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Autore: Mysterious_Nightmare    22/07/2020    0 recensioni
[PRIMO LIBRO DELLA SAGA]
Quando Thyus decide di partire da Loder in cerca di una sua vecchia conoscenza, i suoi genitori decidono di cedergli un importante cimelio di famiglia.
Il pugnale che riceve in dono porta con sé una misteriosa incisione elfica che cambierà la sua vita e svelerà segreti tenuti nascosti da più di duecento anni dall'Imperatore degli Elfi.
Che cosa succederà quando la verità verrà a galla?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11 - FUGHE NOTTURNE

La prima volta che aveva visto Eiliat, non aveva fatto altro che pensare quanto fosse bella, e così aveva pensato anche quella sera, quando l’aveva vista tornare dal campo con i vestiti sporchi e i capelli disordinati e ingrigiti dalla terra.

Come sempre, era seguita da validi combattenti, scelti tra le fila dell’esercito appositamente affinché l’addestrassero al meglio. Al suo fianco, Saewar, che solitamente era intento a elencare tutti gli errori che aveva commesso, quella sera urlava parole velenose contro l’Elfa. «Avresti potuto ucciderci tutti» tuonava, adirato, agitando le braccia forsennatamente «Se non sai controllare i tuoi poteri, non usarli. Il tuo fuoco è un pericolo, e nelle tue mani lo è ancora di più.» Eiliat, al suo fianco, sembrava trattenere a stento le lacrime.

Lunian seguì con lo sguardo il gruppo, che si allontanava verso il minaccioso e freddo castello scavato nella pietra. “Non dovrebbe trattare così la Principessa” pensò, scuotendo la testa, continuando ad ammirare l’Elfa, mentre scompariva tra le pesanti porte della fortezza.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla incontrare, ma nessun popolano poteva far visita alle Principesse. Aveva tentato più volte, anche servendosi di scuse molto fantasiose, di ottenere un’udienza, ma Saewar aveva sempre rifiutato, ricordandogli la sua posizione sociale.

“Quella serpe” Lunian strinse i pugni, pensando all’Elfo cui era stato affidato il compito di istruire le Principesse. Non avevano libertà, e nonostante la primogenita sembrasse sopportare la severità di Saewar, non sembrava fosse lo stesso per Eiliat. Lunian avrebbe potuto giurare sugli Spiriti di non aver mai visto quegli occhi blu brillanti senza che fossero bagnati da lacrime trattenute a stento.

Così, decise di rischiare la sua già precaria posizione nella società raminga: quella notte avrebbe fatto visita alla Principessa.

Mangiò presto e in disparte, pronto ad attraversare la città e a raggiungere il castello al momento propizio. Quando le torce e le lanterne iniziarono a spegnersi una dopo l’altra, Lunian iniziò a muoversi cercando di non farsi notare da chi ancora era sveglio. Non fu semplice, ma alla fine riuscì a raggiungere il castello.

Nascosto nell’ombra, Lunian alzò lo sguardo e adocchiò una finestra al primo piano illuminata da una fioca luce azzurrina. “Non può che essere quella la sua stanza” ragionò, mentre aggirava la quercia, ormai secca e priva di vita da quando il popolo nanico era scomparso, per sua fortuna posizionata poco lontana dalla finestra.

Si arrampicò sull’albero con agilità, come sua sorella gli aveva insegnato a fare prima di partire in guerra, e raggiunse la finestra che aveva adocchiato.

Si sporse abbastanza da poter osservare l’interno e, con sollievo, scoprì di non essersi sbagliato: la Principessa era lì, ancora sveglia, china su dei pesanti libri di strategia militare e carte geografiche del Regno; con una piuma, appuntava piccole frasi su un taccuino dal fodero di cuoio rosso.

Lunian, accertatosi che nessun altro fosse nella stanza, bussò lievemente sul vetro, attirando l’attenzione dell’Elfa.

Eiliat alzò lo sguardo e rimase a osservare, come incantata, l’Elfo sconosciuto che bussava alla sua finestra. Lo fissò senza muoversi, tanto che Lunian fu costretto a picchiettare ancora una volta prima che ella decidesse di alzarsi.

La Principessa, con passi leggeri, raggiunse la finestra e scrutò lo sconosciuto dall’altra parte del vetro, poi aprì di scatto e afferrò l’Elfo per la casacca, colto alla sprovvista, e lo tirò dentro, buttandolo a terra. Rapida, si mise a cavalcioni su di lui e puntò la mano vicino al suo viso. Piccole fiamme azzurre uscirono per un istante dal suo palmo. «Chi siete?» gli chiese, sulla difensiva, cercando di darsi un tono minaccioso «Come siete arrivato qui? Cosa volete da me?»

«Il mio nome è Lunian, figlio di Eltaryl, mia Signora» rispose Lunian velocemente, sorpreso dalla reazione improvvisa dell’Elfa «Sono arrivato qui arrampicandomi sulla vecchia quercia. Ho sempre desiderato ottenere un’udienza con voi, ma non mi è mai stata concessa.» Gli occhi blu scintillanti lo scrutarono in silenzio.

«Un’udienza? Non mi è mai stato riferito nulla.» Eiliat, confusa, e si alzò, porgendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi «Per quale motivo desideravate parlarmi?»

In quel momento, Lunian si accorse di non aver mai pensato a cosa avrebbe voluto domandarle. “Cosa si chiede a una Principessa?“ Non aveva bisogno di nulla, e di sicuro non poteva chiedere che la sua famiglia tornasse a casa, salva dalla guerra. «Vorrei chiedervi, in realtà, se vi andasse di passeggiare con me» osò, mentre prendeva la mano di Eiliat e si alzava in piedi.

«Uscire da qui?» l’Elfa lo guardò inclinando leggermente la testa «Non credo che Saewar sarebbe d’accordo, e se qualcuno mi vedesse andrebbe subito ad avvisarlo.»

«Non ci vedrà nessuno, ve lo prometto! Conosco una via segreta.»

Eiliat posò l’indice sul labbro inferiore e alzò lo sguardo al cielo, poi s’illuminò. «Va bene, Lunian, figlio di Eltaryl, passeggerò con voi.» Sul viso di Lunian si dipinse un largo sorriso. «Ma a una condizione: mi porterete fuori da questa montagna; sono passati quindici anni dall’ultima volta che ho visto le stelle.»

Lunian non esitò un sol secondo. La prese per mano e la condusse alla finestra, invitandola a seguirlo. Paziente, attese che l’Elfa si decidesse a salire sulla quercia e l’aiutò a scendere.

Nascosti dietro al largo e rinsecchito tronco, scrutarono la valle sotterranea per controllare la posizione dei soldati messi a guardia della città. Sempre tenendole la mano, Lunian guidò la Principessa fino all’altissima scalinata. Quando furono quasi in cima, però, l’Elfa lo costrinse a fermarsi. «Ci sono sempre due guardie davanti all’arco di pietra: mi vedranno» sussurrò, agitata.

«Fidatevi di me.» Lunian le sorrise, cercando di rassicurarla. L’Elfo avanzò con passi leggeri e silenziosi verso l’arco di uscita, ma al posto di attraversarlo, passò oltre verso un piccolo e instabile sentiero a strapiombo sulla valle sottostante. Fece qualche passo e si accorse che Eiliat era rimasta indietro, ancora indecisa.

«Siete sicuro che reggerà entrambi?» chiese, cercando di mantenere la voce più bassa possibile.

«Ve lo prometto.» Lunian le porse di nuovo la mano e aspettò con pazienza fino a che Eiliat non si decise. Lentamente, i due attraversarono il sentiero, fino a che Lunian non si fermò davanti a una piccola fessura triangolare nella parete, verso la quale recitò una frase in una lingua dai toni gravi, che Eiliat riconobbe subito essere nanico.

Enunciata la frase, parte della parete si dissolse davanti ai loro occhi, aprendo un varco verso il tunnel di uscita.

Svelti, attraversarono la porta incantata e corsero verso l’uscita.

Non appena furono fuori, Eiliat rimase incantata dal cielo notturno, illuminato da innumerevoli stelle. L’Elfa cominciò a ridere e si gettò sul tappeto erboso. «È passato così tanto tempo» sospirò, inspirando poi a pieni polmoni l’aria fresca di montagna.

«Non dovrebbero obbligarvi a stare rinchiusa lì dentro» si lasciò sfuggire Lunian.

«Lo fa mia sorella, lo devo fare anche io» rispose Eiliat, malinconica «Saewar dice che quando sarò pronta, potrò guidare in battaglia l’esercito, ma per il momento questo lavoro spetta ai Generali di mio padre. Quelli rimasti, almeno.»

«Non è meglio rimanere qui, allora? Insomma, se guidaste l’esercito rischiereste la morte.» Lunian si sedette accanto a lei. «E credo che nessuno lo voglia.»

«Sarebbe un onore per me seguire le orme di mio padre» rispose Eiliat, per nulla d’accordo con il pensiero di Lunian «Se solo sapessi controllare meglio i miei poteri… Tutti i maghi di cui disponiamo sono impegnati in battaglia, nessuno qui può aiutarmi.»

«E se vi aiutassi io?» Lunian propose, pentendosene subito dopo.

«Lo fareste davvero?» l’Elfa si illuminò all’offerta, e Lunian non poté far altro che cedere davanti a quegli occhi blu scintillanti, finalmente non più offuscati dall’usuale velo di tristezza.

«Non sono un mago, ma mia sorella lo è. Prima che partisse con l’esercito, passavo giornate intere a guardarla allenarsi.»

L’Elfa ci pensò su, portandosi di nuovo l’indice sul labbro inferiore e alzando lo sguardo al cielo. «Va bene. Non credo di aver nulla da perdere, in fondo» disse, infine.

Il sogno di seguire le orme di suo padre non era mai stato così vicino.

Thyus non faceva che pensare a lei.

Dopo il breve allenamento con Lunian, il pensiero di Zhenya era riuscito a impossessarsi di ogni angolo della sua mente, senza lasciare spazio a molto altro.

Non riusciva ad addormentarsi. Aveva passato ore a cercare di scivolare nel sonno ristoratore di cui aveva bisogno - d’altronde, non dormiva da due giorni -, ma la memoria di quegli occhi color rubino non smetteva di tormentarlo.

C’erano molte cose che ancora non riusciva a spiegarsi della sua sparizione, e non voleva credere che se ne fosse andata di sua volontà. “Non può essere stata così egoista.” Pensò, mentre riaffioravano i ricordi dell’estate in cui tutto era andato per il peggio.

Il primo giorno di autunno, quando le foglie della quercia di Loder avevano iniziato a tingersi di rosso, l’abitazione a pochi passi dall’immensa pianta era stata divorata dalle fiamme.

Si ricordava ancora di come si era svegliato avvertendo il forte odore di bruciato. Era balzato giù dal letto ed era accorso alla finestra per capire da dove provenissero i bagliori vermigli che illuminavano le primissime ore del mattino, ancor prima che il sole avesse l’opportunità di emergere da dietro le montagne che circondavano il suo paese. Con orrore, aveva visto la casa di Zhenya crollare davanti ai suoi occhi.

Thyus avvertì una morsa al petto. Scosse con violenza la testa e si girò sul lato; osservò Lunian, addormentato a pochi passi da lui, perso in un sogno - a detta di Thyus, felice -, e si chiese come facesse ad essere così tranquillo nonostante ciò che era accaduto al suo popolo e, soprattutto, alla persona che amava.

“Come può dormire in una situazione come questa? Eiliat è stata ferita, è rimasta paralizzata ed è quasi morta. Dovrebbe essere sveglio, preoccuparsi!” Si voltò di nuovo a pancia in su, invidioso, e, appurato che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, decise di alzarsi e rendere la sua insonnia utile in qualche modo. “Devo pensare ad altro, qualunque cosa. Non posso permettere che certi pensieri mi distraggano” si disse risoluto e, per certi versi, anche un po’ arrabbiato con se stesso “Non voglio più passare notti sveglio a causa sua.”

Afferrò la spada da terra e si allontanò, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare l’Elfo. Quando fu abbastanza distante, Thyus sguainò l’arma e poggiò il fodero a terra.

Iniziò a menare colpi a vuoto, cercando di riprodurre i movimenti che aveva imparato fino a quel momento sotto la guida di Eiliat.

Sciolse le articolazioni facendo affondare la spada davanti sé qualche volta e passò subito dopo agli esercizi più semplici.

Si sentiva stranamente meno rigido del solito, così iniziò a variare i suoi movimenti, cercando di trovare nuovi modi per colpire l’avversario invisibile che si trovava di fronte a lui.

Fece finta di parare un colpo e girò su se stesso, prima di affondare la spada per rispondere all’attacco immaginario, ma la sua lama incontrò un ostacolo argentato a intralciare il suo cammino.

Thyus riconobbe il metallo lucido e le due rune elfiche incise su di esso. Alzò lo sguardo verso il suo proprietario. «Molto meglio» Eiliat si congratulò, con un piccolo sorriso soddisfatto. «Ancora un centinaio di anni e forse sarai sulla strada giusta per diventare bravo quanto me» lo schernì, poi, riponendo la spada.

«Non eri ferita?» chiese Thyus, sorpreso di vederla in piedi e piena di energie per beffeggiarsi delle sue scarse capacità di combattimento.

«Guarisco in fretta» rispose l’Elfa, breve come al solito, alzando le spalle. Thyus non sembrava convinto, ma non volle indagare. Aveva ormai imparato a non fare troppe domande, soprattutto quando si trattava di porle a Eiliat, che già non era molto paziente di natura. «Andiamo, ho bisogno di prendere una boccata d’aria: qui sotto mi sento soffocare.» L’Elfa rinfoderò la spada e gli fece cenno di seguirla.

Thyus obbedì senza pensarci troppo, sperando che l’aria fresca del bosco l’avrebbe aiutato a scacciare via i pensieri che lo tormentavano.

Attraversarono in silenzio l’accampamento, cercando di non fare movimenti bruschi per non rischiare di svegliare gli Elfi. Salirono la scalinata in fretta e si fermarono solo quando ebbero raggiunto l’ultimo scalino. Lì, a guardia del varco che conduceva al tunnel di uscita, due soldati rimanevano immobili, in attesa della fine del loro turno, senza mostrare segni di stanchezza.

Thyus si avvicinò all’arcata di pietra, con l’intenzione di attraversarla, ma l’Elfa lo tirò per una manica, costringendolo a indietreggiare. Subito, il mago si voltò verso di lei con sguardo interrogativo.

Eiliat scosse la testa, come a indicargli di non proseguire, poi lo sorpassò e avanzò dritta verso un piccolo sentiero che, precario, stava sospeso sopra la vallata sotterranea.

“Cosa sta facendo?” si chiese Thyus, vedendola avanzare sulla pietra fragile a passi leggeri e sicuri.

Eiliat si fermò e guardò indietro verso il mago, che era rimasto indietro, restio a seguirla verso quella che a lui pareva una situazione di morte certa. «Sbrigati!» sussurrò, impaziente.

«Io non ci salgo lì» replicò il mago, cercando di mantenere la voce il più lieve possibile «È troppo fragile per reggere entrambi.» L’Elfa insistette con un cenno della mano, invitandolo a seguirla.

Thyus alzò gli occhi al cielo e si avvicinò allo strapiombo. Posò il piede destro tremante sul sentiero e, vedendo alcune piccole pietre cadere verso la valle, posò una mano sulla parete rocciosa, per paura di scivolare nel vuoto. Avanzò lentamente finché non ebbe raggiunto Eiliat, che lo guardava con le sopracciglia alzate, trattenendosi dal ridere per le espressioni preoccupate che faceva il mago a ogni piccolo, incerto, passo.

Per rassicurarlo e aiutarlo a stare in equilibrio, l’Elfa lo prese per mano e lo guidò, fermandosi ogni qualvolta sentiva Thyus barcollare.

«Non guardare giù, siamo quasi arrivati» ripeté più volte l’Elfa, cercando di tranquillizzarlo, chiedendosi ogni volta come un mago facesse ad avere così tante paure.

Raggiunta la fine del sentiero, Eiliat lasciò la presa e si voltò verso il muro. Esaminò la porzione di parete davanti a lei e trovato un piccolo foro di forma triangolare sussurrò alla sua altezza una frase in una lingua che Thyus non riconobbe, ma che di sicuro non aveva nulla a che fare con l’elfico per via dei suoni duri, gravi e, nell’insieme, poco melodiosi.

Alle parole di Eiliat, una porzione di parete scomparve, dissolvendosi davanti agli occhi stupiti di Thyus. L’Elfa attraversò il varco nascosto, tirandosi dietro il mago, e si ritrovarono in un tunnel molto simile a quello che Thyus aveva percorso il giorno in cui aveva fatto la conoscenza di Lunian e delle Principesse.

«Veloce, prima che qualcuno ci veda» ordinò Eiliat sottovoce, indicando la via d’uscita a pochi metri di distanza.

Una folata di vento gelido li travolse non appena furono all’aperto. Thyus si strinse nei suoi vestiti e solo in quel momento si accorse di non avere portato con sé il mantello; Eiliat, invece, non sembrò notare il freddo, nonostante i vestiti leggeri.

Quando si fu abituato alla temperatura, Thyus scostò i capelli disordinati che gli erano finiti davanti al viso e si guardò intorno.

L’ambiente era molto differente dall’ultima volta che era uscito all’aperto: gli alberi spogli e anneriti dalla cenere non c’erano più, così come il terreno brullo. Al loro posto, chiome smeraldine e rossastre si stagliavano verso l’alto, coprendo gran parte della visuale del cielo notturno; alcune foglie rinsecchite, muschi e piccole felci coprivano la terra.

Sul volto del mago comparve un sorriso.

Sul viso di Eiliat, invece, apparve una smorfia, accompagnata da colorite e fantasiose imprecazioni rivolte agli Spiriti.

Thyus si voltò verso l’Elfa, per nulla pronto a una reazione del genere, e la vide scomparire a passi irati tra gli alberi del bosco. Si affrettò a seguirla per non perderla di vista e rimanere solo.

«Eiliat?» la chiamò, mentre correva per raggiungerla «È tutto a posto?»

«Certo, Thyus, è tutto a posto: quando esco all’aria aperta mi piace maledire gli Spiriti» replicò lei sarcastica e furiosa, mentre esaminava i rami degli alberi che le capitavano di fronte «Ti sembra che vada tutto bene? La magia è sparita, non lo vedi?»

«Pensavo fossimo solo fuori dal suo raggio d’azione» provò a spiegarsi Thyus con un filo di voce.

«L’incantesimo deve essersi spezzato l’altra notte quando hai perso il controllo della tua magia e ha interferito con il marchio» ragionò Eiliat, quando, poco dopo, riuscì a ritrovare la calma «Dobbiamo rimuoverlo al più presto, ma non possiamo farlo qui: rischieremmo di mettere in pericolo tutti quanti, soprattutto ora che l’incantesimo non c’è più. Ci serve un posto sicuro e vicino a una sorgente degli Spiriti.»
«E dove andremo?» Thyus non nascose la sua preoccupazione.

«Non ne ho idea, ne discuterò domani con Lunian e i miei consiglieri. Per il momento, non c’è molto che si possa fare.» L’Elfa si girò sui tacchi e percorse la strada a ritroso, seguita dal mago «Non ci sono tracce dei soldati di Mitfeld nelle vicinanze, ma sarebbe meglio tornare all’accampamento e non uscire, almeno fino a che non avremo un piano.»

Servendosi del varco magico, tornarono indietro in fretta e senza dire una parola.

Thyus riaccompagnò Eiliat fino alla piccola casa di legno.

«Cerca di dormire, non pensare ad allenarti giorno e notte: un Umano ha bisogno di riposare» disse l’Elfa al mago, mentre apriva piano la porta, cercando di non farla scricchiolare «Voglio che tu sia al massimo delle tue forze domani mattina: avremo bisogno delle tue conoscenze del Regno.» Quando la porta si chiuse, Thyus tornò a stendersi a pochi passi da Lunian, ancora perso nel suo sogno, e chiuse gli occhi provando ad addormentarsi.

I scintillanti occhi rubino di Zhenya comparvero nei suoi pensieri mentre si assopiva. Il ricordo della casa che crollava e delle sue urla disperate, mentre cercava di trovare tra le fiamme quella ragazza che ancora non riusciva a dimenticare, invasero i suoi sogni.

 

  
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