovete preoccuparvi a riguardo – la rassicurò il principe.
- Ho ancora una domanda, se mi permettete, mio signore – azzardò nuovamente la giovane lupa, avvicinandosi a lui di un passo, oramai decisa a togliersi ogni sasso dalla scarpa, ora che lo aveva dinnanzi a sè, ora che aveva la sua attenzione, ora che erano soli.
Sicuramente non avrebbe mai più avuto un’altra occasione del genere.
A ciò, egli distolse nuovamente gli occhi dalla propria armatura oramai totalmente ultimata e sistemata, per rivolgerli a lei.
- Perché state facendo tutto questo? – gli domandò.
- Che cosa intendete?
- Ovunque nell’accampamento si vocifera che siate stato voi a finanziare il torneo di Harrenhal, per un motivo in particolare.
Mio padre si è assentato circa due o tre volte nelle scorse due settimane, insieme ad altri lord, ma nessuno di loro ha fatto parola del motivo per cui fossero spariti per circa due ore.
La ragazza non continuò, poiché la sua domanda era sin troppo esplicita.
E anche se il principe non avesse potuto risponderle, non le importava, poiché, infondo, glielo doveva, per il modo in cui aveva agito, e perché, Lyanna ne era oramai certa, egli era una persona dal cuore buono.
Forse sin troppo buono per negarle anche un’informazione del genere, dopo averle già negato il suo volto e la sua identità per un’intera settimana.
A ciò, il giovane drago si avvicinò al suo cavallo, carezzandogli la criniera con calma e delicatezza, prima di risponderle.
- Per la vostra incolumità non posso rivelarvi interamente i motivi che mi hanno spinto ad organizzare e a finanziare il torneo, lady Lyanna.
Tuttavia, come avrete già ampiamente notato, tutti noi siamo sin troppo insofferenti al comportamento che ha assunto il re, da qualche anno.
Il suo atteggiamento, le sue inclinazioni e, di conseguenza, il suo modo di regnare, sono peggiorati a dismisura, rendendolo incapace di portare avanti il suo incarico solenne.
Tutto ciò che vi serve sapere, è che, presto, la situazione migliorerà.
Lyanna spalancò gli occhi chiari a quelle parole. – State organizzando una cospirazione per detronizzare vostro padre …?
Non ricevette risposta.
No, non poteva sapere altro, la giovane lupa ne era consapevole.
Tuttavia, era a dir poco stupefatta di quanto stesse rischiando il principe ereditario nel fare ciò che stava facendo.
Una cospirazione alle spalle del re avrebbe messo in pericolo tutti, suo padre e i suoi fratelli compresi, e colui che le era di fronte si stava prendendo la responsabilità di tutte quelle vite, apparentemente senza battere ciglio.
Come si poteva rimanere tanto calmi e neutrali con quel peso sulle spalle?
- E se dovesse fallire? – non riuscì a fare a meno di chiedergli. – E se vostro padre vi scoprisse e mettesse a fuoco e fiamme tutto ciò che si troverà sul suo cammino?
Se doveste perdere in battaglia e lui dovesse trionfare, cosa accadrebbe??
Solo nel caso in cui vincereste contro il re folle, voi potreste … - si bloccò prima di terminare la frase, vedendolo voltarsi nuovamente verso di lei e guardarla.
Sul suo viso nessuna traccia di timore o turbamento.
Sì, se la fazione dei ribelli capeggiata da Rhaegar avesse vinto, a tal punto, l’uomo dinnanzi a lei sarebbe diventato re dei sette regni, ancor prima del previsto.
Un regnante buono, giusto, forte, brillante.
Un moto di fiducia la animò dall’interno, improvviso.
Avrebbero avuto il re che meritavano di avere se tutto fosse andato per il verso giusto.
Egli avrebbe mostrato misericordia, fermezza e acutezza.
Ne era certa, sentiva di esserne certa anche solo guardandolo.
Il principe raccolse da terra lo scudo con sopra inciso l’albero cuore appartenente alla giovane lupa, scansò le foglie posatisi sulla superficie e si avvicinò alla ragazza, ponendosi dinnanzi a lei e consegnandoglielo. – Fate attenzione – le disse solamente, con la stessa confidenza cui era solito parlarle Calen.
Dopo di che, egli salì sul suo cavallo e si allontanò, uscendo dal bosco.
 
Tornata agli accampamenti, la giovane lupa affrontò l’indisposizione e le lamentele dei suoi fratelli, i quali pretendevano spiegazioni su dove fosse finita per l’intero pomeriggio.
L’unica cosa che riuscì a dire loro, fu che aveva bisogno di fare una passeggiata lungo il fiume.
Nonostante le loro richieste di delucidazioni, Lyanna manifestò loro la sua volontà di essere lasciata in pace, uscendo dalla tenda.
Quella sera si incontrò con Howland e Benjen, spiegando al suo fratellino i motivi che l’avevano spinta ad assumere l’identità del Cavaliere dell’Albero che Ride per partecipare al torneo, ed informandoli della sua volontà di continuare a prendere parte al torneo.
Avrebbe avuto bisogno di più tempo per schiarirsi le idee al riguardo e per riflettere sul da farsi, ma di tempo non ne aveva.
Il principe drago le aveva donato l’irripetibile possibilità di fare ciò che voleva, di essere chi più la aggradava, e lei era intenzionata a fare buon uso di quel dono.
Howland e Benjen, dinnanzi alla sua fermezza e alle sue rassicurazioni, erano stati costretti ad arrendersi e ad appoggiarla nella sua decisione.
Dopo di che, aveva lucidato la sua armatura, aveva imbrigliato il suo cavallo e infine, con un mal di testa e una stanchezza che non la volevano lasciare in pace, Lyanna si diresse al fiume, camminando sulla riva e osservando la luna, assorta nei suoi pensieri.
Solo dopo diversi minuti si accorse di una presenza dietro di sé, intenta ad osservarla.
- Mia signora? – la riscosse quella voce rauca e poco gradita alla giovane lupa, mentre ella si voltava a guardare la fonte di quella voce avvicinarsi a lei.
- Robert? – esalò sorpresa. – Cosa ci fate qui?
Egli accorciò maggiormente le distanze, rivolgendo gli occhi alla luna. – È bellissima, non trovate?
- Sì, lo è.
- Oggi non vi ho vista sugli spalti, durante la giostra.
- Ero malata. I miei fratelli non vi hanno informato?
- Ned mi ha accennato qualcosa a riguardo, sì – disse con sguardo perso, cercando di non barcollare.
- Robert? Siete ubriaco? – gli chiese indietreggiando di un passo, inconsapevolmente.
Sapeva che il giovane cervo non le avrebbe mai fatto del male.
Tuttavia, un nodo alla gola la spinse ad allontanarsi da lui, facendole desiderare di essere ovunque tranne che in sua compagnia.
- Ho bevuto solo un bicchiere di vino. Non temete – le disse poco convincete, riavvicinandosi a lei. – Sapete, la luna impallidisce accostata a voi, lady Lyanna.
Anche ora, anche con questi abiti leggeri e senza sottoveste, con i capelli sciolti al vento e i piedi nudi.
Siete bella come nessun’altra.
- Grazie, Robert. Mi lusingate in tal modo – gli rispose cercando di far apparire la sua voce normale, provando a non allontanarsi da lui.
Perché percepiva sempre maggiormente l’opprimente desiderio di fuggire da lui, di discostarsi, di uscire dal suo campo visivo?
Perché quei complimenti non provocavano piacere in lei?
Perché l’unico istinto che percepiva mentre egli la spogliava con lo sguardo era quello di schiaffeggiarlo più forte possibile?
Conosceva la risposta, ma non era univoca.
Nulla più sembrava esserlo.
Una cosa che sapeva per certo era che non si sarebbe mai fatta toccare da un uomo senza il proprio consenso.
Non si sarebbe mai piegata al volere delle convenzioni e della tradizione se non lo avesse voluto.
Quel pomeriggio, il principe ereditario, qualcuno che possedeva tanto potere da potersi permettere di tagliarle la testa con la lama della sua spada senza dover rendere conto a nessuno, le aveva lasciato la totale libertà di scelta.
Qualcosa che non aveva mai provato nel corso della sua vita.
Ciò le aveva fatto capire che la libertà di vivere di sua volontà era un suo diritto.
Ogni donna era meritevole di averlo e di certo, ora che era giunta a tale consapevolezza, non sarebbe più sottostata ciecamente e senza battere ciglio al volere di qualcuno che le avrebbe ordinato come vivere e come comportarsi, senza alcun riguardo per i suoi desideri e le sue aspirazioni.
Lei non avrebbe sposato Robert, perché non lo amava e mai lo avrebbe amato.
- Avete un odore davvero buono, milady … riesco a sentirlo da qui – sussurrò il giovane cervo avvicinandosi maggiormente a lei, barcollando. – È da quando sono giunto qui ad Harrenhal e vi ho rivista che ho desiderato rendervi la donna più felice dei sette regni. Vi desidero come mia legittima moglie, ora, in questo momento.
Vi desidero come non ho mai desiderato nessuno, Lyanna … - continuò poggiandole i suoi pesanti palmi sulle spalle.
- Robert, non voglio – esalò la ragazza duramente, cercando di sfuggire alla sua presa.
- Cosa non volete?
- Non voglio che mi tocchiate.
Siete ubriaco, Robert.
Tornate all’accampamento – riprovò, poco prima di venire artigliata da lui in un abbraccio soffocante.
- Mi dispiace. Mi dispiace di rivolgervi un gesto tanto irrispettoso, ma non sono riuscito a trattenermi – le disse stringendola a sé.
- Robert …
- Io vi amo, Lyanna.
- Robert, vi prego …
- Non amerò nessun altro, oltre voi.
Mai.
Delle calde lacrime varcarono le guance della giovane lupa nell’udire tali parole.
Ebbe pena di lui.
Non una cattiva pena, ma qualcosa di molto più vicino alla compassione.
Come doveva essere venerare tanto ciecamente qualcuno, convincendosi di amarlo, e non essere ricambiati?
Terribile. Ne era certa.
Accarezzò la schiena di Robert quasi premurosamente, per poi riprovare ad allontanarlo, questa volta riuscendovi.
Gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi liquidi e persi nei suoi.
- Voi non mi amate, Robert.
Forse, un giorno, avreste potuto farlo.
Ma ora il sentimento che vi anima non è l’amore.
Non mi conoscete.
Non sapete chi sono.
Non potete amare qualcuno che non esiste.
Detto ciò, si allontanò da lui e tornò all’accampamento, lasciandolo solo.
 
Il principe entrò dentro la camera che condivideva con sua moglie in punta di piedi, per paura di svegliarla.
Negli ultimi giorni Elia aveva sofferto talmente tanto da non essere riuscita a chiudere occhio, dunque il giovane drago aveva deciso di spogliarsi almeno dell’armatura prima di entrare nella stanza.
Era quasi ora di cena e lui aveva fatto ritorno al castello di Harrenhal appena in tempo.
Miracolosamente, era riuscito ad evitare temporaneamente suo padre, le sue domande persistenti, il suo sguardo indagatore e raggelante, la sua arroganza e intolleranza.
Lo avrebbe affrontato in seguito, durante la cena, narrandogli tutto ciò che aveva concordato quel pomeriggio con lady Lyanna.
Ora però, sentiva il bisogno di stendersi e di accertarsi delle condizioni di Elia.
La giovane dorniana era stesa sul talamo, con una mano sul pancione e l’altra abbandonata sulle coperte chiare, il volto addormentato e consunto dalle ore di sonno mancate e dai dolori persistenti, l’abituale colorito scuro ora innaturalmente chiaro.
Una morsa di senso di colpa lo artigliò dall’interno alla consapevolezza di non essere rimasto con sua moglie durante le sue sofferenze.
Quando si trattava di Elia, il senso di colpa non faceva altro che corroderlo lentamente, e non sapeva neanche lui il perché.
Si sfilò la cintura della casacca scura poggiandola delicatamente sulla sedia di fronte al letto, gettando di tanto in tanto lo sguardo su di lei.
- Sei tornato … - bisbigliò improvvisamente la giovane dorniana, sbattendo lentamente le palpebre. – Temevo di non riuscire a vederti prima di domani mattina – aggiunse.
- Che cosa stai dicendo, cara? – le rispose egli ancor più premuroso del solito, avvicinandosi al letto e guardandola con un sorriso rassicurante. – Non ti avrei mai lasciata sola. Ora riposa, sembri molto debilitata.
- Almeno gli sporadici momenti in cui mi sento meglio non voglio passarli a dormire – gli rispose allungando la mano sul letto nella direzione del giovane drago, segnale che quest’ultimo colse senza ulteriori aggiunte.
Egli girò intorno al letto, fin quando non giunse ai piedi della principessa.
Dopo di che, poggiò un palmo sul materasso al lato sinistro del ventre gonfio di lei, e l’altro sul lato destro, per poi abbassarsi lentamente, fin quando non arrivò a sfiorarle il pancione con le labbra schiuse.
Lo scoprì dalla vestaglia setosa che lo copriva e vi lasciò sopra un bacio delicato, poi un altro e un altro ancora, risalendo verso l’alto.
Quando arrivò all’inizio del rigonfiamento, appena sotto il seno, alzò lo sguardo per puntare le iridi luminose su di lei, la quale non si era persa neanche un suo movimento.
Ella accennò un sorriso malinconico e gli poggiò una mano sulla guancia, beandosi della visione dell’uomo che aveva la fortuna di chiamare marito.
Lo osservò ancora, assuefatta, mentre egli saliva sul letto con il resto del corpo e si ergeva su di lei, con i palmi e le ginocchia puntati sul materasso, per non gravarle addosso.
Quelle intense e dolcissime premure erano sin troppo passionali e amorevoli per venire da lui.
Non che non le mostrasse il suo lato tenero, sensuale e premuroso insieme quando riusciva a convincerlo a lasciarsi andare, ma oramai la giovane dorniana lo conosceva più di quanto conoscesse se stessa e sapeva bene quando c’era qualcos’altro ad animare quegli idilliaci atteggiamenti del principe nei suoi confronti.
Si godette quel fugace e bellissimo trattamento, cogliendone ogni istante, quasi come se la sua mente le stesse giocando l’orribile scherzo di farle credere fosse l’ultimo.
- Non devi trattarmi come una bambola di cristallo perché sono stata più male del solito … - gli sussurrò, alternando dei sospiri alle parole nel momento in cui egli cominciò baciarle la mandibola con estrema lentezza. – Odio quando mi riservi queste servizievoli attenzioni … perché odio quando mi tratti come una donna bisognosa, malata, e non come tua moglie.
A tali parole, Rhaegar si arrestò e pose il viso dinnanzi a quello di lei, poggiando i gomiti sul materasso e, di conseguenza, facendo aderire il ventre piatto a quello gonfio e tondo di lei.
Elia spostò una mano su un suo fianco, facendola vagare placidamente su e giù sotto la casacca, mentre con l’altra gli sciolse i capelli dal nastro che li imprigionava.
- Ti tratto sempre come mia moglie.
- Non è vero. Quando fai così … quando mi guardi in quel modo così intenso, affettuoso e afflitto insieme … mi sento come una morente.
Una morente di cui devi prenderti cura.
Una morente di cui vuoi prenderti cura perché il tuo cuore straborda di bontà, Rhaegar, e tu non te ne rendi neanche conto.
Mi fai dono dei tuoi baci, perché non riesci a dirmi cosa senti.
Mi fai dono delle tue mani e dei tuoi occhi su di me, perché temi di non riuscire a ricambiare in altro modo il mio amore per te.
Mi accudisci come farebbe un buon medico e resti accanto a me nei momenti peggiori perché temi di svegliarti una mattina e di ritrovarmi morta.
Ti senti in dovere di farlo. In dovere dal tuo affetto. In dovere dalla tua bontà – esalò in un sussurro, infilandogli una mano tra i capelli chiari, pettinandoglieli distrattamente con le dita.
Egli la guardava negli occhi, restando fermo, in ascolto.
Lo sguardo velatamente angustiato, rammaricato.
- Che cosa senti per me? – trovò il coraggio di chiedergli la principessa, con la voce tremante.
- Ti amo, Elia – le rispose con naturalezza.
Ella negò con la testa, mentre un'altra lacrima lasciava i suoi occhi scuri.
- Sono io che amo te, Rhaegar.
Amo il tuo forzarti di tenerti tutto dentro per non fare male agli altri.
Amo la smorfia di disgusto che fai inconsapevolmente, quando assaggi una pietanza con troppo limone o troppo sale. E per te tutto ha troppo limone o troppo sale.
Amo il tuo modo di parlare sempre chiaro e preciso con chiunque, perché non vuoi risultare troppo erudito a chi ti ascolta.
Amo quella che credi essere la tua debolezza, ma che è la tua più grande forza, quando ti lasci andare a me, permetti che io ti veda distrutto, spezzato.
Amo vedere il tuo viso ogni mattina al mio risveglio e ogni sera prima di addormentarmi.
Amo attendere un’intera giornata per un tuo sorriso, che non ho la certezza arriverà.
Amo vederti leggere assorto e isolato dal mondo, amo vederti immerso nel suonare la tua arpa a nostra figlia, con due gemme al posto degli occhi mentre la guardi adulante.
Amo le tue piccole e apparentemente insignificanti dimostrazioni di affetto, quando mi accarezzi il dorso della mano in pubblico, lontano dagli occhi, o quando avvicini la bocca ai miei capelli, sorridendovi dentro.
Amo i tuoi terrori, i tuoi errori, i mostri che si annidano in te – disse tutto ciò, continuando ad immergere le dita nei suoi capelli, tuffandosi nei suoi occhi lucidi e sorpresi. – Questo è quello che sento per te, Rhaegar.
Questo è il motivo per cui ti amo, intensamente.
E tu?
Il principe rimase in silenzio, lo sguardo perso, confuso, mentre ella sorrideva tristemente e gli accarezzava le guance e le ciocche di capelli, tanto meravigliosamente bella quanto devastata dalle sue stesse parole.
- Io sono incatenata da te. E sguazzo nelle mie catene.
Io pendo dai tuoi occhi.
Pendo dalle tue labbra.
Tu, invece, sei prigioniero della mia malattia.
Schiavo della necessità di farmi sentire adeguata, voluta, amata.
Vorrei poterti liberare, mio amore.
Ma non credo ne sarò mai in grado.
 
 
   
 
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