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Autore: Nadine_Rose    21/07/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Nella foto, tratta dal film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”, come immagino Matteo e Sarah «nella spiaggetta racchiusa tra le scogliere e sovrastata dalla montagna» ai capitoli 5 e 27.

 

Capitolo 35

 

Il cuore e i suoi inganni

 

“Chi t’insegnò i passi che fino a me ti portarono?

Quale fiore, pietra, fumo ti mostrarono la mia dimora?

Certo è che tremò la notte paurosa,

l’alba empì tutte le coppe del suo vino

e il sole stabilì la sua presenza celeste,

mentre il crudele amore m’assediava senza tregua

finché lacerandomi con spade e con spine

aprì nel mio cuore una strada bruciante.”

Pablo Neruda, Aspro amore

 

Campo di Fossoli, 22 febbraio 1944

 

Sarah si volse lentamente, mostrandogli un’espressione triste e spaesata, interrogativa. Il tono con cui l’aveva chiamata, pronunciando il suo nome, s’era addolcito, lasciandole intendere cosa stesse per chiederle.

“Ti aspetto dopo cena”, le disse infatti, con quell’aria allusiva e insolente che lei ben conosceva, come se nulla fosse successo, incurante del suo malessere fisico e, soprattutto, emotivo.

E, questa volta, fu Sarah a ripristinare le distanze e ristabilire la gerarchia fra di loro. “Sì, signore”, rispose, quasi in tono di sfida e nemmeno si curò di nascondere la sua espressione corrucciata.

La parte forse più razionale di sé si augurò di averlo innervosito, così da scansarsi la notte con lui. Questi, invece, non si scompose e accennò uno dei suoi sorrisi sornioni. “Hermann”, la corresse.

“Sì”, fece una pausa, confusa dalla sua doppia personalità e nauseata per la troppa tensione accumulata e all’idea di abbandonarsi tra le sue braccia dopo tutto ciò che era accaduto – la deportazione di innocenti che aveva eseguito, la crudeltà con cui le aveva parlato –, “Hermann.”

Reggendosi il braccio dolorante, andò via e il nodo che le si era stretto alla gola si sciolse soltanto in infermeria, quando il medico, con non molta delicatezza, le avvolse un bendaggio stretto intorno alla zona contusa, lievemente per fortuna. Lacrime di delusione poterono così liberarsi, nascondendosi tra quelle scaturite dal dolore fisico e non ne avrebbe provato rimorso. Dalla piccola finestra, s’intravedevano già le prime luci del tramonto a preannunciare la notte bugiarda e voluttuosa alla quale, in un modo o nell’altro, si sarebbe sottratta.

 

Napoli, ottobre 1946

 

Il molo situato di fronte all’ex stazionamento dei tedeschi non era molto frequentato dai pescatori che preferivano attraccare al poggio antistante alla Cattedrale, lì dove aveva visto Matteo per la prima volta, mentre nella barca riparava le reti.

Sarah aveva camminato a lungo, ritrovandosi senza neanche accorgersene nella cornice del loro primo bacio e, adesso, sedeva con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani a piangere la morte di Hermann, laddove in mezzo al mare terminava la banchina. L’enorme sfera arancione del sole che scendeva dietro l’orizzonte delle isole faceva da unico spettatore alle sue copiose, irrefrenabili lacrime.

Tormentata dal rimorso di non aver fatto, di non esser stata abbastanza per convincerlo a spogliarsi della sua divisa durante la Battaglia Partigiana di Gonzaga, confusa dal susseguirsi dei ricordi d’amore e di dolore, nemmeno davanti alla consapevolezza che non si sarebbe mai più ricongiunta alla sua famiglia aveva pianto in quel modo. Lo sciabordio delle onde che s’infrangevano contro il molo tentava invano di sovrastare il suono dei suoi singhiozzi disperati.

Le lacrime di Sarah si dissolsero lentamente, quando la brezza della sera, accarezzandole il viso, divenne il tocco di due mani sulle guance e di un bacio all’angolo della bocca. L’ultimo bacio, le ultime carezze, sotto gli occhi perplessi di un trio di partigiani con i fucili puntati.

Sistematasi a gambe penzoloni sulla banchina, iniziò a fissare sotto di sé l’acqua del mare e un brutto pensiero si fece spazio nella sua mente che, adesso, vagava nel vuoto. Scivolare giù, sprofondare nelle acque scure e calme del crepuscolo sarebbe stata l’espiazione della colpa per non essere riuscita a salvarlo, quando, a Gonzaga, ne aveva avuto la possibilità, la strada che l’avrebbe ricondotta a lui per condividerne l’eternità e riscrivere il passato.

La morte di Hermann aveva riportato in vita un sentimento che, dal suo cuore ancora sanguinante per le ferite d’amore, ogni tanto boccheggiava, ma che era pur sempre vivo.

Il rumore di una barca a motore che solcò veloce la superficie tranquilla del mare, lasciando dietro di sé una scia di schiuma bianca e grigia, la scosse dai suoi pensieri. Seguì con lo sguardo l’imbarcazione, mentre il suo cuore tornava a Matteo, al loro imminente matrimonio, alla loro bellissima casetta dal tetto rosso affacciata sul porto, alla propria immagine riflessa nello specchio della sartoria con indosso l’abito bianco in stile anni ’20, ad Hannah che, più di un’amica, era una sorella, al signor Gennaro e alla moglie che continuavano a prodigarsi per lei come per una figlia, a Davide che l’avrebbe accompagnata all’altare.

Indietreggiando e sedendosi meglio sulla banchina, si aggrappò di nuovo alla vita per le persone che l’amavano e per Hermann che la vita gliel’aveva salvata, da Auschwitz e dal vuoto d’amore.

 

22 febbraio 1944

 

La luce soffusa della stanza avvolgeva la sua figura dritta vicino al mobiletto. I capelli biondo grano spettinati, una bretella abbassata e un lembo della camicia fuori dai pantaloni gli conferivano un’aria vagamente scanzonata che lo rendeva più umano, meno diverso dagli altri uomini. Senza la sua divisa con il fregio del teschio a rievocare la morte e da solo con lei, sembrava esserlo realmente.

“Cosa ti ha detto il dottore?” Hermann la guardò di sottecchi per nascondere un piglio apprensivo, mentre riempiva un bicchiere di vodka. I movimenti erano tesi e rallentati dal cruccio di non sapere come approcciarsi a lei, consapevole del suo stato d’animo dopo quello che era successo.

è una lieve contusione”, biascicò Sarah, guardando un punto impreciso dinanzi a sé, tra la parete e le sue spalle, “tre, quattro giorni di riposo e starò bene.” Dentro di sé, l’impulso di fuggire lottava già contro il desiderio di restare.

“Non volevo essere troppo duro con te”, si giustificò inaspettatamente, sancendo così il vincitore nella lotta, “ma, oltre questa stanza, abbiamo dei ruoli da rispettare.” Le porse il bicchiere e subito cancellò dal viso l’espressione accigliata che un attimo prima aveva ostentato. “Tieni, ti farà sentire meglio”, le disse e, dietro quel tono asettico, tentò ancora di mascherare le sue reali emozioni.

Nonostante avesse dissentito con un cenno della testa, essendo astemia, Hermann le avvicinò il bicchiere alla bocca e lei si ritrovò a intingervi con esitazione le labbra, poggiando involontariamente la mano sulla sua. Solo un sorso e avvertì bruciore alla gola, quasi dolore e indietreggiò, arricciando il naso e strizzando gli occhi per il disgusto. Non si sentiva affatto meglio, né con il braccio né con la mente che aveva preso ad ascoltare il cuore e i suoi inganni. Sentì il suono del bicchiere posato sul mobiletto e il tocco di una mano calda che prendeva la sua fredda per condurla a sedersi assieme sul bordo del letto e tenne gli occhi chiusi al soffio di un profondo respiro sul collo, mentre le abili dita furono sotto la sua gonna.

Gli trattenne la mano, colpendogli e afferrandogli il braccio e un lamento uscì dalle sue labbra tremanti. “No”, sussurrò e un velo di lacrime le coprì gli occhi dilatati per la paura delle conseguenze del suo ardire. Ma, stavolta, non si sarebbe concessa volontariamente a lui che rimase per qualche istante interdetto, prima di incorniciare tra le mani il suo viso provato dalla dura giornata, inducendola a guardarlo negli occhi.

“Tranquilla”, le disse con tenerezza e decisione e già avvertì il tremore abbandonare lentamente il corpo di Sarah, “non faremo nulla che tu non voglia fare.”

Le prese una mano e gliela baciò ripetutamente, piano, fino a sfiorarle i polpastrelli, fino a suscitare in lei un tremito nuovo che abbassò le sue lunghe ciglia nere, inumidite dalle lacrime trattenute e dischiuse le sue labbra di rosa. E fu pronto a liberare il cuore. Per un attimo eterno, si fermò a respirare il respiro della sua bocca e chiuse anche lui gli occhi, mentre univa le labbra alle sue.

 

“Tra l’anima e la superficie, la cicatrice.

Quello che non si dice sul cuore incide

e scava nuove ferite,

mentre vorrei solamente cancellarti per sempre

o forse solo un istante.

Ma tu sciogli i pensieri

e leghi le mani, allora mi ami.

Ma è tardi domani.”

 

Francesco Renga, Cancellarti per sempre

 

   
 
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