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Autore: SherryVernet    27/07/2020    0 recensioni
"La Storia è come un valzer senza fine: in tre tempi, guerra, pace e rivoluzione si susseguono all'infinito."
– Gundam Wing: Endless Waltz (1998) –
 
Ovvero: Qualunque post-EW sarebbe un'alternativa preferibile a Frozen Teardrop. Qualunque. Ne seguono settantacinque, spesso incompossibili, da scegliere a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai | Personaggi: Duo Maxwell, Heero Yui, Relena Peacecraft, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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I.17

L’anniversario arriva alla Vigilia; il giorno della festa se lo porta via, tra le strenne e le luci, colla forsennata fretta che hanno tutti di non pensarci, di dimenticare.

Per loro – i reduci di guerra, i veterani, le vittime e i carnefici  – invece è una messa solenne, un pretesto buono per parlare, concedersi un po’ di nostalgia; per celebrare ancora il proprio funerale, scartando la malinconia e i ricordi, le vecchie ferite, come regali, il mattino di Natale.

I camerati di sempre ed i nemici d’un tempo, spesso, s’incontrano da Quatre, in quella sua residenza sulla Terra, che, per qualcuno, fu allora un rifugio, un ospedale da campo, un porto sicuro in cui prendere licenza – o prendersi in parola, farsi una promessa, suonando assieme ancora per mezz’ora prima di salutarsi, pronti a bruciare l’universo intero, pur di rivedersi –; per altri fu una base nemica, di cui s’ignora anche l’esistenza.

Ciascuno, tra una birra, uno champagne, e qualche sorso di coraggio più forte, mette qualcosa in tavola: un asso nella manica o una carta coperta, frammenti di memoria condivisa nascosti in una lettera rubata, una fotografia privata; penitenze in saldo di cui nessuno ormai ha più bisogno. È un’autopsia dei sogni e del futuro; nessuno perde tempo a farne un’eulogia. 

È forse a loro – ai sogni già sognati, già finiti; a quei futuri che sarebbero stati soltanto al tempo degli orologi rotti – che Noin sorride, spiandoli tra il liquido e il cristallo, nelle bollicine che annegano sul fondo della coppa e in quelle condannate a evaporare. Non è nemmeno colpa di Milliardo, che la amerebbe, se ne fosse in grado, ma è ancora perso a cercar sé stesso o chissà cosa non abbia seppellito, tra i fumi d’un incendio domato da decenni  – che importa se sia a Sanq o sul Pianeta Rosso? – ; ed è troppo impegnato ad ignorare quel canto di sirena che non si può tacere, quello che gli intimava d’appiccare il fuoco pure al resto del mondo. Nessuno, come Quatre, lo capisce; nessuno, come Quatre, non lo può perdonare: dell’arroganza folle d’averci provato; col senno di poi, ancora di più d’aver fallito. 

Così, di anno in anno, è Quatre che lo accoglie sulla porta, con un doppio rum come memento (quello più ardente, con una dolcezza, in retrogusto, che sa di veleno), per porgergli la simpatia spietata di chi c’è passato; qualcuno è pure convinto che sia sopravvissuto. Poi, da ospite impeccabile, da uomo di valore, si ritira a compiere il proprio dovere, contando uno ad uno i rimorsi e i rimpianti – bucoliche rovine, bellissimi fantasmi, di quella vita che, seppur potendo, non ha voluto avere. 

Dorothy l’asseconda, come già assecondò la Guerra, la Storia, e quasi nessun altro; forse, non s’oppose nemmeno al disappunto e alla delusione, quando venne il momento, con un’ironia che non serba rancore ma rimane crudele. Trowa, dal canto suo, non si scompone, perché non l’ha mai fatto; ma forse è lui chi, più di chiunque altro, rimpiange il senso che aveva, allora, il sacrificio, il terrore. 

Discosto, contro al muro, vicino a una finestra, Wufei osserva tutto, componendo versi come si fa l’amore o si porta un lutto – per necessità, con disperazione. A Lady Une, che rese vedova senza lasciarle il tempo di diventare sposa, riserva puntualmente lo sguardo più sincero, lo sguardo più lungo, ch’è quasi di desiderio, quasi di pentimento; più tardi, nelle ore più tristi, a lustri alterni, si terranno un poco compagnia – entrambi un altro nome invocato sulle labbra,  impresso nei pensieri – fino a tirar mattina. Né Une né Wufei hanno mai creduto al sotterfugio o alla diplomazia.

Relena, che invece ci ha creduto troppo, sorseggia kir royale (non ricorda più che era uno scherzo) e, quando riconosce quell’amaro in bocca, incolpa la crème de cassis; in un altro flûte, annega ogni dubbio. Recita la parte – tutta belle speranze, mezze posizioni, frasi fatte – che ha sempre detestato e ha dovuto vestire, ma non sa come smettere. Poi, al terzo, al quarto, talvolta al tredicesimo bicchiere – appena arrivi il bisogno di chiedersi scusa, di non dimenticare chi un tempo sia stata, chi sarebbe dovuta rimanere –, se  ne versa un ultimo a mo’ di libagione, con la mano tremante ed un sorriso sprezzante.

Heero, nonostante tutto, la accompagna, non la può abbandonare; siede sempre in silenzio, con un boccale pieno di perdita, stracolmo di mancanza, che gli ricorda il vuoto tra le stelle e lo consola, come l’ennesimo campo di battaglia – che, poi, è quasi un vecchio amico, un abbraccio familiare.

E Duo, che non è mai sceso a compromessi – né col potere, né colla coscienza –; Duo, come Platone, è sempre assente.


   
 
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