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Autore: QueenOfEvil    25/07/2020    0 recensioni
Prima che Aa perdesse due dei suoi tre occhi. Prima dell'ultimo verobuio. Prima della Profezia.
Mia era senza alcun dubbio "una ragazza con una storia da raccontare".
Ma, vedete, gentili amici, quella definizione poteva benissimo valere anche per i suoi genitori.
"Julius non aveva mai visto qualcuno morire quando, a sei anni non ancora compiuti, Atticus aveva deciso che era il momento per lui di assistere al suo primo venatus magnii. Non conosceva l’odore ferroso del sangue, né il modo in cui la sabbia cambiava colore, mentre dai corpi caduti sbocciavano fiori vermigli. Non conosceva le urla estasiate della folla adorante, né tantomeno quelle agonizzanti degli schiavi che trovavano la morte per l’altrui divertimento.
Dopo averli conosciuti, non era riuscito a dormire per settimane.
La seconda volta, quando di anni ne aveva otto, era andata meglio: si era limitato a rimettere il suo ultimopasto, l’illuminotte seguente.
La terza, l’unica reazione che quello spettacolo gli aveva procurato era stata uno sbadiglio."
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Alinne Corvere, Altri, Julius Scaeva, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neh diis lus'a, lus diis'a'
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Largissimi promissores, vanissimi exhibitores





 

Quando andò incontro a Laurentia, il pomeriggio del cambio seguente, le ombre attorno a lui ondeggiavano con un’intensità tale da fargli pensare che anche i mobili che le formavano si stessero muovendo, vibrando e pulsando in riflesso di un’ansia che neanche Sussurro riusciva ad eliminare del tutto. Si chiese cosa sarebbe stato in grado di fare se non ci fossero stati gli occhi di Aa nel cielo, ma solo il velo nero della sua sposa. Si chiese se sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da scoprirlo.
Ingoiò la sua paura, la calpestò come aveva calpestato i propri sensi di colpa e qualsiasi altra emozione scomoda che potesse essergli di impaccio, e si avvicinò alla ragazza con occhi bassi, in un atteggiamento che sperò risultasse abbastanza sottomesso da non irritarla. Nel loro primo dialogo si era scoperto troppo -aveva mostrato iniziativa, e capacità analitica- e la sua interlocutrice di certo non si sarebbe fidata delle sue parole senza un’ottima ragione per farlo.
La sua speranza era che il desiderio di rivalsa, in lei, prevalesse sul buon senso.
Mea domina? Perdonate il disturbo…”
L’aveva sentito arrivare -doveva averlo sentito arrivare, considerando chi era e da dove proveniva-, ma questo non le fece alzare gli occhi dalla pagina del volume che stava sfogliando: Julius diede un’occhiata al titolo, sconosciuto, e si rese conto che doveva appartenere alla biblioteca personale della zia.
Quello che avrebbe potuto fare lui con tutta quella conoscenza…
Si morse il labbro, riportando la sua attenzione alla scena presente: non era il tempo né il luogo per simili ragionamenti. E per quanto gli sarebbe piaciuto avere la possibilità di perdersi tra le pagine di un buon libro -avvolto tra le coperte, nel buio della sua camera, suo padre e la sua matrigna addormentati a qualche porta di distanza-, quel lusso apparteneva ormai ai ricordi sempre più distanti di un’altra vita. Una vita che avrebbe dovuto riconquistare, con sudore e lacrime1.
“… non è mia intenzione sprecare le vostre ore, né sottrarvi alle vostre attività, ma…” e qui il tono di voce si alzò leggermente “credo di avere una risposta alla domanda che vi pressa. So dove sono i documen…” La mano della ragazza scattò a tappargli la bocca prima che potesse terminare la frase.
“Non qui!” sussurrò lei, sgranando gli occhi. Fece scattare la testa verso la porta della stanza -una sorta di salotto piccolo e caldo dalle pareti candide in cui Julius aveva messo piede solo una volta dall’inizio della sua permanenza alla villa- e poi aggiunse, la voce ridotta ad un sibilo: “Sei così stupido da pensare che solo perché siamo soli qui dentro gli altri non possano sentirci?”
Per tutta risposta, il suo interlocutore abbassò lo sguardo e alzò le spalle.
“Vieni con me: in camera mia potremo parlare più liberamente” Lo spinse di lato mentre si alzava e Julius la seguì, camminandole quasi sui talloni. 
Dietro di lui, la sua ombra scura due volte il normale lo accompagnava, mettendo a tacere i dubbi che gli avrebbero altrimenti torto lo stomaco.
Laurentia aprì la porta e Julius scivolò all’interno della stanza, che trovò in tutto e per tutto come l’aveva lasciata, qualche cambio prima; poi, fingendo di non notare lo sguardo omicida che la ragazza gli stava rivolgendo, si sedette sul suo letto, braccia appoggiate dietro di sé, gambe incrociate e schiena dritta.
“Allora?” Laurentia fece scattare la serratura una, due volte, con un gesto che ricordò a Julius il suo incontro con Oonan solo il cambio prima e che gli procurò, malgrado tutto, un brivido lungo la schiena. Poi, si appoggiò al muro e abbassò il mento, in attesa.
Julius spiegazzò le lenzuola su cui era seduto, pugni chiusi e labbra strette: “Non ho intenzione di darvi le informazioni di cui necessitate senza chiedere nulla in cambio, mea domina
Un lampo passò negli occhi della sua interlocutrice: “Cosa?” chiese lei di rimando, articolando quelle due sillabe come se fossero avvelenate.
“Un compenso. Quanto basta per saldare i miei debiti con la padrona di casa e pagarmi un viaggio in nave. Nulla di troppo esoso, come potete vedere” L’argomento ‘soldi’ era un azzardo, e lo sapeva bene: Atticus non gli aveva detto molto sulla Chiesa, in quella mezza conversazione che avevano avuto, ma aveva sottolineato più di una volta che erano assassini su commissione. E che le loro parcelle non erano economiche. E se l’avidità era il principale movente che li teneva legati -Julius non si faceva illusioni sulla loro devozione alla divinità che dicevano di adorare, così come non credeva davvero che tutti i preti e Luminatii al servizio di Itreya fossero davvero credenti sinceri- allora chiedere loro preti d’argento come ricompensa per le sue informazioni poteva non essere una buona idea.
Ma ci aveva riflettuto, e, considerando con chi aveva a che fare, l’idea di ricattare i veri colpevoli dopo aver sottratto alla falsa suora i documenti era troppo pericolosa. Era disposto a rischiare, ma non senza una buona ragione. La ragazza che aveva davanti al momento rappresentava la sua migliore opportunità. 
Laurentia ricambiò il suo sguardo con uno ancora più duro: “Io non pago nulla se prima non ho la certezza che le tue informazioni abbiano valore. Tu parli, io verifico e poi si vedrà”
“Per quanto sprovveduto io possa essere, so comunque come funzionano queste cose: se voi seguiste le indicazioni che vi fornirò e giungeste al vostro obiettivo -come accadrà, visto e considerato che non ho intenzione di mentirvi-, sparireste e la vostra promessa varrebbe meno di zero”
“Beh, direi siamo ad un punto morto”
“Così sembra” Julius si spostò a destra, una delle gambe ancora piegate e l’altra lasciata penzoloni, e spostò lo sguardo da Laurentia alla finestra alla sua sinistra “A meno che voi non abbiate una soluzione alternativa. Senza il mio aiuto non troverete quello che cercate, ve lo posso assicurare”
La ragazza sorrise a quelle ultime parole, e l’espressione che il suo viso assunse subito dopo ricordò a Julius quella di un pulvispettro che avesse avvistato un mercante perso nelle Frusciaride: “Quindi non sono davvero in questa casa”
Julius artigliò le lenzuola, torcendole e rigirandole mentre anche le ombre dietro di lui rispondevano allo stesso modo, tese: “Perché… perché lo dite?”
“Perché altrimenti il tuo commento non avrebbe senso. Le mie ricerche qui dentro non sono ancora finite, ma ho setacciato la maggior parte delle stanze -compresa la tua, tra parentesi- e non ho trovato nulla. Ma averne la conferma da te è comunque un sollievo”
Julius arrossì e assunse una postura ancora più rigida: “Mi avete colto in fallo una volta, mea domina. Non succederà di nuovo”
Laurentia gli gettò un’occhiata annoiata, prima spostare gli occhi sulle sue unghie: “Ascolta. Potrei avere una soluzione al nostro piccolo dilemma. Potrei spremerti le informazioni, in un modo o nell’altro, ma sappiamo entrambi che sarebbe spiacevole per te e una perdita di tempo per me, quindi ecco la mia proposta: invece che dirmi dove sono quei cazzo di fogli, me lo mostri
“Intendete ‘venire con voi a recuperarli’?”
“Precisamente”
Julius abbassò gli occhi, riflettendo sulla proposta, gomiti di nuovo appoggiati all’indietro e schiena inarcata: “Mi sembra l’unica opzione. In questo modo voi capirete che le informazioni che vi ho fornito sono veritiere e io non dovrò preoccuparmi di un vostro possibile voltafaccia. C’è solo un problema:” aggiunse poi, dopo una breve pausa “la casa in questione. Non sarà facile entrarvi” Spiegò chi fosse il dominus in questione in poche parole, le dita che continuavano a giocare con i teli stesi sul letto: “Quindi, come vedete, c’è poca probabilità di riuscire nel nostro intento, con i padroni all’interno”
Ancora una volta, Laurentia non sembrò particolarmente scoraggiata dalle sue parole. Anzi, dopo un momento di riflessione, nei suoi occhi brillò qualcosa che Julius riconobbe come un’idea: sperò, senza troppa fiducia, che fosse sufficientemente buona dal permettere loro di raggiungere il loro obiettivo senza danni collaterali. 
“Hëloise e la domina sono amiche, o almeno buone conoscenti;” disse lei, con una scrollata di spalle “due cambi fa abbiamo entrambe presenziato ad una cena insieme, in quell’abitazione. Prima di andarcene, c’è stata una vaga promessa di ricambiare l’invito molto presto: la tua padrona non era convinta -credeva di avere già sottratto abbastanza tempo alla venerazione del Semprevigile con quell’unico ultimopasto consumato in compagnia-, ma credo che qualche incoraggiamento da parte mia in veste ufficiale possa convincerla che un atto di ospitalità sia, in questo caso, molto lontano di peccati che teme di commettere. Senza contare che entrambe saranno entusiaste di passare un’altra a disquisire di teologia”
C’era una soddisfazione orgogliosa nelle sue parole che fece storcere le labbra a Julius: Laurentia dimostrava troppo autocompiacimento per un’ipotesi in cui vi erano ancora numerose variabili incerte. Iniziava a comprendere perché il suo superiore avesse tanta poca voglia di trattare con lei, e perché si astenesse dall’affidarle compiti di alta responsabilità. Gli sarebbe piaciuto avere più materiale sul loro passato, sul legame che, malgrado tutto, li univa e, soprattutto, sulla Chiesa Rossa e i suoi accoliti: non gli piaceva avere punti ciechi, soprattutto ora che si muoveva su un campo di gioco il cui scacco matto sarebbe coinciso con un cerchio arkemico inciso sulla sua pelle.
“Immagino che però, nel caso, si aspetteranno che voi vi diate disponibile a presenziare. Come riuscirete ad uscire se…?”
La ragazza liquidò la domanda -il dubbio- con un cenno spazientito della mano: “Potrò sempre chiamare in causa un ordine improvviso della mia Madre Superiora. Comprare un messaggero perché recapiti una lettera al momento giusto non è così difficile, sia qui ad Elai che negli altri territori della Repubblica” E più Julius si guardava attorno, più gli sembrava che nulla fosse ‘così difficile’ in Itreya se avevi oro tra le dita e nel borsello. Quel pensiero lo infastidiva e rassicurava al tempo stesso.
“D’accordo. Dunque, quando?”
“Oggi è il quinto cambio della settimana giusto?”
“Sì, stanno lavando le scale proprio in questo momento” Un promemoria in più che il suo posto avrebbe dovuto essere lì, unica guancia liscia tra tante marchiate, a pulire pavimenti fino a farsi sanguinare le mani, aspettando il verdetto di Hëloise sul suo destino come un credente davanti all’altare del Semprevigile. Considerando i sentimenti con cui pensava a sua zia e alla divinità in questione, il paragone gli sembrava calzante. Strinse i pugni e ingoiò la rabbia che minacciava di divorarlo dall’interno.
“Tra due cambi, allora”
Le ombre attorno a Julius reagirono alla proposta con la stessa veemenza del loro proprietario, che esclamò, quasi senza avere tempo di pensare alle proprie parole: “No, è troppo presto: il quarto cambio della settimana prossima si adatterebbe meglio”
Laurentia alzò un sopracciglio: “E perché?”
Julius si morse il labbro inferiore, ma rimase in silenzio.
“Troppo presto per quello che ci proponiamo di fare, o troppo presto per te?”
Una volta di più, nessuna risposta.
“Senti, ragazzino, so che credi di essere più sveglio di me -no, assumere quell’espressione sorpresa, te lo leggo negli occhi-, ma qualsiasi gioco tu stia giocando non mi interessa: se vuoi che onori la mia parte dell’accordo, dovrai sottostare alle mie condizioni. E le mie condizioni includono lo scegliere le tempistiche. È meglio che tu mi assecondi, oppure questa storia non finirà bene per te. Per te ed il tuo amico con le lentiggini”
La stanza sembrò diventare meno luminosa e le ombre attorno a loro un po’ più appuntite: “Lucius non c’entra nulla con questa storia”
“No, hai ragione. Per ora. Avevo pensato, da principio, che fosse lui la persona a cui ti eri riferito nel nostro precedente colloquio, ma non ho trovato nulla nella sua camera e l’ho lasciato perdere. Nulla però mi impedisce di usarlo come… incentivo: niente stupidaggini, o non sarai l’unico a pagarne le conseguenze”
Julius si spostò di lato, sul letto, in una posizione più vicina alla porta di quanto già non fosse.
“E, Madre Nera, smetti immediatamente di muoverti sulle mie coperte come un Senzafuoco o giuro che ti taglio le dita delle mani”
Il suo interlocutore si fermò, a quella minaccia: era quasi sicuro che essa fosse infondata, ma non si sentiva abbastanza sicuro da rischiare.
“L’ultimo cambio della settimana non va bene comunque” rispose, denti stretti e irritazione a stento trattenuta nella voce “Mia zia lo passa sempre a pregare: non farebbe eccezioni a questa sua regola neanche se una delle Figlie in persona scendesse dal cielo e la baciasse sulla fronte” Immagine più poetica che realistica, ma che sperò avrebbe reso l’idea “Si irriterebbe e basta, ad una proposta simile”
“Sono disposta ad aspettare un cambio di più. Ma non scenderò a compromessi su questo”
Il fantasma di un sorriso si posò sulle labbra di Julius: “Mi sembra più che ragionevole, mea domina


 

❊❊❊

 

Lo studio di Oonan era silenzioso, quell’illuminotte: Lucius e suo padre dormivano, nel corridoio proprio sopra la sua testa, e non vi era nessuno in giro per i corridoi che potesse sorprenderlo a girovagare per la villa. Malgrado ciò, e malgrado la presenza di Sussurro nella sua ombra, quando Julius entrò nella stanza e osservò il tavolo di pietra, gli armadietti, la grande finestra sul lato opposto, avvertì un brivido di disagio risalirgli su per la schiena: aveva troppi ricordi spiacevoli associati a quel luogo -sia dolore fisico che semplice paura- e sperava di tutto cuore che quella sarebbe stata la sua ultima visita. Aprì l’armadio -lo stesso in cui aveva trovato il cassetto segreto quel cambio di alcune settimane prima- e sorrise, nel vedere che nessun pezzo di carta fuoriusciva dal bordo inferiore dello scomparto: non aveva tempo per sincerarsene, né, in tutta sincerità, la cosa gli interessava più di tanto, ma era quasi certo del fatto che Oonan avesse cambiato la posizione dei falsi permessi, dopo essersi accorto che uno di essi mancava all’appello. E, anche non lo avesse fatto, dimostrando poca lungimiranza, era scontato che avesse comunque rimediato una volta scoperto che la sua chiave era stata rubata. 
Ma non era lì per questo.
Alzò lo sguardo, scorrendo tra le boccette e le ampolle disposte una dietro l’altra, in file parallele, e fece scorrere il dito indice sulla superficie vetrosa dei recipienti, occhi sulle etichette: erano scritte in Liisiano, ma la sua padronanza della lingua era molto migliorata in quei mesi e, anche se si augurava che di lì a qualche cambio non avrebbe più dovuto usarla per il resto della sua vita, era ormai in grado di leggere testi non troppo complessi e comprendere conversazioni occasionali. In più, Lucius gli aveva mostrato quegli stessi intrugli qualche cambio prima, in uno dei loro rari momenti liberi, negli occhi un misto di venerazione ed entusiasmo per la professione del padre -quella stessa professione che, gli aveva comunicato, più entusiasta di quanto Julius considerasse opportuno, avrebbe intrapreso anche lui una volta adulto-: c’erano medicine, lì dentro, ed intrugli più pericolosi, che andavano maneggiati con moltissima cura. Creme per curare il corpo da scottature o irritazioni cutanee, decotti per calmare la tosse e la febbre e perfino un liquido rossastro, dai riflessi violacei, che doveva essere, prestando fede alle parole di Lucius, un sedativo meno potente del Deliquio e che non creava assuefazione. C’erano delle controindicazioni però -il suo compagno gli aveva spiegato, con uno sguardo serio che gli si addiceva ben poco- che lo rendevano poco versatile: doveva essere mantenuto necessariamente allo stato liquido, e se somministrato a categorie di persone già vulnerabili -come bambini molto piccoli, anziani, o donne in stato avanzato di gravidanza- poteva avere delle conseguenze pericolose, addirittura mortali, in certi casi.
Julius lo aveva ascoltato con attenzione e si era domandato se sarebbe valsa la pena rubarlo, come assicurazione sulla sua libertà nel caso non fosse riuscito a ripagare il debito di Atticus entro il seguente verobuio. Ma, si era detto, dopo un ragionamento veloce, avrebbe avuto poco senso: nessuno in quella casa era nella summenzionata fascia debole e, anche lo fosse stato, l’idea di un omicidio a sangue freddo lo aveva messo a disagio e aveva rigettato il pensiero in fretta, lasciato cadere come pezzo di metallo ardente per essere rimasto esposto ai soli troppo a lungo. 
Nel frangente in cui si trovava, Julius continuava a non avere bisogno di quel liquido, ed eppure si chiese se, all’occorrenza, sarebbe stato in grado di fare una cosa simile a quella che si era brevemente figurata.
Aveva delle ipotesi, ma non ancora una risposta decisiva.
Scosse la testa e riprese la sua ricerca, individuando infine quello per cui era venuto: una scatoletta  rotonda, color ocra, con degli intarsi rosati sul bordo e sul coperchio. Dalla quantità di polvere che cadde dal ripiano e che lo fece starnutire una, due volte quando la prese in mano, Oonan doveva essersene dimenticato da mesi.
Era una fortuna che suo figlio avesse una memoria migliore della sua. E che Julius ne possedesse una ancora più acuta.
All’interno del recipiente, c’era una pasta densa, priva di grumi, di un colore nerastro: Lucius gli aveva spiegato che era una specie di argilla e che, se applicata con impacchi caldi sul corpo, aveva effetti rilassanti sulle giunture e sui muscoli. Era anche facile da trovare e acquistabile a poco prezzo -motivo per cui, Julius aveva pensato, con il senno di poi- Oonan non fosse molto interessato a procurarsela e a smerciarla. In questo caso, però, non erano le capacità curative della crema ad interessarlo: il suo compagno, infatti, gli aveva raccomandato di non toccarla a mani nude perché essa aveva il difetto di essere molto appiccicosa, al punto che era necessario un tipo particolare di solvente per staccarla. L’effetto che risultava da un contatto inconsulto con quel materiale era quello di un marchio scuro sulla pelle, rialzato di qualche centimetro, molto simile ad un tatuaggio.
O ad un marchio.
… Sei sicuro di volerlo fare…?” Sussurro era arrotolato una volta di più sulle sue spalle e lo osservava maneggiare la scatola con due non-occhi carichi di preoccupazione.
“Se questo aumenterà anche solo di poco la mia possibilità di confondermi con gli altri servitori della casa, allora sì. Sono sicuro” Si era imposto di dare alle sue parole un tono deciso, privo di esitazione, e fu soddisfatto del risultato. Eppure, quando lo sguardo gli cadde sullo specchio attaccato all’anta sinistra del mobile, quello specchio che rifletteva il suo viso -e la sua guancia destra, soprattutto la sua guancia destra-, non poté fare a meno che sperare che quello che avrebbe fatto di lì a poche ore non si traducesse una premonizione di ciò che Hëloise gli avrebbe imposto, se quel tentativo fosse fallito.
Strinse i pugni e abbassò gli occhi.
L’unico modo per scoprirlo era andare fino in fondo.


 

❊❊❊

 

Voglio che tu rimanga qui, oggi”
Sussurro si arrotolò sul letto, di fronte a lui, e, pur nella sua relativa inespressività, Julius fu sicuro che il sibilo della sua non-lingua racchiudesse insieme sorpresa, irritazione e disappunto: “… Non mi sembra una decisione sensata…
“Lo è, invece. Siamo già stati fortunati che Laurentia non abbia deciso di tentare la sorte da sola, in queste tre illuminotti: non posso essere sicuro che anche gli altri componenti di questa casa si comportino con altrettanto buonsenso” L’ombravipera aveva tenuto sotto costante osservazione la ragazza in quei cambi -unica eccezione, il momento in cui aveva accompagnato Julius nello studio di Oonan-, per accertarsi che tenesse fede alla sua parte dell’accordo e non tentasse di introdursi nella domussenza preavviso: i rischi di essere scoperta sarebbero stati maggiori, senza contare che ella non sapeva ancora di preciso dove fossero custodite le carte da lei ricercate, ma fosse stata appena più intraprendente -o meno cauta, forse- avrebbe anche potuto decidere di tentare la sorte. Il timore di fallire, e di dover presentare un nuovo problema sia al suo superiore che alla Chiesa, doveva aver prevalso sulla certa irritazione che la presenza di Julius le procurava.
Ma, se predire i suoi movimenti era stato facile, tutt’altro problema erano quelli di Oonan e di Alinne. Dopo la promessa di tenersi lontano da Lucius -o, almeno, di non coinvolgerlo nei suoi affari- il medico non aveva più richiesto la sua presenza, ma Julius non dubitava che egli si fosse fatto ancora più guardingo nei suoi confronti -soprattutto ora che sapeva dell’esistenza di Sussurro- e non era entusiasta della possibilità che, in sua assenza, potesse prendere delle decisioni spiacevoli. Né, desiderava che ad Alinne, in quei cambi occupata a perlustrare i bassifondi di Elai alla disperata ricerca dell’uomo che aveva materialmente commesso l’omicidio, venissero improvvisi dubbi sulle sue recenti attività e lo cercasse proprio nelle ore in cui sarebbe stato assente. 
Si era chiesto, nelle ore della precedente illuminotte, passate ad osservare il soffitto e a sentire le borse sotto i suoi occhi farsi sempre più pesanti ad ogni minuto di veglia, che ne sarebbe stato di lei una volta che suo fratello fosse stato giudicato colpevole. Che ne sarebbe stato di lei, una volta compreso che la sua vita non sarebbe più potuta tornare come prima. Non che quelle domande avessero fatto vacillare la sua determinazione ad andare fino in fondo -si sarebbe disprezzato, se questo fosse stato il caso, soprattutto perché sapeva che Alinne non avrebbe esitato ad agire come stava agendo lui stesso-, ma la loro immateriale presenza lo aveva infastidito. Sapeva che Sussurro non poteva assorbire quel tipo di dubbi, solo quelli dettati dal timore, ma gli sarebbe piaciuto avere un modo per mettere a tacere la propria coscienza in momenti tanto scomodi. Non aveva potuto fare altro che augurarsi -sperare- che la forza dell’abitudine avrebbe ridotto al silenzio le voci discordanti nella sua testa.
Se si fosse trattato solo di avere pazienza, allora avrebbe aspettato tutto il tempo necessario.
Quindi, sì, la presenza di Sussurro in quella casa era necessaria: se qualcosa fosse andato storto, se qualcuno si fosse posto le domande sbagliate al momento sbagliato, voleva esserne informato con più celerità possibile. Senza contare che c’erano delle altre incognite nel disegno che aveva ideato: incognite a cui non voleva pensare, perché dipendevano da terze parti su cui non poteva pretendere di avere potere decisionale e non da lui, ma che comunque doveva tenere in considerazione. Camminava su un filo sottile, e non poteva permettersi distrazioni nel caso qualcosa fosse andato storto.
Il suo compagno continuava a non essere convinto: “… Se ti lascio andare da solo, non avrò modo di intervenire per aiutarti…
“Non potresti fare nulla comunque” gli ricordò, piccato “Non voglio che altri sappiano della tua esistenza. E poi, anche se questo non fosse un problema, dimentichi che sei fatto di ombre: non una gran difesa, se mi permetti”
Sussurro sibilò, offeso: “… Eppure la mia presenza ti è stata utile più di una volta, mi sembra…
“Non ti sto dicendo che tu non mi sia utile,” ribatté “ma che adesso ho bisogno di te qui” E si morse la lingua, per evitare di scendere nel sentimentale e dirgli che definire il loro rapporto con una mera questione di utilità reciproca gli sembrava riduttivo.
… Sei sicuro che questa sia l’unica ragione per cui non mi vuoi attorno, nelle prossime ore…?
“Credi che io ti stia nascondendo qualcosa?”
L’ombravipera scosse la testa: “… No… Ma non c’è bisogno che tu ti metta più in pericolo del dovuto solo per provare qualcosa a te stesso…
Le ombre della stanza scattarono, accartocciandosi su loro stesse, e anche Julius si ritrovò a stringere le labbra, improvvisamente sulla difensiva: “Non so di cosa stai parlando. E non ho intenzione discutere di questa faccenda un momento di più”
Sussurro emise un sospiro silenzioso, prima di scivolare giù dal letto e sparire sotto la porta: “… E non c’è neanche bisogno di mentire…
Anche dopo che l’ombravipera ebbe lasciato la stanza, Julius rimase fermo in quella stessa posizione, sguardo fisso sul punto occupato fino a pochi attimi prima dal suo compagno, e si chiese, mentre sentiva già sulla schiena e nello stomaco gli effetti della propria paura, se non fosse il caso di cambiare idea e richiamarlo. Di ammettere di avere commesso un errore di giudizio, di essersi sbagliato. Ma questo avrebbe significato anche riconoscere di avere necessità della sua presenza, necessità che lo avrebbe reso dipendente da lui: dopo quello che era successo il cambio in cui Bert era morto -dopo la sensazione di terrore paralizzante che lo aveva colto in quell’armadio e che si era dissolta solo con il soccorso di Sussurro- non aveva potuto che continuare a chiedersi, con irritazione crescente, a quanto ammontasse il proprio effettivo valore. Non aveva mai espresso quei dubbi ad alta voce, perché formularli in maniera coerente avrebbe dato loro più consistenza di quanto meritassero, ma necessitava di una risposta certa e priva di pregiudizi.
Una risposta che sarebbe arrivata solo con i fatti.
Così trasse un respiro profondo, strinse gli occhi e si avventurò fuori dalla propria camera.
Scese le scale quasi senza respirare, sguardo basso, capo chino e mano poggiata sulla guancia destra per nascondere il piccolo cerchio nero che la decorava. Aveva saltato il primopasto, quella mattina, ed evitato di specchiarsi in qualsiasi superficie riflettente sulla sua strada, eppure quel marchio -anche se finto, anche se temporaneo- gli bruciava la pelle come se fosse stato impresso con ferro incandescente. Il sapore dell’umiliazione gli impastava la bocca e intorpidiva la lingua e si chiese, mentre evitava una collisione con due servitori carichi di federe e lenzuola fresche, come avrebbe potuto sopportarlo se quella fosse diventata la sua vita.
Non doveva accadere.
Non sarebbe accaduto.
Ogni passo che lo avvicinava alla casa del dominus -nella villa, nel giardino, per strada- faceva crescere l’ansia che sentiva, pesante, sui palmi delle mani e sulla punta delle dita, e più di una volta dovette fermarsi e guardarsi attorno, spaventato dalla possibilità che qualcuno lo vedesse, lo riconoscesse, lo fermasse. Ma nessuno dei passanti gli rivolse nulla di più di un’occhiata distratta.
Si appostò vicino alla finestra da cui lui ed Alinne erano già entrati cambi prima, immerso nelle ombre dei palazzi accanto, e rimase in attesa. Era ora di pranzo, il che significava che le strade erano quasi del tutto deserte: la soliluce avvolgeva la città in un’atmosfera abbacinante, calda e secca, e la maggior parte degli abitanti stava approfittando di quelle ore per godersi un pasto in famiglia, o, se questo non era possibile, uno spuntino veloce nelle loro botteghe, prima di rimettersi al lavoro. Hëloise doveva star aspettando che i suoi ospiti arrivassero, supervisionando la preparazione del pranzo e della tavola -aveva deciso di aprire la sala grande, per la prima volta dopo un’eternità- e marito e moglie avevano con tutta probabilità già lasciato la loro abitazione, affidando la sua cura ad una manciata di servitori: di lì a poco, Laurentia sarebbe anch’ella uscita e si sarebbe presentata a quella porta, un atteggiamento umile e una scusa sulle labbra che le avrebbero permesso di entrare ed esporre le sue richieste. Non gli interessava sapere con quale pretesto si sarebbe introdotta all’interno: l’unico dettaglio importante era la finestra. La finestra di cui Alinne aveva forzato la serratura, e che era stata riparata in tutta fretta. La finestra che Laurentia avrebbe dovuto aprire, permettendo anche a lui di entrare nella casa.
La ragazza aveva proposto di farlo passare per un suo accompagnatore, e dunque di garantire per lui, ma Julius si era opposto con fermezza: non voleva che nessuno sapesse che era stato lì, anche solo per un breve lasso di tempo. A parte l’uomo con i capelli rossi, che sembrava avere esaudito il proprio desiderio di vendetta ripiegando su un soggetto diverso, c’era il rischio che se -quando- il furto fosse stato scoperto gli abitanti della casa ricordassero il suo viso e lo facessero presente ai padroni. Capelli ricci e neri, tratti del viso itreyani, occhi neri: Hëloise non avrebbe esitato a riconoscerlo e a domandargli spiegazioni. Ed era un’eventualità che voleva evitare a tutti i costi.
Aspettò per quella che credette essere un’eternità, osservando i granelli di polvere sulla strada muoversi sotto il tacco delle sue scarpe, e proprio quando iniziava a credere che Laurentia avesse deciso di sottrarsi a quella parte del loro accordo, che avrebbe rivolto uno sguardo distratto alla scacchiera davanti a sé e vi avrebbe trovato un matto dell’affogato, invece che un solido arrocco, vide le tende davanti a sé ondeggiare, e un’anta scostarsi appena dall’asse.
Sorrise.
Quella ragazza aveva più bisogno di lui di quanto ella stessa volesse ammettere.
Non c’era quasi nessuno attorno, e nessuno di sicuro gli prestava attenzione, ma la sua natura era troppo distante dal rischio per permettersi una mossa avventata: si ritrasse quindi ancora più nell’interno dei vicoli, mettendo distanza -ma non troppa- tra sé e il silenzioso invito che gli era stato offerto e trovò in un incavo della pietra il rifugio perfetto per avvolgersi nelle ombre attorno, diventando nulla di più che una lieve sfasatura nell’aria circostante.
Poi, a tentoni, affidandosi al proprio udito, al proprio tatto, a quel poco che i suoi occhi potevano vedere, ripercorse la strada al contrario, fino a che sentì sotto i polpastrelli il legno della finestra. Il problema che si poneva, ora, era trovare gli appigli giusti per issarsi all’interno della stanza. 
Richiamò alla mente il modo in cui Alinne si era arrampicata, i punti dove aveva appoggiato i piedi e su cui aveva fatto presa con le mani, strinse i denti e tentò -e ritentò, e ritentò- di imitarla: ci mise più tempo di quello che avrebbe gradito -e ringraziò a fior di labbra la tenebra che lo avvolgeva e che glielo aveva concesso-, ma infine riuscì nel suo intento.
Lasciò cadere le ombre nello stesso momento in cui chiuse la finestra dietro di sé e solo quando fu sicuro di essere nuovamente visibile, e che nessuno in strada si fosse accorto di nulla, scostò i tendaggi verde che ancora lo nascondevano al resto della stanza.
Laurentia era già lì, una borsa di cuoio a tracolla sopra l’abito bianco come unica differenza nel suo abbigliamento, con una mano sul pomello della porta e una scintilla di irritazione negli occhi: “Ce ne hai messo di tempo”
Potrei dire la stessa cosa di voi. “Beh, sono qui, adesso”
“Sicuro che nessuno ti abbia visto entrare?”
Julius represse un sospiro frustrato e si limitò ad annuire: “Non c’era nessuno per strada. Sono stato attento”
“Me lo auguro vivamente” Lasciò passare un momento di silenzio, poi aggiunse: “È il momento che tu tenga fede alla tua parte dell’accordo, ragazzino. Mostrami la strada e avrai il tuo compenso”
Julius ricambiò lo sguardo di lei e sentì l’oscurità attorno a lui ronzare, in riflesso del proprio stato d’animo: “Con estremo piacere, mea domina

 

❊❊❊

 

L’ombra dei sotterranei si infilò sotto le sue unghie e gli accarezzò la pelle con un non-tocco così familiare che credette quasi che Sussurro gli avesse disubbidito e lo avesse raggiunto; ma la paura -il nodo allo stomaco che poteva fingere di ignorare, ma non sciogliere- rimaneva, il suo cuore batteva sempre più veloce mano a mano che scendevano le scale e si avventuravano nelle stanze private del dominus, e Julius dovette realizzare, con fastidioso rimpianto, che l’unica causa del sollievo era l’oscurità che avvolgeva quegli ambienti. Non vi era l’umidità della cantina, né il bianco onnipresente della villa della zia: al contrario, la bellezza sobria degli intarsi sul soffitto e le luci arkemiche che rischiaravano il corridoio rendevano l’atmosfera fin troppo simile a quella che aveva respirato per dodici anni, nelle Costole di Godsgrave. 
La nostalgia, che si era adagiata sulle sue spalle e gli appesantiva il passo, fortunatamente lo lasciò non appena entrò nella stanza che Sussurro gli aveva indicato cambi prima. Si trattava di una sottospecie di studio, decorato con arazzi attaccati ai muri e pelli usate come tappeti, statue di roccia raffiguranti il Semprevigile ai quattro angoli e un tale ammasso di paccottiglia da fargli arricciare il naso, sprezzante. Che completa, imbarazzante mancanza di buon gus…
“Cazzo di Aa, questo sì che è lusso”
“Di sicuro è… sorprendente,” Julius si limitò a replicare, in un tono che sforzò di depurare da sfumature ironiche. Avesse potuto bruciare quella camera, lo avrebbe fatto senza esitazione.
Non era la prima volta che immaginava di bruciare un ambiente. O una casa. Ed erano immagini che si erano incastonate nella sua mente dopo mesi passati a pulire e servire e chinarsi davanti a persone che non meritavano il suo rispetto.
Respinse quei pensieri e si diresse a passo sicuro verso il mobile a sinistra della porta.
“È qui che tiene i documenti? Mi aspettavo un posto un po’ più… sicuro” Il sospetto nella voce della sua compagna lo fece quasi sorridere: in un altro momento -in un’altra vita- avrebbe potuto fare un commento sulla sua mancanza di fede, e su come questo fosse sorprendentemente inappropriato per il ruolo che aveva recitato nelle settimane passate, ma questo avrebbe presupposto che lui e Laurentia fossero abbastanza intimi da poter scherzare. 
E, in ogni caso, non era sicuro che ella avrebbe gradito2.
“No, ma c’è una cosa che ci serve, qui”
Aprirono il penultimo cassetto a partire dall’alto forzandone la serratura, e Julius frugò al suo interno, scoprendo che esso conteneva, per la maggior parte, gioielli e orpelli di proprietà del dominus: la chiave era posizionata in fondo al cassetto, nell’angolo destro, quasi introvabile a meno che non se ne conoscesse l’ubicazione esatta, e l’aveva appena stretta tra le dita, quando si sentirono dei passi nel corridoio e la porta della stanza si aprì. Laurentia gli diede la schiena, colta di sorpresa, e lui ne approfittò per avvolgersi nelle ombre e accovacciarsi dietro alla cassettiera.
“Chi siete voi? E cosa ci fate qui?” L’accento, che storpiava le parole al punto da renderle quasi irriconoscibili, rendeva evidente che a parlare era stato un servitore.
“Mi dovete scusare,” rispose Laurentia, con un tono di calma dolcezza talmente ben rifinito da sorprendere anche lo stesso Julius “sono venuta per riportare un oggetto sacro che la vostra padrona mi aveva prestato, al momento della mia visita qui di qualche cambio fa, ma devo avere sbagliato stanza e… ecco, temo di avere sbagliato stanza” Si udì un fruscio di vesti, e il suono di cinghie di cuoio che venivano slacciate “Ecco, vedete?”
Julius percepì l’uomo fare un passo indietro, e nel suo tono, quando le si rivolse nuovamente, era  percepibile una precipitosa riverenza: “Oh, ma certo, certo mea domina, se volete farmi questo onore mi premurerò io stesso di accompagnarvi dove desiderate” 
Le due macchie, una bianca e l’altra marrone, si avvicinarono l’una all’altra, troppo sfocate, labili, per distinguerne i lineamenti. Julius avvertì cigolio dei cardini, e il legno che si muoveva. Poteva già quasi sentire il rumore dei passi che echeggiavano per il corridoio e la scusa con cui Laurentia avrebbe liquidato l’aiuto di quel servo troppo zelante, quando quest’ultimo parlò di nuovo, con una sfumatura di incertezza e dubbio niente affatto rassicurante nella voce: “Perché quel cassetto è aperto?”
“Era già così, quando sono entrata”
“No, non è possibile: ho controllato io, personalmente, meno di mezz’ora fa, che fosse tutto in ordine. Siete stata voi? Come avete fatto, senza avere la chiave? Lo avete forz-” La frase fu stroncata da un gemito e da un tonfo secco, talmente repentini da non lasciare a Julius neanche il tempo di comprendere cosa stesse succedendo. Un ricordo vecchio di alcuni cambi tornò a fargli visita senza invito, prepotente, e un brivido freddo gli percorse la schiena. 
Fece cadere le ombre che lo tenevano nascosto proprio un attimo prima che Laurentia rivolgesse uno sguardo nella sua direzione, e la scena che gli si palesò davanti lo riportò indietro a due cambi prima, quando aveva visto un altro corpo venire trascinato su un altro pavimento, in circostanze diverse eppure non tanto dissimili da impedire un paragone. Malgrado ciò, riuscì a non distogliere lo sguardo. Notò, così, che il collo dell’uomo era macchiato di rosso.
“È…?”
“No. Solo svenuto” Laurentia fece un movimento, troppo veloce perché Julius potesse metterlo a fuoco, e qualcosa nella sua mano rifletté le luci arkemiche, prima di scomparire dentro le larghe maniche della casacca. “E se siamo fortunati, non ricorderà neanche di averci visto qui”
Averti, avrebbe voluto obiettare lui con un sorriso, e invece replicò: “Come fate a dirlo?”
“La mia lama era intrisa con abbastanza veleno di leviatano da fargli dimenticare anche come si chiama. Ora, presto: prendi un gioiello di piccole dimensioni e dammelo”
Julius non stette a discutere, anche se non era sicuro di cosa ella volesse fare: frugò di nuovo nel cassetto alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfare la ragazza. Quasi subito, la sua attenzione venne catturata dagli anelli: molti portavano il simbolo della familia, due spade incrociate circondate da un fascio di edera rampicante. Julius storse la bocca, riflettendo che suo padre e lui erano tutto ciò che rimaneva degli Scaeva, e che l’oblio aveva avvolto i suoi antenati al punto da non sapere neanche quale fosse stato il loro segno distintivo. Pensò di rubarne uno, un piccolo gesto di spregio nei confronti di qualcuno che aveva molto più denaro di lui, pur non meritandolo, ma l’esperienza passata con Alinne e gli orecchini lo spinse a non tentare la sorte. Invece, lo porse a Laurentia, che, con un cenno affermativo del capo, lo nascose tra gli indumenti dell’uomo. Poi, sempre nel silenzio più totale, rovesciò una sedia e spense le luci.
Julius capì, intuitivamente, cosa ella stesse cercando di fare e riconobbe che la trovata era ingegnosa: se ritrovato in quello stato, il servo sarebbe stato accusato di aver tentato di rubare al proprio padrone e di avere perso i sensi in seguito ad una caduta accidentale. Nessuno avrebbe dato credito alle sue parole, specialmente non se esse accusavano una servitrice del Semprevigile.
“Allora,” Laurentia commentò, mentre si incamminavano nuovamente nel corridoio “Abbiamo quello per cui siamo scesi?”
La chiave di necrosso scintillò brevemente nelle mani di Julius, il tempo necessario perché lei la vedesse e si rendesse conto di cosa si trattava: “Sì. Decisamente sì”


 

❊❊❊

 

Julius arrivò al primo piano attraverso il passaggio di servizio, mentre Laurentia prese la scalinata principale: come aveva sperato, le poche persone che incrociò durante la salita gli rivolsero poco più di un’occhiata perplessa, prima di notare il cerchio sulla sua guancia e tornare ad ignorarlo. Non credeva che il finto marchio avrebbe retto ad un esame approfondito -o ad un occhio attento- ma gli ambienti della servitù erano quasi tutti avvolti nella penombra e nessuno aveva tempo da dedicargli. Se anche fossero sorti dubbi sulla sua identità, sperava di avere abbastanza tempo prima che qualcuno iniziasse a fare domande.
Non ebbero difficoltà ad entrare nello studio -se la serratura non era risultata un problema per Alinne, di certo non poteva dirsi un ostacolo per un’accolita della Chiesa Rossa- e, una volta individuato il quadro giusto, Julius consegnò la chiave alla sua compagna, facendo poi due passi indietro e osservandola aprire la cassaforte, mentre le ombre attorno a lui fremevano di impazienza.
Cosa sarebbe accaduto se il dominus avesse deciso di spostare i documenti? Se Laurentia non avesse tenuto fede alla sua promessa? Se la sottile rete di eventi che aveva intessuto non avesse retto e si fosse lacerata?
Un sorriso sollevato da parte della ragazza di fronte a lui lo rassicurò che almeno il primo dei dubbi che lo assillavano sarebbe rimasto senza risposta: nelle mani, Laurentia stringeva un piccolo plico di fogli, tenuti insieme da una rilegatura scadente, che sembrava sul punto di rompersi da un momento all’altro. Anche da quella distanza, Julius poteva vedere chiaramente che nessuna delle parole su quelle pagine era scritta in una lingua a lui conosciuta. Non avrebbe saputo neanche indicare qualelingua fosse, in realtà.
Peccato.
“Io ho rispettato la mia parte dell’accordo, mea domina,” commentò allora, quando fu chiaro che Laurentia era ancora persa nella contemplazione della sua refurtiva “Ora è il momento per voi di fare altrettanto”
“Quando saremo usciti di qui avrai il tuo denaro” Il tono della sua voce, secco, autoritario, irritato, non lo tranquillizzò affatto.
“Perdonatemi se scelgo di non fidarmi, ma preferirei che regolassimo i nostri conti in sospeso nell’immediato”
Non ricevette una risposta pronta: la sua interlocutrice rimase ferma, immobile, con i documenti tanto desiderati nella sua mano destra. Attese e, dopo quella che gli parve un’eternità, la ragazza sembrò riscuotersi dai suoi pensieri: senza dare mostra di voler rispondere alla richiesta di Julius, chiuse la cassaforte, riposizionò il quadro nella sua posizione originale e inserì i fogli nella borsa di cuoio. Poi, abbassò il mento e socchiuse gli occhi, braccia incrociate in modo che entrambe le mani fossero inserite nelle maniche opposte, lo scintillio della lama dei suoi pugnali appena visibile sotto le sue dita: “Credo che i termini del nostro accordo debbano essere… rivalutati”
Sarebbe un errore dire, gentili amici, che Julius non aveva sperato che quella conversazione prendesse una strada diversa. Ma sarebbe stato anche un errore ugualmente grande credere che non l’avesse previsto.
Non avrebbe mai potuto reggere un confronto diretto con un’assassina professionista. Sarebbe stato sciocco e presuntuoso anche solo immaginarlo. 
Ma l’elemento sorpresa poteva fare -e fece- la differenza. 
Agì in fretta, ripercorrendo fili di pensiero già considerati: accolse nella mano una parte dell’ombra attorno a lui e -seguendo uno schema perfezionato nei ritagli di tempo dei cambi precedenti- la indirizzò negli occhi di Laurentia, accecandola. La ragazza ebbe uno scatto all’indietro, confusa, cercando istintivamente di togliersi quella benda immateriale dal viso e Julius colse l’occasione per incollare l’ombra delle sue scarpe al pavimento, in un gesto che ormai gli era familiare: con il cuore che gli pulsava nelle orecchie, la osservò tentare, ancora cieca e disorientata, di mantenere l’equilibrio, solo per rovinare a terra quando egli rilasciò le tenebre che la tenevano ancorata al suolo. Laurentia sbatté la testa contro il muro con un’esclamazione soffocata, dita che strofinavano gli occhi e la borsa di cuoio che scivolava dalla sua spalla e finiva a terra, proprio di fronte a lui. 
Vederla, afferrarla e correre verso la porta furono per Julius una cosa sola.
Mentre attraversava l’uscio sentì uno spostamento d’aria e seppe, senza bisogno di voltarsi e verificare, che uno dei pugnali di Laurentia si era conficcato a meno di un pollice dalla sua spalla sinistra: in una qualsiasi altra situazione, quella lama gli avrebbe scalfito la pelle e perforato la carne. Forse sarebbe morto all’istante -se ella avesse mirato al cuore-, oppure si sarebbe semplicemente accasciato a terra, mentre il veleno di leviatano di cui era intrisa paralizzava i suoi arti e annebbiava la sua mente, lasciandolo del tutto in balia della sua ex-alleata.
Tale eventualità, più ancora della presente situazione, lo fece rabbrividire, ma ricacciò il pensiero nello stomaco e si precipitò -il suono dei suoi passi che rimbombava pericolosamente chiaro nel corridoio vuoto- verso la stanza che aveva eletto a suo più probabile riparo.
Riflettendo su ciò che sarebbe potuto succedere, come conseguenza al ritrovamento dei documenti, Julius aveva escluso a priori di trovare un rifugio temporaneo nel salotto privato della domina: era la stanza che meglio conosceva, e anche quella più vicina allo studio da cui era uscito, ma dopo il furto degli orecchini dubitava che l’avrebbe trovata aperta e non poteva permettersi di rischiare. Stessa cosa poteva dirsi per le stanze inutilizzate e chiuse a chiave. Dopo un’attenta considerazione delle proprie possibilità, si era ricordato però di una porta lasciata socchiusa, subito a destra del salotto: lui ed Alinne non vi erano entrati -dopo avere ascoltato il dialogo dei due uomini, appostati dietro il divano, erano stati entrambi d’accordo nel ridurre la loro permanenza in quegli ambienti al minimo- e perciò non sapeva cosa essa potesse contenere, né aveva la sicurezza che essa non fosse stata lasciata aperta per caso, quel cambio. Era un azzardo, e a lui gli azzardi non piacevano. Ma tutta quella storia -dal momento in cui aveva deciso di aiutare Alinne a discolpare suo fratello- si era retta su una serie di coincidenze che avevano quasi del ridicolo. 
E non aveva altra scelta.
Afferrò il pomello con mani tremanti e sudate e lo tirò con forza. La porta non si spostò di un millimetro.
apriti apriti apriti per favore apriti
Continuò a tirare, orecchie pronte ad intercettare passi che sapeva sarebbero arrivati presto e che già gli sembrava di sentire, prima che qualcosa nel suo cervello scattasse e formulasse un pensiero razionale.
Idiota.
Il suo stomaco si trasformò in qualcosa di molto simile alla gelatina di pesce3 quando spinse la porta ed essa si aprì, rivelando un ambiente illuminato dalla soliluce. Senza neanche guardare dove effettivamente fosse capitato, Julius prese la prima cosa che si trovò davanti -una pesante sedia di legno imbottita e ricoperta di velluto- e la mandò a sbattere con violenza contro la porta di nuovo chiusa, formando una rudimentale barriera di difesa. Poi, mentre già udiva inequivocabili rumori provenire dal corridoio, identificò un mobiletto da toeletta -uno di quelli che la sua matrigna si lamentava con regolarità di non possedere, divertendo lui ed innervosendo Atticus- e gli fece subire lo stesso destino della poltrona. Finì di sistemare il tutto proprio un momento prima che qualcosa -qualcuno- tentasse di aprire la porta, prima tirando la maniglia e poi spingendo con violenza contro l’asse di legno. Il cuore di Julius mancò un battito quando vide i due mobili tremare, ma la barricata resse.
“Apri questa fottuta porta, o giuro che sarò io ad aprirti da capo a piedi” La voce di Laurentia non era nulla di più di un sibilo, ma le parole gli arrivarono comunque chiare e distinte e lo fecero rabbrividire: solo uno sciocco le avrebbe obbedito, ma anche così l’immagine di quello che ella gli avrebbe potuto fare se avessi trovato il modo di entrare gli fece tremare le ginocchia.
L’unica altra via era la finestra dall’altra parte della stanza, e non credeva che ella avrebbe avuto l’idea di scalare la facciata della villa, ma…
Doveva prendere tempo.
“Non avete mantenuto i patti,” disse, badando di tenersi a distanza di sicurezza dalla porta “e io non ho mantenuto i miei”
“La gente per cui lavoro non è mai contenta di sborsare soldi, ragazzino” Specialmente non per qualcosa che dovrebbe essere già in loro possesso “È vero, volevo fregarti, ma possiamo arrivare a un accordo” 
“Quei soldi mi servono davvero, capite: devo aiutare la mia familia. Non avrei mai fatto quello che ho fatto altrimenti” ribatté Julius, dando alla sua voce un’inflessione lamentosa, mentre le ombre attorno a lui davano segno di impazienza: quanto ancora ci sarebbe voluto per…
“Sono sicura che avevi delle ottime motivazioni. Riconosco il mio fallo: dammi la borsa e giuro, giuro che avrai il tuo denaro”
“Giurate su Aa”
Julius poteva quasi vedere le labbra di Laurentia distendersi in un sorriso di scherno, quando replicò: “Lo giuro,” con un tono che, sottratto al suo contesto, sarebbe sembrato serio e devoto anche a un sacerdote “sui tre occhi del Semprevigile”
E poi, proprio mentre Julius cercava disperatamente una scusa per dilungare ancora la conversazione, li sentì.
Dei passi, affrettati, pesanti, su per le scale.
“È lì!”
Erano mesi che le sue orecchie non udivano il rumore delle armature di necrosso dei Luminatii e il loro cozzare di armi e per un attimo, dimentico della situazione presente, si ritrovò di nuovo a ‘Grave, la sua mano di bambino in quella adulta di suo padre, mentre li guardavano sfilare nella piazza principale. Ma l’illusione si dissipò in fretta, e quel ricordo dolceamaro venne rimpiazzato dalla voce di Laurentia che imprecava, dal bagliore sotto la porta delle spade infiammate dei soldati, e da uno di loro che intimava, sovrastando la confusione: “Fermatevi, in nome della Repubblica!”
Julius approfittò della confusione all’esterno per spostare nuovamente sedia e tavolino nelle loro postazioni originali. Poi, strisciò sotto il letto che aveva davanti -la stanza, realizzò, doveva essere una camera in più dedicata agli ospiti- e si avvolse nelle ombre.
Quindi, aspettò.
Le urla e i tonfi si fermarono quasi subito -c’erano almeno quattro Luminatii in quel corridoio, mentre Laurentia era da sola- e quando il silenzio calò nuovamente sulla scena Julius poté sentire distintamente un uomo -lo stesso che aveva gridato l’ordine poco prima- rivolgersi alla ragazza, presumibilmente adesso in sua custodia: “Siete in arresto, con le accuse di blasfemia, per avere impersonato il ruolo di una servitrice del Semprevigile senza averne né i voti né la fede, e di tentato furto, per esservi introdotta nella casa di un concittadino a scopi criminosi. Avete nulla da obiettare ai capi d’imputazione che vi sono stati rivolti?”
La risposta di Laurentia non si fece attendere, e venne pronunciata con tanta cattiveria che Julius, malgrado il suo nascondiglio, sentì comunque un’ondata di nausea risalirgli su per la gola: “C’era un ragazzino, con me: capelli neri e occhi scuri. È colpevole tanto quanto me. Si è rifugiato in quella stanza”
I Luminatii entrarono, esattamente come Julius aveva previsto, e ispezionarono la camera con una pigrizia svogliata che gli fece sospettare che anche senza il suo mantello di tenebra sarebbe riuscito a sfuggire loro comunque. Uscirono dopo poco, ma lasciarono la porta aperta.
“Qui non c’è nulla”
Si udì uno schiocco sonoro, poi un gemito.
“Parla ancora a sproposito, puttana, e ti taglieremo quella tua lingua biforcuta” Ci fu un ultimo tentativo di protesta, soffocato da un secondo schiocco, ancora più forte del primo “Portatela via. Feccia simile non merita la nostra considerazione”
I Luminatii scherzarono brevemente tra di loro, un insieme di battute poco divertenti ed allusioni sconce, e poi si allontanarono insieme, trascinando con loro la prigioniera.
Sulla scena, infine, cadde di nuovo il silenzio.
Julius non uscì immediatamente dal suo nascondiglio. Aspettò, invece, che il proprio respiro riprendesse un ritmo regolare e che la sensazione di nausea passasse, lasciandolo, se non tranquillo, almeno più calmo di quanto fosse stato durante tutta l’ultima sequenza di avvenimenti.
Si concesse di sorridere.
Quando aveva saputo che Laurentia era un’assassina della Chiesa Rossa -un’assassina non troppo capace, con un superiore che non la considerava e un’indole abbastanza arrogante da credere di poter gestire la situazione senza aiuti- aveva immediatamente capito che ella rappresentava la sua migliore occasione per entrare in quella casa ed appropriarsi dei documenti che gli servivano.
Aveva anche capito, però, che c’erano ben poche possibilità che una loro collaborazione si concludesse con entrambi soddisfatti: quasi tutti i casi che aveva indagato con la mente -seduto accanto alla pietra, quell’illuminotte- si concludevano con lei che lo eliminava non appena messe le mani sulla refurtiva. Non poteva essere sicuro che sarebbe davvero successo, ma le probabilità non erano in favore di una risoluzione pacifica.
Quindi si era procurato un’assicurazione, nel caso il suo pessimismo cosmico avesse trovato un riscontro.
Il foglio che le aveva sottratto -lo stesso che Alinne credeva di avere in suo possesso e che invece era nascosto nella sua borsa da viaggio- sarebbe bastato a suscitare le domande di Hëloise, fosse stato ritrovato nella camera della sua ospite. Per essere sicuro che la padrona di casa connettesse i puntini, però, aveva scritto una seconda lista, utilizzando uno stampatello abbastanza neutro da risultare irriconoscibile, in cui indicava i nomi degli ospiti che la zia avrebbe avuto a pranzo, qualche dettaglio della loro abitazione e, soprattutto, gli orari in cui sarebbero rimasti fuori casa. Poi, tre cambi prima, si era introdotto nella camera di Laurentia e li aveva nascosti sotto le lenzuola.
Non aveva pensato neanche per un attimo che ella avrebbe potuto non notare il proprio letto disfatto però -era un’assassina e una spia: particolari del genere non vengono ignorati in territorio nemico-: quello, il motivo per cui aveva fatto in modo che la loro conversazione riguardo l’ubicazione dei documenti avvenisse nella sua stanza. Dopo il modo in cui lui, davanti ai suoi occhi, aveva messo in disordine coperte e materasso -muovendosi ‘come un Senzafuoco’, per citare Laurentia stessa- sarebbe stato molto difficile anche per lei notare la differenza.
E qui veniva il bello.
Si era presentato da lei il quinto cambio della settimana, sapendo benissimo che ella avrebbe proposto come data non il cambio dopo -non sarebbe stato pensabile per Hëloise organizzare un intero pasto in meno di ventiquattr’ore-, ma quello immediatamente successivo, senza considerare che la domina non avrebbe mai acconsentito a rinunciare alle proprie preghiere. La veemenza con cui aveva argomentato contro quella data, però, suggerendone una parecchio più in là nel tempo, avrebbe fatto irrigidire Laurentia nella sua posizione, spingendola a scegliere il cambio dopo quello proposto in precedenza.
Il primo della settimana.
Dopo mesi passati a servire in quella casa, Julius aveva una mappa mentale completa delle varie faccende domestiche, e anche delle tempistiche con cui esse venivano eseguite. In particolare, ricordava perfettamente che ogni primo cambio della settimana, all’ora di pranzo circa, la servitù non impegnata nella preparazione dei pasti -coordinata da Forgiacatene- si impegnava nel compito di cambiare le lenzuola di tutti i letti della casa. Senza eccezione.
Solo uno sciocco avrebbe potuto avere dubbi su quello che sarebbe accaduto, una volta ritrovati i biglietti.
Aveva avuto dei dubbi sulla riuscita del piano: i pezzi si sarebbero dovuti incastrare alla perfezione, pena la distruzione del suo castello di carte, ma gli era sembrato tutto talmente logico, talmente consequenziale, che si era concesso di avere fede. Vedeva, ora, che tale fiducia era stata premiata. Si chiese, una profonda soddisfazione a scaldargli lo stomaco, se manipolare gli eventi e le persone attorno a sé, farli danzare come marionette sulla punta delle sue dita, sarebbe stato sempre così facile4.
Aveva ottenuto quello per cui era venuto, e ci era riuscito senza necessitare l’aiuto di Lucius, di Alinne e neanche di Sussurro. I dubbi che aveva nutrito sul proprio valore si erano risolti nel migliore dei modi.
Sgusciò da sotto il letto e, una volta fuori dalla stanza, fece cadere le ombre attorno a sé: il rischio di andare a sbattere contro qualcuno -rivelando la sua invisibile presenza nel peggiore dei modi- gli sembrava troppo alto e il mal di testa che stava tornando prepotente, assalendogli le tempie con tanta forza da farlo tremare, gli faceva dubitare che avrebbe avuto le forze per utilizzare i propri poteri in ogni caso. Ed era improbabile che, in tutta la confusione che sarebbe seguita all’arresto, qualcuno avrebbe fatto caso a lui. 
Si incamminò per le scale di servizio e, scendendo i gradini, strinse a sé la borsa, sentendo, attraverso il cuoio, un rigonfiamento informe che attribuì all’oggetto che Laurentia aveva mostrato al servo, per convincerlo della sua identità. Non aveva tempo in quel momento di capire cosa fosse, ma contava di sincerarsene una volta tornato dalla zia.
E forse fu per la stanchezza -o, con più probabilità, per l’autocompiacimento che gli addolciva il sangue- che non si accorse dell’ombra che lo seguì fuori dalla villa, nel vicolo da cui era entrato neanche un’ora prima, fino a che essa non lo sovrastò completamente.
Ebbe appena il tempo di vederla, prima di sentire un forte dolore alla testa.
Poi, non vide più nulla.








[1] E sangue. Soprattutto sangue.
[2] Su questo, aveva ragione.
[3] È importante sottolineare, gentili amici, che Julius detestava la gelatina di pesce.
[4] Qualcuno, in un futuro lontano, lo avrebbe definito ‘una fottuta fregna
’. Troviamo difficile darle torto.



Note finali: e anche questo capitolo si è concluso! Ormai ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine di questa prima parte di cui sono, nel bene e nel male, abbastanza soddisfatta: riguardando indietro, mi accorgo infatti che ci sono delle cose che avrei potuto rendere meglio, e magari qualche ingenuità che dovrebbe essere corretta, ma in generale sono affezionata ai personaggi di cui sto scrivendo e all'ambientazione che ho dato alla vicenda. Il prossimo capitolo sarà spezzato a metà, una parte il prossimo sabato e quella dopo il sabato ancora prossimo: io sto lavorando sul capitolo subito dopo la seconda parte, ma dovrei avere finito con quello massimo per martedì. Mi auguro che le vicende di Julius continuino ad appasionarvi :), anche se vedo che le visualizzazioni medie per capitolo sono abbastanza calate, in quest'ultimo periodo: se avete un commento o una critica da fare (e non avete un account efp) vi prego di considerare di mandarmi un messaggio su Tumblr, seguendo questo linkApprezzerei davvero moltissimo avere un qualche tipo di riscontro, soprattutto considerando che non ho idea se la storia vi stia piacendo o meno, o anche solo se qualcuno stia continuando a leggerla.
In ogni caso, grazie di cuore come al solito anche solo a chi legge,
Al prossimo sabato!
QueenOfEvil

   
 
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