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Autore: sissi149    26/07/2020    4 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mentre faceva un po’ d’ordine nella cantina di padre Ross, aveva trovato quel vecchio pallone per caso, abbandonato tra le vecchie cose del gruppo sportivo giovanile che un tempo frequentava la parrocchia. Quel gruppo era una sorta di creatura leggendaria: tutti nella cittadina ne avevano sentito parlare, in pochi ricordavano di averlo visto in azione e quasi nessuno sapeva dire chi effettivamente fossero i suoi membri e da quanto tempo fosse stato sciolto.
Colpito da un’ispirazione improvvisa, quando si era trovato tra le mani il pallone, Holly l’aveva preso con sé ed aveva cercato di renderlo utilizzabile. L’aveva pulito con cura con un panno bagnato e l’aveva gonfiato. Come risultato aveva ottenuto un vecchio pallone a scacchi bianco e nero, privo di sponsor e loghi moderni, non perfettamente sferico. Il tempo probabilmente aveva allentato il cuoio e le cuciture, tuttavia per fare quattro tiri in solitaria era più che sufficiente.
Aveva imboccato la via che conduceva al vecchio campo da calcio, anch’esso abbandonato da tempo, tenendo il pallone sotto braccio. Aveva bisogno di riflettere in tranquillità e sfogare l’insoddisfazione degli ultimi giorni in cui gli sembrava di non aver fatto nessun passo in avanti, né nel recuperare parti ulteriori di memoria, né nel trovare un modo per far in modo che la verità sul cantiere potesse venire alla luce. L’unica nota positiva erano i momenti che trascorreva con i bambini dell’orfanotrofio ed in particolare col piccolo David. Il timido bambino diventava sempre più intraprendente con lui ogni giorno che passava, regalandogli attimi di spensieratezza. A volte credeva potesse trattarsi del suo fratellino, altre volte il dubbio di starsi affezionando ad un perfetto estraneo che avrebbe potuto essergli strappato da un momento all’altro gli faceva domandarsi se fosse il caso di passare così tanto tempo con lui.
Poi c’era Sanae.
O, meglio, la signora Becker. La moglie del sindaco era una presenza costante ed assidua all’orfanotrofio, per cui spesso si ritrovavano a scambiare quattro parole al momento di lasciare l’edificio. Non avevano mai apertamente toccato argomenti politici, si limitavano a salutarsi cortesemente ed a considerazioni di carattere generale. Lei non si mostrava più ostile come al loro primo incontro, anzi, pareva  disposta a dargli quella possibilità che molti gli avevano negato per anni.
Se da una parte apprezzava quei piccoli e fugaci scambi e la vicinanza con la donna, dall’altra, ogni volta che rientrava a casa c’era una ferita che sanguinava copiosamente dentro di lui. Non poteva negare a sé stesso di provare ancora dei sentimenti per la moglie perduta e, nonostante avesse promesso di reprimere e dimenticare tutto per la felicità di Sanae e Taro, sentiva l’amore riaccendersi ogni volta.
Aveva pensato di chiedere alle suore se esistesse un orario in cui poteva stare con i bambini senza incrociare la signora Becker, ma aveva il sospetto che sarebbe stata una richiesta inutile.
Perso nei propri pensieri era finalmente arrivato al vecchio campo da calcio.
Non si era nemmeno accorto che nell’ultima parte del tragitto aveva lasciato cadere il pallone e l’aveva portato avanti con delicati tocchi dei piedi.
Si fermò al bordo del rettangolo di gioco, osservandone la superficie: le linee di gesso bianco che delimitavano i contorni delle varie zone erano ormai sparite da molto tempo, le erbacce crescevano incolte ed una delle porte era rimasta senza reti, mentre in quella alla sua sinistra penzolava sconsolato un intrico di fili che aveva visto tempi migliori.
Decise di dirigersi da quella parte e di iniziare con qualche movimento, prima di tentare un tiro in porta.
La sensazione della corsa col pallone tra i piedi gli procurò una scarica di adrenalina come non gli succedeva da molto e la consapevolezza di aver ritrovato un vecchio amico perso da tanto tempo. Tra un dribbling e l’altro delle zolle di terra Tsubasa Ozora tornava alla luce e si toglieva di dosso la polvere.
Dopo aver realizzato dei tiri abbastanza semplici, decise di concentrarsi su qualcosa di più complesso, su qualcuno dei tiri speciali che aveva visto nelle immagini del libro di Kitty e che galleggiavano nella sua memoria avvolti da una coltre di nebbia. Sperava che impegnarsi nella loro realizzazione li avrebbe fatti a poco a poco riemergere.
Provò per molto tempo il tiro ad effetto, ma il pallone schizzava sempre alto sopra la traversa e lo costringeva a lunghe corse per recuperarlo. Oppure con la rovesciata e ogni volta finiva con la schiena per terra ed una botta che era certo il giorno seguente gli avrebbe ricordato la sua testardaggine. Eppure non voleva smettere finché non fosse riuscito a realizzare almeno uno dei suoi tiri speciali.
Ad un certo punto si accorse che qualcuno lo osservava.
 
 
 
 
 
Patty era uscita per un paio di commissioni ed aveva deciso di approfittare della giornata non troppo fredda per fare una passeggiata. Non amava uscire con l’automobile, preferiva muoversi a piedi, quando il tempo glielo permetteva.
Non sapeva bene perché o cosa l’avesse ispirata quel pomeriggio, ma aveva deciso di fare un percorso strano, diverso dal suo abituale, costeggiando i quartieri popolari e passando accanto al vecchio campo da calcio. Quanto le sarebbe piaciuto vedere quel posto nuovamente in ordine! Sarebbe stato un buon punto di ritrovo per i ragazzi della città: non pretendeva che si formasse una squadra ufficiale che partecipasse ai campionati locali, si rendeva conto che fosse un progetto ambizioso, ma vedere il campo abbandonato ed in decadenza le stringeva il cuore. Non sarebbe stato meglio l’allegro vociare di bambini e ragazzi impegnati a correre dietro a un pallone, piuttosto che un campo silenzioso pieno solo di erbacce? Aveva accennato una volta il discorso con Tom, ma il sindaco aveva liquidato la faccenda sostenendo che al momento c’erano esigenze più importanti nella cittadina che occuparsi di un vecchio prato.
Sospirò al ricordo di quella avvilente conversazione: il suo Tom, il vecchio Tom, quello di cui si era innamorata, avrebbe capito ed avrebbe trovato un modo per far quadrare i bilanci e sistemare il campo.
Un rumore diverso ed inaspettato catturò la sua attenzione, portandola a concentrarsi sul prato da calcio alla sua destra: c’era una persona che stava giocando o che per lo meno ci stava provando, con risultati non molto brillanti, per quello che ne capiva lei. Osservandolo attentamente vide che si trattava di Oliver Hutton.
L’architetto lanciava il pallone in direzione della porta, ma invece di segnare un gol, continuava a colpire uno dei pali o la traversa e cercava di prendere al volo il rimbalzo, ma irrimediabilmente si ritrovava a cadere sul terreno duro. Non capiva dove volesse arrivare, tuttavia Patty ammirava la sua tenacia, non pareva essere disposto ad arrendersi, nonostante i lividi che si sarebbe ritrovato addosso l’indomani.
L’uomo smise di calciare il pallone e si voltò verso di lei.
Per una frazione di secondo si sentì come una bambina colta con le mani nel vasetto della marmellata, ma subito si riscosse, in fondo non stava facendo nulla di male. Alzò una mano in segno di saluto, che venne prontamente ricambiato dall’uomo.
Stava per voltarsi e proseguire la sua strada, verso  casa, invece Oliver Hutton la raggiunse.
“Buonasera, signora Becker.”
“Buonasera, signor Hutton – rispose con cortesia – Non volevo interromperla e distoglierla dalla sua occupazione.”
L’architetto scosse la testa e le sorrise gentilmente.
“Non si preoccupi, non era nulla di importante. A dirla tutta, non stava andando neanche così bene.” Si portò una mano dietro la nuca.
“Guardi, io non saprei nemmeno da che parte cominciare con un pallone, anche se non mi dispiacerebbe che questo posto venisse rimesso a nuovo ed utilizzato.”
Nel dire questo i suoi occhi si velarono di tristezza.
“Sono sicuro che il Sindaco avrà dei progetti in merito.”
Patty rimase colpita da quell’uscita di Hutton: sapeva che tra il marito e l’architetto non scorresse buon sangue, perciò si stupì nel vederlo quasi prendere le sue difese.
“Il Sindaco non pare interessato.” Nella sua risposta non riuscì a nascondere l’amarezza che provava.
Vide l’uomo abbassare lo sguardo, probabilmente pensava di aver fatto una gaffe con lei, così si affrettò a rimediare.
“Sono stata all’orfanotrofio anche oggi. I bambini mi hanno chiesto di lei, le si stanno molto affezionando.”
Oliver recuperò il sorriso:
“Mi fa piacere. Ho sempre trovato divertente costruire e manipolare i materiali e pare che anche loro lo apprezzino.”
La donna annuì.
“Oh, sì. Sono dei piccoli artisti in erba. – il suo sguardo cadde sul pallone che l’uomo aveva continuato a passarsi tra un piede e l’altro durante il loro dialogo – Qualche volta però dovrebbe provare a farli giocare a calcio.”
“Non credo di essere un bravo maestro!”
“L’importante è farli divertire, non trova?”
L’uomo annuì in risposta, perdendosi poi in riflessioni. All’improvviso il suo volto si illuminò:
“Forse ho un’idea per il campo!” Esclamò.
La moglie del sindaco ebbe un brivido:
“Dice davvero?”
“Potremmo trovare qualcuno che ci aiuti a rimettere un po’ d’ordine per poterci portare i bambini dell’orfanotrofio a giocare. Basterebbe un buon giardiniere, giusto per togliere le erbacce.”
Patty batté le mani emozionata, non riusciva a credere che la soluzione fosse così a portata di mano.
“È un’idea geniale! Se diciamo che è per l’orfanotrofio, magari la ditta di giardinaggio ci farà un buon prezzo.”
“Potremmo anche coinvolgere Padre Ross: di sicuro convincerà qualche volontario della parrocchia.”
Patty si sarebbe messa a saltare per la gioia ed avrebbe volentieri abbracciato l’architetto, ma si trattenne all’ultimo.
“Io devo correre a casa e preparare un progetto come si deve! Così riusciremo a salvare il campo e a farlo rinascere! La ringrazio infinitamente!”
Si voltò e partì con passo svelto, ma Hutton la trattenne nuovamente.
“Aspetti, si sta facendo buio. È sicura di voler rientrare da sola?”
La donna sorrise per quella premura.
“È molto gentile da parte sua, però non si preoccupi: è solo il tramonto ed sono sicura di arrivare alla villa con ancora abbastanza luce. Conosco bene la cittadina e il tragitto. Nei prossimi giorni la contatterò di sicuro! Arrivederci, signor Hutton!”
“Arrivederci, signora Becker!”
Patty quasi correva sulla via verso casa, era parecchio che non si sentiva così leggera. Aveva finalmente trovato un modo per sistemare il vecchio campo e se tutto fosse andato per il verso giusto, non avrebbe dovuto chiedere un centesimo alle casse comunali e Tom non avrebbe avuto nulla da ridire quella volta. Era felice. Aveva un nuovo progetto da portare avanti e non sarebbe stata sola: era sicura che Oliver Hutton l’avrebbe affiancata.
 
 
 
 
 
Amy uscì dal retro del Cyborg con il borsone sulla spalla destra, mentre il contenuto della tasca del cappotto le premeva contro il fianco, costante promemoria di ciò che doveva essere fatto.
Era il giorno di chiusura per il locale, così aveva dato appuntamento a Kitty al termine delle prove. Anche se non era particolarmente tardi, era già buio da un pezzo e questo l’avrebbe aiutata.
Dal petto le uscì un profondo sospiro e una nuvoletta di condensa bianca si formò davanti alla sua bocca.
Aveva un piano, sperava che tutto andasse liscio e si svolgesse in fretta.
“Amy!” Avvertì l’urgenza della voce che la chiamava in fondo al vicolo, verso la zona più appartata, dove la strada si fermava contro un muro.
“È tanto che aspetti?” Domandò con premura.
Kitty avanzò dall’ombra, entrando nel cono di luce di un lampione.
“Solo pochi minuti. Ti ho sentita agitata al telefono, di cosa volevi parlarmi?”
La ballerina si guardò la punta delle scarpe ed infilò una delle mani in tasca.
“Cosa ti trattiene qui a New Team Town? Tu non sei di qui.”
Kitty sbatté le palpebre un paio di volte.
“Cosa, scusa?”
“Perché non lasci la città? – insisté Amy – Staresti molto meglio da un’altra parte.”
L’amica la guardava come se non capisse cosa le stava dicendo, eppure non era un concetto complicato.
“Che ti prende Amy? Ti è successo qualcosa di brutto?”
“Kitty, per favore – la supplicò – vattene da New Team Town, trovati un altro posto. È per il tuo bene!”
“Non posso, ho delle cose da fare qui. Cose importanti.”
“Puoi farle altrove le tue cose! Per favore!” Il groppo che sentiva in gola stava crescendo e gli occhi cominciavano a pizzicarle.
Kitty scosse la testa in segno di diniego.
Amy si vide costretta a fare ciò che aveva tentato di evitare con tutta sé stessa. Strinse la mano contro il calcio della pistola e la estrasse dalla tasca, puntandola contro Kitty.
L’altra spalancò gli occhi per lo stupore.
“Amy, metti via quell’affare!”
“Solo se tu te ne andrai dalla città!”
Il braccio che reggeva l’arma le tremava vistosamente e le lacrime scendevano copiose sulle sue guance.
“Non scherzare…”
“Non sto scherzando! Non obbligarmi a farlo.”
“Questa non sei tu! – la disperazione si era impadronita anche della voce di Kitty – Yayoi, per favore, svegliati dall’incantesimo. Tu sei più forte di questo, io lo so.”
“Cosa stai blaterando? Chi è Yayoi? Ti supplico Kitty, dimmi che te ne andrai.”
“Non posso farlo. Sto cercando di salvarci tutti.”
Gli occhi di Amy si stavano offuscando sempre più e la mira sulla figura di Kitty si faceva sempre più instabile, ma aveva capito di non aver altra scelta: la vita dell’amica per la sua. Non era così forte da poter sfuggire a quel gioco perverso.
“Yayoi, ti prego.”
“Mi dispiace.”
Nel momento in cui fece partire il colpo chiuse gli occhi.
Il fragore si sparse nel vicolo.
Le ginocchia le cedettero e cadde a terra piangendo e singhiozzando.
Dopo qualche istante, richiamata dal rumore, una mano le si appoggiò sulla spalla, stringendola forte.
“L’hai fatto?” La voce di Santana era fredda e dura.
Amy annuì.
Francisco avanzò nel vicolo,fino al punto in cui c’era Kitty prima che la ballerina le sparasse.
“Qui non c’è nessuno!” Esclamò.
“Io le ho sparato!”
“Sicura di non averla mancata?”
“Me  ne sarei accorta se fosse scappata da questa parte! Ti dico che le ho sparato!”
L’uomo le ritornò accanto e le  mostrò il proiettile completamente integro che aveva trovato sotto al lampione.
“C’era solo questo, là in fondo.”
“Non è possibile! – urlò Amy, mentre il terrore prendeva il posto della disperazione – Lui mi ucciderà adesso?”
“Posso provare a prendere tempo.”
L’affermazione stupì la donna, ma non la tranquillizzò.
 
 
 
 
 
Jason aveva perso la nozione del tempo ed il conto dei giorni nella cella in cui il suo misterioso carceriere lo teneva rinchiuso. A volte gli sembrava fossero passati mesi dall’ultima volta che aveva preso una boccata d’aria, altre vedeva i lividi sulle sue gambe e braccia ancora in via di guarigione e si rendeva conto che non poteva essere passato così tanto.
La sua compagna non era certo d’aiuto in questo, dato che passava la maggior parte del suo tempo addormentata o svenuta. Aveva anche sospettato che venisse drogata in qualche modo, quando le portavano i pasti. Ma allora perché tenerli separati con una parete trasparente? Perché non sedare entrambi se il rapitore non voleva che si rivolgessero la parola?
Improvvisamente, nonostante la poca luce del posto, la vide scattare a sedersi con un movimento brusco, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Aveva il fiatone ed aveva portato entrambe le mani al petto, poco sotto la spalla destra.
“C’è… mancato… poco… - ansimava – davvero… poco…”
“A cosa è mancato poco?”
La donna si voltò verso di lui, continuando a cercare di prendere più aria possibile nei polmoni.
“Atsushi…”
Un moto di rabbia lo  avvolse, identico ad ogni volta che sentiva pronunciare quel nome.
“Basta chiamarmi a quella maniera assurda! Cosa ti è successo?”
“Il bastardo… ha scoperto…”
“Cosa ha scoperto?”
“Kitty.”
Con una mano si massaggiava sotto la spalla, mentre aveva portato l’altra alla fronte.
“Tu conosci Kitty? Che c’entra lei in questa storia?”
Jason non capiva più nulla, ogni nuova informazione che riceveva non faceva altro che ingarbugliare la matassa dei quesiti irrisolti.
“Non credo di perdere sangue, per fortuna.”
L’affermazione della donna non aveva senso. Jason si passò una mano nei capelli sempre più convinto di essere finito in balia di pazzi e maledicendosi per l’ennesima volta di non aver dato retta al suo primo istinto quando aveva incontrato Kitty a New York.
“Stavamo parlando di Kitty. Che le è successo?”
“Lui ha fatto in modo che tentassero di ucciderci!”




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Prima o poi un pallone doveva finire tra i piedi di Holly, non credete? XD Ed è proprio il pallone a fornire a Holly e Patty una scusa per potersi frequentare ed un progetto comune su cui lavorare, se tutto andrà bene.
Sul fronte Amy e Kitty le cose sembrano precipitare, ma succede qualcosa di strano e forse, per la prima volta, Santana sembra non accanirsi contro la ballerina...
  
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