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Autore: Scarlet Jaeger    21/07/2020    1 recensioni
"Ma a volte
l'amicizia fra maschio e femmina non è fatta per
durare a
lungo, perché prima o poi uno dei due finisce per innamorarsi
dell'altro."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29



La mattina dopo fui io la prima a svegliarmi, probabilmente tormentata dai tanti pensieri che non mi avevano fatta dormire bene. Mi sentivo stanca e sicuramente avevo due occhiaie violacee sotto gli occhi. Per tutta la notte avevo continuato a rigirarmi nel letto, assaporando il profumo di Kai dal cuscino e cercando una posizione in cui riuscire a rilassami, ma purtroppo i miei tentativi erano risultati vani.
Avevo continuato a ripensare allo splendido bacio che mi aveva regalato Rei, che invece continuava a dormire accanto a me con il volto rilassato e leggermente accaldato. Se ripensavo a quei momenti mi sentivo emozionata, ma c’era qualcos’altro che mi impediva di essere completamente felice. Fino a che non avessi saputo dove si era cacciato Kai e del perché non fosse tornato in albergo quella notte io non sarei riuscita ad essere completamente tranquilla, così da poter vivere a pieno 
i bei momenti con il ragazzo che mi stava di fronte. Anche se, a dirla tutta, immaginai che ciò che era successo tra noi difficilmente sarebbe accaduto di nuovo. Anche nella mente di Rei c’erano troppi tormenti interiori per lasciarsi del tutto andare con me. In fondo, lui doveva capire cosa provasse per Mao. Mi chiesi se avesse finalmente fatto chiarezza nel suo cuore, ma quel pensiero mi fece stringere leggermente la mascella in un’espressione contrita. 
Decisi infine di svegliarlo quando la sveglia segnò l’ora in cui ci eravamo accordati di alzarci, nonostante sentissi fin troppo silenzio provenire dalla stanza affianco. Probabilmente anche gli altri ragazzi se l’erano presa comoda, e dopo tutto quello che avevamo vissuto quella sera non li biasimai. Sarei rimasta volentieri a crogiolarmi nel tepore delle coperte ancora per un po’, procrastinando l’inevitabile, ma  in fondo dovevo pur affrontare il mio compagno in qualche modo. Si era addormentato prima di dire qualsiasi cosa e lo aveva fatto accarezzando la mia pelle, come se non volesse effettivamente lasciarmi andare, ma dovevamo ancora dare un nome a tutto quello.
«Rei?»
Lo scossi leggermente per una spalla, scostando le coperte in cui era avvolto ed attendendo che aprisse gli occhi.
Quando lo fece li posò su di me, con uno sguardo leggermente confuso. Probabilmente dormiva così profondamente da non essersi accorto di nulla, nemmeno dell’ora, e lo capii dallo sguardo ancora impastato dal sonno che aveva attraverso le palpebre socchiuse.
«Buongiorno…», mi disse quando capì di essere stato destato dal suo sonno e dopo essersi strofinato gli occhi con il dorso della mano. Si voltò supino e si poggiò un braccio sulla fronte con fare assonnato.
«È già ora?», si lamentò e quello mi fece ridacchiare sotto i baffi. Non era mai capitato che si lamentasse delle levatacce, solitamente a farlo erano Takao, e talvolta Max, ma il fatto di essersi addormentato tardi per colpa di tutti gli eventi successi doveva aver influito molto su quel risveglio. E dormiva così beato che non faticai a credere che gli pesasse parecchio il dover uscire dalle coperte così presto.
«Sì. Stamattina inizieranno gli incontri amichevoli dei White Tigers e degli All Stars, non dirmi che vuoi perderteli. Sappi che mio nonno non ce lo perdonerà», lo ammonii divertita e gli vidi fare una smorfia.
«Lo so…», sbuffò infine, voltando il volto verso di me e penetrandomi col suo sguardo furbastro. «Ma sarà faticoso svegliarsi del tutto stamattina», disse poi e vidi la sua espressione rabbuiarsi per un istante. Fu solo un attimo però, perché tornò a sorridermi subito dopo. Probabilmente non voleva che tornassi a preoccuparmi per Kai o a pensare a ciò che era successo al Monastero. Evidentemente Yuri ed Ivan avevano inquietato parecchio anche lui…
Ma io non volevo parlare di Hiwatari, e nemmeno di ciò che era successo fuori dall’Hotel. C’era solo una cosa di cui volevo parlare, e credo lo capì anche lui.
«Saya», mi richiamò infatti, dandomi modo di guardarlo negli occhi. «Volevo dirti che non sono pentito di quello che è successo ieri sera. So che ho instaurato molti dubbi nel tuo cuore, perché probabilmente sono gli stessi che attanagliano il mio, ma è stata una cosa che ho fortemente voluto fare»
«Non tormentarti per questo Rei», gli sorrisi affabile. «Nemmeno io sono pentita…anzi…», arrossii lievemente, «mi hai regalato un primo bacio stupendo».
Abbassai leggermente lo sguardo, imbarazzata, e quando lo riportai su di lui mi stava guardando con un’espressione in un misto tra lo sgomento e lo stupito.
«Tu…io…quello era…il tuo… primo bacio?», balbettò, altrettanto imbarazzato, portandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Io annuii solamente, rossa come un peperone ed impossibilitata a sostenere ancora il suo sguardo. Dei, perché doveva mettermi in imbarazzo così? E perché ero stata così stupida da dirglielo? Potevo far finta di nulla, poi se me lo avesse chiesto lui glielo avrei rivelato. No, decisamente non ero in grado di gestire troppe emozioni insieme!
«Perché, non era il tuo primo bacio?»
Mi venne spontaneo chiedere a mia volta, e lo feci aggrottando leggermente le sopracciglia con fare perplesso ed impacciato. Lui però scosse la testa in un gesto negativo, sorridendo divertito.
«No», ammise, assottigliando gli occhi ed aprendosi in uno dei suoi sorrisi rassegnati. 
Io avvampai di nuovo pensando a quanto dovevo essergli sembrata inesperta. Avrei voluto sotterrarmi! Inoltre mi chiesi veramente dove avesse fatto esperienza. Ero molto curiosa di sapere, ed infatti non ci misi molto a chiederglielo.
«Ho avuto una piccola relazione con la figlia del cuoco per cui lavoravo quando ero in Francia. Ricordi che andai a trovarli quando approdammo a Parigi nel nostro viaggio in Europa?», mi spiegò e tutto mi fu chiaro. In fondo Rei era “scappato” dal suo villaggio per fare esperienza, ed a quanto pareva non l’aveva fatta solo per quanto riguardava il Beyblade. Quel pensiero mi strappò un sorrisetto.
«Ti sei dato da fare!», gli dissi, cercando di scoccargli un’occhiata di sufficienza, scoppiando però a ridere subito dopo.
«Un po’», mi sorrise con sguardo furbastro e colpevole, scoppiando a ridere a sua volta. Mi piacevano quei momenti di ilarità con lui, soprattutto quando non avevamo più nulla da nascondere ed il nostro cuore era un po’ più leggero.
Non sapevo ancora quale sarebbe stato il nostro destino, o se eravamo destinati a stare insieme, ma in quel momento volevo solo godermi ciò che la vita ci stava regalando, nel bene e nel male. In fondo c’era ancora una finale da vincere ed i cuori e le menti dei ragazzi dovevano essere pronte ad affrontarlo. Non potevo creare scompiglio nella squadra e nei suoi componenti, non me lo sarei mai perdonato.
E poi c’era ancora Kai nei miei pensieri…
«Però adesso è meglio se ci prepariamo ed andiamo a dare una mano al Prof Kappa ed a Max per svegliare Takao, che ne dici?», mi propose dopo alcuni secondi di silenzio, in cui ero estremamente sicura che si sarebbe sporto e mi avrebbe baciata di nuovo. Invece non lo fece ed io fui felice così. Era stato bello potermi lasciare andare e vivere quei momenti con lui, però non dovevamo esporci troppo l’uno con l’altro, perché non sapevamo a cosa saremmo andati incontro. Non volevo soffrire, vista già la sofferenza che pativo per un’altra persona, anche se di tutt’altra natura.





Dopo essere riusciti a far destare Kinomiya dal suo sonno ed essere scesi a fare colazione, in cui Takao spazzolò la metà delle prelibatezze sul tavolo trovando come scusa il fatto che avesse dormito poco e quindi gli servissero più forze, raggiungemmo il pullman che mio nonno ci aveva messo a disposizione e ci dirigemmo verso il Beyblade Stadio messo a disposizione dalla federazione locale.
L’edificio somigliava molto al Monastero in cui eravamo finiti per ben due volte e rimanemmo a bocca aperta quando scoprimmo che i fondi per costruirlo erano stati donati proprio da Vorkof, quello strano monaco che sembrava esserne a capo. Ma tutto quello non mi stupii, in fondo allenava giovani Blader ed immaginai che lo facesse anche per uno scopo ben preciso. Ricordavo benissimo la fine del povero Zenghev, quando era stato battuto da Takao, e, seppur facessero passare il Beyblade come uno sport sano e pulito, dettato dalla passione e dallo spirito combattivo, non ero sicura che lo pensassero davvero.
Una volta entrati trovammo subito i White Tiger, arrivati poco prima di noi, e seppure Rei e Lai si scambiarono un caloroso saluto, io ero rimasta in disparte ad osservare la reazione di Mao alla vista di Rei. Il suo volto si era incredibilmente illuminato alla vista del mio compagno di squadra ed un sorriso le era spuntato sul bel viso quando lui aveva ricambiato il suo saluto. La cosa più strana fu che non mi sentii per niente gelosa di quelle attenzioni. C’era da preoccuparsi?
Quando però lei mi salutò, dopo aver salutato cordialmente tutta la squadra, io non riuscii a sostenere il suo sguardo. Sentivo una certa inquietudine crescermi nel petto, come se lei potesse leggere nei miei occhi quello che era capitato tra me e Rei. Ero imbarazzata e preoccupata della reazione che avrebbe potuto avere se ne fosse venuta a conoscenza. Spostai anche lo sguardo su Rei, in cerca del suo sostegno, ma lui mi stava osservando come a dire “sii te stessa”. E così feci. Presi una copiosa boccata d’aria e la salutai tranquillamente come avevo fatto con il resto dei suoi compagni. Ma per quanto ancora avrei sopportato quello strano triangolo che si era formato tra noi?
Purtroppo non potei pensarci oltre, perché l’arrivo dell’intero Team degli All Stars ci destò tutti dai nostri pensieri.
Max corse ad abbracciare sua madre, mentre i ragazzi salutarono tutti i presenti con un sorriso gioviale. Ci dissero che sarebbero stati i primi a scendere in campo contro i Demolition Boys, ma al suono di quel nome ci irrigidimmo tutti.
«Hai detto Demolition Boys?», chiese Takao, aggrottando leggermente le sopracciglia. «Sono per caso i ragazzi che si allenano al Monastero Vorkof?», continuò poi, dando voce ai nostri pensieri.
Fu Emily a rispondere.
«L’abbiamo saputo anche noi questa mattina. I ragazzi che formano la squadra nazionale Russa provengono tutti da quel monastero»
Ammutolimmo. Era chiaro che pensammo tutti la stessa cosa. Doveva trattarsi di Yuri e Ivan, era oramai chiaro. Quel piccoletto era troppo in gamba per passare inosservato. Quindi, anche se inconsciamente, quella notte avevamo fatto la conoscenza dei nostri prossimi avversari. Per fortuna potevamo studiarli grazie a quelle amichevoli e sono sicura che il Prof Kappa avrebbe sicuramente raccolto tante succulente informazioni. 
«Beh, adesso dobbiamo andare», ci rese noto Michael, scorrendo lo sguardo su ognuno di noi. «Vi conviene andare a prendere i posti migliori sulle tribune ragazzi, non vorrete perdervi gli incontri», ridacchiò.
Così facendo ci salutammo ed ognuna delle squadre andò per la sua strada, ma non mi sfuggì il saluto mieloso di Mao nei confronti di Rei, che la salutò a sua volta con un sorriso affabile. Quindi non mi restò altro da fare che sospirare con un lieve sorriso rassegnato e seguire gli altri sugli spalti, dove prendemmo posto nella quarta fila. Da quell’altezza avevamo la giusta visuale e non era troppo lontana dal campo di gara. Lo stadio era ben visibile, come lo sarebbero stati i Beyblade avversari per poterli studiare.
Il primo ad entrare nella piattaforma di gioco fu Dj Man, sempre lo stesso uomo che aveva seguito tutte le tappe del mondiale, vestito con dei tipici vestiti Russi e del suo sorriso migliore. Iniziò a sproloquiare al microfono di quanto fosse bello il Beyblade, di quanto fosse stato appassionante il mondiale e della generosità di Vorkof  nell’organizzare quello speciale torneo amichevole con i migliori Blader del mondo. A me sembrò parecchio strana la cosa, ma desistetti dal dirlo, e l’espressione dei miei compagni di squadra era del mio stesso avviso. Insomma, perché esporsi così tanto poco prima delle finali del mondiale? E poi sapevano benissimo che ci saremmo stati anche noi a guardare gli incontri, e che avremmo potuto osservare il loro modo di giocare. Si sentivano davvero così sicuri di loro stessi?
Quando il Balder Dj passò la parola a Vorkof ammutolimmo tutti. Era seduto sulle tribune in un posto d’onore, da dove avrebbe osservato i suoi blader battersi contro gli avversari, ed aveva un sorrisetto che mi sembrò alquanto falso.
«Eccolo!», richiamò l’attenzione Takao, digrignando leggermente i denti in un’espressione a dir poco irata. Era chiaro che ancora non gli fosse andato giù il comportamento dell’uomo nei nostri confronti e in quello dei suoi Blader. 
La cosa che ci apparve più strana, e che fece apparire sui nostri volti delle smorfie contrariato, fu il suo discorso. Parlò dell’amicizia e della passione che ogni giocatore mette nel gioco e la fiducia che ripone nei propri mezzi, cosa che ci strappò un sorriso amaro. Avevamo constatato coi nostri occhi che i Russi erano tutto tranne che amichevoli e che giocavano con un rancore che li distingueva da tutti gli altri. Erano stati dei freddi calcolatori, ed anche molto abili, come il Balder di nome Ivan. In più mi chiesi seriamente chi sarebbe sceso in campo per difendere i colori della nazionale locale, o se avessimo visto Yuri in azione. Ero estremamente sicura che anche lui fosse un giocatore molto abile ed infido, vista la freddezza con il quale aveva osservato il match tra il suo compagno e Takao.
«Già…», soffiai in risposta alla constatazione del nostro campione. «Secondo voi chi saranno i Blader Russi?», chiesi infine, dando voce ai miei pensieri. Volevo davvero confrontarmi con le loro idee.
Il primo a rispondermi fu Rei, che era seduto tra me ed il Prof K.
«Secondo me i due ragazzi di ieri sera fanno parte della nazionale. Quell’Ivan è stato davvero bravo, addirittura da mettere in difficoltà un campione come Takao!»
Portò le braccia conserte al petto ed osservò Vorkof assottigliando lo sguardo in un’espressione contrariata, nonostante quello stesse ancora sproloquiando sui benefici di questo sport.
Tutte cavolate a mio avviso. Non che ciò che stesse dicendo lo fosse, anzi, erano tutte cose assolutamente vere. Era il fatto che fosse lui a dirle a farmi storcere il naso. Ma forse faceva parte della sua copertura, e quindi mi chiesi che ruolo ricoprisse quell’uomo in tutto quello. Era veramente un monaco come voleva far credere a tutti? Oppure c’era dell’altro?
«È sicuro!», continuò Max, portandosi il pollice alla bocca e torturandosi l’unghia con fare nervoso. «Inoltre se quello che ha detto Emily è vero ed i Blader locali provengono tutti dal monastero non è difficile intuire che il loro livello di gioco dev’essere abbastanza alto»
«E magari li abbiamo incontrati il giorno in cui siamo entrati in quelle mura…», constatai io, cercando di riportare alla mente i volti di tutti quei ragazzi impauriti che avevamo visto al Monastero.
«Secondo me no», azzardò a dire Kappa, parlando per la prima volta da quando ci eravamo seduti. Aveva continuato a tenere un’espressione concentrata ed aveva ascoltato ogni parola che quell’uomo aveva detto. «Se ci fossero stati dei veri campioni non avrebbero esitato a scendere in campo, invece non l’hanno fatto. Non credo che avrebbero azzardato a farsi scoprire così presto. Credo che l’incontro di questa notte sia stata solo una fortuita coincidenza. E poi non possiamo sapere se effettivamente quei due Blader siano due membri titolari della squadra…», finì a fare spallucce, senza però togliere il suo sguardo da Vorkof, che nel frattempo aveva finito di parlare sotto le ovazioni e gli applausi del pubblico.
Nessuno di noi cinque seguì la massa però, ed anche la nostra conversazione si concluse lì, perché Dj Man chiamò in campo la rappresentativa Americana.
Seguimmo l’entrata in campo dei nostri amici con sguardo attento, osservando le loro espressioni concentrate. La madre di Max, la dottoressa Judy, aveva un’espressione così tesa che stonò sul suo bel volto. Inoltre non era stata così nervosa nemmeno quando giocarono contro di noi. In America erano stati sicuri della vittoria, nonostante fossimo riusciti a strappargliela in finale, invece quella volta ebbi come la sensazione che non fossero preparati a ciò a cui stavano andando incontro. In fondo nessuno aveva informazioni sulla squadra dei Demolition Boys. Quei ragazzi erano un mistero anche per degli scienziati come loro e quella cosa mi inquietò parecchio.
Inoltre, durante l’entrata del PPB, nessuno del pubblicò applaudì. 
«Ed ecco il Beyblader più amato che tutti noi stavamo aspettando! L’eroe del momento! Il primo rappresentante dei grandi Demolition Boys a scendere in campo quest’oggi», gridò a pieni polmoni il cronista «Signori e signore ecco a voi Ivan Pablov!»
Al grido del suo nome invece ci fu uno scoppio di applausi e grida, segno che i Russi dovevano tifare parecchio la loro squadra di appartenenza…
«Hey, ma perché scendono in campo uno alla volta?», chiese Takao, perplesso da quello strano avvenimento. In fondo i componenti delle squadre non dovrebbero essere tutti uniti?
«Non te lo so dire, ma ho la netta sensazione che Dj Man faccia il tifo per la squadra di casa…», lamentò Kappa, apprestandosi ad aprire il portatile per poter finalmente riprendere l’incontro che si sarebbe tenuto tra Ivan e Steve.
Purtroppo come pronosticato i Blader di Vorkof erano fortissimi e, per quanto lo fosse stato anche Steve, tanto da aver messo in difficoltà Takao stesso al Torneo Americano, il campione Statunitense venne battuto in pochissimi secondi sotto il nostro sgomento e quello dei suoi compagni.
Il secondo a scendere in campo per difendere i colori degli USA fu Eddi, mentre per la squadra di casa fece il suo ingresso solitario il Blader dai capelli scarlatti che avevamo conosciuto quella notte. Finalmente saremmo riusciti a vederlo in azione. Mi aveva così tanto incuriosita che non aspettavo altro. Volevo vedere se anche lui era un eccelso giocatore come il suo compagno o se fosse stato sconfitto dal suo avversario, che ricordai riuscì a battere il nostro Rei.
«Ecco a voi Yuri Ivanov!», lo acclamò Dj Man, ed anche per lui ci furono incitazioni ed applausi. 
Io mi persi ad osservare la sua camminata fiera e risoluta, come quella di un predatore che ha adocchiato la sua preda, come se fosse già sicuro di farla fuori. Il suo sguardo di ghiaccio era piantato sull’avversario, mentre metà del suo volto era nascosto dietro il colletto della maglia bianca ed arancione che stava indossando e quello gli dava un’aria così fredda e misteriosa che di nuovo sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Non seppi dire perché mi faceva quell’effetto, ma forse era solo una conseguenza di quelle iridi color del ghiaccio che avevano il potere di gelarti all’istante da quanto sembravano vuote e fredde.
Quando iniziò il match non ebbi più dubbi sul perché fosse così sicuro di sé. Inoltre il suo comportamento non tradì le mie aspettative. Anche lui era un campione, esattamente come il suo compagno, ed aveva buttato fuori dal campo di gioco Trypio in pochi, pochissimi, secondi. Non eravamo stati neanche in grado di vedere bene il suo attacco, perché successe tutto in poco tempo e senza che lui avesse mosso un muscolo. Era rimasto sulla pedana di lancio con le braccia conserte e l’espressione indifferente, mentre il suo Beyblade argentato continuava a girare baldanzoso in mezzo al campo, sotto lo sconcerto degli americani.
«Non è possibile!», sentii inveire il Prof di fronte a ciò che era appena successo. Sono sicura che lo avesse detto soprattutto perché il match era durato talmente poco da non essere riuscito a recuperare informazioni.
«Trypio è fuori gioco, il vincitore è Yuri!», decretò il Blader Dj e di nuovo le urla del pubblicò riempirono lo stadio. Ma tutte quelle acclamazioni ed applausi non scalfirono la coltre di ghiaccio del rosso. Si spostò verso la loro panchina senza mai fermarsi a guardare oltre, come se gli apprezzamenti del pubblico lo lasciassero del tutto indifferente.
Nel terzo incontro scese in campo Michael, che raggiunse il campo con l’espressione di chi l’avrebbe fatta pagare cara al suo avversario. Probabilmente il nervosismo la stava facendo da padrone, e come dargli torto… ma avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti se non voleva fare la stessa fine dei suoi compagni.
Io invece avevo iniziato ad agitarmi sulla poltroncina degli spalti. Ero veramente curiosa di sapere chi fosse il terzo Blader a scendere in campo per i Russi. Ivan e Yuri li avevamo già conosciuti quella notte, ed avevamo capito che fossero dei veri fuori classe. Ma chi sarebbe stato il terzo? Sarebbe stato forte e letale come loro? Ma, soprattutto, mi domandai se lo avessimo conosciuto in qualche modo. In fondo avevamo incontrato molti Blader il giorno del nostro arrivo a Mosca, facendo visita proprio al Monastero.
«Adesso può fare il suo ingresso anche il terzo campione Russo!», lo chiamò il Dj, dopo aver presentato Michael, che invece stava attendendo il suo avversario con il suo caricatore a palla da Baseball stretto nella mano destra.
Rimanemmo tutti con il fiato sospeso, mentre ascoltavamo l’eco dei passi del misterioso Blader farsi sempre più vicino. Eravamo tutti fissi a guardare l’entrata del campo posta alle spalle della panchina dove erano seduti Ivan e Yuri. Ricordo che smisi anche di respirare per un momento e mi stavo torturando l’unghia del pollice con nervosismo. Non mi era più capitato di farlo, ma in quel momento fu un gesto del tutto inconscio. I miei occhi non si erano spostati minimamente dal corridoio buio da dove sarebbe entrato lo sfidante del campione Americano.
I suoi passi erano sempre più vicini e la sua ombra iniziava ad intravedersi dalla semi oscurità dell’apertura, posta in mezzo alle tribune di fronte alla nostra. 
Fece ancora qualche passo prima che la luce artificiale delle lampade di cui era provvisto lo stadio lo mostrasse ai nostri occhi. Vedemmo prima la punta delle sue scarpe nere entrare nel nostro campo visivo, poi i larghi pantaloni fin troppo famigliari, fino a che la luce non arrivò a riflettere il bianco della sua sciarpa e l’argenteo colore dei suoi capelli.
I suoi occhi ametista invece scintillavano in direzione del suo avversario.
Tutti noi Bladebreakers ci esibimmo in un’espressione sconcertata alla vista di quel Blader che noi conoscevamo fin troppo bene.
«Non è possibile!», sentii proferire ai miei compagni con voce sofferta. 
Io dal canto mio mi sentii sprofondare, come se mi fosse mancata la terra sotto i piedi. Iniziarono a tremarmi le gambe, mentre sul volto avevo un’espressione puramente sofferta, dettata dalle tante emozioni che avevano attanagliato il mio cuore.
“Non è possibile”, continuai a ripetermi tra me e me.
Sentivo un dolore al petto che difficilmente sarebbe andato via.
Come rappresentante della squadra Russa, sfacciato e sicuro di sé com’era sempre stato, c’era Kai Hiwatari. 
Ed il mondo mi crollò addosso.
Fine capitolo 29


°°°°°°°

Colei che scrive:
Ma salve! Eccomi tornata con un altro aggiornamento! Questo capitolo riprende più o meno ciò che successe nella puntata del cartone, a parte la prima parte tra Rei e Saya ovviamente xD e quanto ci rimasi male quando vidi uscire Kai dalla parte dei Russi U.U 
Quindi ora viene il bello eheheh e quella povera anima di Saya si è rovinata la serata per questo ingrato, tzé! Ma il bello arriverà! 
Che dire, finisco col ringraziare come sempre i recensori, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi giunti fin qua! 
Al prossimo aggiornamento! 

  
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