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Autore: steffirah    21/07/2020    0 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Origini riscoperte




Quel che accadde dopo che diedi il mio sangue a Syaoran-kun era una cosa che sapevamo soltanto noi due: le sue ferite avevano cominciato sin da subito a rimarginarsi, quasi il mio sangue avesse davvero la capacità di rigenerarle, fino a che non si erano chiuse completamente. A quel punto lui stesso mi allontanò da sé, riportandomi in sala per fasciarmi nuovamente il braccio; qui tutto era come lo avevamo lasciato, sebbene non ci fosse più nessuno.
Gli lasciai prendersi cura di me senza pronunciare parola, limitandomi a scrutarlo a dovere per notarne i cambiamenti: aveva riacquisito colorito, aveva un’aria meno stanca e le ferite erano sparite, sebbene sembrasse ancora un po’ debole. Ricordai che avesse detto che il sangue non sarebbe bastato, così mi fu inevitabile chiedergli cos’altro servisse per farlo tornare in forze.
Dinanzi a quel quesito mi rivolse un’occhiata ermetica, indecifrabile, ma riassunse tutto con un: «Di cosa si cibano i lupi?»
Capendo, preferii tacere e smetterla di metterlo a disagio, pur senza che fosse nelle mie intenzioni. Così, mentre lavorava scrupolosamente sul morso ricevuto, tamponandolo e disinfettandolo prima di bendarlo, mi ritrovai a domandargli tutt’altro: «E com’è il mio… sangue…?»
Non rispose subito, per cui diedi per scontato che non volesse farlo. Fui io stessa a riempire i suoi silenzi, blaterando per fargli capire da dove nasceva quella domanda.
«Scusami, forse è un po’ indelicato da parte mia, solo che Kaito-san ha detto che sono buona come supponeva e -»
Mi bloccai ad un suo ringhio, vedendolo digrignare i denti.
«Ha osato toccarti.»
«Mmh, ma non preoccuparti, non mi ha fatto male.»
Lui pareva non sentirmi, continuava a borbottare sprezzante, richiudendo tutto nel kit con scatti impetuosi.
«Ha osato posare le sue luride mani su di te, la sua sporca bocca sulla tua pelle, ha bevuto il tuo sangue, ha assaggiato il tuo sapore.»
La sua voce si riempiva sempre più di rabbia, finché non mi rivolse un’occhiata di fuoco.
«Lo ammazzo.»
«No, no!» esclamai sconvolta, afferrandogli entrambe le mani a medicazione conclusa. «Non è grave!»
«Non è grave?!» ripeté sconvolto, abbaiandomi contro. «Ti ha fatto del male! Ti ha praticamente legata per averti alla sua mercé! Ti ha riempito la testa di illusioni affinché tu collaborassi! Ti ha mentito e sfruttata a suo piacimento! Per lui non sei stata nient’altro che un giocattolo con cui divertirsi per raggiungere i suoi scopi, da usare e gettare una volta che non sarebbe tornato più utile! Che cosa ti ha detto per sottometterti? Che avrebbe esaudito i tuoi desideri?»
La sua voce si alzava sempre di più, piena di foga, mentre io mi facevo sempre più piccina, finendo colpita e affondata. Annuii solo una volta con la testa, incapace d’altro, e lui quasi non ruggì, irato.
«Sakura, dannazione! Se hai un desiderio che vuoi venga esaudito, non fidarti di chi vuole qualcosa in cambio! Se è qualcosa di fattibile, ci penserò io a realizzarlo, senza porre condizioni!»
Mi morsi il labbro, prossima alle lacrime, sussurrando soltanto: «Tu non me lo esaudiresti mai…»
«Perché? È tanto folle?»
«Parecchio» confermai, stringendomi la gonna lercia tra le dita. «Forse te ne parlerò, quando sarai più calmo.»
«Io sono calmo!» ribatté, se possibile scaldandosi persino di più. Che pure quella fosse l’influenza della luna? «Solo che è inevitabile irritarmi all’idea che tu ti sia arresa, rivolgendoti a quell’essere spregevole, senza dirmi nulla. E sono anche furioso per quel che ti ha fatto, ma -»
«Vedi? Non sei per niente calmo» lo interruppi, nascondendo una risatina dietro la mano.
Mi rivolse un’occhiataccia, alzandosi e voltandosi altrove.
«Hai ragione» riconobbe infine. «Non manca molto al sorgere della luna, ne riparleremo in un momento più propizio. E ti consiglio di lavarti e cambiarti, a quanto ho capito a breve avrete degli ospiti.»
Detto questo svanì nel nulla e solo in quel momento ricordai dell’arrivo di mio padre. Mi affrettai a seguire il suo suggerimento, facendomi trovare linda e pulita per ora di cena.
Quando scesi al pianoterra in attesa che Sonomi-san lo portasse da noi Tomoyo-chan riapparve, spiegandomi brevemente la situazione: Meiling-chan aveva portato subito Akiho-chan a casa loro e di lei si era occupato Eriol-kun, facendole un incantesimo per cancellarle i ricordi di quello che era successo, riuscendo anche a richiuderle la ferita sul collo con un impacco magico di erbe. Dato che un segno comunque restava sulla sua pelle, aveva deciso di raccontarle che aveva perso improvvisamente i sensi a causa di un calo di zuccheri ed era caduta, sbattendo sulla radice sporgente di un albero. Come loro, anche io ritenevo fosse meglio che non venisse a sapere così della vera natura della persona che amava: se era destino che lo scoprisse, doveva farlo da sola.
Dopo che era rinvenuta l’avevano accompagnata a casa di Chiharu-chan, cui raccontarono la stessa storia, aggiungendo che lei e Tomoyo-chan si erano ricongiunte a noi a metà strada, facendoci compagnia, e per questo non eravamo più tornate. Naturalmente, seppure vi fossero molti buchi in quel racconto, erano riuscite a persuaderle tutte senza che avessero neppure la possibilità di porgere né porsi domande.
Eriol-kun era poi rimasto dai Li, dove le sorelle avevano condotto Kaito-san, tenendolo prigioniero per interrogarlo sul suo operato, le sue ragioni e le sue vere intenzioni. Il giorno successivo saremmo andate anche noi perché ritenevano corretto che fossi presente anch’io, essendone stata la vittima principale. Convenni che fosse più che giusto, anche perché così avrei potuto porgergli i numerosi quesiti che mi trafficavano in testa.
Pertanto c’eravamo soltanto noi due a casa, in attesa dell’arrivo di papà. Non mancò molto, in quanto proprio appena le cameriere finirono di preparare la tavola ecco che si aprì la porta. Corsi all’ingresso, gettandomi tra le sue braccia, trovandolo più abbronzato – paradossalmente – e trasandato del solito. La sua pelle era più ruvida e callosa, come tutte le volte in cui prendeva parte agli scavi.
«Si vede proprio che sei stato troppo nel deserto» ridacchiai, lasciandomi stritolare dal suo abbraccio.
«Si vede proprio che il freddo ti ha resa ancora più marmocchia. Sei rimpicciolita o è una mia impressione?» replicò una voce al suo posto.
Mi staccai di scatto da papà, trovandolo con un sorriso caloroso. Si fece da parte e alle sue spalle apparve mio fratello.
«Onii-chan!» esclamai in tono stridulo, gettandomi su di lui, tentando di schiacciarlo col mio abbraccio – anche per le parole ricevute.
Lui ricambiò con altrettanta foga.
«Mostriciattolo, ti sono mancato?» domandò divertito.
«Sì!» confermai focosa, pizzicandogli intanto un fianco, facendolo ridere.
Scesi da lui, guardando alle sue spalle, ritrovando un sorriso solare su un viso gentile.
«Yukito-san, ci sei anche tu!» squittii contenta, saltando anche addosso a lui.
Ricambiò l’abbraccio teneramente, confermando prima di esclamare allegro: «Sorpresa!»
Scivolai di lato, salutando rapidamente anche Sonomi-san, e mi affrettai a fare le presentazioni, indicando mia cugina. «Lei è Tomoyo-chan.»
«Ce ne hai parlato tanto» dissero all’unisono papà e mio fratello, imbarazzandomi non poco.
Tomoyo-chan ne parve lusingata e si presentò a dovere, con loro che lo fecero a loro volta. Successivamente Touya chiese, non celando il tono contrariato: «E l’altro coinquilino?»
«Ah, Eriol dorme a casa di un amico» rispose tranquilla mia cugina, senza scomporsi.
«I miei servitori porteranno le valigie nelle vostre camere, dopo vi ci guideranno essi stessi» si intromise tempestivamente Sonomi-san, venendoci incontro. «Prima ceniamo, scommetto che siete affamati.»
Alla loro conferma ci spostammo nel salone dove, per la prima volta, ebbi modo di mangiare con la mia famiglia al completo.
Come al solito, all’occhio acuto di Touya non sfuggì il bendaggio sul mio polso sinistro, per cui sfruttai la stessa scusa utilizzata per Akiho-chan. Speravo non indagasse più a fondo visto che, conoscendolo, sarebbe stato capace di non farsi abbagliare neppure dai vampiri e ficcanasare fino a scoprire la verità. Dovevo chiedere a Eriol-kun di fare un impacco anche a me e farmi guarire prima di tornare a Tomoeda, onde evitare di destare ulteriori sospetti. Per il resto mi erano rimaste lievi abrasioni e arrossamenti che, fortunatamente, con un buon bagno salutare e una dormita cominciarono già a svanire.






Il giorno successivo, col pretesto di dover incontrare delle nostre amiche, io e Tomoyo-chan andammo a casa dei Li. In parte non era neppure una menzogna, visto che nel pomeriggio avevo appuntamento con Chiharu-chan e le altre, e il problema in effetti non sussisteva neppure, dato che papà, onii-chan e Yukito-san avevano deciso di fare qualche tour in paese e nei dintorni per capire in che tipo di luogo avessi vissuto finora, ma ci tenevo comunque a crearci una sorta di “alibi”.
Sebbene inizialmente il ritorno di mio fratello mi avesse colta di sorpresa, lui mi ricordò che il periodo di studio all’estero era già finito da un pezzo, gli mancavano soltanto degli ultimi esami da dare e ne aveva approfittato nell’ultimo anno, riuscendo anche a cominciare ad abbozzare una tesi per il ritorno. Prima di tornare a Tokyo, tuttavia, aveva voluto venire qui con papà, più che altro per vedere come stessi. Temeva che mi stessi deprimendo, per qualche ignara ragione, e voleva assicurarsi che stessi in buona compagnia. Per quanto fosse pestifero e dispettoso, dovevo riconoscere che era davvero un ottimo fratello maggiore.
A questo pensavo mentre ci inoltravamo nel bosco, finché Tomoyo-chan non decise di lasciar perdere le convenzioni per fare una cosa che non mi sarei mai aspettata da una fanciulla dall’apparenza gracile come lei: dopo essersi assicurata che fossimo nel fitto della foresta mi prese in braccio senza alcuno sforzo, correndo ad una velocità che comparava quella di Syaoran-kun verso casa sua. La fissai stupita, arrivando a destinazione in un battibaleno. Riflettei sulla sua precedente vita e mi chiesi se tutto questo, se la sua nuova esistenza, non la facesse sentire più libera. Adesso poteva essere se stessa, correre, saltare, stare al freddo e al gelo, senza doversi preoccupare della sua salute.
Una volta arrivate mi fece scendere per bussare alla porta; Yelan-san venne ad aprirci e quando entrammo nel salone vicino all’ingresso trovammo tutti, Eriol-kun, figli e nipote, stanti in semicerchio, con aria piuttosto spazientita. Mi accorsi immediatamente delle modifiche apportate al mobilio: il pianoforte non c’era più e idem per i divani. La stanza era quasi completamente spoglia, eccetto che per una sedia su cui era legato con funi e catene un Kaito-san bendato. Sgranai gli occhi, pietrificandomi, non aspettandomi una scena simile. Spostai lo sguardo sulle ferite sul suo corpo, alcune sembravano essersi già chiuse, restavano soltanto grumi secchi di sangue; altre, invece, parevano essere state inferte da poco. Per un attimo mi domandai stupidamente perché lo trattassero così, ma immediatamente mi redarguii: era il nemico, non potevano di certo lasciarlo libero di agire come voleva, e sicuramente le stavano provando tutte per ricevere risposte, dato che a quanto mi aveva riferito mia cugina sembrava non voler collaborare. Io ero, per così dire, la loro ultima spiaggia, seppure nemmeno io stessa fossi sicura che in mia presenza avrebbe rivelato tutto… o forse sì, visto che ero l’unica a conoscerlo davvero. Così credevo, così speravo.
Mi avvicinai quatta quatta ad Eriol-kun, domandandogli sottovoce se potessi parlargli. Lui si scambiò un’occhiata d’intesa con Yelan-san, mentre intanto notavo Syaoran-kun guardarmi ammonitorio. Gli comunicai con gli occhi che non avrei fatto stupidate.
Alla conferma della padrona di casa loro si spostarono al lato opposto, dividendosi alle sue spalle e ai lati per tenerlo d’occhio, mentre io mi ponevo di fronte a lui, dopo avergli tolto la benda. Mi sedetti a gambe incrociate sul tappeto e lui aprì stancamente le palpebre, dedicandomi il suo solito sorriso zuccheroso. Anche la sua voce manteneva quella nota dolce e pastosa, sebbene fosse lievemente più bassa e gracchiante.
«Sakura-san. È bello vedere che stai bene.»
Sospirai, facendogli un piccolo sorriso.
«Anche Akiho-chan sarà lieta di vederti sano e salvo.»
A questo il suo sorriso si allargò, ma i suoi occhi si adombrarono.
«Lei come sta?»
«Bene, Eriol-kun si è occupato della sua ferita» lo rassicurai facendo un cenno verso il diretto interessato, il quale sembrò contrariato quando aggiunsi: «Se vuoi saperne di più dovresti chiedere a lui.»
Kaito-san mormorò qualcosa di incomprensibile, stendendo solo lievemente le labbra. Cercai di sondare la sua mente, nel tentativo di carpire ciò che gli passava per la testa.
«Lei non ti odia.»
Trasalì impercettibilmente, ma quando mi guardò mi accorsi che i suoi tratti si erano ammorbiditi: esprimevano, ora, gratitudine.
«Vorrei farti alcune domande, mi risponderesti…?» osai tentennante, guardandolo di sottecchi.
Lui emise un sospiro pesante, simile ad uno sbuffo, replicando sarcastico: «Immagino di non avere altre opzioni.»
«Sei libero di non rispondermi» lo contraddissi, scuotendo la testa. «Anche se mi sentirei più risollevata se sapessi perché -»
«Ho cercato di ottenere il tuo sangue?» completò per me.
Annuii, deglutendo a fatica, rendendomi conto che tutti si erano fatti tesi e l’aria attorno a noi era diventata pesante.
«Te lo dissi in sogno: per salvare Akiho-san.»
«Ma perché?» insistei, non nascondendo apprensione. «È malata, forse?»
«No, ma è probabile che non viva a lungo.»
Spalancai gli occhi, sconvolta. Stava per morire?! La tristezza nel suo sguardo sembrava così onesta, non faceva che farmi ulteriormente male al cuore.
Attesi che mi desse maggiori informazioni e lui parve pensarci su per qualche minuto, prima di proferire: «Ritengo che tu sia abbastanza informata riguardo il nostro mondo…» Ad un mio assenso proseguì: «Può capitare che in una famiglia di vampiri nascano bambini umani, sebbene sia raro.»
Mi voltai automaticamente a guardare Eriol-kun, il quale sembrava dedicargli tutte le sue attenzioni. Forse gli stava sondando la mente perché improvvisamente assunse un’espressione scioccata, guardando immediatamente me. Lo fissai interrogativa ma tornai subito al mio interlocutore, non appena riprese parola.
«Akiho-san è uno di questi casi. Nel mio clan si tramanda che questi bambini non sopravvivano oltre la maggiore età e dato che non voglio perderla per sempre… ho pensato di trasformarla.»
«Mordendola?» domandai col fiato sospeso, tentando di capacitarmi delle sue parole.
Akiho-chan era quindi una vampira? Una bambina abbandonata, rinnegata, proprio come il fratello di Eriol-kun…
Lui alzò un sopracciglio, confuso.
«Non sai come funziona?»
Mi feci piccina sul posto, arrossendo. No che non lo sapevo. Si veniva morsi, o qualcosa del genere… no?
«Mi sembra strano che non te ne abbiano parlato.»
«Non era necessario che Sakura-san ne venisse a conoscenza» si intromise prontamente Eriol-kun, facendo qualche passo avanti, affiancandomi. «Piuttosto, come hai scoperto di lei?»
Spostai lo sguardo dall’uno all’altro, spaesata, e tale smarrimento si rifletteva sul viso di tutti i presenti.
«Una cosa per volta» sorrise calmo Kaito-san.
Rabbrividii io al suo posto, notando l’occhiata furente che ricevette in risposta dai Li. Probabilmente loro avevano altre priorità. Chissà se si rendeva conto della situazione in cui si trovava… Anche se così fosse, non ne sembrava per niente turbato.
«Quando ho conosciuto Akiho-san e ho cominciato a prendermi cura di lei ho capito subito di aver trovato l’unica persona più simile e, contemporaneamente, differente da me. Che per queste stesse ragioni potesse comprendermi davvero. E tale idea si consolidò quando scoprii delle sue vere origini: lei era stata cacciata dal suo clan, per il suo essere diversa, perché troppo debole e priva di poteri. Io fui sfruttato dal mio clan, sin da bambino, per la stessa ragione: una capacità come la mia viene considerata un dono eccelso tra i D., per cui si assicurarono di tenermi sempre sotto custodia, affinché potessi essere il loro servo più fidato ed eseguire ogni loro ordine. Questi consistevano soprattutto in soggiogare e annebbiare la mente dei nostri nemici, affinché i combattenti tra le nostre schiere potessero sconfiggerli. Inizialmente sottostavo alle loro richieste, ma un giorno mi sentii stufo di essere un mero burattino nelle loro mani, che potessero sfruttare a loro piacimento. Naturalmente, se provavo a ribellarmi subivo punizioni severe per quanto non gravi, perché ero troppo “prezioso” per loro, non potevano rischiare di perdermi… Per questa ragione decisi di fuggire lontano, finendo casualmente qui in Giappone, dove cambiai nome e identità e cominciai a lavorare come maggiordomo presso una nobile famiglia asiatica, i Shinomoto. Essi non potevano avere figli, per cui un giorno adottarono questa bambina chiusa nella propria timidezza e mutismo.»
Fece una breve pausa, come se stesse ricucendo insieme i ricordi, prima di proseguire: «Dapprincipio non avevo idea di come raggiungerla, dato che rispondeva soltanto a suo padre e sua madre docilmente, ricordandomi un po’ il me stesso cui avevo rinunciato, mentre in mia presenza manteneva sempre il capo chino, spesso rifiutandosi persino di rispondermi se non con occasionali formule di gentilezza. Quando capii che la sua più grande passione erano i libri riuscii a farla aprire un po’ di più, affidandomi ad essi. Le permettevo di parlarmene anche per ore intere e, allora, mi accorsi dell’entusiasmo che accendeva quel volto spento. Non era morta come appariva. Mi adoperai per cercare di riportarla alla luce, rendendola una perfetta signorina essendo quella l’estrazione sociale cui ero più familiare, pur facendo uscire fuori la vera se stessa. E sembrai riuscirci, finché non fu affidata completamente a me dopo la morte dei suoi genitori. Allora cominciò finalmente a sfogarsi, ad esternare ogni suo sentimento, sebbene la sua voce fosse sempre pacata e il suo viso si mantenesse costantemente tranquillo, pur nella sofferenza. Mi raccontò della sua storia e, per amor suo, cominciai ad indagare sul suo passato, scoprendo delle sue origini e del suo vero nome.» Mi guardò intensamente negli occhi, prima di pronunciare: «Alice Reed.»
Trattenni il fiato, così come un po’ tutti si mostrarono sconvolti. Guardai Eriol-kun, sebbene Fuutie-san mi anticipasse nel domandargli: «Una tua parente?»
Eriol-kun strinse le labbra, restando in silenzio per qualche ragione, continuando a fissare colui che sedeva al centro della stanza senza battere ciglio.
Tornai con lo sguardo da quest’ultimo quando schioccò la lingua al palato, ridacchiando.
«Hiiragizawa Eriol, precedentemente conosciuto come Eriol Reed. La tua fama è ben nota.»
«Posso immaginarlo» commentò con un sorriso tirato. «Continua.»
«Da qui è tutto molto semplice. Dopo aver scoperto chi è davvero e ricordato quel che si diceva nel mio clan ho cominciato ad indagare per capire come salvarla. E allora, in un vampiro anziano ritiratosi a sua volta sulle montagne, qui in Giappone, ho trovato la risposta: egli stesso mi ha detto che basta farle bere il sangue di un suo consanguineo, mescolando questo al proprio, purché ne condividesse lo stesso destino e fosse la persona a lei più vicina.»
A questo lo guardai persino più confusa, non capendo cosa c’entrassi io.
«Le ricerche continuarono per capire chi potesse essere questa persona, finché un giorno non fui fermato da un’indovina, la quale mi disse che la risposta che cercavo l’avrei trovata “nel sangue del ciliegio”. Naturalmente non avevo alcuna idea di quel che potesse significare e dato che avevo una mobilità limitata cominciai a trasformare alcune persone, affinché potessero fornirmi le informazioni che mi mancavano. Trascorse molto tempo, prima che ricevessi un primo feedback: uno dei miei sottoposti non tornò più vivo, ma un suo collega rimasto fuori dalla città, da questa città, possedendo fortunatamente un’abilità che gli permetteva di guardare lontano anche per interi chilometri, assistette a tutta la scena. Egli fu ucciso da nient’altri che il tuo ragazzo, per proteggere te.»
Mi mancò di nuovo un battito alla parola “ragazzo” e sentii le mie guance farsi scarlatte; ciononostante, non staccai gli occhi dai suoi, capendo che stavamo per giungere alla parte importante.
«Mi dissi che fosse strano che un vampiro proteggesse un’umana, ma poi cominciai a collegare i pezzi. La mia ipotesi iniziale era che si trattasse di Eriol Reed visto che avevo già scoperto vivesse in Giappone e appositamente lo stavo facendo cercare, ma la descrizione non coincideva con quel che avevo sentito dire sul suo conto e quindi supposi che vi fosse anche un altro Reed che stesse proteggendo sua sorella. Dato che i miei subordinati non riuscirono più ad entrare in città dovetti accontentarmi di quella mia ipotesi, in cui ho creduto fino a prima di conoscerti.»
Mi guardò dritto negli occhi e sorrise in maniera criptica, facendomi rabbrividire per qualche ragione inspiegabile.
«Sto per dirti una cosa che forse ti farà accapponare la pelle, Sakura-san, ma è giusto che tu sappia tutto. Mi è bastato un tuo capello. Fu colto da uno dei miei sottoposti mentre ti trovavi in una città fuori da Reiketsu, dopo che ebbi scoperto che qui venissero monitorati i movimenti dei vampiri. Tramite esso ho effettuato un incantesimo, in modo tale da raggiungerti e connetterci anche se eravamo lontani. E non è stato affatto difficile, poiché tu possiedi lo stesso sangue di Akiho-san. Mi è stato sufficiente sfruttare anche un suo capello, unirvi, per penetrare nei sogni dell’una tramite l’altra. So che ho sbagliato, che è stato ingiusto da parte mia, perché mi stavo comportando con lei come i D. hanno fatto in passato con me; ma poi mi sono convinto che non si trattava di sfruttamento, in quanto quel che stavo facendo era per la sua stessa sopravvivenza. Adesso non mi pento di essermi comportato in questo modo, anche perché mandandola qui da te siete diventate amiche davvero, cosa in cui non avrei mai sperato. E agendo così ho imparato a conoscerti, scoprendo di essermi sbagliato alla grande su di te. Alcune cose ancora mi sono ignote, visto che neppure tu stessa sai chi sei davvero. Ma di una cosa ho avuto conferma: anche tu sei una Reed.»
Mi parve che il mondo si stesse spaccando sotto le mie gambe. Mi sentii mancare, la stanza cominciò a vorticarmi velocemente attorno, provocandomi le vertigini, la realtà si stava distorcendo.
«N-non è possibile…» sussurrai, soffocando nella mia flebile voce. «Deve… Deve esserci un errore… I miei genitori sono entrambi umani, mia madre lo era, mio padre lo è, io non posso…»
Tacqui, incapace di esprimermi ulteriormente.
Eriol-kun mi si affiancò prontamente per sostenermi, rivolgendomi un’occhiata di scuse.
«Sakura-san, perdonami.»
«Eriol-kun, non può essere» ribattei, sforzandomi di convincermi. «Mia madre, Amamiya Nadeshiko, mi ha partorita, mi ha messa al mondo, ne sono sicura.» Forzai un sorriso, sentendolo tremante, con lo stomaco che sembrava chiudersi in una morsa. «Mio padre, Kinomoto Fujitaka, è il mio vero padre. Loro due erano sposati e si amavano e hanno portato alla luce prima Touya, poi me… Touya, Touya può confermarlo! È nato prima di me, lui lo sa! Lui c’era!» Mi aggrappai disperatamente a quella verità perché non poteva essere che tutta la mia vita, tutta la mia realtà, non era stata altro che una finzione… per diciassette lunghi anni…
«Tuo padre» riprese Eriol-kun, guardandomi con occhi pieni di sofferenza e compassione. «Kinomoto Fujitaka. Il suo vero nome era Elwin Reed.»
A quel nome Tomoyo-chan e i membri maggiori della famiglia Li emisero un’esclamazione di sorpresa e sconcerto.
«E… Elwin… Reed…» ripetei scioccata, pietrificata, tentando di convincermene. Mio padre… era un vampiro…? Ma se quello era il caso, perché non aveva salvato la mamma prima che morisse? Perché il suo corpo era caldo? Perché mi abbracciava, dandomi tutto il suo calore? Perché poteva vivere alla luce del sole?
«Lui è mio fratello» concluse, abbassando il capo pentito.
Rimasi a fissarlo sentendomi improvvisamente svuotata, di tutto.
«Un attimo, come sarebbe a dire?!» si intromise Meiling-chan con la sua voce squillante, mal celando isteria. «Che significa che è tuo fratello?!»
Qualcun altro rispose al suo posto, ricordandole della sua ricerca durata anni e i suoi tentativi di riportarlo dalla sua parte. Rievocai le sue parole. Aveva trovato una donna da amare… mia madre. L’aveva sposata…. E poi, con lei aveva costituito una nuova famiglia, diversa da quella originaria.
«Tu lo sapevi?!» esplosi, non riuscendo più a trattenere in me quel misto di emozioni. Ero delusa, amareggiata, arrabbiata. Era suo dovere dirmelo! E mi sentivo anche tradita, perché avevo un’estrema fiducia in Eriol-kun. Così come la avevo nei confronti di tutti. Mentre venivo sempre lasciata all’oscuro di tutto! Quanti segreti ancora mi stavano nascondendo?
«L’ho scoperto in seguito. O meglio, avevo cominciato ad ipotizzarlo, ma mi sembrava ridicolo che proprio tu potessi essere sua figlia. Tu, che guarda caso sei anche la cugina di Tomoyo. Tu, che sei venuta a vivere proprio con noi. Ma so che non è un caso, so che, come ogni cosa in questo mondo, è semplicemente inevitabile.» Fece una pausa, guardandomi contrito.
«Pur conoscendo la sua identità, tu non ne avevi fatto mai il nome e inizialmente non avevo connesso il tuo cognome al suo. Poi ho cominciato ad interrogarmi sul perché, effettivamente, il tuo sangue emana un odore tanto particolare, tanto estraneo quanto familiare. E, soprattutto, perché in te ci fosse tanto potere. Poi c’è stato un momento in cui hai pensato intensamente a tuo padre, in quell’istante hai visualizzato la sua immagine nella tua mente, io l’ho vista e… ho iniziato a capire. Ma ripeto, non ne ero sicuro. La presenza di Kero-chan, essendoci la tradizione presso i Reed di regalare un peluche intriso della magia del sole ad ogni nascituro affinché possa proteggerlo, mi aveva insospettito, ma soltanto adesso ne ho ricevuto la conferma.»
Non c’era bisogno che aggiungesse altro, leggevo nei suoi occhi sinceri quanto fosse pentito, quanto fosse stato insicuro, combattuto, travagliato da quella possibilità. Sviai lo sguardo dal suo, rivolgendolo a Kaito-san, risentita.
Questi subito riprese: «In conclusione, per questa ragione, essendo voi due tanto compatibili, volevo usare il tuo sangue.»
«Se posso permettermi» si intromise Yelan-san, facendo a sua volta un passo avanti, mentre io ancora tentavo di metabolizzare tutte le scoperte fatte. «Credo che la tua sia stata una paura vana. Io e Hiiragizawa possiamo confermarti che in nessuno dei nostri clan si tramanda ciò che affermi. E a riprova di ciò, il padre di Sakura avrà ormai raggiunto e superato i quarant’anni; eppure è ancora vivo.»
«Perché è un vampiro» ribatté prontamente Kaito-san, stizzendomi maggiormente.
«No» negò, spiegandogli placida: «È un umano nato da vampiri. Sakura appartiene alla generazione successiva, nata da due umani. È probabile che i poteri continuino a tramandarsi, saltando una generazione. Sappi che questa è una novità anche per noi.»
Yelan-san posò i suoi occhi su di me, carezzandomi con lo sguardo, quasi volesse confortarmi.
«Quindi mi sono sbagliato?»
Dato che Kaito-san sembrava sconvolto più da questa possibilità che dalla situazione in sé lo fulminai con un’occhiataccia, domandandogli risoluta: «Realizzerai il mio desiderio?»
Egli alzò un sopracciglio, perplesso.
«Pensavo ti fosse chiaro ormai. Io non posso, deve farlo qualcuno del tuo stesso clan.»
Mi voltai immediatamente verso Eriol-kun, conscia che mi stesse leggendo nel pensiero. Lui esitò per un secondo, ma prima che potesse aprire bocca Syaoran-kun lo anticipò, facendo finalmente sentire la sua voce.
«Di cosa state parlando? Che desiderio?» Nessuno di noi tre rispose, per cui si rivolse direttamente a me, al limite della pazienza. «Sakura?»
Mi morsi il labbro, trattenendo le lacrime. In cuor mio, dovevo ammettere che speravo ancora, o meglio sognavo che potesse essere lui a rendermi una sua simile. Ma a quel punto si rivelava impossibile.
«Forse» riattirò la mia attenzione Kaito-san, quasi stesse rimuginando ad alta voce. «Visto che non sei direttamente figlia di un vampiro, bensì nipote, con te può farlo chiunque. Possiamo provarci, se nessuno ti aiuta. Dopotutto te l’ho promesso.»
Seguì un minuto buono di silenzio in cui io cercavo di capacitarmi se facesse sul serio o meno, mentre tutti gli altri probabilmente tentavano di decriptare la nostra conversazione.
Eccetto Eriol-kun che sapeva e taceva, Syaoran-kun fu purtroppo il primo che parve arrivarci. Per cui fu anche il primo che reagì, in maniera inaspettatamente violenta. Si avventò in un attimo su Kaito-san, afferrandolo per la collottola, sbraitandogli contro: «Le hai promesso di trasformarla in un mostro?!»
«Non un mostro, una di voi» provai a ribattere, ma la mia voce scomparve sotto quella solenne di Kaito-san.
«Gliel’ho promesso, e io non rimangio mai la parola data.»
«Non puoi farle una promessa del genere!»
«Capisco che tu possa esserne geloso, se preferisci ti cedo il piac-»
«Non è gelosia!» lo interruppe sgarbato, alzando talmente tanto la voce che persino il mio cuore rimbombò. Attorno al suo corpo vidi formarsi piccole scintille, dinanzi alle quali tutti si mobilitarono quasi nell’immediatezza. Non prometteva bene, per niente. «È una pazzia! Lei ha la sua vita e tu non hai alcun diritto di portargliela via!» Detto ciò Kaito-san fu colpito da visibili scariche elettriche biancastre, di fronte alle quali nessuno osò più intromettersi. Gridò per una sofferenza che non riuscivo a comprendere e capii che la situazione stava degenerando, per una futile questione.
«Syaoran-kun!» esclamai alzandomi di scatto, avvicinandomi a lui, poggiando senza riflettere la mano sul suo braccio. La ritrassi immediatamente, scuotendola, convinta che era così che ci si sentisse a prendere la corrente. La sentii bruciante e lui immediatamente si placò, guardandomi ad occhi spalancati, impallidendo.
«Seguimi» ordinò in fretta, avviandosi alla porta.
Feci come voleva senza indugio e mi affrettai ad uscire, seguendo il mio cuore ovunque volesse portarmi.










 

Angolino autrice: 
Eccomi qui, viva e vegeta! Finalmente ho finito la sessione estiva, e posso ricominciare ad aggiornare (me commossa!). Se dovessi riuscire a farlo quotidianamente (cosa in cui spero), questa storia potrebbe finire entro fine luglio (e sarebbe anche ora, mi dispiace così tanto prolungarla e farvi aspettare çwç Devo farmi perdonare).
Quindi sono tornata, con un capitolo ricco di spiegazioni! Qui viene rivelato che il vero nome di Akiho è Alice Reed zanzanzaaan (teoria che porto avanti da quando è iniziato Clear Card praticamente) e si scopre che il fratello di Eriol era nientepopodimeno che Fujitaka (col nome Elwin, perché faceva figo hahaha)! 
E... niente, dopo questo sparisco. 
Spero solo che sia piaciuto, che non mi abbia abbandonata nessuno e non vi abbia deluso.
Scusatemi ancora per le lunghe assenze.
A presto!
Steffirah
  
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