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Autore: Lost In Donbass    18/07/2020    1 recensioni
I November Cries sono la band metalcore più in voga del momento: c'è chi dice che abbiano firmato un patto col diavolo, e forse è davvero così. Ma attorno alla loro fama sempre più grande, attorno alla vita sfrenata delle rockstar, ci sono i drammi di tutti i giorni, c'è la depressione che fa capolino, c'è il rischio della tossicodipendenza, c'è l'amore anoressico e i vecchi fantasmi che tornano a galla. Ci sono loro, Denis, Asher, Blaise e Crow, con la loro musica e il loro dolore, e poi c'è l'amore, quello sbagliato, quello rock, quello sfilacciato. Ci sono modelli bipolari, e groupie tristi e figli che non sapevi di avere. C'è il rock, che, ricordatevelo, è dove Dio e Satana si stringono la mano.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO SECONDO: BASTARD

Sometimes I've been losing my mind
Running out of faith
Lonely, I've been feeling lonely
Put me in my place

[Palaye Royale – Little Bastards]

 

Asher

 

Lui odiava che io fumassi. Diceva che mi sarei distrutto i polmoni, ma a me non importava. Avrebbe dovuto, visto che ero il cantante della band metalcore più in voga del momento, ma, di nuovo, avevo di meglio da fare che pensare alla mia salute. Avevo sempre preferito l'autodistruzione, in fondo. Mia madre, quelle poche volte che l'andavo a trovare ad Ashford, mi guardava e piangeva. Mi diceva “ma come ti sei ridotto, bambino mio?” e io la ignoravo, tornando nella camera della mia infanzia, quella dove la notte soffocavo lacrime amare nel cuscino e meditavo sia il suicidio sia una strage di tutta la scuola. Mio padre aveva un fucile, in cantina, e io mi chiedevo se alla fine mi sarei sparato come Cobain, anche se io i Nirvana non li ho mai ascoltati, oppure se mi sarei presentato a lezione per far saltare il cervello a tutti. Alla fine, non avevo fatto nessuna delle due cose. Ero partito per Londra, avevo incontrato i ragazzi, avevamo rubato Julius ed era iniziata l'avventura. Ora ero osannato da milioni di ragazzi e ragazze in tutto il mondo, ma ancora non ero contento. Volevo di più, avevo sempre voluto di più.

Mi appoggiai alla balaustra del terrazzo e lasciai uscire una voluta di fumo. Era il compleanno di Darren, ma non avevo nessuna intenzione di andare alla sua stupida festa. Poi mi ricordai che ci sarebbero stati i ragazzi, e gente importante che dovevamo per forza conoscere. Tipo, Chris Cerulli della Babylonian Records. Storsi il naso, al pensiero di quell'uomo tanto volubile quanto diabolico, e di quanto ci sarebbe fruttato sottoscrivere un accordo con la sua casa discografica. Mi morsi il labbro inferiore: forse, dopotutto, dovevo andarci alla festa. Al diavolo Darren, dovevamo raggirare Cerulli in tutti i modi. Solo che tra un depresso, un idiota, un anoressico, e un tossico, cosa avremmo mai potuto fare? Asher Sykes, la rockstar maledetta, dicevano le riviste. Non era vero. Ero solo un povero idiota che si faceva di ketamina per vedere quanto il suo fisico avrebbe retto prima dello schianto finale. Ero un mezzo depresso sadico a cui piaceva scambiare le pastiglie con i lassativi, che insultava pubblicamente il proprio fidanzato e che rideva in faccia ai tormenti della propria madre. Non meritavo niente, non meritavo l'ammirazione dei miei fans. Meritavo la forca. O un buono psichiatra, mi dissi, mentre gettavo la sigaretta giù dal balcone e fissavo la gente passare indaffarata per strada, in mezzo a taxi, macchine e autobus. Anche io da ragazzo avevo sempre fretta. Fretta di crescere, di diventare grande, fretta di avere la ragazza, fretta di farmi per la prima volta, fretta che arrivasse la notte per non pensare ai miei tormenti. Ora che avevo vent'otto anni mi sentivo peggio di quando ne avevo diciotto. Ancora più sbandato, misantropo e acido del me ragazzino che sognava di dare fuoco a tutta l'Inghilterra. Sei un fottuto psicopatico, mi diceva sempre Blaise. Lo ero. Non ci stavo tutto con la testa, non c'ero mai stato. Ero un relitto.

Mi scostai i capelli dal viso e roteai gli occhi al cielo quando sentii la voce lamentosa di Darren chiamare il mio nome. Non me ne capacitavo, ma non riuscivo a lasciarlo andare.

-Ash, Ash tesoro, dove sei?

Lo vidi vagare nella stanza da letto senza vedermi. Non era fatto, perché lui usava solo roba leggera, ma era proprio fuso di natura.

-Sono qui, idiota.- grugnii e lui sorrise, correndomi incontro e gettandomi le braccia al collo. Non ricambiai né l'abbraccio né i baci appiccicosi che mi disseminò per la faccia. Lo guardai solo con occhio critico, avvolto nella vestaglia di mussola rosa, i capelli arruffati e gli occhi vuoti.

-Ash, tesoro, stasera … oh … stasera … - si ciucciò il dito, guardandomi con aria persa.

-Stasera cosa, Daz?- sospirai rumorosamente, togliendogli il dito dalla bocca e facendolo gentilmente rientrare in camera.

-Stasera ci sarà anche la mamma.- riuscì a sillabare, dopo averlo fatto sedere. Mi guardò con gioia dipinta nei grandi occhi violetti, il labbro appena sbavato e io mi ritrovai a sospirare. Ricordai la prima volta che lo vidi, a qualche premiazione musicale. Era là, bellissimo nella sala, squisito, gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ma la silfide, aveva scelto me. Una bambola stupenda che era finita nella mia rete. A volte però mi chiedevo se non fossi io a essere caduto nella sua, di rete. Non sapevo che problemi avesse, non me ne era mai importato. Bipolare, schizoide, forse solo ritardato, io inciampavo nei suoi sbagli e lui inciampava nella mia rabbia. Lo guardavo, la notte, nudo e angelico tra le coperte e mi chiedevo chi diavolo sono io per averlo ridotto così. Poi guardavo me stesso, col mio corpo completamente tatuato per nascondere i terrori adolescenziali, e scoppiavo a ridere, perché io ero un caso perso e la musica non mi avrebbe salvato come credevo da ragazzino.

-Oh.- dissi – E allora?

-Magari te la presento.- mi rivolse un largo sorriso innocente e io mi affrettai a scuotere la testa.

-Darren, stasera io e i ragazzi dobbiamo parlare con Chris Cerulli. Non ho tempo di parlare a tua madre.

Ci rimase male, ma non disse nulla. Lo guardai alzarsi e cominciare lentamente a spogliarsi per indossare la sua mise estrema comprata apposta per la festa. Ne studiai il corpo delicato e fine, i capelli corvini portati appena sotto il mento che pettinava e acconciava meticolosamente. Mi avvicinai e gli avvolsi le braccia da dietro, salendo con le mani a massaggiargli il petto e a pizzicargli i capezzoli da sopra la maglietta. Lui rimase immobile tra le mie braccia, mentre io mi strusciavo contro la sua schiena, muovendo le mani sul suo corpo perfetto. Lo guardavo nello specchio che avevo davanti, guardavo i suoi occhi grandi e incerti, il suo viso di porcellana, i ciuffi di capelli che gli incorniciavano un ovale squisito.

-Mi vuoi, amore?- gli sussurrai nell'orecchio, facendo scivolare la mano sempre più in basso, verso i boxer neri. Annusavo il profumo del suo collo e mi chiedevo che razza di mostro ero, a volere da lui solo il corpo, quando era un angelo, un dannato angelo.

-Non so, Ash.- mormorò lui, appoggiandosi al mio petto e scostandomi la mano, premendosela sulla pancia – Cosa cerchi da me?

-Tutto, tesoro.- gli baciai il collo con forza, succhiando la pelle pallida e la mia mano riprese la strada verso giù – Sei stupendo, Daz, ecciteresti chiunque con quei tuoi occhi vuoti.

-Mi devo vestire, Ash.- ribatté debolmente, cercando di districarsi dal mio abbraccio e dalle mie attenzioni. Non contavo nemmeno tutte le volte che l'avevo tradito con ragazze ben più scafate e ragazzi ben più aitanti, per poi ricadere sempre nelle trame della sua innocenza stupita. Darren si era sempre fatto fare tutto dal sottoscritto, affrontando il mio sadismo con un sorriso spento. Era quello che adoravo di lui: la sua sottomissione.

-Dimmi che mi vuoi, Daz.- biascicai, riuscendo finalmente a insinuare la mano nei suoi boxer – Dai, soddisfami …

-No, Ash.- si staccò da me, e, afferrando i vestiti, corse via dalla stanza.

Io mi lasciai cadere sul letto, una mezza erezione negli skinny jeans di chi voleva essere soddisfatto ma aveva fallito l'impresa.

-Darren.- urlai, lasciando l'eco della mia voce rimbombare nell'appartamento.

Vidi il suo viso di porcellana sbucare dalla porta, gli occhioni tristi e il dito in bocca. Aveva i capelli acconciati splendidamente.

Ci guardammo a lungo, prima che io sussurrassi

-Lasciami perdere, Daz.

Lui si avvicinò timidamente, i jeans stracciati e la maglia di rete addosso e mi accarezzò il viso con una mano. Aveva le dita umide, segno che le aveva succhiate, magari spaventato dal mio atteggiamento di prima.

-Io non ti lascio perdere, Ash. Io ti amo.

-Non devi amarmi.- gemetti, le mani sugli occhi – Darren, dovresti odiarmi.

Sentii le sue braccia avvolgermi e le sue labbra posarsi sulla mia guancia.

-Non importa. Non ti lascio, Ash.

Sospirai e ricambiai stancamente l'abbraccio. Non me lo meritavo, non me l'ero mai meritato. Eppure, nella mia acidità, nella mia cattiveria, continuavo a stargli addosso come un cancro quando lui avrebbe dovuto essere libero. Ma io, io non ero ancora pronto a lasciarlo andare.

 

Volevo fumare, ma non potevo ancora uscire dalla sala. Darren mi stava appeso al braccio, ossuto e truccato e mi indicava le sue colleghe, la sua famiglia, e tutti i vari artisti che presenziavano al suo sontuoso compleanno. Non lo ascoltavo, troppo impegnato a guardarmi intorno per trovare i miei bandmates.

-Andiamo dalla mamma, Ash?- pigolò Darren, tirandomi il bordo della camicia.

Scossi la testa, scrollandomelo di dosso senza tanti complimenti. Avevo visto Blaise e Denis entrare nella sala. Senza prestare più ascolto alle parole del mio ragazzo, mi diressi di corsa verso i miei amici. Blaise si guardava attorno col suo sorriso migliore, e Denis gli veleggiava affianco. Storsi il naso. Il mio chitarrista sembrava appena essere uscito dall'inferno, ma Denis, Denis era un caso perso. L'anoressia se lo stava mangiando vivo, e il suo rifiutare ogni aiuto era un impiccio. Non mi importava che non mangiasse: a me importava solo di avere nella mia band il chitarrista migliore sul campo. Li raggiunsi e venni stritolato dall'abbraccio spezzaossa di Blaise e da quello lacrimoso di Denis.

-Hey, ragazzi. Avete già individuato Cerulli?- chiesi, notando con malcelato disgusto che Denis puzzava di vomito. Chissà quanto aveva sboccato prima di venire qui.

-Io ho individuato la vodka.- commentò Blaise, afferrando una bottiglia e bevendo a canna, senza preoccuparsi delle occhiate schifate degli altri ospiti – Dov'è Darren? Gli facciamo gli auguri.

-Che ne so.- grugnii io – E' sempre più fuso.

-Sei tu che non lo sostieni come dovresti.- mi congelò Denis, barcollando e aggrappandosi a Blaise per non cadere – Ash, sei un bastardo. Mi viene da vomitare.

-Den, basta.- Blaise lo prese per le spalle e gli massaggiò la schiena – Datti una regolata. Siamo a una festa. Pensa a bere, a sdraiarti sul divano e stai lontano dal cesso. Okay? Ti controllo, piccolo bastardo ucraino.

-Lasciami perdere …

-Non ti lascio perdere, idiota. Sei il mio migliore amico.

Li guardai, e non potei nascondere l'invidia che provavo nei loro confronti. Io non avevo mai avuto un “migliore amico”; avevo la mia band, certo, ma li avevo sempre chiusi fuori dai miei problemi personali, sempre troppo impegnato ad essere “di più” per poter pensare di abbassarmi al loro livello. Ma io non ero “di più”: ero solo un idiota che maltrattava il proprio ragazzo e giocava col fuoco sapendo che prima o poi sarebbe arso vivo.

Denis barcollò ma si strinse a Blaise e insieme caracollarono verso Darren che li accolse con un largo sorriso stupido. Feci una smorfia, guardando gli abbracci lacrimosi del mio ragazzo e quelli rock dei miei bandmates e mi voltai alla ricerca di Chris Cerulli e del mio agognato contratto con la Babylonian Records. Volevo fumare, dannazione. Mi scrollai di dosso Darren senza tanti complimenti, Darren, il mio piccolo, dolce, stupido Darren con i suoi occhi violetti e i suoi vestiti volgari e mi avviai a grandi passi verso l'uscita.

Ero solo un bastardo, e lo sapevo, ma non avevo ancora capito come uscirne fuori. Forse avevo solo bisogno di essere salvato; io, che salvavo con le mie canzoni milioni di ragazzini emo, io ero quello più bisognoso di una spalla che mi consolasse. Mi ricordai che non piangevo da dieci anni, e mi chiesi se avessi disimparato a farlo.

 

  
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