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Autore: AdhoMu    24/07/2020    3 recensioni
Essere alti un metro e novanta e non sentirsi all'altezza potrebbe suonare come un assoluto controsenso. Eppure, quando un mastodontico e manesco Serpeverde si perde via per una ragazza più grande di lui, ciò che avviene è proprio questo.
Abituato a sentirsi sempre (per lo meno fisicamente) superiore a tutti, Montague si sente un mocciosetto al cospetto di Gemma Farley. E così, travolto dall'ansia da prestazione, comincia ad arrovellarsi per dimostrarle di essere grande nonostante la giovane età. Peccato, però, che alcune sue astute strategie siano inevitabilmente destinate al fallimento.
(Ovvero: di come Montague finì intrappolato in un Armadio Svanitore e di come riuscì ad uscirne).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kain Montague
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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La zona d’ombra.


 
È uno di quei fine pomeriggio precoci d’autunno inoltrato. Lassù, nelle gelide terre del Nord, il sole si è già eclissato da tempo, scomparendo oltre il giogo di montagne che circondano la valle.
L’aria è a dir poco tagliente ma a lui, la cosa, non dà affatto fastidio; la sua passione sfrenata per il cibo, infatti, l'ha dotato di un confortevole straterello protettivo che gli permette di ignorare bellamente le folate più insidiose e di trovarsi a suo agio, sia ad alta quota che a terra, anche durante una tempesta di neve.
Stringendo le labbra attorno alla sigaretta, il ragazzone estrae la bacchetta dalla tasca della felpa e pronuncia a mezza voce un laconico Incendio. Non si premura neppure di guardarsi attorno: tanto, prima dell’inizio dell’allenamento, c'è ancora tempo. In ogni caso, comunque, meglio fumare prima dell'arrivo di Marcus - o il Capitano, di sicuro, gli scasserà gli zebedei con i suoi tediosi sermoni salutistici.
Appagato dalla prima boccata continua a camminare, senza fretta ma di quel buon passo inevitabilmente conseguente dalla lughezza delle sue gambe, percorrendo il sentierino che porta al campo. Mentre procede solleva una mano per sistemarsi meglio intorno al collo la sciarpa grigio grafite; quella che, con cosiderevole dispendio di denaro, ha acquistato in agosto a Diagon Alley durante una puntata strategica allo spaccio dei prodotti ufficiali dei Falcons.
Le voci delle ragazze lo sorprendono quando già si trova in vista del campo; se non le ha udite prima, probabilmente, è perché si trovava sopravento e sovrapensiero. Si arresta un istante, indeciso. Non avrebbe alcuna voglia di raggiungerle né, men che meno, di fare comunella con loro. Troppo tardi, però, perché quelle, oramai, lo hanno avvistato.
Tornare indietro è fuori discussione. Mica vuole fare la figura del moccioso, lui; soprattutto con loro, che sono tutte più grandi di lui e che, di certo, non gli perdonano il privilegio di trovarsi in squadra. Così, troppo orgoglioso per battere in ritirata a dispetto delle loro occhiate curiose e dei loro sorrisetti di scherno malcelato, si impone di proseguire facendo finta di niente. Nel frattempo, però, le tiene d’occhio; e loro, prontamente accantonata qualsivoglia attenzione nei suoi confronti, riprendono tranquillamente il gioco.
Lui fuma e le guarda volare.
Streghe Serpeverde sulla scopa. Quasi una stranezza, in effetti: Marcus e i suoi predecessori hanno sempre ostinatamente negato un posto in squadra alle studentesse della nobile Casa di Salazar. E a lui, personalmente, le cose sono sempre andate bene così. Non si è mai posto il problema, insomma. Eppure, nello sbirciare di sottecchi i movimenti delle compagne, non può proprio fare a meno di ammetterlo: sono agili, sono veloci, sono brave. In una partita di Campionato, si ritrova a pnsare, non sfigurerebbero affatto.
Tutto d’un tratto la voce canzonatoria della King, odiata compagna di classe di Marcus, lo distoglie dalle sue riflessioni.
«Qual buon vento, Montague? Sei venuto a fare spionaggio industriale?»
Lui le risponde guardandola appena, con studiata strafottenza.
«Sono venuto a darvi una lezione di volo, semmai».
Le ragazze ridacchiano e gli sciamano intorno, veloci come saette sulle loro scope da corsa.
«Ma davvero?...» lo provoca la Pritchard, subdola. «Perché non ci fai vedere come si fa, allora?»
In sottofondo, quella vipera della Rayknoll ironizza sulla sua sigaretta accesa:
«Sarà il classico tutto fumo e niente arrosto! »
«Beh: per dire il vero, la carne non manca» ridacchia la Snyde, alludendo impietosamente ai suoi chiletti di troppo (ci sono, è vero, ma vista la sua statura, possono definirsi ben distribuiti).
Lui sbuffa, irritato. Sa che non ci dovrebbe cascare, ma ci casca lo stesso, perché si sa: certe illazioni vanno recise alla radice – e poi, se uno ci tiene farsi rispettare, la cosa deve avere valore universale, non importa se si tratta di uomini, donne, bambini o animali domestici.
«Passami la Pluffa» borbotta quindi all'indirizzo della King, che subito lo accontenta con un ghignetto diabolico:
«Ogni tuo desiderio è un ordine, Grande Cacciatore».
Lui la ignora - o, per lo meno, si sforza di farlo.
Una volta, nel corso di una conversazione su femmine e tattiche di gioco, Marcus gli ha confidato che, dopo sei e più anni anni in classe con lei, non è ancora riuscito a guardarla senza sentirsi prudere mani e bacchetta – e che la cosa, senza dubbio, è sempre stata reciproca. Lui, scocciato dall’ironia sprezzante della ragazza, non può che trovarsi d’accordo col Capitano. Anzi: se si trattasse di un’altra persona ci si sarebbe già azzuffato con enorme gaudio e ben poco scrupolo; magari alla babbana, tanto per gradire. Se si trattiene è solo perché, all'inizio dell'anno, Piton lo ha preso da parte e gli ha fatto un bel discorsetto:
«Un carattere esplosivo come il tuo può essere, dipendendo dai casi, un bene o un male. Se ti viene in mente di menare le mani fuori Casa, a me non interessa – basta che non ti fai beccare. Ma se ti azzardi a rifarti sulle persone sbagliate, Kain, io ti sbatto fuori dalla squadra seduta stante. Intesi?»
Intesi, ovviamente.
Nervi a fior di pelle e Pluffa alla mano si alza in volo tra i commenti pungenti delle compagne, che finiscono per acuire la sua irritazione.
Gli anelli si trovano poco lontano, avvolti nella penombra del crepuscolo.
Davanti ad essi una figura alta e snella fluttua a mezz'aria, i capelli castani frustati dal vento; dal manico di una peculiarissima (a lui, un dettaglio del genere, non sfugge di certo) Comet 290 Personal, Gemma Farley, una ragazza del settimo anno con cui lui non ha mai parlato, gli rivolge un pacato cenno di saluto, che lui non contraccambia.
Se sei intelligente come sembri pensa, caricando il tiro ti levi di torno da sola, cara mia.
La vede che si mette sull'attenti.
Peggio per te.
Herbert Fleet di Tassorosso si è trovato la spalla lussata, all'ultima partita dello scorso Campionato; gli sembra di sentirsele rimbombare ancora in testa, le urla dei Serpeverde impazziti di gioia: “Mon-ta-gue! Mon-ta-gue! La Bestia segna di nuovo!”, accompagnate dalle inutili recriminazioni di quello scimunito di Lee Jordan.
Il tiro parte, potente come una palla di cannone.
Gemma Farley, però, non si lascia intimidire; lancia la scopa sulla traiettoria della Pluffa... si avvicina... bam! oscillando appena, la respinge con un calcione. Il rinculo la spinge indietro di un paio di metri, ma lei si aggrappa saldamente al manico e lo riporta in equilibrio, fra le grida di giubilo, le incitazioni e le risate beffard delle altre ragazze.
Lui rimane immobile, sconcertato.
Lei gli indirizza un sorriso sfuggente, come a volersi scusare; poi, lesta lesta, vola verso le tribune per riunirsi con le sue amiche e, in loro compagnia, lascia il campo.
 
Uhm, Farley.
Farley, Farley, Farl... ehi.
Aspetta un momento.
Non è che...
Ma certo: Farley. Come Thomas Farley, il leggendario Cacciatore dei Falmouth Falcons.
Una nipote, forse?
Ma che idiota, comunque! Com’è che non ha mai collegato le cose?
Semplice: lui, Gemma, non l’ha mai calcolata. Sapeva della sua esistenza, ovviamente – fra compagni di Casa, almeno di vista, ci si conosce tutti -, ma non l’ha mai messa a fuoco. Non l’ha mai vista davvero.
Ora, però...
Agisci con riserbo. Ostenta indifferenza. È così che fanno i maghi adulti, quelli esperti.
Niente scivoloni. Niente bambocciate.
Un breve giro di consultazioni, molto discreto (e minaccioso: non si sa mai) e il risultato è tale da lasciarlo sbalordito.
«Gemma Farley» ha snocciolato Warrington, che di ragazze sa praticamente tutto – salvo poi fermarsi alla misera teoria. «Serpeverde. Settimo anno. Figlia di Thomas Farley e di Olive Horton». Horton?! pensa lui. Come... Basil Horton?
 Incredibile.
Ecco da dove viene il talento, dunque. Che tipa interessante, per Salazar.
Se solo fosse anche... ehi.
E non è che, a guardarla bene, questa Gemma è anche piuttosto carina?
E tu cosa ne sai, di queste cose?
Un cazzo, ma che cosa ci vuole?
Senza farsi vedere (azione difficile, per uno della sua stazza), la studia di sottecchi.
Senza dubbio ha una bella pelle (a quanto si dice in giro, si tratta di un elemento molto importante), senza contare il fatto che i suoi capelli ... beh, hanno un gran bel colore. Sì.
E poi... è alta.
Ma che parametro del cazzo...
Bah. Sarà anche una stronzata, ma per una montagna come lui... è un fattore importante.
 
Due intense giornate di osservazioni e appostamenti e... bam!
Ci è finito dentro fino al collo.
Cretino...
Se non fosse per le endorfine che gli scorrono nelle vene quando la vede (un benessere paragonabile a quello derivato da un’abbuffata di lasagne, se non superiore), si sentirebbe a dir poco furioso con se stesso per esserci cascato così miseramente.
Ma tant’è: ormai Gemma Farley gli si è insediata dentro, e altro che bella pelle e statura considerevole. Diciamoci la verità: Gemma ha delle gran belle gambe, per Salazar, una bocca da fargli ruotare la testa di centottanta gradi quando lei gli passa vicino e due occhi color cacao che gli fanno venire una fame atavica - per il pensiero del cioccolato, suppone, o forse perché, quando incrociano i suoi, gli procurano un’immediata sensazione di vuoto allo stomaco.
Patetico quindicenne.
Quasi sedicenne, prego.
Già: una quisquilia... che, in realtà, è un ostacolo enorme.
Perché Gemma non è solo deliziosamente alta (e quant’altro).
Gemma è grande.
Grande di età, più vecchia di lui di quasi due (due!) anni: un atroce svantaggio – anagrafico, e quindi incolmabile - per uno che è sempre stato abituato a sentirsi, fin da piccino, superiore a chicchesia.
Puoi anche essere alto un metro e novanta, pesare quel che pesi, fare a pezzi un giocatore di rugby con una mano sola e incutere un timore reverenziale nella stragrande maggioranza degli studenti di Hogwarts. Non serve a un cazzo. Per lei, non sei altro che un moccioso.
Inquieto, stizzito e frustrato, si lambicca incessantemente il cervello.
Non è da lui arrendersi così: ne va della sua leggendaria testardaggine.
Deve assolutamente trovare una soluzione.
Deve.
O non si chiama Kain Montague.
 
Terence Higgs lo guarda basito.
«Co... cos’è che dovrei fare?!»
Lui lo fissa con gli occhi socchiusi, nel suo più caratteristico sguardo intimidatore – quello che fa tremare, indiscriminatamente, compagni e avversari.
«Vieni là e ci inviti alla festa. Tutti e due».
«Oh. Non mi vorrai mica dire che ci vuoi pro-»
Terence si permette un accenno di sorrisetto che lo manda immediatamente in bestia; e lui, spazientito, si affretta a cancellarglielo subito dalla faccia con una frase diretta, pronunciata a mezza voce:
«Se ti azzardi a spettegolare in giro, ti faccio a pezzi».
La minaccia sortisce effetto immediato; una volta accertatosene, lui si rilassa e volge lo sguardo altrove. I riflessi verdognoli del Lago Nero si mescolano al baluginio delle fiamme accanto alle quali lei si è messa seduta per ripassare Pozioni. Lui, preso coraggio, mette su una maschera granitica e attraversa con sicurezza – tanto ostentata quanto falsa - la Sala Comune. Dal bordo del taschino, posizionato in modo da renderlo visibile-ma-non-troppo, spunta un pacchetto azzurrino di Hermes Senza Filtro: roba da uomini veri, mica come quelle pagliette da signorina che ha fumato finora.
«Mi presti un tizzone?» le chiede senza preamboli, allungando verso di lei la sigaretta appena estratta.
Gemma Farley lo accoglie sorridendogli gentilmente, senza spendersi in sciocchi commenti di circostanza; poi, posato a terra il quaderno, fa levitare un pezzettino di brace fuori dal camino.
«Ti si è bagnata la bacchetta durante l'allenamento?» gli domanda, alludendo al nevischio persistente che, ormai, fustiga Hogwarts e dintorni da un numero imprecisato di giorni e di notti.
Lui accende, aspira, emette un anello di fumo e lo dissolve agitando piano la mano.
«Proprio così».
Non è vero, ma va bene lo stesso.
Senza essere stato invitato, si accovaccia vicino a lei sull’ardesia tiepida che riveste il pavimento. Non sa che cosa dirle, e questa sensazione d'impotenza lo fa sentire un mammalucco - cosa che, inutile dirlo, lo fa innervosire oltre misura.
Dove cazzo si è ficcato, quel babbeo?
Evocato, Higgs compare un secondo dopo.
«Udite, udite!» esordisce il ragazzo, sforzandosi di suonare convincente nonostante la perplessità. «La sera del 24, Grande Festa del Solstizio a Casa Higgs – seconda edizione! Voi... ehm, ci venite, vero raga?»
Gemma aggrotta la fronte, incuriosita dall’invito inatteso.
Lui prende la palla al balzo.
«Le feste di casa Higgs sono il massimo» le dice, stringendosi nelle spalle come a dire “eh, ogni tanto ci toccano anche le mondanità”.
Lei prende tempo, rintuzza le ceneri con le molle e poi, a voce bassissima e senza guardarlo, gli domanda:
«Tu ci vai?»
Lui trattiene il fumo in bocca e si arrovella per qualche attimo.
É un sì?
È un sì.
O così pare.
Passo falso: trattenere il fumo troppo a lungo fa tossire.
Che figura da poppante, per Salazar.
 
La grande casa immersa fra gli alberi secolari che ombreggiano la collina di Greenwich è illuminata dai bagliori intermittenti, caldi e vivaci di lucciole e fatine assoldate ad hoc per le feste natalizie; la decorazione a base di vischio, corteccia e agrifoglio è abbondante ma di indubbio buon gusto. Circondato dal vociare concitato degli invitati che gremiscono il salone di Villa Montague, lui si guarda intorno ostentando un’indolente indifferenza; tuttavia, a intervalli regolari, le sue pupille impazienti si spostano sulla cappa del grande camino abbellito da strisce di velluto verde e argento, con piccole coccarde gialle e nere.
Muore dalla voglia di fumare, ma sa che sua madre lo riprenderebbe a gran voce; e così, irrequieto, si obbliga di portare pazienza finché, finalmente, la sua attesa è ripagata.
Un crepitio lieve, una fiammata color smeraldo; con un sorriso timido sulle labbra, carina da morire nella sua veste festiva, Gemma esce dal camino, saluta educatamente i signori Montague e lo cerca con lo sguardo.
Lui molla l'interlocutore di turno e si muove per la raggiungerla, imponendosi di non correrle incontro come un bambinetto garrulo e cinguettante.
«Grazie per essere passata a prendermi...» si morde la lingua, conscio di quanto le sue parole rimarchino, come al solito, la spiacevole verità: lei è maggiorenne, tu no; lei è grande, tu sei un pivello.
Raddrizza le spalle, d'istinto; la sua figura massiccia (ma quanto vorrei anche un po’ di barba) incombe sugli astanti.
Gemma scuote allegramente la testa come a dire “ma figurati”, e poi suggerisce:
«Andiamo?...»
Lui annuisce, sforzandosi di tenere a freno l'entusiasmo per non sembrarle un moccioso infervorato. Ci è rimasto benissimo quando Gemma ha accettato di accompagnarlo alla Festa del Solstizio indetta da Terence a casa Higgs, soprattutto quando lei, messa al corrente dell’impossibilità di usare la Metropolvere (“Occhio, raga: tutte le cappe saranno occupate da calderoni pieni di beverone!”) gli ha proposto:
«Se c’è bisogno, ti posso smaterializzare io».
Già: perché io, l'esame, non lo posso ancora fare - ha subito pensato lui, immusonito.
Ma ha subito acconsentito, ovviamente (mica è scemo).
«Il punto migliore è là fuori» le dice, facendole strada per condurla allo spiazzo davanti alla Villa che, stando a quanto affermano i suoi genitori e sua sorella, è garanzia di smaterializzazione perfetta.
«Benissimo» replica lei, estraendo la bacchetta.
Lui la fissa per un istante, pensoso.
«È molto difficile?» le chiede poi, a bruciapelo.
Gemma ride.
«Niente affatto» lo rassicura gentilmente. «Anzi: se te la cavi benino in Incantesimi, è un gioco da ragazzi».
Lui esita, ci pensa su.
Gli viene in mente il professor Vitious, che fin dal primo anno gli ripete:
«Lei è proprio portato per la mia materia, signor Montague».
Improvvisamente, un'idea balzana gli si profila in testa.
«Mi fai provare?» le chiede, indicando la sua bacchetta con un cenno del capo.«Non posso usare la mia... sai, la Traccia...» bofonchia, girandoci penosamente intorno. Non vuole esprimerlo ad alta voce, ma il concetto – semplicemente esasperante - è sempre lo stesso: sono troppo piccolo per.
Gemma tentenna; le sue dita sottili si stringono intorno al ramoscello di betulla. Pare dubbiosa sul fatto che la cosa possa funzionare: primo, perché lui le sta chiedendo di usare una bacchetta che non gli appartiene - e questo, già di per sé, invaliderebbe il tentativo -, e secondo, perché in gioco c'è un tipo di legno particolarmente fedele al suo proprietario. Forse, però non vuole sembrargli scortese; e infatti, dopo un attimo di riflessione, la ragazza distende il braccio.
«Sai che cosa ti dico?» gli dice, porgendogli la bacchetta. «Perché no? Prendi qua».
"Al massimo non succede niente" sembrano dire i suoi grandi occhi scuri. Ma non cerca di dissuaderlo, né di mettere in ridicolo la sua scarsa esperienza.
Anzi: quando lui afferra il legnetto, gli si mette vicino e gli copre la mano con la sua. Lui si irrigidisce, ma lei continua a guidarlo con precisione e delicatezza.
«Lo vedi? Il movimento è questo» gli spiega. «Ecco: e adesso, la formula...»
Lo strappo all'ombelico è netto e fastidioso; dura un attimo, giusto il tempo di ritrovarsi, un po' stupiti, qualche metro più in là.
Gemma gli rivolge un'occhiata di pura meraviglia.
Lui è stupito quanto lei, ma non può fare a meno di gongolare nel percepire il suo sguardo ammirato.
«Davvero incredibile!» esclama lei, annuendo vigorosamente col capo.
E la serata della Vigilia se ne va così: fra prove, controprove, risate, successi e “dai, c'eri quasi”!
Inutile dire che alla fine, alla festa di Higgs, né lui né Gemma ci mettono piede.
 
I racconti mirabolanti dei compagni più grandi alle prese con flirt e fanciulle l'hanno sempre fatto uscire dai gangheri per la loro pochezza. E quella volta in cui, per sua disgrazia, si è imbattuto in sua sorella intenta a sbaciucchiarsi con Eean Avery, gli è quasi venuto da vomitare.
Quanto inutile glucosio, quante stucchevoli smancerie. Bleah.
Roba da pazienza zero.
Finché non è toccato a lui, ovviamente.
Arrivarci non è stato per niente facile: prima, ovviamente, ha dovuto capire di volerlo, e poi si è dovuto ingegnare per capire come ottenere ciò che desiderava.
Sempre, suo malgrado, con quell’irritantissimo tarlo a rodere la sua fintanto intoccata autostima.
Lei è grande, tu no; lei è Gemma Farley, tu sei un babbeo.
Terribilmente confuso quanto al modus operandi da adottare, ha puntato tutto sul Quidditch, loro passione in comune. Hanno cominciato ad allenarsi insieme (invitarla per la prima volta è stato un parto, ma ne è valsa la pena), prima sporadicamente e poi molto spesso.
Questo pomeriggio Gemma gli ha parato quasi tutti i tiri. E non perché lui ci è andato piano (certo: quando serve sa essere subdolo, ma non fino a questo punto, e non con lei), ma perché Gemma è brava davvero.
«Onestamente?» le rivela in tutta sincerità, senza alcuna intenzione di adularla. «Bletchley ti fa un baffo. Dovresti discuterne con Marcus».
Rigirandosi nervosamente la Pluffa fra le mani, lei gli confessa:
«Preferirei affrontare un’Acromantula, piuttosto che rischiare di dover parlare da sola con un ragazzo».
Lui si ferma, punta a terra la scopa e posa gli avambracci incrociati sull’estremità del manico.
«Ma non è quello che stai facendo in questo esatto momento?» (e quello che vieni facendo da svariati mesi a questa parte?) osserva, in tono ostentatamente monocorde.
Lei si arresta, un po’ interdetta.
«Con te è diverso» mormora poi, in tono appena percettibile.
Ah, già. Perché io sono un bimbetto.
Sbuffa, esasperato.
Ah, la friendzonata no, tutto tranne quello, per Salazar.
Si acciglia.
Ma Godric porco.
Preso da raptus, molla la scopa e le si avvicina augurandosi che forse, per una benedetta volta, il suo carattere impulsivo gli servirà a qualcosa che non sia menare le mani fuori e dentro il campo.
Al massimo mi toglie il saluto.
Speriamo di no.
Ah, ma chissenefrega, eccheccazzo!
I capelli mossi di Gemma profumano di trucioli di legno e caramello. Lei non si scosta, non lo allontana, non lo friendzona. Presumibilmente, non gli toglierà il saluto (forse). Le sue labbra sono morbide ed esitanti; le sue ciglia scure gli solleticano il viso mentre lui si china appena.
E adesso?
Ma è ovvio: l'importante è non farle capire (mai e poi mai!) di non avere la più pallida idea sul come procedere.
Okay: ma come si fa, alla fin fine?
Fallo e basta, perdio!
Lo fa.
L'euforia di segnare un gol a Baston, in confronto, non è che una piccolezza da quattro soldi.
 
*
 
Dopo aver urlato, minacciato, bestemmiato, scalciato, inveito, ruggito, tempestato la porta di pugni, ginocchiate e spallate, ingiuriato, imprecato, tuonato e maledetto, un’arrendevole calma impregnata di spossatezza si impossessa finalmente di lui.
Tace, limitandosi ad osservare col fiato corto, senza davvero vederla data l’oscurità fitta che lo avvolge, quell’anta ostinata che si è rifiutata di cedere alla forza dei suoi colpi, così temuti fuori e dentro i campi da Quidditch, così inutili ora.
Si raggomitola faticosamente su se stesso, ripiega le gambe troppo lunghe per qullo spazio così esageratamente esiguo e, sforzandosi di tenere a freno la fastidiosa sensazione di claustrofobia che lo attanaglia alla gola, si ingegna per trovare una posizione non troppo scomoda sul fondo di quell’aggeggio infernale.
L’Armadio Svanitore è stretto, stretto e scuro come pece; un angosciante contenitore di tutti quegli incubi, tormenti e paure ataviche che turbano i sonni di grandi e piccini.
Respirando fondo, tenta di regolarizzare i battiti del suo cuore impazzito e di concentrarsi sull’immagine di lei, sperando che il ricordo dei suoi vivaci occhi scuri e del suo bianco sorriso possano tranquillizzarlo, almeno per un po’.
Niente da fare.
Non certo dopo tutto quello che è successo.
Dai meandri oscuri del suo inconscio - un tutt’uno con gli angoli torbidi della sua gabbia di legno -, l’amarezza e il rimpianto strisciano fuori come veli d’ombra che ottenebrano i suoi pensieri, facendolo soffocare.
 
Le premesse erano buone. Molto buone.
Gemma era riuscita a sorprenderlo, ogni giorno di più, con la sua intelligenza, il suo buon cuore, le sue tante qualità da scoprire a poco a poco oltre il velo del suo naturale riserbo. Lui si sentiva un ganzo, inarrivabile e tronfio come non mai nel captare le ochiate di invidia e di ammirazione dei compagni (quando si era sparsa la voce che lui frequentava una pupa più grande, l’adorazione di Warrington nei suoi confronti era pressoché quadruplicata), che gli scivolavano addosso mentre lui e Gemma – il braccio di lui posato sulle spalle di lei – chiacchieravano durante l’intervallo, o camminavano lungo i corridoi, o trascorrevano le loro serate in Sala Comune, fumando e discutendo di Falcons e di Incantesimi. Lui, come suo solito, parlava poco, ma adorava ascoltarla mentre lei, tutta allegra, gli rivelava aneddoti curiosi della sua infanzia; e  lui, intrigato, si domandava che effetto doveva fare essere figli di un pluridecorato campione di Quidditch, invece che di un comunissimo milionario come Chandler Montague.
 
È stata l’ansia da prestazione, a braccetto con la sua stoltezza, a rovinare tutto.
Non in un’unica volta, ovviamente, ma lentamente e inesorabilmente; al loro avvicinamento, infatti, avevano fatto seguito mesi felici e appaganti – mai spensierati, però, almeno per lui, perché quel maledetto tarlo aveva continuato a punzecchiarlo, incessantemente, senza sosta, come una litania molesta.
Sei piccolo, sei piccolo, sei piccolo.
Come dimostrarle di essere grande, nonostante l’età?
Per districarsi dal dubbio, lui ha intrapreso la strada che riteneva più facile, assecondando impulsi poco nobili, annidati nelle pieghe più profonde della sua personalità. Disgraziatamente, la sua scelta si è rivelata sbagliata; lui, però, non l’ha percepita - almeno non in un primo tempo - come un errore potenzialmente fatale.
Tutt’altro.
Durante il suo sesto anno, con Gemma già diplomata e fuori da Hogwarts, si è progressivamente avvicinato ad alcuni elementi estremisti della sua Casa e ha cominciato ad abbracciare posizioni faziose e settarie. L’ha fatto per corroborare il suo prestigio, per rassicurare se stesso e, chiaramente, per farsi bello agli occhi di lei; come se essere grande significasse fare la voce grossa, riempirsi la bocca di discorsi intolleranti, farsi valere sempre e comunque, agire con arroganza, praticare atti di prevaricazione.
Inutile dire che ciò che, all’inizio non era statoche un goffo tentativo di farsi vedere, si è presto tramutato in una serie di pratiche assai gradite, che lui ha preso ad esercitare con innegabile gusto.
 
«Sorpresa!».
Lui non ci prova neanche, a fingersi modesto; con un gesto pomposo le mostra la spilla sulla quale spicca un’inequivocabile P dorata.
«Prefetto?!» L’espressione orgogliosa di Gemma oltre il vetro dello Specchietto Messaggero ricolma il suo ego già traboccante. «Bravissimo!»
Lui tossicchia, sfregandosi le mani.
«Già. Adesso se la vedono con me, quei coglioni».
Lei gli restituisce uno sguardo confuso; lui lascia cadere il discorso, concentrandosi sulle ultime novità del Torneo Tremaghi.
 
Non ha mai pensato che la cosa potesse non piacerle?
Ma certo che no: è una Serpeverde purosangue pure lei, in fondo.
Eppure le avvisaglie si sono manifestate fin quasi da subito; è stato lui a vestire il paraocchi della cocciutaggine per non doverci fare i conti. È andato avanti come un treno, ignorando bellamente i suoi tentativi, inizialmente discreti e poi sempre più espliciti, di farlo ragionare; fingendo di non notare le sue occhiate preoccupate e i suoi sguardi delusi, facendosi scivolare da un orecchio all’altro, senza prendersi la briga di assimilarli, i suoi consigli, dapprima pronunciati a mezza voce, prendendola alla larga, e poi, via via, sempre più inistenti e accorati.
«Non sono cose belle; dammi ascolto; ti metterai nei guai».
Lui si è innervosito, si è intestardito ed è andato avanti a spada tratta, senza preoccuparsi degli avvertimenti. Quanti scambi di lettere, quante escursioni ad Hogsmeade sono stati rovinati dai loro piccoli screzi – momenti che avrebbero potuto essere felici ma che, alla luce del suo penoso indottrinamento, si sono dissolti in uno sbuffo d’insoddisfazione e inconcretezza?
Capirà che lo faccio anche per lei.
Perché sono grande. Alla sua altezza.
Prima o poi lo capirà.
 
Con l’inizio del settimo anno e l’arrivo della Umbridge, la situazione è definitivamente degenerata: con l’impunità garantita, ha cominciato ad agire alla luce del sole. Menare le mani, commettere falli atroci in campo, praticare il gioco scorretto, imporsi sugli altri, applicare punizioni arbitrarie.
E non solo.
Perché si sa: non c’è mai limite al peggio.
 
La spilletta verde smeraldo con la C argentata sberluccica fra le sue dita.
Gemma gli sorride, ammirata; per un attimo, sembra mettere da parte le loro sempre più frequenti incomprensioni:
«Capitano?!... » mormora, mordicchiandosi alacremente una pellicina «ma... ma è meraviglioso!... »
Lui si sente traboccare di autocompiacimento mentre le racconta tutto con dovizia di particolari.
«Non ci posso credere... finalmente le streghe torneranno ad integrare la squadra!» esclama ad un certo punto lei, entusiasta, dando per scontata un’eventualità che lui non ha minimamente preso in considerazione.
Merda.
«Ci vediamo ad Hogsmeade, sabato?» la interrompe allora, passandole sopra come un trattore. «C’è anche un’altra novità».
Già: la novità che ha mandato, definitivamente, tutto a puttane.
 
L’ingresso nella Squadra d’Inquisizione – motivo, per lui, di orgoglio smisurato – è stato la classica goccia che fa traboccare il vaso. Lui ha aspettato l’escursione ad Hogsmade per annunciarglielo; e la rivelazione, chiaramente, si è conclusa in un completo disastro. Se stringe le palpebre la vede ancora, quella sua espressione di dolorosa incredulità foriera di tempesta.
(Che poi: chissà che cosa cazzo si era aspettato, alla fin fine? Che idiota. A ripensarci ora, era assolutamente ovvio che Gemma avrebbe reagito male).
«Io ci rinuncio» ha commentato soltanto; e nei suoi occhi, lui ha letto una delusione tanto amara e pungente da paralizzarlo. «Ci ho provato... ma non serve a niente. Papà me l’ha ripetuto spesso: le sconfitte, qualche volta, vanno accettate».
Si è alzata, ha appellato il cappotto e l’ha piantato in asso, lasciandosi alle spalle lui e le sue stupide spillette appuntate sul petto.
«Dove accidenti vai?» l’ha richiamata lui, seccato. È saltato in piedi, l’ha raggiunta, ha teso la mano per trattenerla.
Lei si è girata appena e l’ha guardato negli occhi, con rabbia e tristezza:
«Mollami, Kain».
«Non essere ridicola» ha sbuffato lui, drizzando le spalle per torreggiare su di lei. «Guardami: con la mia posizione...»
«Non essere ridicolo tu».
Gemma ha chiuso il discorso con tre paroline semplici semplici, ma capaci di frastornarlo alla stregua di un colpo di bolide e di annichilire ogni sua capacità di reazione. Soprattutto perché, conoscendola, lui ha capito subito che pronunciare una sentenza tanto drastica deve esserle costato moltissimo.
«Quanto sei puerile» gli ha detto.
E se n’è andata.
 
I pannelli lignei dell’Armadio Svanitore lo strangolano, incombono su di lui come le pareti di un feretro particolarmente angusto. L’angoscia lo tormenta, gli serra la gola, lo asfissia, lo soffoca. Avverte, di nuovo, l’impulso irrefrenabile di dibattersi, di dimenarsi, di lottare; il suo corpo, però, non risponde all’appello: le energie lo hanno abbandonato da tempo, si sono smarrite nel dedalo oscuro di quell’incontabile susseguirsi di albe e tramonti che lui non ha potuto vedere.
 
Aveva ragione?
Aveva ragione.
Gemma aveva ragione.
Gemma, in lui, aveva visto il meglio: non aveva rinnegato i suoi tratti controversi, che anzi, in un certo senso sembravano anche piacerle; al tempo stesso, però, aveva saputo guardare oltre, ed era stata capace di riconoscere il suo valore senza alcun bisogno di tutte quelle sciocche esagerazioni che, alla fine, avevano rovinato tutto.
 
Gli abeti addobbati illuminano lo spiazzo antistante Villa Montague.
L’aria è gelida, ma lui sente dentro di sé un tepore soffice, appagante.
E Gemma ride, gioiosa e meravigliata.
«Non ci posso credere, che non l’avevi mai fatto!» esclama, visibilmente fiera di lui.
 
Un suono familiare, come di acqua che scorre e sciaborda in un lavandino, riscuote per un istante la sua mente annebbiata. È il primo rumore che gli riesce di avvertire distintamente, da settimane e settimane a questa parte.
Un bagno, forse? Scuote debolmente il capo e sbatte le palpebre, intontito.
 
«Non ho mai visto nessuno riuscirci al primo colpo!»
 
Infilare la mano in tasca per afferrare la bacchetta gli costa uno sforzo immane; lui, però, stringe i denti e concentra, in questo gesto, le sue ultime forze.
 
Non ci si può smaterializzare dentro Hogwarts.
Così come non ci si può smaterializzare al primo colpo, soprattutto con una bacchetta appartenente ad altri.
Eppure...
«Lo vedi? Il movimento è questo. Bravo: e adesso, la formula...»
 
Le setole bagnaticce di uno spazzolone lordo gli solleticano la guancia. Tutt’intorno a lui flaconi di disinfettante, stracci sfilacciati e spugnette ammuffite. Odore di umidità, di sapone liquido dozzinale, di infiltrazione.
E luce, tanta luce che si riflette sulle pareti piastrellate e che gli ferisce gli occhi.
 
«Davvero incredibile!»
 
 
 
Note (spero non troppo lunghe).
Buongiorno a tutti!
Era da un po’ che avevo voglia di scrivere qualcosadi nuovo su Graham Montague (ma non si chiamava Kain?! Un attimo: ci arrivo), personaggio citato quasi esclusivamente in HP5 quando i gemelli Weasley lo rinchiudono in un Armadio Svanitore dal quale lui riemergerà settimane dopo, nonché protagonista maschile della mia long Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore. Finalmente, l’occasione si è presentata. Quindi, prima di procedere alle note vere e proprie, devo ringraziare di cuore Gee (blackjessamine) per avermi permesso di utilizzare Gemma Farley, da lei caratterizzata in occasione dell’interattiva Bolidi d’ottone e manici di scopa scritta insieme a _Bri_ sul profilo Adho_Bri.
Il Montague che compare qui (più giovane rispetto a quello presentato nella long) viene chiamato Kain per tutta una serie di motivi che, se vorrete, potrete recuperare ne L’Armadio ma che, in sintesi, si rifanno alla questione controversa del vero nome del personaggio, che nei libri non viene rivelato e che, a seconda del contesto, viene indicato nei siti internet come Kain (versione italiana), Craig (versione francese) o Graham (versione anglosassone e mia preferita). Aggiungo solo che la decisione di chiamarlo Kain (Caino) in questa sede deriva anche dal fatto che, fra tutti i suoi nomi, questo è quello che ritengo più appropriato alla sua indole sostanzialmente bastarda e tutto sommato più allineata con l'immagine restituitaci dalla Rowling nei libri. Infatti, lo avrete notato, la sua personalità (ancora in formazione, per fortuna) è tutt’altro che encomiabile – e sarà proprio l’esasperazione delle sue caratteristiche meno nobili ad indurre Gemma a lasciarlo. Gemma che, pur col suo carattere pacato (e la sua “bella pelle”, proprio come dice Harry di Ginny), non disdegna a priori l’atteggiamento un po’ spocchioso del nostro ragazzone, ma che è anche abbastanza matura da decidere quali limiti non si possono superare.
Spero che la lettura di questa OS non risulti troppo confusa da parte di chi, eventualmente, non avesse letto L’Armadio. Prendetela un po' come una divagazione senza pretese, una sorta di esperimento, un what if? dentro il what if?.
P.S. nel libro non si spiega come Montague sia riuscito a smaterializzarsi fuori dall' Armadio, visto che, secondo quanto ci viene detto, questa pratica dovrebbe essere impossibile entro i confini di Hogwarts. Da qui, il mio headcanon secondo cui il nostro Serpeverde possiede la stoffa dello Spezzaincantesimi.
   
 
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