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Autore: KiaraMad    18/07/2020    2 recensioni
Sollevare i sassi e gettarli in acqua, lontano da sé, non sarebbe stato sfiancante neanche per Jun Misugi.
Forse solo la vecchiaia avrebbe portato delle noie.
La fatica, però, Yayoi cominciò a sentirla prima del previsto.
E non fu una piccola fatica la sua: non fu affatto una piccola fatica.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IV. Da sola galleggia


Circa dodici anni e qualche giorno*

 

Giocherò oppure no?

Quel giorno si trovavano in ospedale per dei controlli. Jun si sentiva un po' in ansia, ma cercava di non darlo a vedere. Sedeva sul lettino medico, mentre Yayoi, in piedi, lo affiancava. Lei indossava la sua tuta da manager. Lui, invece, solo i pantaloncini della divisa.

«Sei nervoso, capitano?»

Il dottore li aveva lasciati soli per andare a prendere i risultati nell'altra stanza.

«Mh?»

Gli indicò la gamba destra, che stava facendo su e giù nell'aria.

«No, è che... sembri un po' agitato.»

Eppure Jun cercava costantemente di controllarsi... di controllare

«No, sono solo un po'... stanco, sì.»

Si costrinse a ritornare fermo. 

Da qualche tempo non correva più come prima, non giocava più come prima. E neanche Yayoi lo trattava più come prima.

«Ti va di andare da qualche parte dopo?»

«Meglio non sforzarsi, capitano. Se sei stanco devi riposare.»

Chinò la testa, sospirando.

Era solo stanco di non potersi stancare.

«Ma non succederà niente...»

Ma quando incontrò lo sguardo dell'amica, il suo sorriso si scurì un po'.

«Non devi preoccuparti per me, Yayoi.»

Forse era stato un po' duro, ma... era davvero stanco di essere trattato come uno che non sarebbe riuscito neanche a lanciare un sassolino nell'acqua. Era stanco della pietà che da un po' di tempo tutti attorno a lui avevano cominciato a rivolgergli. Jun non voleva essere considerato... inabile.

«Jun...»

Cominciò a giocherellare con un filo scucito dei pantaloni. Se l'avesse saputo la mamma... però la mamma non c'era quel giorno, quindi non avrebbe potuto dire niente. Anche perché... c'era sempre un altro difetto di cui occuparsi, molto più grave di un filo fuori posto. Jun era comunque in ascolto, più in attesa del ritorno del cardiologo però.

«Scusa...»

Nella sorpresa rialzò la testa, verso di lei. Perché si stava scusando?

«Vedi, io... io voglio solo che tu stia bene.»

«Ma io sto bene.»

«No... voglio che tu stia bene sempre... che il tuo cuore stia bene sempre.»

Yayoi abbassò la testa e arrossì un po'. Non stava sorridendo, anzi: sembrava proprio triste. E vedere quell'espressione sul suo viso... Jun cominciò a sentirsi in colpa. Molto in colpa.

«Sono io a dovermi scusare con te.»

«E perché?»

«Perché non dovevo... non dovevi sapere della malattia. Mi dispiace, purtroppo non si può comandare... il cuore. Non ho potuto decidere io quando sentirmi male.»

Scrutò i suoi occhi per cercare conforto, forse un messaggio positivo, un “andrà tutto per il meglio, capitano, perché tu sei forte” – forte?

«Per questo... non hai niente di cui scusarti, Jun.»

Il medico rientrò, dispiacendosi per l'attesa: aveva telefonato ai coniugi Misugi per avvisarli dei risultati degli esami, come da loro richiesto. Jun fu felice di sapere che avrebbe potuto giocare, ma l'entusiasmo si smorzò quando gli fu precisato che avrebbe potuto scendere in campo soltanto per una decina di minuti, al massimo venti. Così la delusione soggiunse. Però avrebbe giocato, sì: quella era la cosa più importante... ma perché allora sentiva dentro di sé crescere un senso di... di oppressione che non aveva mai provato prima?

Ringraziò il dottore e salutò educatamente, come sempre. Yayoi fece lo stesso, camminando di fianco a lui per i corridoi dell'ospedale, verso l'uscita. 

«Ti va ancora di camminare?»

Le rivolse uno sguardo con fare distratto.

«Cambiato idea?»

Yayoi annuì, con le labbra un po' increspate.

«Ho sbagliato, capitano.»

«Eh?»

«Non voglio che tu ti senta malato.»

Jun ridacchiò.

«Ma lo sono... di fatto lo sono.»

Ma lei lo ignorò, con la stessa espressione serena. 

Ormai erano fuori dall'ospedale, e l'autista lo stava aspettando proprio lì. 

«Camminata saltata... mi dispiace, sarà per un'altra volta.»

Avrebbe dovuto salutare Yayoi lì... fece per voltarsi ma la voce della sua amica lo trattenne, un po' come l'ancora di una barca.

«Capitano...»

Ma lui non si voltò: rimase fermo. Nella sua testa il suono di quella parola – capitano – cominciò a galleggiare da sola, in quel mare di pensieri e preoccupazioni che da un po' di tempo ostacolavano la sua rotta. La sua rotta verso l'isola che non c'è, quello spazio che per lui non era che un pallone da calcio e uno stadio gremito di gente. Uno spazio tanto irraggiungibile quanto inevitabilmente suo.

«Io so che ce la farai... è che credo di aver paura. Ho paura per te. Non so perché. Forse... forse perché ti voglio bene, ecco!»

E per fortuna non si era girato... la sua faccia era diventata un camino.

«J-Jun...»

Deglutì, un po' a disagio. 

Forse perché ti voglio bene, ecco!

«So che diventerai il migliore calciatore del Giappone, anche più bravo di Tsubasa... sì, sei davvero un genio del calcio, lo pensano tutti. Per me non è un peso accompagnarti in ospedale, anzi... ci vediamo domani, capitano!»

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

  
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