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Autore: FrenzIsInfected    22/07/2020    3 recensioni
Ucraina, 2009.
Un'apocalisse zombie costringe sei persone a trovare rifugio nella Zona di Esclusione di Chernobyl. Quello che sembrava una normale missione di salvataggio, però, si rivelerà per alcuni di loro un ritorno al passato.
- Seconda classificata e vincitrice del premio "Survival" al contest "Gli ultimi di noi" indetto da zenzero91 sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo

3

 

 

 

Zona di Esclusione di Chernobyl, Ucraina.

7 Novembre 2009.

14:33.

Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova, Pvt. Feodor Kovalenko.

Il gruppo deve raggiungere la stazione radar Duga prima che cali il sole.

 

 

Il gruppo riuscì, con un po’ di fortuna, a lasciare Zalissia senza farsi notare dai non morti, oltrepassare la strada principale e far perdere le proprie tracce in mezzo agli alberi. Camminarono per quasi un’ora in mezzo a immensi campi incolti, restando a debita distanza dalle vie principali e prestando attenzione alle radiazioni. In più di un’occasione, i loro dosimetri iniziarono a far baccano, schizzando da 0.20 a 20.93 microsievert per ora.

«Anatoli, qual è il motivo di questi picchi improvvisi?» chiese Vassili, osservando i valori aumentare.

«Materiale radioattivo sepolto, molto probabilmente. È così che i liquidatori si liberavano dei mezzi e degli edifici contaminati» rispose il vecchio.

Si fermarono solo per riposare in un boschetto, riprendendo fiato e studiando la propria posizione, appurando che si trovavano all’incirca a metà strada.

«Permetti una domanda, Sergente?» chiese ironico Vassili, guardando Olga.

La soldatessa si tolse l’elmetto, passandosi una mano sui capelli.

«Parla, agente» rispose lei, a tono.

«Per quale strano motivo, nel bel mezzo dell’apocalisse, non fai altro che scartare lecca-lecca alla menta?»

«Preferirei non dirlo. Rideresti di me.»

«Ti garantisco che non lo farò.»

«Per quello che può valere la parola di un membro della Militsiya…» borbottò Sergei.

Vassili lo sentì, ma non disse nulla.

«Mi aiutano a concentrarmi mentre sparo. E a scaricare la tensione. Sul serio» ammise la soldatessa.

Il poliziotto alzò le spalle.

«Che problemi hai con la Militsiya?» domandò Feodor.

«Fatti i cazzi tuoi, soldatino» disse Sergei con strafottenza. «Diavolo, sei con noi solo da poche ore e già rompi i co…»

All’improvviso, il soldato lo afferrò e lo scagliò a terra.

«Non ti rivolgere più a me in questo modo, chiaro?»

«Smettetela, tutti e due! Ci manca solo che vi mettiate a litigare per delle cazzate» intervenne Olga. «Ascoltami bene, Sergei. In questo mondo sono rimasti due tipi di persone: i vivi e i morti. E intendo continuare a stare con i primi. Me ne frego di ciò che ti ha fatto la Militsiya in passato. Ora conta il presente.»

Dei versi, in lontananza, attirarono la loro attenzione.

«Okay, andiamocene. Kovalenko, Anatoli, in testa» ordinò la soldatessa.

Vassili aiutò il padre di Irina a rialzarsi, passandogli il suo AK-74, prima di tornare dietro ad Olga.

«Fai meno lo stronzo, papà» sussurrò Irina, oltrepassandolo con Boris.

Sergei fissò il gruppo avanzare, maledisse tutti i militari e i poliziotti del mondo, e li seguì.

 

 

«Laggiù.»

Feodor indicò un immenso agglomerato di cavi e acciaio distante pochi chilometri che si ergeva per centinaia di metri sopra la linea degli alberi. L’antenna del progetto Duga.

«A cosa serviva?» domandò Boris.

«A rilevare missili lanciati dagli americani. Roba da Guerra Fredda.»

I sette ripresero il loro cammino nel bosco, disseminato di tronchi e piante selvatiche, facendo attenzione a dove mettevano i piedi.

«In che condizioni è la base, Kovalenko?» domandò Olga.

«Come tutti gli altri edifici della Zona, sergente. Pessime» rispose Feodor con sarcasmo. «Però i cancelli garantiscono una protezione sufficiente… e, cosa più importante, hai un tetto sulla testa.»

«Ho sentito dire di esperimenti sul controllo mentale fatti con le frequenze emanate da quella ferraglia» intervenne Anatoli. «Quando ero giovane, si parlava spesso di cosa facessero i militari nella “città nel bosco”.»

«Andiamo, Anatoli, sono tutte fav…»

BANG!

Un colpo, in lontananza, li fece fermare.

Dei ruggiti, assieme ad altre raffiche, ruppero il silenzio. Feodor gelò.

«Gli zombie stanno attaccando la base!» esclamò, iniziando a correre.

Il gruppo scattò in direzione degli spari, cercando di non inciampare in eventuali ostacoli. Ai loro lati, iniziarono a spuntare degli infetti.

«Sparate solo quando sono a pochi metri da voi! Risparmiate le munizioni!» urlò Olga, togliendosi al volo il lecca-lecca per poi rimetterselo in bocca.

Anatoli coprì Feodor mentre si metteva a tracolla il Dragunov, permettendogli di estrarre la sua pistola e freddare un paio di zombie che si erano avvicinati troppo.

Olga e Vassili si coprivano a vicenda, sparando con le rispettive armi. Irina, sempre con Masha in mano, ne fece fuori altrettanti con la sua Makarov, supportata da Boris.

In fondo, l’unico che non sparava era Sergei, che preferiva allungare il calcio dell’AK-74 sulle teste dei non morti.

«Sergei, puoi premere il grilletto, lo sai?» urlò Boris, non sentendo alcuno sparo.

«Zitto e corri, ragazzino!» gli rispose l’uomo, mandandone a terra un altro.

Gli spari, col passare dei minuti, si facevano sempre più vicini, così come i ruggiti dei non morti.

Ad un tratto, Feodor vide qualcosa sulla destra, e svoltò.

«Quella è la strada per l’antenna! Ci siamo quasi!» annunciò.

Olga e Vassili si fecero superare da Boris e Irina, fermandosi ad uccidere gli zombie lasciati vivi da Sergei.

«Vassili, resta con lui. Ha già fatto troppi danni per oggi» ordinò la soldatessa.

«Grazie mille, sergente. Mi ci voleva, un po’ di compagnia» sghignazzò il padre di Irina.

I sette, col passare dei minuti, videro l’enorme antenna farsi sempre più vicina, e solo quando le furono a poche centinaia di metri si resero conto delle sue effettive dimensioni.

«KOVALENKO!»

Due cecchini si erano arrampicati sulle passerelle per la manutenzione della struttura, e uno di essi stava agitando un braccio.

«Chesnakov! Che succede?» urlò il soldato.

«Alcuni zombie hanno scavalcato il cancello e sono entrati! Eliminate quelli all’ingresso, noi vi copriremo da qui!»

Il soldato guidò il resto del gruppo verso l’obbiettivo, trovandosi poco dopo davanti ad esso. Decine di zombie cercavano di sfondare gli enormi cancelli verdi facendo pressione su di essi.

«Fuoco!» ordinò Olga.

I sette furono un plotone d’esecuzione quasi perfetto, svuotando i loro caricatori sulle teste degli aggressori, colti alla sprovvista. I ritardatari vennero freddati dai cecchini sull’antenna. Poco dopo, un soldato si presentò al cancello.

«Kovalenko, sei vivo! Ma… chi è con te? Dove sono Kostevych, Mykolenko, Petryak e Siminin?» domandò, guardando i civili.

«Svatok, taci e apri questo maledetto cancello.»

Svatok si spaventò per quell’aggressività improvvisa, e si sbrigò a far entrare il gruppo.

  
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