Anime & Manga > Violet Evergarden
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Autore: LatazzadiTea    24/07/2020    18 recensioni
Dal testo: Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Hodgins, Dietfried Bougainvillea, Gilbert Bougainvillea, Violet Evergarden
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cap.2

Salsedine e polvere da sparo.




Il negozio di fronte al quale il Capitano Bougainvillea aveva deciso di fermarsi per accontentarla si chiamava "Bianche Note D'amore", strano nome per un negozio di fiori, stabilì Violet, immediatamente attratta dall'incredibile profumo che addolciva l'aria fuori le vetrate. Solo entrando si rese conto di quanto fosse grande e pieno di piante, ce n'erano infatti di tutti i tipi, notò la giovane: dalle più nobili e altezzose rose ai più umili fiori di campo, che dai colori vivaci declinavano al pastello. Violet infatti, preferiva questi ultimi, a cominciare dal tenero mazzetto di "Non ti scordar di me" che aveva notato fra le scaffalature esposte sulla strada.

"Sono tutti molto belli, non ho idea di cosa prenderle...", gli confessò indecisa.

"Mia madre ama il Lisianthus: una pianta che produce bellissimi fiori simili alle rose. Prendi quella blu, l'adorerà, vedrai!", le consigliò Dietfried.

Nel linguaggio dei fiori il Lisianthus blu voleva dire penitenza, di conseguenza, chi lo regalava era in cerca di perdono.

Violet ne ricordava fin troppo bene il significato, dato ch'era stato proprio il Sig. Hodgins a rivelarglielo la prima volta che avevano fatto visita alla tomba del Maggiore. Ora capiva chi li aveva piantati al cimitero. Non aveva più dubbi sul fatto che fosse stata la Signora Bougainvillea a farlo: era evidente che la madre di Gilbert pensasse ancora d'aver qualcosa da farsi perdonare, e a tal proposito, Violet si rattristò.

La cattiveria di quell'uomo era senza limiti, pensò Violet. Ogni occasione era buona per ferirla, persino la più innocente. Era certa che la madre del Maggiore non l'avesse mai colpevolizzata della morte del figlio; chi continuava a farlo invece, era lui.

"Bene, allora acquisterò un Lisianthus...", accettò di fare lei, comprando anche un piccolo mazzo di "Non ti scordar di me" da lasciare sulla lapide di Gilbert sulla via del ritorno.


                                                                                         


A casa Bougainvillea non andò meglio; dopo quello scherzo di cattivo gusto lei non gli aveva più parlato, facendo inevitabilmente tornare a crescere la tensione fra i due. Così, sperando di non doverlo rivedere, Violet si congedò in fretta. Cosa che Dietfried le impedì categoricamente di fare, costringendola a seguirlo fino al suo studio personale. Bastarono un paio di rampe di scale per raggiungerlo, scoprendo subito che dalle finestre si godeva della vista mozzafiato di un lago e uno splendido giardino.

"Quando incontrerò la signora?", chiese con trepidazione Violet.

"Fra poco...", tagliò corto lui, porgendole un plico di documenti presi direttamente dal cassetto della propria scrivania.

"Cosa sono?", domandò infatti lei, molto stupita.

"Fotografie, documenti e coordinate, anch'io sono in cerca di informazioni su Gilbert...", le confessò di getto Dietfried.

"Informazioni, ha detto? E di che tipo?", s'agitò la ragazza.

"Qualunque possa spiegarmi perché il suo corpo non fu trovato accanto al tuo, Violet. Fino a prova contraria i morti non camminano da soli, giusto?", aggiunse lui con convinzione.

Violet aveva iniziato a tremare come se un vento gelido le avesse appena toccato le ossa. Era così? Dietfried credeva davvero che il fratello fosse ancora vivo? Ma se non morto come tutti dicevano, dove si trovava? Che n'era stato di lui? Ora che conosceva il significato della parola "Ti Amo", c'era una sola cosa che Violet voleva sapere dal Maggiore e cioè cosa invece, avesse significato per lui. Era pienamente consapevole del suo affetto sincero, ma si trattava veramente dello stesso sentimento che legava un uomo a una donna? Oppure, quel ti amo era lo stesso che Gilbert avrebbe potuto dire a una figlia o una sorella? Era stata il suo cagnolino da guardia per così tanto tempo che non avrebbe proprio saputo dirlo.

"Certo che non camminano da soli...", ripeté infatti lei, sentendosi improvvisamente mancare la terra sotto i piedi.

Quando sentì le gambe cedere, Violet s'aggrappò istintivamente a Dietfried, avvertendo un intenso sentore di salsedine e polvere da sparo inondarle le narici. Fu come annegare nell'oceano: ne aveva i capelli impregnati, così come gli abiti e la pelle. Quell'uomo così insopportabilmente arrogante, per sostenerla aveva finito per stringerla a sé, avvolgendola come se si trovasse fra le stesse braccia forti del mare.

"Vieni, siediti un momento ragazzina, ti prendo qualcosa da bere.", esordì lui, adagiandola sull'unica poltrona che arredava la piccola stanza.

"Sono desolata, Capitano!", si scusò allibita Violet, sprofondando in un estremo imbarazzo.

Fino ad allora, l'unico ad averla stretta a quel modo era stato il Maggiore. Aveva ben chiaro quel tepore: al contrario del fratello, Gilbert era sempre stato profondamente tenero e rassicurante con lei. Come aveva potuto cercare l'aiuto di quella persona e appoggiarsi ad essa? Si rimproverò lei, quasi l'avesse tradito. Dietfried dal canto suo, si era passato nervosamente una mano fra i capelli corvini. Sudava come se qualcuno gli avesse stretto il cuore in una morsa, senza capire cosa avessero condiviso in quel momento. L'unica spiegazione possibile era che al pensiero che Gilbert fosse ancora vivo, Violet non avesse retto, soccombendo a quel turbinio di emozioni che aveva investito entrambi.

Un leggero bussare li fece sobbalzare entrambi: dall'altra parte, una dolce voce famigliare chiedeva sia di lui che di Violet.

"Siete qui, dunque! Violet mia cara, quanto tempo...", l'abbracciò la donna senza aggiungere altro.

"Madame Bougainvillea: che piacere rivederla!", ricambiò con sincerità la giovane, facendo un breve inchino.

"Vieni, ti ho fatto preparare del Tè al gelsomino e dei biscotti al burro, abbiamo così tanto da dirci noi due. Non è così?", asserì con gioia la madre di Gilbert.

"Veramente io, ecco, vorrei iniziare subito con la stesura della lettera, Madame." obbiettò Violet.

"Certo ragazza mia, ma dopo pranzo... Ora seguimi, ti mostro la stanza!" finì di dire la donna, rivolgendo un'occhiataccia sfuggente al primogenito.

Quando Violet fece altrettanto cercando nuovamente i suoi occhi, Dietfried corrugò la fronte: ora che la madre l'aveva praticamente rapita, sarebbe stato difficile parlarle ancora di Gilbert. Così, poco prima di vederla scomparire dietro quella porta per tutto il pomeriggio, anziché ignorarla, l'ufficiale le accennò un sorriso. Fu a quel punto che Violet si sentì sprofondare. Non era abituata alla sua gentilezza, erano sempre stati la rabbia e il disprezzo a governare fra loro, tanto da farle pensare che alla base di quel repentino e inusuale cambiamento ci fosse ben altro.



                                                                                    


Violet riuscì a scacciare quei pensieri cupi solo entrando nella camera che la Signora Bougainvillea le aveva assegnato, in vista di quel breve soggiorno. Era davvero grande e ricca di arredi, ma a riempirne gli spazi c'era un enorme letto a baldacchino così adorno da romantici tendaggi, dal rubar decisamente la scena a tutto il resto. Solo dopo essersi riempita gli occhi di tanta bellezza, la giovane notò finalmente la sua valigia. Il piccolo bagaglio a mano contenente un cambio di vestiti e la sua macchina da scrivere era stato attentamente posizionato sullo scrittoio, mentre il suo ombrellino da sole era stato accuratamente lasciato accanto alla porta. Fu davvero un breve assaggio di ciò che l'aspettava in quella casa, perché Violet si ritrovò a seguirne la padrona fino in giardino, sotto una magnifica pergola di glicini non ancora del tutto sbocciata.

Non aveva mai condiviso tanta intimità con qualcuno, nemmeno in quei quattro anni alla società postale, benché avesse imparato ad amare quel luogo e le persone che ci lavoravano. Così, alla vista di quel tavolo deliziosamente imbandito alla giovane mancò un battito. Violet riuscì a rilassarsi veramente solo dopo essersi accomodata, mentre il sapore del tè al Gelsomino le solleticava i sensi e il palato. Quando poi l'anziana madre di Gilbert le sedette di fronte, intenta ad osservarla bere e mangiare, posò la tazza di porcellana nel piattino aspettando che uno dei camerieri la servisse.

"Tutto qui? Mangi ancora come un uccellino, piccola mia! ", le fece notare la Signora Bougainvillea.

Avrebbe voluto risponderle onestamente, ma tacque. Avrebbe dovuto dirle che in guerra ai soldati veniva insegnata la disciplina, cosa che nonostante gli anni non aveva mai scordato. E non solo, Violet avrebbe dovuto spiegarle quanto fosse stata abituata a patire la fame, la stanchezza e il freddo quando era nell'esercito, ma evitò di farlo, limitandosi ad annuire.

"Madame, posso chiederle a chi intende scrivere...", esordì dopo Violet.

"Certo bambina, le lettere sono indirizzate a entrambi i miei figli, cara. A Dietfried e Gilbert!", le annunciò la donna.

A quelle parole il mondo intorno a Violet iniziò a vorticare: non era pronta a soffrire ancora, non di nuovo. Aveva già aiutato altri genitori a esprimere i propri sentimenti ai figli, ma per quanto magnifica, quell'esperienza era sempre stata devastante. Esperienza che avrebbe dovuto ripetere con la madre del suo amatissimo Maggiore, aggiungendo dolore ad altro dolore.

"Madame, le chiedo perdono ma, non credo di essere la persona giusta per questo lavoro...", cercò di rifiutare Violet in preda all'angoscia.

"Immaginavo che sarebbe stato difficile per te, ma vedi mia cara, ho sempre preferito pentirmi di qualcosa piuttosto che rimpiangerla... ", ammise saggiamente la donna.

Nessuno lo sapeva, ma Madame Bougainvillea stava morendo. Era serena mentre ne parlava, come si trattasse di una seccatura o una faccenda del tutto irrilevante; la vita era effettivamente un viaggio, aveva detto la donna mentre lei l'ascoltava. Un viaggio che un giorno, nel bene o nel male sarebbe comunque dovuto finire. Violet non era riuscita a trattenere le lacrime, supplicando la Signora di perdonarla per aver anche solo pensato di rifiutarsi di aiutarla.

"Accetto di iniziare allora, ma dal Capitano Dietfried, per favore..." la pregò di fare Violet.



                                                                                       


Dietfried Bougainvillea osservava la scena dall'alto, attraverso la finestra che dal suo studio dava sul giardino. Non poteva udire la conversazione, ma lo strano mutamento che aveva visto avvenire nella giovane mentre parlava con sua madre lo preoccupava. Violet pareva turbata, ma d'altronde poteva capirla: tornare in quella casa per lei, non doveva essere facile. Ce l'aveva portata subito dopo i fatti del treno, avvenuti circa tre anni prima, quando l'aveva vista rischiare coraggiosamente la vita per lui e gli altri passeggeri incurante del pericolo. In quel frangente, mentre tentava disperatamente di sventare un attentato dinamitardo da parte dell'ex impero Gardarik, Violet non aveva mai pensato a se stessa. Anche se non era mai stato tenero con lei, quel giorno aveva finalmente capito il suo errore. La ragazza su quel treno non era più lo strumento di morte che aveva conosciuto: grazie all'amore di suo fratello Gilbert, quella bimba senza sentimenti s'era trasformata in una giovane donna dall'animo dolce e gentile.

Ed era su questo che Dietfried contava, sulla certezza che Violet lo avrebbe aiutato a trovare Gilbert. Aveva bisogno di farlo, se non altro per prenderlo a pugni e chiedergli come avesse potuto mentire a tutte le persone che lo avevano amato e ancora lo amavano, Violet compresa. L'idea che fosse veramente morto in quel bombardamento era inaccettabile, quanto lo fosse comprendere cosa avesse spinto il fratello a rinunciare alla sua vita per il bene di quella ragazzina. Avrebbe potuto aiutare Violet anche tornando, si era detto, a meno che non fosse stato spinto a sparire per via di qualcosa di estraneo alla sua volontà. Sbuffò, versandosi qualcosa di forte da bere malgrado fosse ancora presto per ubriacarsi. Quella strana ragazza aveva il potere di emozionarlo come un bambino, aveva dovuto ammettere l'ufficiale, allentando il colletto della giubba militare con i gradi della marina. L'ennesima cosa che non riusciva a spiegarsi, pensò Dietfried, lasciandosi cadere sull'unica grande poltrona che arredava la stanza. C'era infatti, un altro mistero da svelare, e cioè cosa avesse spinto una donna acculturata come la madre a rivolgersi a una Bambola di scrittura automatica per intrattenere una corrispondenza con qualcuno. Non avrebbe avuto nessuna di ragione di farlo, a meno che anche lei non gli stesse omettendo qualcosa.

Perché Violet era lì? E cosa voleva veramente sua madre da lei?




 
   
 
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