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Autore: heliodor    26/07/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nuovo corso
 
Il soldato esaminò con cura il biglietto che Valya gli aveva dato.
“Dici che l’ha firmato Zebith Abbylan?”
Valya annuì con vigore.
“Il comandante Zebith Abbylan?”
Valya annuì di nuovo.
La guardia sospirò. “Dryk” gridò. “Vieni subito qui, dannazione.”
Dalla stalla emerse la figura enorme di un uomo. Il suo passo era così lento e pesante che a Valya diede l’impressione di una montagna che le stesse franando addosso.
Invece Dryk si fermò al fianco della guardia sovrastandolo di almeno due teste. Indossava un grembiule sgualcito che gli copriva il petto irsuto, le tasche che traboccavano di arnesi di metallo.
“Che c’è? Stavo dando da mangiare alle ragazze.”
Valya si chiese quali ragazze accettassero il cibo di Dryk.
Il soldato sembrò infastidito. “Loro possono aspettare.” Diede il foglio all’uomo. “La riconosci?”
“È il sigillo del comandante Abbylan.”
“È arrivato un cavallo a suo nome per caso?”
Dryk sembrò pensarci su. “Un paio di giorni fa sono venute due lance con una povera bestia mezza morta. Dicevano che me ne dovevo prendere cura io.”
“È un cavallo molto docile, di colore marrone con una macchia sul fianco sinistro?” chiese Valya.
Dryk annuì lento. “Proprio quella.”
“È lui. È il mio Bel.”
Dryk si accigliò. “Bel?
“Sta per Bellir. È il suo nome.” Fece una pausa. “È il famoso eroe. Quello che uccise Malag.”
“Falla entrare” disse la guardia.
Dryk brontolò qualcosa. “È quasi buio. Devo chiudere la stalla quando cala il sole.”
“Ha una lettera del comandante Abbylan” disse la guardia. “Fagli vedere che il suo dannato cavallo sta bene e poi chiudi la stalla.”
“Vieni” le disse Dryk con tono sbrigativo.
Valya lo seguì dentro la stalla. Era un edificio lungo e stretto con numerosi recinti di forma quadrata su entrambi i lati. Ne contò una decina prima di perdere interesse.
In ognuno di essi vi era un cavallo. Alcuni erano legati mentre altri potevano muoversi, ma si limitavano a sporgere la testa al passaggio di Valya e Dryk.
Lui la condusse a un recinto vicino al fondo. “L’abbiamo messo qui” disse indicandolo.
Valya si affacciò e la vista di Bel che mangiava dal sacco appeso a un gancio la rassicurò. “Sta bene” disse sorpresa.
“Certo che sta bene. Che ti aspettavi? Che me lo fossi mangiato?”
“No, no” si affrettò a dire. “Ero solo preoccupata.”
Dryk assunse un’aria pensosa. “È il tuo cavallo da tanto?”
“No, ma ormai ci sono affezionata.”
Lui annuì grave. “È facile affezionarsi a queste bestie e il tuo Bel sembra docile, anche se è un po’ debole. Gli farò fare qualche giro della piazza, giusto per tenerlo in allenamento.”
“Davvero?” fece lei sorpresa. “Io credevo di poterlo portare con me.”
Dryk la guardò meravigliato. “Portare dove? Mica puoi tenerlo in una stanza. Ha bisogno di spazio.” Fece una pausa. “Non ho capito come ti chiami.”
“Valya Keltel” disse. “Sono la figlia del famoso eroe, anche se adesso è solo un fabbro.”
Dryk si strinse nelle spalle. “Mai sentito nominare. Dovrebbe dirmi qualcosa il suo nome?”
“Lascia perdere.” Guardò Bel. “Verrò a trovarti tutti i giorni. Non saremo soli. Tu non sarai solo.” Gli accarezzò il collo e lui non si ritrasse.
Dryk la scortò fino all’uscita, dove alla guardia di prima si era aggiunta una donna alta e dall’espressione severa. Indossava una tunica grigia sulla gonna color marrone e portava i capelli raccolti in una crocchia.
Appena i suoi occhi caddero su Valya inorridì. “Questo è indecente” esclamò, le mani sui fianchi.
Valya si fermò all’istante.
“Tu” disse la donna puntandole contro l’indice. “Dico a te, ragazza. Vieni qui. Sei Valya Keltel, vero?”
Valya si avvicinò perplessa. “Ci conosciamo?” le chiese.
“No, ma mi conoscerai, ragazza.” Le rivolse una lunga occhiata dalla testa ai piedi. “Sei un disastro, un completo disastro. Non puoi presentarti così a palazzo.”
“Cos’ha che non va il mio vestito?”
Valya indossava la tunica e i pantaloni del giorno prima. E di quello prima ancora. Aveva dormito in quei vestiti per due notti da quando avevano perso gli altri nell’incendio del carro.
“Tutto” disse la donna arricciando il naso. “Tutto questo è assolutamente deprecabile. La governatrice non mi aveva avvertita di quanto fosse disperata la situazione.”
“Disperata?” fece Valya allarmata. “È successo qualcosa a mio padre?”
“No” disse la donna. “Ma succederà qualcosa a me se non pongo rimedio a tutto questo. Vieni con me.”
Valya la seguì non prima di aver rivolto un’ultima occhiata alle stalle.
“Io mi chiamo Olethe” disse la donna. Camminava con la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé, come un soldato in marcia.
Valya lo trovava divertente me evitò di ridere.
“Impara il mio nome. Per tutto il tempo che resterai al palazzo, dovrai rivolgerti a me per qualsiasi tua necessità. O a una delle ancelle che ti verrà assegnata.”
“Cos’è un’ancella?”
Olethe storse la bocca. “Un disastro. Un vero disastro.”
La donna la guidò verso il palazzo, un edificio ottagonale che dominava la piazza d’armi, la forgia e le stalle. C’era anche una terza zona dove sorgevano dei palazzi di cinque o sei livelli. Aveva visto soldati aggirarsi lì attorno ma non sapeva a chi chiedere.
Passarono sotto un arco alto il doppio di Valya immettendosi in un’ampia sala rettangolare dalla quale partivano due corridoi in direzioni opposte.
Olethe marciò sicura verso quello di destra e Valya faticò a tenerle il passo.
“Dovrei tornare da mio padre” disse affiancando la donna. “O lui si arrabbierà se non mi vede tornare.”
Olethe la guardò con espressione contrita. “Tuo padre verrà avvertito del tuo ritardo. Anche lui deve trasferirsi a palazzo e iniziare a vestirsi in modo consono.”
“Che vuol dire consono?”
“Diverso da quello attuale” disse lei tagliando corto.
“Io non credo di voler vestire diversamente.” Valya non ricordava di aver mai indossato abiti diversi da quelli. Il baule dove aveva conservato quelli di riserva era pieno di tuniche e pantaloni e brache.
Ogni tanto ricordava che Enye e Brye avevano indossato gonne e camicette, giocando a chi riusciva a sistemarsi meglio un fiocco o una cintura per decorarli.
“E io non credo di poterlo consentire, ragazza” rispose Olethe. “Da questa parte” disse indicando una porta di legno spalancata.
Oltre di essa si apriva una sala illuminata dalle lampade a olio. Al suo interno vi erano bauli e armadi e, come in attesa, due ragazze che potevano avere sui vent’anni.
Una, dalla carnagione più scura e grandi occhi neri, le sorrise, mentre l’altra, dai capelli fulvi, le rivolse un’occhiata annoiata.
“Loro sono Brynna e Izora. Ti aiuteranno a fare il bagno e in tutte le altre faccende che ti saranno necessarie finché resterai qui.”
Valya incrociò le braccia. “Ho fatto il bagno tre giorni fa e non mi serve il loro aiuto.”
Olethe la guardò inorridita. “Tre giorni” disse scuotendo la testa. “Brynna.”
La ragazza dai capelli fulvi fece un passo avanti.
“Prepara la vasca.”
“Sì, signora.”
“Izora, tu prendi le tovaglie. Ci sarà molto lavoro per voi, ragazze.”
Valya sentì crescere la rabbia. “Ti ho detto” disse alzando la voce. “Che so lavarmi da sola.”
“Ne dubito, dall’odore” rispose Olethe.
Lei arrossì. “Sono giorni che viaggiamo e non potevamo fermarci per fare il bagno” disse. “Mio padre voleva arrivare al più presto a Ferrador.” Il pensiero di suo padre che l’aspettava la colpì. “Devo tornare da lui” disse facendo un passo indietro.
Olethe le sbarrò il passo. “Tu non uscirai di qui e non te ne andrai in giro per il palazzo finché non sarai presentabile.”
“Perché devo farlo?”
“Ordini della governatrice” rispose la donna.
“Nemmeno la conosco.”
“Si vede che lei conosce te, ragazza. Ora, togliti di dosso quegli stracci e vediamo di concludere in fretta questa spiacevole mansione.”
“Io…” iniziò a dire.
Izora emise un grido e indicò la porta alle loro spalle.
Voltandosi, Valya colse l’espressione sorpresa di un ragazzino dai capelli color oro che si era affacciato per gettare un’occhiata all’interno della stanza.
“E tu che ci fai qui?” gridò Olethe. “Esci immediatamente. Non lo sai che ti è vietato entrare nel palazzo?”
Il ragazzino non si mosse né indietreggiò. “Sei tu la figlia del fabbro?” chiese a Valya.
Lei annuì con vigore. “È lui che ti ha mandato? Ti ha detto che devo andare subito da lui?” chiese sperando che il ragazzino rispondesse di sì.
Lui si sembrò pensarci. “In verità, mi ha detto solo di trovarti. Gli dirò che sei qui.”
“Fuori” gridò Olethe.
Il ragazzino tirò via la testa e scomparve.
La donna andò alla porta e la chiusa a chiave. Restò per qualche istante con gli occhi chiusi, il petto che si alzava e abbassava.
Quando riaprì gli occhi si rivolse a Valya. “Ora” disse con voce calma. “Via quei vestiti.”
 
 
Izora le rovesciò addosso il catino di acqua calda senza badare alle sue proteste.
“È rovente” disse sputacchiando tra una parola e l’altra, i capelli trasformati in una massa informe che le copriva il viso.
Izora ridacchiò e andò via.
Brynna si fece avanti con una spazzola e iniziò a strofinarle la schiena senza tanti complimenti.
“Mi fai male” si lamentò.
“Quante storie” disse la ragazza. “Ringraziaci per essere costrette a servirti.”
Valya si accigliò. “Non è colpa mia.”
Brynna strofinò più forte. “Non è colpa di nessuno ma quella dannata donna mi ha ordinato di strofinare forte e io lo sto facendo.”
Valya strinse i denti e sopportò quella piccola tortura. “Il ragazzo che è passato prima” disse per distrarre la mente. “Come si chiama?”
“Lui è Rann” disse Brynna.
“Vive qui?”
“Certo che no” esclamò la ragazza. “Lui sta alla forgia, negli alloggi degli operai. Non è un privilegiato come voi.”
Valya stava per dirle che anche lei viveva a palazzo ed era una privilegiata come loro quando Olethe entrò nella stanza.
“Come procediamo?” chiese a Brynna.
La ragazza sospirò. “È un duro lavoro ma deve essere fatto.”
Olethe rispose con una smorfia di disgusto. “Ho mandato Izora a prendere i vestiti. Inizieremo dalle brache e poi vedremo che cosa si può fare.”
“Io non capisco l’utilità di tutto questo” disse Valya cercando di essere cortese e ragionevole. Suo padre le diceva sempre che se era educata con le persone queste le avrebbero dato ascolto più facilmente.
“Cosa non capisci dell’essere pulite e presentabili, ragazza?”
“Mi chiamo Valya” disse con una punta d’orgoglio. “Valya Keltel. Sono la figlia del famoso eroe.”
“Famoso” disse Olethe con una punta di disprezzo. “Io direi famigerato.”
“Non è la stessa cosa? Lui ha vinto la famosa battaglia di Mashiba” disse ripetendo quello che aveva ascoltato per anni dire agli altri.
“Battaglia non è il termine esatto, ragazza” disse la donna. “Fu un massacro. Morirono molte persone.”
“Erano certamente nel torto.”
“Il loro unico torto fu di trovarsi nella fortezza al momento sbagliato, quando tuo padre e quell’altro demone di Wyll l’Aquila Dorata diedero l’assalto alle mura.”
Valya la fissò con aria di sfida. “Sai tante cose di quella battaglia. Tu c’eri?”
“Ho sentito i racconti dei pochi che sono sopravvissuti. E ora alzati. Il bagno è finito.”
Le buttarono addosso un panno e mentre Izora le frizionava la pelle con delicatezza, Brynna non sembrava badare più di tanto alle sue proteste.
Olethe frugò in un baule e ne tirò fuori una gonna celeste con fiori azzurri e viola ricamati insieme a una camicia di colore verde acqua. “Prova questi” disse porgendoglieli.
Valya esitò.
“Che problema c’è adesso? Sono della tua taglia.”
Lei si accigliò. “Non indosserò quella roba” disse imbroncata.
Olethe sospirò. “Quanti anni hai, Valya Keltel?”
“Sedici” rispose subito. “E sono un’adulta. Decido io come vestirmi.”
“Bene” fece la donna. “Ora, da adulta come dici di essere, decidi di vestirti in maniera consona al luogo in cui ti trovi.”
“Non potrei avere pantaloni e tunica? E magari un paio di stivali?”
“Stivali” disse Olethe volgendo gli occhi al cielo. “È peggio di quanto pensassi. Sua eccellenza Abrakir dovrà essere informata.”
“Se pensi che questo mi spaventi…” fece Valya con aria di sfida.
“Tu non conosci sua eccellenza. Quando vuole qualcosa, la ottiene. E in caso contrario” fece una pausa.
“Che succede se non la ottiene?” le domandò Valya.
“Trova il modo di averla lo stesso. Ora prova questi vestiti.”
Valya sospirò affranta e prese tra le mani la gonna.

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