Just Like Honey
2.
Successe.
Senza che si accorgessero come; senza fermarsi a
riflettere sui dettagli, le parole, i gesti e le scelte compiute. Il risultato
era stato un primo bacio, neanche passionale, ma uno sfioramento impulsivo di
labbra. Un gesto improvviso.
Vegeta non se lo sarebbe aspettato, di essere in grado di
cogliere, in quel modo, il momento.
Perché lui di baci non ne aveva dati, soltanto ricevuti,
in margine al piacere fisico, quelle pochissime volte concessi. Ed era sempre
stato ovvio che qualcuno volesse baciarlo, se non per affezione, almeno per la
regalità da lui stesso emanata e per il potere che lui stesso rappresentasse.
Ammirato oppure odiato, nulla nel mezzo, per specie, per stirpe, per
attitudine.
Era stato molto peggio stavolta; non era riuscito a
trattenersi dal confessarle quanto l’intera situazione lo disturbasse, lo
estenuasse. Ancora inarrivabili le sue ambizioni, nonostante lo sforzo di
uccidersi ogni giorno. E l’aveva conquistata la libertà, ma come secondo.
A Kakaroth non aveva chiesto perdono per i gesti
compiuti, eppure aveva pianto, impunemente, lo stesso. Le lacrime avevano
aggiunto un inconfessabile non detto, solcando le sue guance prima che ci
riuscisse la morte.
C’era da sentirsi in colpa per tanta lealtà dimostrata al
tiranno, fosse stata anche una menzogna.
Il grande Vegeta non aveva avuto abbastanza coraggio, né
rabbia, da accrescere la sua forza al punto da riuscire a battere Freezer, o da
volerlo disperatamente, come era successo a Goku, il super saiyan.
Il suo cuore non conosceva la purezza dell’altro, neanche
nell’odio provato nei confronti di chi gli aveva avvelenato la vita. Non era
bastato, non bastava, Cosa diavolo
occorreva?
Vegeta odiava soltanto chi lo aveva reso libero, colui
che aveva restituito dignità al suo popolo, e lo avrebbe sempre odiato per
essere arrivato dove lui aveva fallito. Una terza classe.
Davanti a Bulma non aveva pianto. Non sarebbe più
successo che la sua coscienza sgorgasse, copiosa, dai suoi occhi neri. Ma le
parole...le parole erano ben altra questione. Erano scappate. Uscitegli dal
petto non era riuscito a fermarle, dopo aver represso per anni tutto ciò che
veramente pensasse. Aveva confessato.
Si era confessato. A lei. Ad una terrestre.
Allora Bulma si era avvicinata a lui, un pugno sul cuore
in tumulto; non avrebbe avuto più bisogno di scuse, o di articolate
giustificazioni: poteva amarlo Vegeta, era umano. Era solo.
Ma lui non l’aveva compresa e, credendola avvicinarsi al
suo viso per pietà, aveva voluto risparmiare almeno questa al suo orgoglio.
Così aveva baciato Bulma per primo, per ristabilire
l’equilibrio tra le parti.
Lui vincente.
Assurdo.
Assurdo?
A lei non era rimasto che seguirlo quel bacio, in punta
di lingua, con un abbraccio.
Iniziarono a spogliarsi, quanto sarebbe bastato a
congiungersi, perdendo fiato, recuperandolo a stento tra i denti.
Contro il muro.
Un ultimo impaccio tra le cosce e quell’uniti sarebbe
stato per sempre.
Ma Vegeta si fermò. E la guardò attonito, confuso da
quanto, all’improvviso, la volesse.
Non era mai stato così per nessuna.
Non aveva mai dovuto conquistare nessuna.
Non aveva mai voluto nessuna.
«Sarebbe uno sbaglio.» E, non sapendo spiegarsi perché,
aggiunse: «Sei soltanto una terrestre.»
La lasciò con ancora il calore delle sue mani sulla pelle,
e il corpo insoddisfatto.
«Vegeta...Vegeta!»
Bulma lo rincorse.
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