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Autore: _justabibliophile_    26/07/2020    4 recensioni
Tra poco probabilmente il Sole sorgerà di nuovo e tu forse aprirai gli occhi, sbattendo le palpebre un sacco di volte e cercando a tentoni gli occhiali sul tuo comodino, occhiali che non troverai perché come sempre io te li avrò nascosti in un posto troppo lontano per la tua mente ancora annebbiata dal sonno.
Ma io non sono così sicuro di voler restare qui quando ti sveglierai. [...]
Perché quella che ti hanno fatto, James, è Magia Oscura. E se pensavo che questa guerra l'avremmo combattuta fianco a fianco, andando allo sbando come nostro solito e senza un piano ben preciso a cui attenerci, ora devo arrendermi di fronte alla consapevolezza di non esserne più così sicuro. Perché se credevo che ormai non potessi più provare sulla mia pelle il dolore dell'abbandono, del tradimento, dell'assenza di chi ero convinto non se ne sarebbe andato mai, oggi devo gettare la spugna e rendermi conto che non esiste più nemmeno questa certezza.
Perché il Sole sorgerà di nuovo, l'alba rischiarerà un'ennesima giornata e tu aprirai gli occhi.
Ma di te, di lei, di noi, tu non ricorderai più nulla.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Ordine della Fenice | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Alice.

Non mi è mai piaciuta la notte.

Si sa che prima o poi, nella vita, ci si ritrova davanti a quei bivi dove a ciascuno viene chiesto di scegliere tra bianco e nero, tra luce e buio, tra giorno e notte. Ecco, mai come in quest'ultima settimana mi sono resa conto di quanto sia insopportabile il momento in cui il Sole cala e lascia il posto al manto nero del buio, che ricopre il cielo e inonda ogni città con il suo mare di inchiostro nero come la pece.

Il giorno è rassicurante, non c'è che dire: ho la luce, ho la frenesia dell'inizio di una nuova mattinata, ho mille cose da fare e la mente appesantita dagli infiniti pensieri che mi seguiranno per le successive ventiquattro ore. Il giorno è vita, è fatto per chi ama la confusione e odia stare in balia dei propri pensieri, specialmente quando questi minacciano di opprimere e di non lasciare tregua nemmeno per un secondo.

La notte chiaramente non è fatta per quelli come me, che da soli non riescono a starci neanche sotto tortura.

Trattengo un sospiro sonoro e mi rigiro stancamente nel letto, tirandomi la coperta fin sul naso e mordendomi l'interno guancia più forte che posso. Come sospettavo, per il tempo in cui le molle del mio materasso cigolano, dal letto accanto al mio cala di nuovo un silenzio disumano. Subito dopo, forse accertatasi che io stia dormendo - che sia per finta o meno, non ha la minima importanza - Lily riprende con il suo quieto pianto di prima.

I denti tornano ad affondare con forza nella mia guancia e poco alla volta sento in bocca il sapore metallico del sangue, ma non è come se la cosa avesse particolare rilevanza. Ora, quello che invece conta per davvero è il modo in cui continuo a sentirmi impotente di fronte al dolore che attanaglia la mia migliore amica.

È notte fonda, domani sarà di nuovo venerdì e dovremo affrontare due lunghissime ore di Pozioni con i Serpeverde, ma Lily seguita a singhiozzare per l'ennesima notte di fila e io non posso che assistere a questo terribile spettacolo che dilania me per prima. Ho gli occhi ben aperti nel buio e so che lei non può vedermi, rannicchiata com'è in tutti quegli strati di lenzuola e coperte, che comunque pesano meno del macigno che ha - che abbiamo - nel petto. Proprio all'altezza del cuore.

Tra poco si concluderà la prima settimana effettiva senza James al nostro fianco, ma i giorni sono trascorsi come a rallentatore e la paura di non farcela si sta insinuando poco alla volta persino nella mente di un'ottimista di natura come la sottoscritta. Di giorno cerco di sorridere, di infondere quel briciolo di positività anche nei miei amici, ma è proprio di notte che ogni mio scudo si sgretola irreparabilmente.

Fuori è buio e il peso di una guerra in cui siamo già dentro fino al collo si riversa su di me, che con le ginocchia al petto deglutisco e mi chiedo come sia possibile andare avanti in questo modo. La guerra è qui e ha il suono del pianto sommesso di Lily, ha il gusto delle Cioccorane che Peter offre a tutti noi quando ci vede più giù del solito, ha l'odore delle pomate che Remus è costretto a spalmarsi ogni giorno su quelle ferite orribili che ancora riporta sulla pelle e ha il colore degli occhi di Sirius, velati di lacrime a stento trattenute.

La guerra ha la forza della mano di Frank, che si aggrappa alla mia e cerca di non lasciarmi cadere in quel baratro da cui risalire potrebbe essere tremendamente difficile.

Ho diciotto anni e il solo pensiero di combattere - di doverlo fare ancora - mi spaventa come niente al mondo, questo non ho paura di ammetterlo. Ogni singola notte penso all'eventualità di trovarmi di nuovo faccia a faccia con quei volti coperti da orribili maschere, che sanno maneggiare così bene le loro bacchette e che non esitano a scagliare incantesimi mortali contro degli adolescenti come noi, che della vita abbiamo visto per ora solo una parte infinitesimale.

E poi c'è quella minuscola parolina, quelle cinque lettere che si attorcigliano su se stesse formando il sostantivo morte e che sono talmente potenti da lasciarmi senza fiato. Perché la morte, per la prima volta nella mia vita, è uno scenario da contemplare. La morte potrebbe sopraggiungere in un tempo relativamente breve, potrebbe sfiorare con la sua mano gelida Frank, Lily, tutti i miei amici. Persino me. Ed è questo, per l'appunto, che mi spaventa ancor più di una guerra che è talmente vicina da poter essere toccata con un dito.

Perché posso ancora essere una ragazza che gioca a fare la donna, che si ostina ad avere paura dei compiti in classe a sorpresa di Trasfigurazione e che ha la risata estremamente facile, ma sfortunatamente non sono sciocca abbastanza da non capire che, prima o poi, toccherà a me per prima combattere. E forse sarà l'incoscienza dell'età, sarà l'adrenalina che mi spinge a voler fare qualcosa di concreto, sarà che l'angoscia passa addirittura in secondo piano rispetto al mondo ingiusto in cui viviamo: il punto è che lottare in prima linea è per davvero una cosa che voglio fare con ogni fibra del mio essere.

Non è questo il mondo in cui voglio vivere, in cui voglio crescere. Mi sta stretta un'esistenza in cui sono obbligata a portarmi dietro come se fosse una seconda pelle la paura di perdere i miei cari, ma so che devo essere io la prima a darsi da fare per cambiare questa situazione. Ho una migliore amica che rischia giorno dopo giorno di fare la stessa fine che tocca quotidianamente a decine di altri Nati Babbani come lei, un ragazzo che ha già deciso di voler diventare Auror e di combattere per davvero in prima fila contro Voldemort e i suoi seguaci, dunque di certo non sarò io quella persona che se ne starà con le mani in mano ad aspettare che la serenità le venga portata su un piatto d'argento.

Perché la guerra fa paura, sì, ma niente è tanto spaventoso quanto il pianto saturo di dolore di un'amica che non si sa minimamente come aiutare.

***

Lily.

«Serena Light, la Tassorosso del settimo, mi ha detto che Lumacorno vuole fare una specie di concorso tra noi studenti dell'ultimo anno.» decanta Alice, mentre varchiamo la soglia dell'aula di Pozioni che, neanche a dirlo, è invasa dalla solita confusione causata della momentanea assenza del professore. «Hai presente, no? Quelle stupide gare che lui ama tanto organizzare e che non hanno nessunissima utilità, se non quella di aumentare la competizione tra le pareti di Hogwarts.»

«Sì, ne ho una vaga idea.» borbotto in risposta, abbassandomi di scatto giusto in tempo per schivare un libro lanciato da qualcuno di cui ignoro l'identità, la cui traiettoria pareva portarlo proprio verso la mia immacolata fronte.

Con un groppo in gola mi rendo conto che essere la ragazza del Cercatore migliore di Hogwarts ha fatto sviluppare persino in me dei riflessi non del tutto indifferenti, ma scaccio prontamente questo pensiero e mi focalizzo ancora una volta su Alice e sulla sua interminabile parlantina.

«L'ha già fatto con loro e con i Corvonero, ma lei non ha voluto dirmi nel dettaglio di cosa si trattasse.» riprende, scrollando le spalle e gettando malamente la borsa sul banco accanto al mio. «Al diavolo gli stereotipi delle varie Case, i Tassorosso si divertono per davvero più di tutti a fare i misteriosi.»

Alice parla tanto, questa è una constatazione innegabile che non possiede nemmeno una singola argomentazione in grado di confutarla. Alice parla tanto, parla di tutto, ed è un dettaglio del suo carattere che ho afferrato all'incirca il mio primo giorno qui al Castello, quando mi sono ritrovata seduta al tavolo Grifondoro accanto a quella ragazzina dagli occhi vispi e dalla chioma biondo cenere, che non la smetteva di cianciare su tutte le meraviglie celate tra le mura di Hogwarts, di cui i suoi cugini Gideon e Fabian le avevano tanto parlato quando era più piccola.

Ma va bene, mi è sempre andato bene così.

Quando sei una persona taciturna di natura - o, perlomeno, quando sai stare bene anche da sola con i tuoi silenzi - trovare una migliore amica che straparla per la maggior parte del tempo è forse una delle fortune più grandi che possano capitarti. A maggior ragione lo è dopo una settimana come questa, in cui la voglia di affrontare qualunque tipo di discorso, persino il più banale possibile, è davvero sorprendentemente minima.

Però c'è Alice, con il suo sorriso contagioso e la sua voce sempre pronta a riempire quel vuoto abissale che ho dentro, che oggi più che mai sembra percepire questo mio evidente malumore e le prova davvero tutte per tirarmi su. E ci riesce: a modo suo, certo, ma ci riesce.

«Fammi indovinare, quante boccette di Felix Felicis metterà in palio questa volta?» domando ironicamente, lasciandomi cadere sulla sedia accanto a lei e sbuffando silenziosamente.

«Spero poche, considerando che due delle tre in palio l'anno scorso le hai vinte tu.»

La voce di Sirius giunge dritta alle mie spalle, ed è voltandomi verso il banco dietro il mio che mi scontro con il suo sorriso impertinente e con i suoi occhi grigi sempre accesi di genuino divertimento.

«Sono ancora tutte sigillate, se te lo stessi chiedendo.» replico, sorridendo e inarcando un sopracciglio con aria compiaciuta.

«Errore da principianti, Lily: questo non dovevi dirglielo.» mi ammonisce Remus, puntando un dito contro la sottoscritta e assumendo quella sua solita espressione severa che è davvero buffa. «Solo Merlino sa con quante corde dovrò legarlo per impedirgli di mettere sottosopra la tua camera e cercare di rubartele.»

«Il letto sulla destra più vicino alla porta è il mio, quindi non toccare niente che sia là nei paraggi.»

«Tranquilla Alice, so bene che al massimo potrei trovare qualche scatto bollente di Frank. E niente di più.»

Scuoto la testa e lascio che un sorriso divertito mi spunti sulle labbra, mentre ascolto distrattamente la mia migliore amica inveire contro Sirius e la sua presunta incapacità di lasciare la dovuta intimità alle coppie felicemente fidanzate.

È strano il groviglio di emozioni che in questi ultimi giorni si sta creando nel mio petto, perché è una matassa talmente confusa da rendermi impossibile persino il fatto di scandagliarne e riconoscerne le varie parti che la costituiscono. Ci sono degli istanti in cui mi sento pervasa da una forza che mi obbliga a sollevare la testa, a pensare che tutto si risolverà per il meglio, a reagire. Ecco che allora lascio che il solito entusiasmo dei miei amici contagi anche me, riuscendo addirittura a scherzare come ho sempre fatto e, talvolta, persino a sorridere.

Poi sopraggiungono quelle volte in cui tutto, alla velocità della luce, precipita. Quelle volte come questa in cui i miei occhi si posano sulla sagoma di James, mentre entra in classe trafelato come suo solito - facendomi illudere un'ennesima volta che qualcosa, del vero lui, esista ancora - ed io aspetto impaziente che il suo sguardo corra a cercare il mio, che mi trovi in mezzo alla confusione di un banale venerdì mattina e che le sue labbra si aprano in quel suo sorriso contagioso e così sfacciatamente dolce da far paura.

Ma davanti a me non trovo niente se non un paio di iridi fredde, cupe, che emanano lampi di rabbia proprio nella nostra direzione, ed ecco che il sorriso che mi ero concessa di stirare se ne va via come se non fosse mai arrivato. Nella mia mente torna a farsi vivida la scena del nostro ultimo scambio di frasi, in mezzo al corridoio gremito di studenti, mentre la mia mano pizzica di nuovo al ricordo di quando è andata a cozzare contro quella guancia candida su cui, un tempo, era solo la mia bocca a posarsi.

Che ridicolo scherzo del destino: quello schiaffo che gli ho tirato davanti a buona parte della popolazione di Hogwarts è stata per davvero l'ultima volta che, anche solo per un istante, ci siamo sfiorati.

«Forza ragazzi, anche voi ultimi ritardatari. No, questa volta non ci pensate nemmeno a occupare i vostri soliti posti.» enuncia Lumacorno con un sorriso radioso, chiudendosi la porta dell'aula alle spalle e offrendomi il pretesto perfetto per non pensare più a tutti quei ricordi che sembrano essere deleteri per la sottoscritta. «Indovinate un po' cosa vi aspetta oggi?»

«Non sarà mica...»

«Proprio così, signor Jordan! Lavoro di coppia in arrivo.» risponde il professore, sfregandosi le mani e muovendo qualche passo tra i banchi con aria decisamente baldanzosa. «A cui si aggiunge una lotta all'ultimo sangue per la gloria personale.»

Lumacorno parla con un sorriso sulle labbra che stona davvero tanto con il brusio infastidito e le smorfie cariche di disappunto sparse per l'aula. Naturalmente l'entusiasmo che lo pervade non è condiviso da nessuno di noi, e altrettanto naturalmente non c'è anima viva che dubiti che l'ipotetica lotta all'ultimo sangue, in una classe di soli Grifondoro e Serpeverde, non sia poi uno scenario così utopistico.

«Vedi? Serena Light non mente mai.» asserisce Alice con convinzione, sfoderando quello sguardo da te-l'avevo-detto - come se poi io l'avessi contraddetta, per inciso - e inarcando un sopracciglio come a sottolineare quanto le parole della Tassorosso in questione siano a tutti gli effetti indubitabili. «Sostienimi in questa impresa titanica, per favore.»

«Avanti, cosa ci fate ancora fermi?» Ecco giungere Lumacorno davanti ai nostri banchi, mentre continua imperterrito a sorridere sotto i suoi spessi baffi grigi, distruggendo così ogni nostra più remota speranza. «Desidero le coppie dell'ultima volta. Se non ricordo male, con quelle combinazioni siete riusciti a contenere più del solito i vostri tentativi di far esplodere la mia aula.»

Finisce di parlare ed io mi blocco sul posto, lasciando che i sospiri di sollievo tirati da tutta la classe giungano alle mie orecchie con più violenza del previsto. Perché lo so che questa, in un'altra situazione, non sarebbe nemmeno una cattiva notizia: l'ultima volta che Lumacorno ci ha costretto a lavorare in coppia abbiamo tutti scelto autonomamente il nostro compagno, dunque la possibilità di trascorrere altre due ore accanto a qualcuno con cui c'è sintonia dovrebbe essere una gentile concessione più che gradita.

C'è però quel dettaglio non propriamente trascurabile secondo cui l'ultimo lavoro di coppia stabilito da Lumacorno risale alla metà di ottobre, vale a dire quando il mio mondo rispettava ancora quei canoni di normalità che da sempre mi sono imposta e quando niente mi era ancora crollato addosso. Ora, ecco, ora è tutta un'altra storia.

«Separate dal nemico, ancora una volta.» mi saluta distrattamente Alice con aria affranta, lanciandomi appena uno sguardo di sfuggita e raggiungendo Mary dall'altra parte dell'aula.

Non si accorge comunque che io resto immobile come se fossi stata pietrificata, mentre fisso gli studenti intorno a me prendere posto accanto ai rispettivi amici e, al contempo, sento un fastidioso ronzio cominciare a rimbombare nei miei timpani. Perché quello che è successo in occasione dell'ultimo lavoro di coppia, ecco, è stata pura follia.

E la decisione di Lumacorno di mantenere il proprio precedente compagno non può che essere una coincidenza di innegabile malignità.

***

James.

Mi sento un idiota in questo istante e non credo ci siano altre constatazioni di senso compiuto capaci di attraversarmi il cervello in un momento tanto critico come questo.

Tutti intorno a me sembrano sapere qual è il loro posto nel mondo e lo so che è una cosa stupida, lo so che si tratta di una ridicola pozione che Lumacorno ci obbliga a portare a termine con un presunto compagno di lavoro, ma so anche che è piuttosto inusuale il fatto che io abbia la mente completamente vuota e non ricordi affatto chi diamine fosse l'altra metà della coppia.

«Forza Severus, c'è l'ennesima E che ci aspetta.»

Mi volto verso Nicholas e lo vedo spostarsi velocemente in direzione di Piton, che intuisco essere il suo compagno, mentre Evan comincia a borbottare qualche imprecazione tra i denti riguardo l'incapacità di Mulciber di distinguere persino tra aconito e asfodelo - particolare che, a sua detta, comporterà un calo drastico nella sua media in Pozioni.

Io invece resto ancora qui, in piedi e con i palmi delle mani bene appoggiati sul banco, a guardarmi intorno e a chiedermi perché diamine tocchi sempre a me fare la figura dell'idiota davanti a tutti.

«Hai perso la bussola, Potter?» mi domanda Piton, fissandomi con una smorfia chiaramente disgustata stampata in volto e reclamando così il suo posto accanto a Nick. «Ti vedo un po' spaesato.»

«Sai,» comincio lentamente, voltandomi verso di lui e lanciandogli l'occhiataccia più infastidita che possiedo. «sto davvero cominciando a chiedermi perché diavolo tu sembri sempre così attento ad ogni singola cosa io faccia. Se sei ossessionato da me, Piton, possiamo parlarne.»

Fiero della mia rispostaccia pronta, lo osservo mentre assottiglia ancora di più le labbra e contrae la mascella, rivolgendomi uno sguardo così saturo d'odio che mi chiedo come sia possibile che un ragazzo all'apparenza così estraneo a me possa nutrire un tale astio nei miei confronti.

«La tua compagna è di là, James.» risponde invece Nicholas, facendo un cenno del capo verso l'altro lato dell'aula. «Purtroppo, l'ultima volta che Lumacorno ci ha lasciato formare le varie coppie eri ancora un Grifondoro.»

Non serve che aggiunga altro, perché tutto mi è già più che chiaro. Mi volto verso il punto da lui indicato, scontrandomi all'improvviso con la sagoma di Lily Evans che, lo sguardo ostinatamente fisso su un punto imprecisato davanti a sé, sembra essersi congelata sul posto. 
Ignoro quella morsa allo stomaco che pare assalirmi ogni singola volta che mi ritrovo costretto a passare del tempo con lei e comincio a dirigermi nella sua direzione, ostentando la mia aria più spavalda e decidendo che, per il bene di entrambi, la cosa più saggia da fare in queste due ore sarà quella di ignorarla come meglio posso.

Ma poi lei alza lo sguardo e lo posa su di me, i suoi occhi sono freddi come quella stessa mano ghiacciata che sembra comprimermi il cuore e il respiro mi si blocca istantaneamente in gola. Perché non basterà provocarla nel bel mezzo dei corridoi, non sarà sufficiente uno schiaffo esibizionistico tirato di fronte a mezza Hogwarts, né potremo mai accontentarci di queste occhiate apparentemente ostili che non esitiamo a rivolgerci: esiste comunque quel minuscolo filo, più resistente e forte di qualunque altra cosa, che continuerà a far crollare ogni muro da noi eretto anche quando meno lo vorremmo.

«Non osare fare niente di tua iniziativa, Potter. Quella brava in Pozioni sono io, quindi ascolta me e tutto andrà per il verso giusto.»

Parla senza nemmeno guardarmi in faccia, le mani che si muovono frenetiche sui barattoli disposti intorno al nostro calderone e gli occhi che scorrono febbrili sulla lista di ingredienti che Lumacorno ha appena fatto comparire sulla lavagna.

«Non trattarmi come se fossi un idiota, Evans. So cavarmela anche da solo.» ribatto a tono, aprendo il volume di Pozioni giusto per tenermi impegnato e guardandola con la coda dell'occhio, mentre emette un verso simile a uno sbuffo sarcastico e scuote la testa.

«Ma per favore, devo ricordarti come è andata a finire l'ultima volta?»

Vorrei dirle che , ricordarmi cosa diamine è successo l'ultima volta che abbiamo lavorato insieme sarebbe una mossa estremamente saggia, considerando che continuo ad avere la mente che somiglia ad un deserto arido e spoglio e la cosa, neanche a dirlo, mi sta mandando in bestia. Ma Evans finisce di parlare e si blocca di nuovo per lo spazio di un secondo, prima di voltarsi di scatto e dirigersi verso l'armadietto degli ingredienti in uno sventolio di capelli.

Resto immobile a fissare quella chioma scarlatta che ondeggia sulla sua schiena, appoggiandomi al banco e prendendo coscienza del fatto che la netta distinzione tra me e un imbecille con i fiocchi si sia ridotta in maniera esponenziale. Nello stesso istante Alice Prewett - l'amica di Evans che l'altro giorno, in mezzo al corridoio, me ne ha dette di tutti i colori - mi lancia uno sguardo particolarmente di fuoco, con cui sembra volermi far intendere che mi terrà d'occhio per le prossime due ore come se fosse la mia stessa ombra.

«Un banale antidoto per veleni comuni, ragazzi miei.» sta invece adesso decantando Lumacorno, mentre passa tra i banchi e dà un'occhiata a come procede la divisione in coppie. «Due cervelli per pozione dovrebbero essere sufficienti a non produrre un completo disastro.»

«È tutto molto bello, davvero, ma qual è il premio finale?»

Mi volto verso il punto da cui proviene la voce che ha appena parlato, constatando con orrore come non solo io sia costretto a collaborare Lily Evans, ma come se non bastasse nel banco accanto al nostro è seduto quell'idiota di Sirius Black.

«Sarebbe opportuno pensare prima a prendere il giusto calderone anziché quello in rame, signor Black. Il premio dovrebbe essere l'ultima delle sue preoccupazioni.» osserva Lumacorno con un sorriso gioviale, che sfocia in una risata estremamente divertita dopo che sul volto di Black spunta una smorfia sfacciatamente canzonatoria. «La possibilità di partecipare alle mie personalissime festicciole da qui fino alla fine dell'anno sarà la prima ricompensa, tanto per cominciare.»

Black sbatte le palpebre in totale staticità per qualche secondo, prima di voltarsi verso Minus e versare contemporaneamente qualche seme di solo-Merlino-sa-cosa nel loro calderone ancora vuoto.

«Perfetto Pete, possiamo anche non impegnarci.»

Scuoto la testa di fronte alle risate che riempiono questa sezione dell'aula e comincio a domandarmi quando diamine Evans abbia intenzione di tornare qui per iniziare a metterci al lavoro, perché c'è di nuovo una strana sensazione che sta cominciando a farsi strada in me e, ancora una volta, non è niente di piacevole. Va bene, non voglio azzardarmi a dire che potrei essere stato attraversato dall'impulso di ridere a causa della frase di Black e della sua espressione così provocatoria anche di fronte a un professore, perché so per certo che questo mio insensato divertimento è dettato innanzitutto dalla sua faccia da idiota colossale.

Perché ha questo sorriso sghembo che rende il suo volto completamente diverso da quello di Regulus e i suoi occhi grigi non sono freddi come quelli del mio nuovo compagno Serpeverde, ma hanno qualcosa che li illumina che mi è persino più familiare di qualunque altro dettaglio. Poi mi accorgo all'improvviso di essermi bloccato a fissare e a scandagliare la sua espressione divertita, ma non faccio in tempo a distogliere lo sguardo perché subito anche i suoi occhi si posano, come in automatico, sul sottoscritto.

So che non potrei distogliere lo sguardo dal suo nemmeno volendo, ma non è come se mi andasse di farlo: io resto immobile e Black fa lo stesso, le risate degli altri studenti che a malapena sono un sottofondo lontano e quel ghigno che continua ad aleggiare sulle sue labbra. Ancora una volta vorrei prendermi a pugni, perché c'è una parte di me che seguita a ripetere che la cosa giusta da fare sarebbe odiarlo per questi suoi atteggiamenti da sbruffone e da bambino che le prova tutte per far ridere gli altri, ma esiste ancora un'altra sezione del mio cervello che non fa che ricordarmi quanto tutto questo mi sia stranamente familiare, conosciuto.

«Signor Black, devo ammettere che la simpatia è per davvero una delle sue più grandi qualità.» commenta il professore, ridacchiando tra sé e scuotendo la testa. Soffoco l'impulso di dirgli che solo un idiota non si accorgerebbe che le parole di Black non erano affatto ironiche, ma che anzi forse non è mai stato prima d'ora più sincero di così, ma mi limito invece a spostare gli occhi da un'altra parte e ad ascoltare le successive parole di Lumacorno. «Naturalmente ci sarà un altro premio, ma si tratterà di qualcosa che svelerò solamente alla coppia vincitrice.»

«Eccoti Lily, stavamo giusto parlando di te.»

Evans piomba alle mie spalle e si limita a rispondere all'ennesima battuta di Black alzando gli occhi al cielo, posando poi tutti i barattoli con gli ingredienti sul banco davanti a noi.

«Al diavolo l'antidoto banale, questa preparazione richiederà più tempo del previsto.» borbotta, sfogliando rapidamente le pagine del libro di Pozioni e lasciandomi a chiedermi se stia parlando da sola oppure con me.

«Che diamine vuoi dire?» decido comunque di domandarle, provando a conquistarmi un minuscolo spazio in quella sfera che sembra essersi costruita tutta intorno.

Evans si convince infatti a staccare gli occhi da davanti a sé e li posa sul mio volto, sbuffando e scostandosi in seguito una ciocca di capelli che le era caduta davanti alla faccia.

«Voglio dire che saranno necessarie due settimane, Potter.»

«Due settimane?» ripeto, sgranando gli occhi ed eliminando ogni singolo spazio ai dubbi circa la mia effettiva incapacità o meno in questa materia.

«Significa semplicemente che bisognerà venire a controllare che la pozione stia riposando nel modo corretto.» specifica, usando un tono abbastanza seccato e trattandomi ancora una volta come se fossi io stesso l'idiota della situazione. «Ma a questo posso pensare benissimo da sola. Non è necessario mobilitare entrambi, se capisci cosa intendo.»

«Se non sbaglio la pozione sarà di entrambi.» ribatto a mia volta, incrociando le braccia al petto e concentrandomi sui gesti meccanici e precisi con cui accende il fuoco e sistema rapidamente la piccola bilancia di ottone. «Sai, non vorrei che una volta terminata ti prendessi tutti i meriti.»

Evans risponde al mio tono sarcastico alzando gli occhi al cielo, continuando a non degnarmi neanche di uno sguardo per i secondi successivi.

«Comincia a sminuzzare il bezoar, se non vuoi che mi prenda tutti i meriti come effettivamente dovrei fare.»

«Avanti Evans, ritira gli artigli.» commento un ghigno, facendo comunque come mi ha ordinato e provando per davvero a focalizzarmi sulla nostra preparazione.

È strano il mio rapporto con Lily Evans, strano in un modo che mi sconcerta e destabilizza come niente prima d'ora. È dall'episodio in corridoio che ci evitiamo vicendevolmente come il Vaiolo di Drago, limitandoci a lanciarci sguardi raggelanti le rare volte che ci incontriamo e a fare il possibile persino per non respirare la stessa aria. Poi però ci sono momenti come questo, in cui siamo praticamente obbligati a passare del tempo insieme e c'è questa sorta di muta complicità, questo rispondersi a tono che non è dettato da un reciproco fastidio, quanto piuttosto dall'annullarsi improvviso di ogni presunta forma di ostilità nei confronti dell'altro.

E sembra tutto maledettamente imprevedibile, come se da una conversazione con lei ci si potesse aspettare davvero di tutto: potrei sentire quell'impulso che mi spinge a prendermela con lei e rovinare ogni cosa, sognando poi per tutta la notte i suoi occhi feriti e così carichi di dolore da fare male. Oppure, potrei anche scegliere la strada tortuosa della conversazione civile e pensare che due ore dovranno pur trascorrere in qualche modo, quindi tanto vale provare ad alleggerirle per entrambi.

«Sei ancora arrabbiata per la storia dell'altro giorno?» mi ritrovo così a rompere il silenzio, sfoderando un'improvvisa gentilezza che stupisce me per primo.

Evans mi lancia una veloce occhiata al di sopra della bilancia, prima di distogliere ancora una volta lo sguardo da me e tornare a pesare qualche bacca di vischio.

«Dovrei esserlo?» chiede a sua volta, dopo qualche secondo di silenzio.

«Credo di sì.» replico con convinzione, senza avere nemmeno il tempo di stupirmi dell'inusuale naturalezza che sto usando nel parlare con lei. «Non ho avuto molto tatto con te e probabilmente dovresti davvero odiarmi. Penso...penso che potrei meritarmelo.»

Di nuovo mi ritrovo al suo cospetto mentre le parole fluiscono dalle mie labbra come un fiume in piena impossibile da arginare. La differenza, questa volta, sta però nel fatto che non sto parlando con l'intento di provocarla per il puro e perverso piacere di farla scattare. Adesso le mie parole nascondono un "Mi dispiace" che non riuscirò mai a pronunciare - c'è ancora quel lato del mio cervello che continua a urlare quanto sia sbagliato scusarsi con lei - ma comunque so benissimo che Evans ha già capito ogni cosa. Come se persino leggere tra le righe delle mie parole possa essere, per lei, una banale passeggiata.

Per l'appunto, lascia perdere all'improvviso la sua preparazione e adesso non c'è nessuna forza misteriosa che le impedisce di guardarmi dritto in faccia. Che i suoi occhi mi facciano uno strano effetto penso di averlo capito già da un pezzo, ma oggi ancora una volta hanno qualcosa di nuovo: forse una malcelata dolcezza che so per certo di non meritare, uno stupore probabilmente causato dalle mie parole così cordiali, una tenerezza che renderebbe impossibile persino qualunque mio tentativo di ribaltare la situazione e tornare ad essere lo stronzo di sempre.

Adesso è lei quella che ha il coltello dalla parte del manico, ma credo proprio che vada bene così.

«Cosa ti fa pensare che io non ti odi?» mi domanda all'improvviso, trattenendo a stento un minuscolo sorriso e inclinando lievemente la testa di lato.

C'è qualcosa che non va in quello che mi circonda, lo capisco adesso più che mai. Potrebbe essere colpa della strana luce soffusa prodotta dalle candele che a stento illuminano l'aula in penombra, potrebbero essere gli effluvi che cominciano a salire timidamente da tutti i calderoni, potrebbe essere la mia evidente inattitudine per questa materia che mi fa notare anche i più ridicoli dettagli.

Oppure potrebbe semplicemente essere colpa di Evans, che oggi ha due occhi più verdi del solito, mentre i suoi capelli sembrano essere veramente morbidi e ha un'espressione così angelica, così delicata, che all'improvviso mi lascia a domandarmi quale razza di mostro sarebbe capace di farla soffrire e restare impassibile di fronte a lei.

«Lo so e basta.» mormoro laconicamente in risposta, senza staccare gli occhi dai suoi. «Non hai lo sguardo di una persona che mi odia.»

«Semplicemente non do eccessiva importanza alle provocazioni di un idiota, Potter.» soffia piano, mantenendo sempre quel minuscolo sorriso soddisfatto. «Cosa che si traduce nella mia più totale indifferenza nei tuoi confronti.»

«Sarei io l'idiota in questione?» mi ritrovo a domandare, facendo istintivamente un altro passo verso di lei e riducendo così notevolmente i centimetri che ci separano.

Continuo a guardarla dall'alto in basso - merito naturalmente della mia considerevole altezza rispetto a lei - ma anche Evans, a sua volta, non esita a mantenere il contatto visivo con me e a incrociare le braccia al petto con tutta la fierezza del mondo.

«Precisamente.»

E sono solo frasi taglienti buttate qua e là, ma c'è qualcosa di diverso dagli altri giorni. Sono stato un idiota con lei e ne sono consapevole, ma era la rabbia a parlare per me e la provocazione di Piton di certo non mi ha aiutato. Adesso che sono di nuovo al suo cospetto, comunque, sento che non riuscirei a inserire nelle mie parole un briciolo d'odio nemmeno volendolo.

«Sei una bugiarda.» sussurro ancora, mentre ora sono le mie labbra ad arcuarsi in un sorriso vittorioso davanti alla sua fronte aggrottata per la confusione.

«Prego?»

«Sei una bugiarda.» ripeto ancora, il petto che quasi sfiora il suo e questa assurda sensazione che per poco non mi fa tremare la voce. «Non posso credere che in questo istante tu sia completamente indifferente

Non credo mi sia mai capitato di parlare senza connettere il cervello alla bocca, ma è una cosa che ultimamente mi succede spesso quando Lily Evans è nei paraggi. Questa volta è un nuovo istinto a prendere il sopravvento, comunque: è come se riuscissi a captare alla perfezione le emozioni che adesso si agitano nel suo petto, come se il suo battito cardiaco accelerato filtrasse direttamente nel mio corpo - o, più semplicemente, come se fosse il pallido riflesso del mio - e, ancora, come se in qualche oscuro modo io fossi stato addestrato a riconoscere nel dettaglio tutte le sensazioni che la vedono protagonista.

È un pensiero surreale e persino difficile da spiegare a parole, ma è proprio mentre lei resta qui, ferma a pochi centimetri da me, che sento irradiarsi qualcosa dal suo corpo e colpirmi lì, dritto nel petto. Non faccio però in tempo a riflettere su cosa diamine stia succedendo intorno a noi - tra noi - perché all'improvviso è una voce lontana e quasi inafferrabile a intromettersi.

«Lily, la pozione!»

È Alice Prewett ad aver parlato, questo lo so bene, perché con la sua voce concitata ha attirato l'attenzione di entrambi ed era davvero inevitabile che sia io, sia Evans ci catapultassimo all'istante verso il nostro calderone. Più precisamente, i miei riflessi da Cercatore non mi hanno tradito ed è la mia mano la prima a posarsi sul mestolo per girare la pozione e impedirle di gorgogliare fuori, magari sul nostro banco. Però non è la sola, perché io avrò anche una rapidità di movimento non indifferente, ma Evans è davvero imbattibile a Pozioni ed era logico che anche lei avrebbe fatto il possibile per salvare il nostro intruglio.

Così è anche la sua stessa mano a posarsi lì, proprio sulla mia, stringendola con talmente tanta intensità da provocarmi uno strano tremito e a costringermi a serrare di scatto le palpebre, sorpreso da questo impeto così inaspettato.

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12 ottobre 1977

«Lumacorno deve avere una consistente dose di artigli di drago da sniffare prima delle lezioni, non c'è altra spiegazione

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo di fronte alla constatazione di Alice, che continua a fissare il professore con la fronte aggrottata e con un'espressione corrucciata che mi fa davvero venire voglia di scoppiare a ridere seduta stante.

«Solo perché ci ha lasciato scegliere il compagno con cui passare due lunghissime ore a sminuzzare corni di unicorno?» domando, fissandola a mia volta con le braccia incrociate e l'aria più derisoria del mio notevole repertorio.

«Non usare questo tono sarcastico con me, signorina.» borbotta lei in risposta, puntando un dito contro di me e parlando con il classico tono altezzoso dei rimproveri. «Vedrai che tagliare corni di unicorno sarà un'attività immensamente divertente, se fatta in mia compagnia

«Io non lo dubito, anche se avrei un favore da chiederti.»

Sono piuttosto certa di aver aperto la bocca per rispondere alla mia migliore amica, se non fosse che il mio campo visivo è appena stato interamente occupato da un ammasso di capelli neri e scompigliati e da un sorriso sghembo che ormai conosco come le mie tasche.

«Potter che va in giro a chiedere favori? Che immensa novità.» commento ironicamente, appoggiandomi al banco e ghignando apertamente verso il ragazzo che si è appena intromesso nella nostra conversazione.

Non sono stupita di trovare i suoi occhi ostinatamente fissi su di me, perché è più o meno dall'inizio dell'anno che il mio sguardo e quello di Potter non fanno che rincorrersi e inseguirsi in qualunque luogo del Castello.

Sono patetica. Sono dannatamente patetica, e la parte peggiore è che ne sono persino consapevole.

«Alice ha ragione, dovresti davvero darci un taglio con questo tono sarcastico alla Sirius.»

Ma non esiste davvero niente che io possa fare per combattere il mio essere così ridicolaperché andiamo, quando comincia a piacerti qualcuno, perdere il lume della ragione è sul serio il primo di una lunghissima serie di passi sul sentiero del suicidio. Se poi il "qualcuno" in questione è James Potter, ecco, arrivi anche a pensare che il lume della ragione non ti sia mai davvero completamente appartenuto.

«È Black che copia me, se vogliamo dirla tutta. Io sono sarcastica di natura e questo chiunque lo sa.»

Ma è anche vero che James Potter - Caposcuola e Capitano James Potter, se vogliamo essere precisi - ha deciso quest'anno di smetterla di eclissare la sua parte più bella e si è finalmente mostrato per il ragazzo innegabilmente dolce e buono che è, uscendo allo scoperto con quei suoi lati del carattere che nemmeno credevo esistessero e cominciando sul serio a mostrarmeli uno alla volta, senza remore e senza esitazione.

«Abbassa la voce, lo sai che se Padfoot ti sente rischiate di cominciare a discutere di nuovo come l'ultima volta.»

E persino a farmeli piacere, per Merlino.

«Ma è lui che...»

«Oh Godric, la volete smettere di parlare di Sirius?» ci interrompe Alice, portandosi le mani alle tempie e massangiandole con lenti movimenti circolari. «James, lo so che sei venuto qua per provarci con la mia migliore amica. E la mia risposta è sì, ti farò il favore di andarmene per lasciarvi finalmente da soli.»

Trattengo a stento una risata, scuotendo la testa e scambiando con Potter uno sguardo perplesso.

«Ali, ti scongiuro, stai urlando

«Ma vi prego, finitela di usare sempre Sirius come pretesto per flirtare.»

Con questa meravigliosa battuta conclusiva, la mia amica afferra la sua borsa e ci volta le spalle, lasciandoci ancora una volta da soli a fissarci con un sorriso divertito sulle labbra.

«È una Legilimens, vero?» mi domanda Potter, facendo il giro dei banchi per posizionarsi al mio fianco.

«È da un po' di anni che lo sospetto, in effetti.» rispondo con aria pensosa, scuotendo poi la testa e scrollando le spalle. «Dai, comincia a pesare sette grammi di pupille di anguilla.»

«Wow, pare proprio che le attività divertenti tocchino sempre a a me.» commenta sarcasticamentesenza perdere quel suo sorriso divertito che ricambio quasi in automatico. «E poi, per inciso, io non ho sempre bisogno di parlare di Sirius per provarci con qualcuno

Rido e gli lancio un'occhiata particolarmente significativatrovando ancora una volta ad attendermi quelle iridi nocciola così luminose da far paura. Se qualcuno mi avesse detto che lavorare ad una pozione con James Potter - vale a dire una delle persone meno capaci in una materia come questa - sarebbe stato per me fonte di immensa gioia, ecco, probabilmente sarei scoppiata a ridergli in faccia.

Il fatto è che passare del tempo con lui è diventato ora qualcosa di estremamente naturale e sono certa chiunque se ne sia ormai reso conto. Persino la sottoscritta.
Ho superato la fase della negazione più totale, in cui mi rifiutavo persino di ammettere di trovare piacevole la sua compagniaperché la ritenevo sul serio una constatazione fuori luogo che stonava con la mia intera vita.

Ma Potter è rimasto lì, nonostante i miei tentennamenti. Ha cominciato il nostro ultimo anno scolastico rivelandomi fin da subito quella sua parte più matura, più determinata e meno sbruffona, permettendomi di scorgere sotto quegli strati di arroganza e di egocentrismo un ragazzo con principi e valori ben precisi. Essere tutti e due Capiscuola ci ha consentito di trascorrere molto più tempo insieme durante le ronde, ed è stato allora che abbiamo avuto la possibilità di parlare davvero di tutto: Potter mi ha spalancato mille finestre che davano sulla sua vita di tutti i giorni ed è stato proprio così, aprendole lentamente una alla volta, che mi sono resa conto di quanto in verità non lo conoscessi affatto.

«Non l'ho mai dubitato, Potter.» gli do corda, senza trattenere un minuscolo sorriso. «Riesci a provarci con qualcuno anche quando sei sul punto di automutilarti.»

Come a conferma delle mie parole, il coltello con cui doveva tagliare qualche foglia di valeriana va a pungergli il pollice ed ecco che dal suo dito comincia a zampillare un minuscolo rivolo di sangue. Potter sfodera un'espressione sinceramente addolorata e si porta la mano davanti agli occhi, mentre io alzo la testa e mi volto completamente verso di lui.

«Non è stato carino da parte tua predire il mio dissanguamento senza fare una piega.» mormora, lanciandomi un finto sguardo di rimprovero che mi obbliga a ridere e ad alzare gli occhi al cielo.

«Fammi vedere.» replico con arrendevolezza, avvicinandomi a lui ancora di un passo e prendendo la sua mano tra le mie. Potter è qui a pochi centimetri di distanza da me e sorride, come se bastasse davvero solo questo a mettergli allegria. «Il grande e glorioso James Potter si fa davvero impressionare da un minuscolo taglietto?»

«È molto profondo.» specifica con aria solenne, facendomi scoppiare definitivamente a ridere.

E poi comincia a guardarmi in un modo strano, con quel mezzo sorriso sempre aperto sulle labbra e gli occhi che non si staccano dal mio volto nemmeno per un istante. Non mi dà fastidio essere guardata da lui, questa è una consapevolezza che ho acquisito completamente solo oggi. Mi piace entrare in una stanza qualunque e trovare le sue pupille fisse su di me, perché questo suo costante cercarmi è il perfetto riflesso di quello che sono io stessa a fare quando lui è nei paraggi.

Il suo sguardo mi dà tranquillità, quest'aria serena e spavalda che si porta sempre dietro non è affatto fastidiosa ed io lo so bene che sono veramente arrivata a un punto di non ritorno. Perché potrei sul serio stare così ancora a lungo, con la sua mano tra le mie - un ennesimo, sciocco pretesto per sfiorarsi - gli occhi fissi nei miei e quel sorriso che è davvero tanto vicino a me, a tal punto che devo trattenere l'impulso di sollevare un dito e sfiorare quella minuscola fossetta che ha sulla guancia sinistra.

«Forza Potter, direi che il tuo contributo a questa pozione può limitarsi al tenere un mestolo in mano e girare il contenuto del calderone.» lo prendo in giro, staccandomi definitivamente da lui e lasciando che la mia pelle riprenda il suo colore naturale.

«È così scarsa la tua fiducia in me?»

Scuoto la testa di fronte alla sua aria oltraggiata, tornando a sminuzzare la valeriana da lui lasciata incompleta.

«Diciamo che è più scarsa la mia voglia di prendere il mio primo Troll in Pozioni per colpa tua.»

«Non ti deluderò, Caposcuola Evans.» asserisce convinto, per poi mordersi il labbro e sorridere apertamente.

Gli lancio una veloce occhiata e lo vedo stringere tra le mani il mestolo con una concentrazione ai limiti del ridicolo, ma è di James Potter che stiamo parlando e, per lui, non è sufficiente nemmeno l'impegno in una materia come Pozioni in cui è davvero negato. Scuoto la testa ma non riesco a smettere di sorridere, mettendo la mano destra sulla sua e facendogli vedere come effettivamente dovrebbe essere mescolata una pozione.

«Ci hanno spiegato il corretto movimento più o meno al primo anno.» commento divertita, riflettendo sul fatto che, sebbene la sua presenza potrebbe sembrare solo di intralcio, la verità è che averlo accanto a me e sentire la sua risata è quanto di più bello possa esistere per cominciare una noiosa mattinata scolastica.

Potter non risponde e io provo a spostare la mano, certa che ormai possa essere perfettamente in grado di continuare da solo, ma le sue dita esercitano una certa pressione sulla mia pelle e mi costringono a restare immobile. Alzo gli occhi e vedo i suoi già fissi su di me, mentre mi guardano in un modo tanto intenso da farmi mancare, per un solo istante, il pavimento sotto i piedi. E non è solo la sua mano sulla mia, questo lievissimo sfiorarsi e la sensazione che la mia pelle abbia improvvisamente preso fuoco: è che il suo sguardo è davvero magnetico ed è esattamente con quello che riesce a toccarmi, ad accarezzare un punto imprecisato della mia anima.

Il punto è che questo effetto che mi fa non è normale in nessuno degli universi a me conosciuti. Non è affatto normale, perché Potter mi fa sentire vulnerabile semplicemente sfiorandomi una mano e questo non può essere per niente facile da accettare, soprattutto per una come me che ha sempre amato avere il controllo della situazione. Ma va bene così, in fondo: per una volta posso anche rischiare, aggrapparmi a quelle iridi nocciola così rassicuranti e a quel sorriso che non esprime altro se non una genuina dolcezza.

Per la prima volta nella mia vita, credo proprio che ne valga la pena.

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Sirius.

«Sto per dirlo, Argus.»

Questa dannata regola stabilita dalla McGranitt secondo cui, al novantanove per cento dei casi, le punizioni da me scontate devono per forza svolgersi la sera, rappresenta un punto del Regolamento di Hogwarts che bisognerebbe decisamente rivedere.

«Sto per dirlo a voce alta.»

Non che ci sia scritta per davvero sul suddetto regolamento, chiaramente. Ma lei sembra sul serio provare questo perverso piacere nell'obbligarmi a occupare svariate ore serali per riflettere sulle mie colpe, per espiarle e per redimermi infine una volta per tutte. In fondo, perché mai dovrebbe concedermi il lusso di un pomeriggio trascorso a lucidare tutte le coppe e le targhette della Sala dei Trofei, quando è una spassosa attività che posso svolgere tranquillamente nell'orario in cui il resto degli studenti dorme o, a seconda dei casi, dà festini illegali nelle rispettive Sale Comuni?

«Per la prima volta nella mia vita.»

Che queste suddette punizioni abbiano sempre il mio amico Gazza come denominatore comune, poi, è ormai un dato di fatto. Ed è sul serio una cosa assurda, perché non potrebbe andare peggio di così: io odio quel dannato custode che mi segue sempre come se fosse la mia stessa ombra, quel dannato custode odia me e solo Merlino sa quante volte mi ha minacciato di appendermi nel suo ufficio a testa in giù per una notte intera. È chiaro che allora le mie punizioni siano una tortura da entrambe le parti e la McGranitt è sadica, fottutamente sadica.

«Non sei curioso, Argus?»

«Non chiamarmi Argus, Black.» sputa il custode con diffidenza, lanciandomi un'occhiata disgustata che mi fa incrociare le braccia al petto per sottolineare la portata dell'oltraggio ricevuto.

«E tu non chiamarmi Black, Argus.» ribatto piccato, appoggiando la schiena alla parete del suo ufficio e alzando il mento con aria altezzosa. «Credevo che dopo tutti questi anni, un po' di confidenza fosse doverosa.»

«Preferisco mantenere le distanze da lei, Black. Per ovvi motivi.» ripete ancora, ed è assurdo come riesca a pronunciare il mio nome facendolo sembrare il peggiore degli improperi. «Dove si è cacciato Potter?»

«Era questo che volevo dire a voce alta, infatti.» riprendo di nuovo, sfoderando adesso un'espressione immensamente soddisfatta. «Per la prima volta nella mia vita non sono io ad essere in ritardo.»

Le labbra di Gazza si attorcigliano in un modo buffissimo che fa sembrare che abbia appena ingerito a forza uno spicchio di limone, ma non fa nemmeno in tempo a rispondermi perché la porta del suo ufficio si spalanca di colpo, catturando così la sua attenzione. Da essa ne fuoriesce quella chioma scompigliata che conosco come le mie tasche, mista adesso a quello sguardo stralunato al di là delle sue lenti tonde.

«Alla buon'ora, Potter. La punizione doveva cominciare esattamente...»

«L'allenamento di Quidditch è durato più del solito.» lo interrompe James, tirando fuori dalla tasca un foglietto stropicciato e lasciandolo cadere nelle mani del custode. «Qua ci sono le scuse da parte di Lumacorno.»

«Scuse o non scuse, questa sera la vostra punizione finirà venti minuti dopo.» enuncia Gazza, ghignando compiaciuto e facendoci strada verso la Sala dei Trofei.

«Frena un attimo, Argus, io sono stato puntuale.» ribatto a mia volta, perché non ho rinunciato alla mia doppia porzione di arrosto serale inutilmente: se sono arrivato in perfetto orario, di certo non me ne andrò via più tardi del dovuto.

«Andiamo Black, non mi dire che trascorrere qualche minuto di troppo in punizione con il tuo degno compare ti dà fastidio.»

Apro la bocca per rispondere a tono, ma la voce mi rimane incastrata in un punto imprecisato della gola e allora serro di nuovo le labbra, deglutendo piano. In una situazione normale Gazza avrebbe ragione, non c'è che dire: la McGranitt è sempre stata la prima a impedire a me e a James di scontare le infinite punizioni insieme, perché in un modo o nell'altro si sarebbero trasformate tutte in un'ennesima occasione per stare insieme e divertirci.

E lo so bene che dovrei essere contento di avere il mio migliore amico al mio fianco per una serata intera, ma c'è sempre da considerare il fatto che James non è più lui e questa punizione, in un modo o nell'altro, potrebbe sfociare nella tragedia. Non mi ha degnato di uno sguardo da quando è piombato al mio fianco, ma continua anzi a rimanere con gli occhi ostinatamente fissi davanti a sé e la mascella contratta, quasi stesse facendo il possibile per evitarmi come meglio può.

«Lo chieda a lui.» borbotto in risposta, certo che comunque nessuno dei due mi abbia sentito.

Credo che il mutismo selettivo di James non sia solo causato dall'odio intenso che attualmente prova per me - anche perché, a dirla tutta, se siamo finiti in punizione è colpa di entrambi - ma è anche dettato dall'episodio di questa mattina, che ha visto protagonisti lui e Lily. So che James potrebbe aver vissuto un altro ricordo del suo passato dimenticato, perché dal racconto di Lily ho capito che la reazione che l'ha colto quando le loro mani si sono sfiorate, durante la lezione di Pozioni, è stata molto simile a quella del giorno in Biblioteca insieme a Remus.

Il mio migliore amico non ha perso i sensi, certo, ma sicuramente ha captato qualche ricordo di Lily legato a loro due. Con questo si spiegherebbe perché ha trascorso le successive ore di lezione senza quasi rivolgerle la parola, tornando di nuovo a rabbuiarsi e ad annullare così quel minuscolo passo in avanti che sembravano aver fatto all'inizio della mattinata.

«Molto bene, entro mezzanotte tutta questa parete dovrà essere perfettamente lucidata.» stabilisce il custode, bloccandosi nella Sala dei Trofei e indicando con un gesto della mano l'infinita teca piena zeppa di coppe, medaglie e targhette ottenute dagli studenti più meritevoli di Hogwarts. «La professoressa McGranitt si è fatta giutare che non avreste usato la magia, quindi a me le bacchette.»

Ma eccolo, il bastardo, mentre ghigna soddisfatto e lascia che quella dannata gatta di sua proprietà approvi la sua cattiveria facendogli le fusa. Sbuffo infastidito e sbatto la mia bacchetta sul suo palmo della mano aperto, osservando James fare la stessa identica cosa e mormorare persino qualche imprecazione tra i denti.

«Vuoi darci una mano, Argus?»

«Là ci sono gli stracci e tutto l'occorrente per pulire, maledetti teppistelli.» decanta senza rispondermi, lanciandoci un ultimo sguardo disgustato e partendo alla volta della porta. «Io sarò qua accanto nel mio ufficio e verrò a controllare personalmente come procedono le pulizie.»

«La aspetteremo con ansia.» commenta James con tono affabile, sfoderando un mezzo ghigno che mi è tanto familiare da farmi mancare il respiro.

Perché è esattamente questo ciò che facciamo io e lui: finire in punizione, prendere in giro Gazza, instaurare questa muta complicità e trasformare queste ingiuste condanne nei nostri confronti in occasioni per divertirci. Perché lui ha usato il plurale e nemmeno se n'è accorto, ma ha comunque lasciato aperto uno spiraglio per includere anche me, per lasciarmi di nuovo entrare nella sua vita. Perché io sono ancora qui, che lo voglia o no.

«Olio di gomito, canaglie.»

Il custode si sbatte la porta alle spalle e ci lascia qui, da soli in questo piccolo stanzino polveroso, a guardare l'immensa teca di vetro con impotenza e a pensare a quanto diamine sia crudele la McGranitt per aver pensato ad una simile condanna. Poi James sbuffa e lo vedo chinarsi a raccogliere il primo straccio che trova per terra, borbottando qualche insulto rivolto a Gazza e passandosi distrattamente una mano tra i capelli.

«Io comincio da destra, tu fai un po' come ti pare.»

Inarco un sopracciglio e lo osservo mentre mi volta la schiena e inizia a pulire le prime targhette, senza impedire a un minuscolo sorriso di arcuarmi le labbra.

«Stai pensando sul serio di metterti al lavoro, Potter?» domando con un tono beffardo, posizionandomi dall'altro lato della teca e sedendomi per terra.

«Non ho intenzione di beccarmi una punizione nella punizione, se te lo stessi chiedendo.» ribatte stizzito, senza nemmeno guardarmi in faccia. «Quindi sì, pulirò queste dannate coppe e me ne andrò da qui il prima possibile.»

Merlino, chi è questo sconosciuto e cosa ne ha fatto del mio migliore amico?

«Scommetto che vuoi ignorarmi per tutta la serata.» riprendo invece io, mordendomi il labbro per non scoppiargli a ridere in faccia e appoggiando mollemente i gomiti alle ginocchia.

«Non sarebbe una cattiva idea, considerando che ogni volta che ti parlo mi viene voglia di prenderti ancora a pugni.»

Questa volta non resisto e scoppio a ridere sul serio, gettando la testa all'indietro e lasciando che questo suono riecheggi tra le pareti della stanza. Non c'è nulla di divertente e questo lo so bene, ma se provocarlo è l'unico modo che ho per sentirlo più vicino a me, non mi resta molto altro da fare.

Sentendo la mia risata, comunque, James si volta lentamente verso di me e aggrotta la fronte, rivolgendomi un'occhiata dubbiosa e vagamente infastidita.

«Lo vedi? Sei tu quello violento tra i due. E se siamo finiti in punizione è solo perché hai cominciato tu la rissa in corridoio.» gli faccio notare, senza perdere la mia espressione canzonatoria che so per certo lo farà innervosire.

«Questo perché quando sei tu a picchiarmi non c'è nessuno nei paraggi.»

«Ma io l'ho fatto per una buona causa.»

«Anche io.»

Rimaniamo qualche secondo a fissarci, io ancora con un mezzo ghigno sulle labbra e lui con gli occhi nocciola assottigliati, come se volesse mostrarmi così tutta la sua diffidenza nei miei confronti. Siamo ai lati opposti di una teca di vetro impolverata e sono pochi i metri che ci separano, sebbene in questi giorni James sia distante da me anni luce. Eppure è un attimo, uno solo, ma quando incrocio il suo sguardo ho la netta impressione che il mio migliore amico sia un po' più vicino.

C'è silenzio tra noi e nessuno si muove, ma non è come se ce ne fosse bisogno. Prego quasi che lui sia in grado di leggere i miei pensieri, di riuscire a captare anche qualche mio ricordo e tornare il mio Prongs di sempre, ma so bene che è ancora presto. Forse è vero che per un secondo mi è sembrato che questa distanza abissale che ci separa si fosse accorciata anche solo di qualche millimetro, ma nelle sue vene scorre ancora Magia Oscura ed io non ho molto da fare, se non aspettare pazientemente che ritorni da me una volta per tutte.

«Dai, muoviti.» rompe infine il silenzio, afferrando un altro straccio e lanciandomelo dritto in faccia con la sua solita precisione millimetrica. «Non sono l'unico che dovrebbe darsi da fare.»

Sbuffo e lo assecondo, perché effettivamente non dubito che Gazza potrebbe comparire da un momento all'altro e, se mi beccasse di nuovo a oziare, potrebbe decidere di fare come l'ultima volta e portarmi dritto dritto dalla McGranitt tenendomi per un orecchio.

«Però dovresti avere una punizione più grave della mia, considerando quello che hai detto a Lily l'altro giorno.»

Lo vedo irrigidirsi visibilmente alle mie parole e contrarre la mascella, perché so di aver toccato un tasto dolente e di aver fatto esattamente centro: parlare di Lily con Prongs in queste condizioni è rischioso, lo so bene, ma sono anche convinto che sia estremamente necessario.

«Quello che ho detto a Evans non sono affari tuoi.» sputa con rabbia, strofinando una coppa con più foga de previsto.

«Eccome se lo sono, considerando che le hai urlato quelle cose di fronte a mezza scuola.»

«Se sei qui per difendere la tua ragazza, sappi che non ho voglia di ricominciare a discutere.»

Mi volto di scatto verso di lui, strabuzzando gli occhi e lasciando cadere la spugna insaponata per terra.

«Aspetta un attimo.» riesco a scandire dopo qualche secondo di pausa, tornando a sorridere come se James avesse fatto la battuta del secolo. «Puoi ripetere?»

«Non fai ridere, Black.»

«Dico sul serio.»

Lo fisso ancora con chiara impazienza, ma lui sembra capire che non sto scherzando e infatti si volta verso di me, una smorfia chiaramente infastidita stampata in faccia e le mani strette a pugno.

«Ho detto che non ho voglia di sentirti straparlare per difendere la tua ragazza.»

«Ma parli di Lily?»

«Di Evans.»

«Quindi di Lily.»

Il mio giochetto non sembra divertirlo particolarmente, perché sbuffa e assottiglia di nuovo lo sguardo, come se nemmeno la momentanea assenza della sua bacchetta potesse impedirgli di Schiantarmi. Ed io, altrettanto automaticamente, non posso che scoppiare a ridere una seconda volta e pensare che potrà davvero succedere di tutto e il mondo potrebbe anche ribaltarsi all'improvviso, ma il mio James non cesserà di essere geloso della sua ragazza nemmeno tra cent'anni.

«Lily ed io non stiamo insieme.» enuncio infine, godendomi la sua aria stralunata e vagamente incuriosita.

«Sarebbe logico pensarlo, considerando che girate sempre insieme.» precisa James con un'espressione stizzita, mentre io scuoto la testa e rifletto su quanto il mio migliore amico sia per davvero un idiota con i fiocchi.

«Oh no, lei è più che altro come quella sorella minore rompipalle a cui però vuoi un gran bene, se capisci cosa intendo.» spiego con un cenno distratto della mano, prima di piegarmi verso di lui e abbassare il tono di voce con aria cospiratrice. «E se sei geloso, Potter, non è di me che dovresti preoccuparti.»

«Che diamine stai...»

«Bensì di Remus Lupin.»

Mi godo la sua espressione confusa e sfodero un sorriso divertito. Solo Merlino sa quanto Moony me la farà pagare, in occasione della luna piena di domani, quando stasera gli racconterò di questo episodio.

«Lupin?»

«Proprio lui.» ripeto, annuendo per avvalorare ancora di più la mia tesi. «Hai presente, no? I tipi tranquilli e taciturni come lui sono sempre quelli che fanno colpo sulle ragazze.»

«Ieri però l'ho visto diventare rosso quando Emmeline Vance gli ha raccolto una piuma da terra.» constata, rinunciando a qualunque proposito di pulire la teca e appoggiandosi con la schiena contro la parete.

«Sì, lo fa con tutte.» mento clamorosamente, annuendo ancora con aria esperta. Godric, mi sto davvero divertendo un mondo. «Perché è così che si costruisce quella facciata da bravo ragazzo.»

«Diamine, Remus Lupin dovrebbe davvero darmi qualche lezione di seduzione.»

Solo troppo tardi mi accorgo che le nostre voci si sono alzate di qualche ottava - è una cosa che succede all'incirca sempre, quando io e James facciamo conversazione - ed è proprio a causa di questo che la porta della Sala dei Trofei si spalanca di scatto, rivelando la sagoma del custode. Quest'ultimo sta brandendo una scopa come se fosse una spada e fa vagare lo sguardo su entrambi, forse sperando di coglierci in flagrante a fare chissà cosa, mentre noi ci riscuotiamo e in un nanosecondo torniamo a fingere di essere concentrati nella nostra occupazione.

«Cosa stavate facendo, delinquenti?»

«Niente.»

Ancora una volta le nostre voci si sovrappongono e ancora una volta i nostri sguardi tornano a incrociarsi, in questa sorta di tacita intesa che io e lui abbiamo da quando ne ho memoria. Il mio cuore salta un battito ed io mi ritrovo a deglutire, ancora con quelle iridi nocciola fisse nelle mie che ho sempre saputo leggere come fossero un libro aperto. E lo vedo chiaramente sgranare gli occhi, mentre mi guarda dritto in volto e probabilmente si domanda come sia possibile avere tutta questa complicità con una persona che sarebbe logico odiare.

Purtroppo lui non lo ricorda, che non sono solo una persona qualunque. Sono suo fratello.

«Non voglio più sentire le vostre voci. Forza, tornate a lavoro.»

Prendere ordini da Gazza è quanto di più ridicolo esista al mondo, ma certamente è meglio di continuare a sostenere lo sguardo così stralunato di James. Sbuffo piano e osservo il custode richiudersi la porta alle spalle, mentre Prongs scuote piano la testa e si rigira una targhetta commemorativa tra le mani.

«Certo che sei un tipo davvero strano, Sirius Black.»

Ha parlato a mezza voce e quasi tra sé e sé, come se il suo vero intento fosse quello di fare una constatazione con la sua stessa coscienza. Il punto, comunque, non è che mi ha dato del tipo davvero strano - affermazione dalle mille sfaccettature, per inciso - usando persino un tono sorprendentemente morbido e quasi dolce, per uno che sostiene fermamente di odiarmi.

Il vero punto della questione, è che per la prima volta da quando siamo qui ha pronunciato il mio nome per intero e io lo sapevo bene che avrei dovuto fare tardi anche a questa punizione, per fermarmi quantomeno a svuotare le tasche dell'uniforme che sto indossando.

Certamente mi sarei ricordato di togliere lo specchietto che porto sempre con me.

Siccome però quest'ultimo giace ancora nel fondo della mia tasca, la voce che da esso riecheggia è proprio quella di James e dal suo sguardo confuso e stralunato comprendo alla perfezione che anche lui deve averla udita.

«Black,» scandisce infatti, fissandomi con la fronte aggrottata dalla perplessità. «perché diamine la tua tasca parla e ha la mia stessa voce?»

***

James.

Ecco che di nuovo sento la frase da me appena pronunciata rimbombare fuori dai pantaloni di Sirius Black - è una frase fraintendibilissima e lo so bene, ma non esiste davvero un altro modo per spiegarmi decentemente - mentre lui mi fissa con gli occhi sgranati e in totale staticità, nella perfetta posa di chi è stato appena colto con le mani nel sacco.

«Non è la mia tasca a parlare, Potter.» spiega infine con arrendevolezza, infilando una mano ed estraendo quello che all'apparenza risulta essere un banalissimo pezzo di vetro. «È uno specchio.»

«Uno specchio.» ripeto automaticamente, ancora piuttosto sospettoso e senza comprendere minimamente come la replica di Black dovrebbe aiutarmi a schiarirmi le idee. «Uno specchio che ripete esattamente quello che dico io.»

Black sbuffa come se fossi io quello complicato e particolarmente tardo della situazione, ma intuisco chiaramente che adesso è a disagio. Lo vedo dal suo sguardo sfuggente, da questo modo ostentato di alzare gli occhi al cielo e dalle mani che non la smettono di torturare quel piccolo frammento di vetro che ancora stringe tra le dita.

«È una storia lunga e non credo che tu voglia sentirla tutta.»

«Lo voglio eccome, invece.» ribatto prontamente, perché se Black possiede un oggetto che parla con la mia stessa voce non può certamente essere nulla di positivo.

«È una cianfrusaglia che ho trovato tempo fa a casa mia.» mormora in risposta, muovendo la mano come a voler scacciare un insetto immaginario. «Serve...per comunicare.»

«Comunicare?» ripeto ancora, lo scetticismo che aumenta a dismisura e la netta sensazione che quello che scoprirò di qui a poco non mi piacerà affatto. «E con chi?»

Adesso Black mi fissa di nuovo, ma lo fa in un modo diverso dal solito: ha la bocca dischiusa e sembra quasi volermi implorare di non continuare a fare domande, di non aggiungere altro, come se questa fosse una situazione per lui insostenibile. Di colpo vedo però i suoi occhi illuminarsi di uno strano luccichio e un impercettibile sorriso gli arcua le labbra, mentre il suo sguardo va a posarsi sulla mia tasca dell'uniforme.

«Prova a guardare cosa c'è là dentro.»

Non so perché io lo stia ascoltando, non so perché io continui a dargli corda, ma in automatico la mia mano corre ad affondare nella tasca destra dei miei pantaloni, là dove c'è sempre stato qualcosa che non mi sono mai preso la briga di tirare fuori - come se fosse sempre stata una sorta di appendice, un oggetto che si trovava in quel punto perché doveva stare lì. I miei occhi sono ancora fissi in quelli di Black, ma nell'esatto istante in cui le mie dita sfiorano ciò che intuisco essere un secondo frammento di vetro, ancora una volta quella sensazione di vertigine mi assale ed è di nuovo tanto forte da farmi serrare di scatto le palpebre.

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3 gennaio 1972

«Giuro su Godric che non passerò mai più un Natale a casa mia.» asserisce James con convinzione, buttando di peso il suo baule sul letto e cominciando a tirare fuori tutti quei vestiti giunti ad ampliare il suo guardaroba invernale.

«È stato così terribile?» domando a mia volta, sdraiandomi sul mio materasso e incrociando le braccia dietro la testa.

Mi viene quasi da ridere nel fargli questa domandaperché conosco il mio amico da soli quattro mesi, ma so già con la massima certezza che il suo Natale, a differenza del mio, non può essere classificato nel settore delle vacanze terribili.

«Un incubo.» ripete ancora lui, sfoderando quel broncio che mi fa quasi scoppiare a ridere e continuando a trafficare tra i suoi oggetti con gesti meccanici e affrettati. «Tutte quelle prozie bavose che continuano a pizzicarmi le guance quando sanno benissimo che mi dà fastidio, mia nonna che ha bruciato il polpettone, una cugina mai vista prima che per non rovinarsi la gonna ha rifiutato di fare una partita a Quidditch con me...»

«Terribile.» commento ironicamente, sfoderando un sorriso divertito quando lo vedo annuire con vigore nella mia direzione.

Mi era mancato da morire il mio migliore amico. Sono state solo poche settimane di vacanza, certo, ma la lontananza da lui pesava più di un macigno e non sono bastate nemmeno le continue lettere che ci scambiavamo tutti i giorni per alleviare almeno un po' la malinconia della distanza. Non me n'ero mai accorto, prima di oggi, ma adesso una quotidianità senza James mi sembra persino strana, vuota.

Svegliarmi senza sentire i suoi borbottii sconnessi e senza vedere i suoi capelli sparati da tutte le parti, trascorrere le giornate senza parlare minimamente di Quidditch o di Lily Evans, non vivere in funzione di organizzare bravate contro quel Serpeverde dai capelli untissimi o, più in generale, contro tutti i suoi compagni di Casa...ecco, questo è stato sul serio difficilissimo da sopportare.

«Però papà mi ha fatto fare un giro su una Tornado. Una vera Tornado, capisci

Certo, c'è anche da aggiungere che la mia famiglia non ha contribuito molto ad alleviare questo costante senso di nostalgia di Hogwarts. Non ha contribuito per niente, se vogliamo essere più precisi: ho trascorso il novanta per cento di queste vacanze chiuso nella mia stanza, con la sola compagnia di Regulus, perché stare in compagnia dei miei genitori significava sopportare giorno e notte il peso dei loro sguardi carichi d'odio e di disprezzo, dei loro sussurri disgustati circa il loro primo figlio capitato proprio tra i Grifondoro, disonore della famiglia e di un'intera Casata pura da generazioni intere.

«La scopa che vuoi comprare tu, giusto?»

«Quella che comprerò di certo, Sirius. Appena entrerò in squadra sarà mia.» ribatte con determinazione, saltando poi a sedere sul suo letto e lanciandomi un involucro di carta. «Tieni, è una fetta di torta al cioccolato che ha fatto mamma. Mi ha detto espressamente che voleva che l'avessi tu.»

Lo fisso con gli occhi sgranati e con il pacchetto ancora stretto tra le mani, sinceramente sorpreso da questo gesto così carino e disinteressato da parte di una donna che nemmeno conosco. E all'improvviso sento un lieve rossore imporporarmi le guanceperché naturalmente i miei genitori nemmeno hanno pensato a lasciarmi qualcosa per James - non sanno neanche della sua esistenza, a dirla tutta, perché non si sono neppure preoccupati di domandarmi se avessi degli amici qui al Castello - e tutto questo è dannatamente sbagliato, se confrontato con la gentilezza smisurata della famiglia Potter.

«Io...grazie.» borbotto imbarazzato, cominciando a scartarla e facendo il possibile per non incrociare lo sguardo di James.

«Figurati, non è niente.» replica con una scrollata di spalle, togliendosi la maglia per infilarsi il pigiama. «Tu che mi racconti?»

Questa è un'altra cosa che tanto adoro di lui: non mi fa mai domande dirette sulla mia famiglia. Io per primo non ho mai amato particolarmente parlarne, se non per accennare qualcosa sull'odio smodato che i miei genitori provano per tutti i Grifondoro e, di conseguenza, per il sottoscritto, ma James questo l'ha sempre compreso e non mi ha mai forzato a raccontargli nel dettaglio del mio rapporto con loro.

Ha certa una delicatezza nel rapportarsi con me, come se mi prendesse sempre con le pinze, che quasi mi fa sorridere. Sa bene che essere mio amico significa camminare sui carboni ardenti, significa avere a che fare con un ragazzino impulsivo che scatta alla minima provocazione, ma non è come se a lui importasse particolarmente: mi vuole bene così come sono e sa esattamente come prendermi, come relazionarsi con me, proprio come se il mio carattere burbero e scontroso non gli pesasse minimamente.

Mi vuole bene, questa è una delle poche certezze che ho nella vita.

«Ho una cosa da farti vedere.» dico all'improvviso, saltando giù dal letto e ricordandomi solo ora di quell'oggetto che ho portato qui da Grimmauld Place e che mi ero ripromesso di far vedere a James.

Comincio a rovistare nel mio baule, mentre il mio amico riprende a cianciare di qualche parente particolarmente odioso che ha insultato i Cannoni di Chudley o qualcosa de genere. Tiro fuori maglie, calzini, pantaloni e oggetti vari, prima di reperire sul fondo del baule un piccolo pezzo di stoffa nel quale, prima di partire, ho avvolto questo cimelio fenomenale.

«Guarda qua.» enuncio soddisfatto, posandolo sulle gambe di James e osservandolo mentre lo scarta con impazienza.

«Se è di nuovo qualcosa che mi esplode in faccia, ricordati che l'ultima volta avevi giurato che la prossima vittima sarebbe stata Remus

«L'ho giurato e infatti sarà così.» dico tra le risate, sedendomi sul letto al suo fianco. «Dai, muoviti

James toglie tutti gli strati protettivi e finalmente estrae dal pacchetto quei due pezzi di vetro tanto preziosi, che comincia a osservare con attenzione e persino con una punta di scetticismo.

«Lo so che dici sempre che sono egocentrico, ma abbiamo già uno specchio in bagno e io non vado in giro a...»

«Merlino, non è uno specchio normale.» lo interrompo con uno sbuffo, prendendone uno e lasciando l'altro tra le sue mani. «Sono specchi gemelli. Li abbiamo provati io e Regulus nelle vacanze.»

«Forti!» grida James, la cui attenzione è già stata completamente assorbita dall'oggetto che ha in mano. «Come funzionano

«Tienilo in alto davanti a te e prova a dire il mio nome completo

«Sirius sono-un-idiota- Black.» decanta soddisfatto e tra le risate, mentre io alzo gli occhi al cielo e lo spingo senza troppi preamboli contro il materasso.

«Fai il serio, James, oppure questi specchi me li riprendo io.»

«No, va bene, stavo scherzando.» si ricompone, gli occhi ancora luminosi e quel costante ghigno beffardo stampato sulle labbra. «Sirius Black.»

Come avevo previsto, sullo specchio di James fa la comparsa uno dei miei occhi grigi e metà del mio sorriso appagato, mentre lui spalanca la bocca e si volta a fissarmi.

«Ci sei tu!»

«Sei un acuto osservatore.» lo prendo in giro, mostrandogli il suo stesso volto strabiliato riflesso nel mio specchio. «Visto? Posso sentire anche quando parli.»

James stringe ancora il suo specchio tra le mani e fa vagare lo sguardo dall'oggetto a me per qualche secondo, prima di alzarsi di scatto dal letto e uscire repentinamente dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Scuoto la testa con un sorriso divertito, mentre dal mio specchietto posso chiaramente vedere gli occhi sgranati di James, che si trova adesso in mezzo al corridoio del nostro dormitorio.

«Mi senti?»

«Ti sento.» confermo, ridendo di fronte al suo stupore.

«Ma bene?»

«Forte e chiaro.»

«Dannazione Sirius, ti sento benissimo anche io!»

James spalanca di nuovo la porta della nostra stanza e piomba di nuovo davanti a me, un sorriso sorpreso sulle labbra e gli occhi accesi di un genuino divertimento. Poi si passa una mano in mezzo a quella matassa aggrovigliata che ha in testa, sempre tenendo lo specchio su un palmo della mano, quasi fosse un tesoro prezioso.

«Sono forti, vero?»

«Diamine se lo sono! È la svolta, Sirius, capisci? Possiamo usarli per comunicare tutte le volte che non siamo insieme.»

«Cosa che succede molto raramente, considerando che sei sempre in mezzo ai miei piedi.» dico sarcasticamente, tornando a sdraiarmi sul letto e posando di nuovo lo specchio sul mio comodino. «Comunque voglio che uno dei due lo tenga tu.»

«Ne sei sicuro?»

«Naturale.» stabilisco convinto, perché neanche volendo riuscirei a immaginare una persona migliore di lui a cui affidare questo piccolo tesoro. «Promettimi che lo porterai sempre con te.»

«Lo giuro.» afferma con aria solenne, alzando il mento e infilando lo specchietto nella tasca della sua uniforme. «Sarà sempre qua. Così ogni volta che avrai bisogno di me, ti basterà chiamarmi e vedrai comparire la mia faccia. Una meravigliosa visuale, eh?»

Sorrido impercettibilmente, scuotendo piano la testa e pensando che, se solo James avesse avuto questo specchio da prima delle vacanze di Natale, probabilmente non l'avrei lasciato libero nemmeno un secondo. In fondo, comunque, so bene che questo minuscolo oggetto è una semplice formalità: non serve pronunciare il nome del mio migliore amico per fare in modo che corra in mio aiuto, quando è così chiaro che James resterà al mio fianco ogni volta che avrò bisogno di lui.

----

«Dovete smetterla.»

Biascico queste due parole con la massima difficoltà, sentendo la voce impastata e il respiro che ancora è rimasto lì, bloccato in un punto imprecisato della mia gola.

«Stai fermo, hai appena perso i sens-»

«Dovete smetterla!» urlo ancora, tirandomi finalmente su a sedere e ignorando il forte giramento di testa che, ancora una volta, mi ha colto alla sprovvista.

Sono sempre qua, sono sempre sdraiato sul pavimento polveroso della Sala dei Trofei, nella mia mano destra stringo ancora quello straccio con cui avrei dovuto scontare la mia punizione e Black seguita a stare qui, seduto davanti a me, la mano che mi sorregge la testa e uno sguardo preoccupato a incendiargli gli occhi.

Scosto bruscamente il suo braccio e mi appoggio alla parete alle mie spalle, respirando affannosamente e sentendo il solo, fortissimo impulso di piangere. C'è qualcosa che non va in me e lo so, l'ho compreso da quella volta in Biblioteca con Lupin, quando mi è sembrato di aver rivissuto un episodio del mio passato che non ricordavo affatto. Oggi è successa la stessa cosa in classe con Evans, sebbene in maniera più lieve e senza questa strana sensazione di svenimento, ed ecco che lo stesso episodio ricapita qui, in punizione con Black.

«Non so di cosa tu stia parlando.» scandisce lui, la mascella contratta e gli occhi fissi nei miei.

«Oh, sì che lo sai bene.» Mi alzo di scatto e lo vedo fare lo stesso, mentre stringo le mani a pugno e cerco invano di calmarmi. «Lo state facendo tutti di proposito. Tu, Evans, Lupin...cosa diamine vi ho fatto, mh?»

«James, cosa...»

«Non chiamarmi James!» grido, non resistendo all'impulso di dargli uno spintone. «Tu sei un estraneo per me, sei uno sconosciuto e io ti odio, ti devo odiare!»

«No che non devi, maledizione!» urla lui a sua volta, restituendomi la spinta e respirando affannosamente come me. «Cosa hai visto? Avanti, dimmelo se hai coraggio!»

«Io non ho visto niente e non so cosa state facendo voi a me, quale diamine di incantesimo state usando per farmi soffrire, per farmi stare male e confondermi ancora di più!» ribatto con lo stesso tono, arrivando a pochi centimetri da lui e provando a trasmettergli con lo sguardo tutta la rabbia che ho in corpo. «Se volete vendicarvi, se volete farmela pagare per qualcosa, sappiate che avete già vinto. Continuare è inutile.»

Black scuote la testa e sfodera di nuovo quel suo sorriso amaro, mentre io sento ancora una volta l'impulso di allontanarlo da me a suon di spintoni.

«Così saremmo noi i cattivi della situazione, non è vero?» domanda retoricamente, abbassando all'improvviso il tono di voce fino a sussurrare.

«Vi state prendendo tutti quanti gioco di me.»

«Perché, allora, quello specchio era ancora nella tua uniforme?»

«Io non so chi diamine l'abbia messo!» torno a urlare, tirando un calcio alla prima sedia che incontro nel mio cammino e pregando che il custode, almeno questa volta, non piombi a rovinare tutto.

E poi Black torna a ridere di nuovo e io vorrei ammazzarlo, perché lo vedo benissimo che è un sorriso falso e non lo so, non lo so se questa sua ostentata presa in giro faccia più male a me o a lui.

«È sempre stato lì.» decanta infine, guardandomi ancora negli occhi e tornando ad una parvenza di serietà. «Sempre. Lo porti sempre con te, James Potter. Anche se lo fai inconsciamente.»

Senza che io nemmeno me ne accorga, le mie dita tornano ad affondare nella tasca dei miei pantaloni e trovano lo specchietto ancora lì, un'assurda costante in mezzo a tutta questa momentanea confusione. Spingo un po' di più la mano contro il vetro e arrivo persino a tagliarmi l'indice con lo spigolo appuntito, pensando che non avrò mai una conferma più reale e concreta del fatto che non si tratti di un sogno.

E vorrei prendere quello specchietto e spaccarlo a terra, questo lo so bene, perché odio così tanto Sirius Black, il suo sorriso impertinente e quest'aria di trionfo che si porta sempre dietro. Ma al tempo stesso capisco che i suoi occhi sono sinceri e lo so che non mi sta mentendo, lo so benissimo, e ha ragione quando dice che ho sempre portato questo oggetto con me in maniera del tutto inconsapevole, quasi meccanica.

Ed è vero anche questo: per quanto io non sopporti Sirius Black, per quanto apparentemente questi specchi gemelli siano degli oggetti che, in qualche modo assurdo e inconcepibile, ci uniscono, io non riuscirei a mandare in frantumi il mio nemmeno volendolo.

 

   
 
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