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Autore: FrenzIsInfected    28/07/2020    3 recensioni
Ucraina, 2009.
Un'apocalisse zombie costringe sei persone a trovare rifugio nella Zona di Esclusione di Chernobyl. Quello che sembrava una normale missione di salvataggio, però, si rivelerà per alcuni di loro un ritorno al passato.
- Seconda classificata e vincitrice del premio "Survival" al contest "Gli ultimi di noi" indetto da zenzero91 sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo

4

 

 

 

Zona di Esclusione di Chernobyl, Ucraina.

7 Novembre 2009.

Ex base militare sovietica Chernobyl-2.

16:52.

Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova, Pvt. Feodor Kovalenko.

Il gruppo ha raggiunto la stazione radar Duga.

 

 

«Kovalenko!»

Un ufficiale dell’esercito ucraino si avvicinò al gruppo di civili, mentre attorno i superstiti gettavano i cadaveri oltre i cancelli, separando ex zombie dai soldati caduti, ai quali venne sparato un colpo in testa per impedirne la trasformazione.

Feodor si mise sull’attenti, ma venne immediatamente messo a riposo.

«Dov’è il resto della tua squadra, soldato?» domandò l’ufficiale.

Il soldato riassunse quanto successo negli ultimi giorni, fino all’arrivo dei civili, presentandoli al graduato, il capitano Aleksey Yaremchuk.

«Desolato conoscervi in queste circostanze, signori. Cosa vi porta nella Zona di Esclusione?» chiese, stringendo loro la mano.

«Abbiamo l’ordine di scortare questi civili in un luogo sicuro» spiegò Olga. «Ci era giunta voce che all’interno della Zona ci fossero militari, e che l’area, a discapito delle radiazioni, sia relativamente sicura.»

Yaremchuk si passò una mano dietro la testa.

«Temo di avere brutte notizie per voi» sospirò. «Questa base è ad uso esclusivo dell’esercito ucraino. I civili e la Militsiya, assieme a qualche soldato, sono tutti a Pripyat. Non potete restare qui.»

Anatoli sgranò gli occhi.

«Capitano, non so se si rende conto, ma tra qui e Pripyat ci sono almeno venti chilometri, e il sole inizierà a calare tra non molto» sbottò.

«Non potete darci un passaggio con i vostri mezzi? Raggiungeremo la destinazione in men che non si dica» propose Irina.

«Non adesso. Domattina alcuni dei miei uomini andranno a Pripyat per consegnare provviste ai civili. Vi daranno un passaggio» rispose il capitano.

Il gruppo annuì.

L’uomo, accompagnato da Feodor, li condusse poi verso gli alloggi, attraverso ciò che restava della città militare. Giunti sul posto, Yaremchuk si congedò.

«Riposatevi. Avete camminato abbastanza per oggi. Grazie per aver riportato indietro il mio uomo.»

«Dovere, signore» fece Boris, con una nota di timore.

Il capitano fece per andarsene, ma tornò sui suoi passi.

«Sergente Petrova, i tuoi nuovi ordini sono questi: una volta che avrai scortato i civili e il poliziotto a Pripyat, resterai a sorvegliare la città con le altre forze armate.»

Olga annuì.

Feodor strinse la mano a ognuno di loro, congedandosi.

«Vi ringrazio infinitamente, mi avete salvato la vita. Buona fortuna per il vostro viaggio» disse, salutandoli un’ultima volta.

«Anche a te, soldatino» fece Sergei, allungandogli la mano.

Kovalenko ricambiò la stretta, e lasciò riposare il gruppo.

 

 

«Furto e rapina.»

Sergei aveva rotto il silenzio, di nuovo. I sei avevano cucinato del cibo con dei fornelli da campo nella camera, cenando in cerchio.

«Come?» fece Vassili, guardandolo.

«Ecco perché ce l’ho con voi sbirri. Prima che tutto questo scoppiasse, per mantenere gli studi di Irina e mia moglie, ero ricercato per furto e rapina. Talvolta, andavo anche a rubare pezzi di ricambio dai mezzi parcheggiati al cimitero dei veicoli di Rassokha.» disse il padre di Irina.

«E allora come mai non spari? In anni di furti e rapine non puoi non aver mai sparato un colpo. Cavolo, lo fa pure Irina.»

«Sono un ladro, non un assassino. Non ho mai usato armi nemmeno per spaventare chi derubavo. Quanto a Irina… a diciotto anni ha iniziato ad andare a sparare al poligono di tiro di Ivankov. Non avevo dubbi che sarebbe diventata un’eccellente tiratrice.»

«Cosa ti ha spinto a farlo? A rubare, intendo» domandò Anatoli.

Irina prese il suo orsacchiotto in mano, guardando Boris e il resto del gruppo.

«Avevo promesso che ti avrei spiegato il perché mi sto portando dietro Masha. Ed ecco qui: io e mio padre… abitavamo a Pripyat, prima dell’incidente alla centrale nucleare. Tra le poche cose che sono riuscita a prendere prima di lasciare l’appartamento, c’era quest’orsacchiotto. È il mio portafortuna» disse.

Nella stanza, per pochi momenti, calò il silenzio. Sergei raccontò cosa visse in quei fatidici giorni del 1986.

«Prima del disastro, ero un operaio della fabbrica Jupiter. Producevamo componenti elettroniche, e fornivamo segretamente semiconduttori all’esercito sovietico. Vivevamo in un appartamento al sesto piano di una palazzina in Via dello Sport. La mattina del 26 aprile, mentre portavo Irina a spasso, vidi molte macchine della polizia, e i poliziotti avevano mascherine antigas. Solo la sera dissero che c’era stata un’esplosione al reattore. Il giorno dopo, all’ora di pranzo, passò un blindato dell’esercito con un altoparlante, in cui veniva ordinata l’evacuazione temporanea di Pripyat. Mia moglie e mia figlia furono portate a Kiev, ma riuscirono a tornare a Ivankov, dai suoi genitori, pochi giorni dopo. Io fui chiamato per fare il liquidatore, venendo assegnato alla decontaminazione. Ricordo che le mascherine diventavano marroni dopo pochi minuti. Non ci dissero nulla delle radiazioni, e non ci diedero nemmeno dei dosimetri per capire quanta merda stessimo assorbendo. Quando finii il mio periodo, mi dissero che mi avrebbero dato un vitalizio di 200 rubli al mese… ma non ho mai visto l’ombra di un quattrino in tredici anni. Ho rischiato la vita per loro… ma, invece di ringraziarmi, mi hanno rovinato.»

«Mi avevi promesso di portarmi al luna park, ricordi? Volevo fare un giro sulla ruota panoramica…» aggiunse Irina.

Il padre di quest’ultima fece scendere qualche lacrima. Vassili gli mise una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.

«Chiuderete il cerchio, Sergei. E tu, Irina, riporterai Masha a casa. Andrà tutto bene» disse.

A cercare di allentare la tensione ci pensò Boris.

«Beh, signore e signori, credo faremo meglio a dormire un po’» fece, stendendosi su un vecchio materasso. «Domani non ci aspetta una passeggiata, e voglio vedere con i miei occhi posti che ho visto solo su Call Of Duty e S.T.A.L.K.E.R.»

Gli altri sorrisero, quasi amaramente, e seguirono il suo consiglio.

  
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