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Autore: rocchi68    29/07/2020    1 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Erano trascorsi pochi giorni da quando aveva fatto la figura dello scemo sotto la pioggia.
Non gli era mai passato per l’anticamera del cervello la possibilità che lei facesse una cosa simile. Credeva che Dawn corresse come una pazza solo per abbracciarlo, rabbuiandosi subito dopo che il suo piano era naufragato e risvegliandosi parzialmente solo quando una vecchietta gli aveva chiesto se stesse bene o avesse bisogno di qualcosa.
Non doveva finire così.
E sapere che avrebbe dato tutto per lei era anche peggio.
Quella domenica, uno dei pochi giorni di riposo concessi dal tirannico Chef Hatchet, sarebbe stata ancora più traumatica.
Aveva passato il venerdì pomeriggio e l’intero sabato a chiedersi in cosa avesse sbagliato.
E non ne era venuto a capo.
Peggio di quei problemi irrisolvibili di matematica che in quarta superiore lo tenevano impegnato per delle ore. Solo che questa volta il problema non si era risolto con la sua soluzione.
Aveva sbagliato il calcolo iniziale e di conseguenza Dawn non era tornata con lui nell’appartamento.
Domenica.
Normalmente avrebbe odiato il week-end e solo perché era costretto a parcheggiarsi nel bar per molte ore, prima che Chef ordinasse il classico rompete le righe.
Dopo molte proteste era riuscito a scroccare quella giornata come riposo non pagato.
E aveva creduto che sarebbe stata la domenica più bella della sua vita.
Il seme del fallimento non era nemmeno stato considerato e contava di passare quelle 24 ore a parlare e a stare con la sua Dawn.
Purtroppo però si era sbagliato e, incassato quel colpo terribilmente duro, si era deciso a fare visita ai suoi vecchi.
Si era alzato verso le 9 e, dopo una rapida rinfrescata, era salito a bordo del suo bolide alla volta della campagna.
In quasi due ore era giunto a destinazione, parcheggiando vicino al trattore di suo padre.
Normalmente il vecchio macinino sarebbe stato messo nel garage, ma la porta della rimessa era chiusa e quindi il posto era già occupato.
Sicuramente da un’Audi rosso fuoco, guidata da una matta che lui conosceva bene.
E, infatti, a correre su e giù per i campi e a salire e scendere dall’altalena, che il vecchio aveva installato tre mesi prima, c’era un bambino che aveva già tre anni.
Un marmocchio fastidioso che conosceva bene e che non vedeva da un pezzo.
E quella peste poteva anche essere una minaccia, specie per le povere galline del pollaio che dovevano scappare lontane o per i fiori di sua madre sradicati fin alla radice, ma era una parte importante della sua vita.
Sceso dall’auto, il piccolo, riconoscendo la vettura e le manovre tipiche, era subito corso incontro a Scott che lo sollevò in un attimo.
“Zio Scott.”
“Sei diventato pesante.” Sorrise, facendogli fare un breve giro di pochi metri sulle spalle, per poi rimetterlo a terra.
“Mi hai portato un regalo?”
“Chi te l’ha detto?”
“Lo fai sempre.” Rispose sinceramente, prima che lo zio estraesse dalla tasca del giubbotto alcune biglie colorate.
“Scott a volte lo vizi troppo.” Lo rimproverò una voce che, sentendo una brusca frenata, era appena uscita da casa e che lui ricondusse a una vera seccatura.
“Avanti Alberta, non essere così rigida.” Soffiò, mentre il piccolo tornava a giocare, facendo rotolare l’ultimo regalo ricevuto sulla terra piena di buche.
“Come mai sei qui, fratellino?” Domandò lei, invitandolo a entrare.
“Se rimanevo ancora in città, rischiavo d’impazzire.” Ammise, varcando la porta e sorprendendosi per quella scena che aveva davanti agli occhi.
Normalmente suo padre, stanco della settimana di lavoro, si sarebbe spaparanzato sul divano, intento a leggere il quotidiano, fumacchiando la sua fedele pipa.
Ogni tanto avrebbe alzato lo sguardo solo per seguire le battute della consorte che brontolava su quanto fossero scadenti i programmi televisivi.
Vestito leggero, con una canotta macchiata di caffè e con un filo di barba, lui ribatteva che lo Stato ci guadagnava anche troppo con spettacoli simili.
Ogni tanto avrebbe richiuso gli occhi, ripensando a cosa fare per l’indomani e risvegliandosi solo con una lieve pacca della moglie che non poteva credere fosse già stanco dopo nemmeno due ore dalla sveglia.
Come se quella figura in vestaglia potesse conoscere i problemi del marito.
Lei era sempre dentro la fattoria, intenta a cucinare, cucire e a ripulire casa.
Ma non quella volta.                                                                                              
Quel giorno erano troppo impegnati a giocare con la nipotina che Alberta aveva dato alla luce otto mesi prima.
Un tenero fagottino che Scott, a causa della distanza e degli innumerevoli impegni, aveva visto solo al battesimo.
In cucina, impegnato a preparare la pappa, c’era suo cognato. Si trattava di un uomo simpatico e cordiale che era impossibile detestare. Alto quasi 2 metri, fisico muscoloso, castano, occhi verdi: era il tipico figone che se non avesse lavorato come vicepresidente in una qualche azienda, poteva essere confuso per il modello di una qualche casa di moda.
Era così aitante che in molte ci avevano provato con lui, anche da dopo sposato, attirandosi l’ira di Alberta e la contemporanea gelosia.
“Potreste lasciarmi spupazzare la mia nipotina per un po’?” Chiese Scott, avvicinandosi ai genitori e prendendo in braccio la piccola Charlotte.
Lei nel vedere quella faccia quasi sconosciuta era stata sul punto di piangere, ma il giovane zio con delle facce buffe era riuscita a farla desistere.
Avvicinandosi per baciarla sulla guancia, lei aveva provato ad afferrargli i capelli rossastri, facendolo sorridere.
“Scott…”
“Scusate se sono passato senza avvertirvi.” Soffiò, stringendo la nipotina.
“Ci hai fatto una bella sorpresa.” S’inserì Alberta.
“Dopo alcuni mesi sono riuscito a scroccare una domenica ed eccomi qua.”
“Da solo?” Chiese la madre, incrociando il suo sguardo ferito.
“Già.”
“Non hai portato Courtney?” Continuò suo padre, facendolo negare.
“È una storia lunga e non ho molta voglia di raccontarvela.”
“Qualche problema con il lavoro?”
“Le solite cose Alberta.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Allora immagino che tu sia triste per qualcos’altro.”
“È così evidente che le cose non mi vanno bene in questo periodo?” Domandò, cullando Charlotte che si stava assopendo e spostando lo sguardo verso i genitori.
“Abbastanza.”
“Se proprio devo parlarvene, preferirei farlo davanti ad una tazza di caffè.” Soffiò, concentrandosi sulla nipotina quasi addormentata.
“D’accordo.” Borbottò suo padre.
“Non vi secca, vero?”
“Dobbiamo solo avvertire Lucas di aggiungere un posto a tavola.” Sorrise la madre, riprendendo il suo lavoro a maglia.
Di quel groviglio rosa che lei stava districando, i presenti non sapevano nemmeno cosa fosse destinato a nascere.
Dal colore sembrava destinato a Charlotte, ma poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Poteva essere una sciarpa, insolita per il periodo primaverile, oppure una qualche coperta con cui avvolgerla nel pieno dell’inverno.
Se Alberta sembrava preoccupata, di tutt’altro avviso era il padre.
Quest’ultimo conosceva bene sua moglie. Quella del lavoro a maglia era solo una fissa momentanea. Aveva cominciato quasi 25 anni prima una sciarpa verde per il figlio di sua sorella e non ne aveva portato a termine nemmeno metà.
Poi era nato Paul e aveva tentato un capellino celeste con il risultato di cacciarlo sopra un armadio a fargli prendere polvere.
E ora saltava fuori il groviglio rosa.
Il vecchio brontolone aveva affermato che tempo due mesi e si sarebbe messa il cuore in pace: Charlotte non avrebbe ricevuto il benché minimo segno d’indumento in lana.
E quella scatola, carica di aghi e filo che troneggiava alla sua sinistra, sarebbe tornata su qualche sedia, in attesa di nuovi sviluppi famigliari.
Magari non per Alberta, propensa ad accontentarsi di due marmocchi, anche se Lucas ne avrebbe voluto un terzo, ma per Scott.
Lui era ancora giovane e avrebbe avuto modo di rifarsi, donando alla madre l’illusione di sistemare un nuovo groviglio.
 
Il pranzo domenicale era passato con l’accortezza dei suoi parenti di non menzionare Courtney in alcun modo.
Temeva che la madre lo rimproverasse per essersi fatto sfuggire una così bella ragazza, ma la spiegazione appena abbozzata del tradimento della sua ex con il chitarrista della band, era stata  sufficiente per zittirla.
Fu nell’aspettare che Paul tornasse in giardino e che Charlotte venisse portata nella sua stanza a dormire che iniziò a prepararsi un certo discorsetto.
“Ora che non ci sono i bambini puoi dirci cosa è successo?” Esordì il padre, facendolo annuire.
“È stata tutta colpa mia.”
“Perché?” Domandò la madre, mentre Lucas e Alberta si erano ripromessi di stare in silenzio per evitare problemi.
“Prima che Courtney tornasse dal suo tour, sono finito a letto con una mia amica.”
“Stai scherzando, vero?” Chiese seccata la donna, fissando il figlio.
“La conosciamo?” Tentò Alberta, non riuscendo a resistere alla tentazione d’impicciarsi degli affari altrui.
“Dawn.”
“Non ti credo fratellino.”
“Ti sembrerà strano, ma l’ho mandata via, credendo di riuscire a riconquistare Courtney. “ Soffiò, accendendosi una sigaretta.
“Hai fallito?”
“È andata a letto con Trent e tra noi è tutto finito.”
“Allora perché non hai portato la tua nuova ragazza Scott?” Borbottò la madre, prendendogli la cicca e spegnendola sul posacenere.
La vecchia megera, così la chiamava il rosso, non avrebbe mai accettato che qualcuno della sua famiglia fumasse. Alberta era cresciuta con quell’insegnamento, Lucas l’aveva accettato di buon grado e l’unico estraneo a quella punizione divina era il vecchio consorte.
Il padre di Scott affermava che, il fumare la pipa, era l’unica consolazione che gli era rimasta e non aveva intenzione di rinunciarvi, nemmeno con la minaccia di un possibile divorzio. Adorava che la consorte si preoccupasse per la sua salute, ma escluso il buon cibo e la visita degli adorati nipotini, non aveva quasi più nulla di cui gioire. Il lavoro dei campi gli aveva disintegrato la schiena, con le spalle che chiedevano un periodo di pausa e con la moglie che si preoccupava di acconciature, gossip e grovigli irrisolvibili.
“Ho perso anche Dawn.” Mormorò, abbassando il capo.
“Come?” Domandò Alberta.
“L’ho trattata malissimo e lei non vuole vedermi più.”
“Cosa le avresti detto?”
“Alberta mi odierebbe se sapesse la verità.”
“Provaci almeno.” Lo esortò la maggiore, facendolo sbuffare.
“Stupidamente le ho dato della sgualdrina.”
“Sei un idiota.” Commentò Alberta, facendo annuire anche i suoi genitori.
“Credi che non lo sappia?” Replicò, rialzando lo sguardo e cercando nella tasca dei suoi jeans.
“E hai intenzione di arrenderti così?”
“Ho provato ad affrontarla, ma è difficile.” Rispose, girandosi verso la madre.
“Dawn ha fatto bene ad andarsene: magari è la volta buona che cresci un po’, moccioso.” Sbottò il padre, facendolo sussultare.
“Caro lui…”
“Non difenderlo: si è comportato come un idiota e se non riesce a farsi perdonare, merita di restare solo e di soffrire. Lei ti amava e tu sei stato così ottuso da sminuirla: se non fossi sicuro che tu sia mio figlio, crederei che tu sia uno scherzo della natura.” Replicò, appoggiando la pipa sul tavolino e ricevendo il rimprovero silenzioso della consorte che brontolava a chi spettasse di fare le pulizie.
“Io…”
“Possibile che tu non abbia imparato nulla e che ti sia impossibile comprendere la sua sofferenza?” Sbuffò il vecchio, stiracchiandosi le braccia indolenzite.
“Darei qualsiasi cosa pur di rimediare, ma in questi giorni ho fallito.”
“E che avresti fatto in proposito?” Chiese la madre, anticipando il marito.
“Ho provato a parlarle e ad aspettare che rincasasse, ma tutte le volte mi sfuggiva o mi ritrovavo davanti le sue coinquiline che mi promettevano si sarebbero inventate qualcosa per sistemare le cose.”
“Almeno ti sei impegnato.” Si sgonfiò il padre, incapace di mantenersi serio e minaccioso per più di cinque minuti consecutivi.
“Per il momento, però, non ho intenzione di arrendermi.”
“Se avessi un po’ di cervello, creeresti il momento perfetto.” Terminò Alberta, facendo annuire il fratello che, recuperato un foglietto dal suo portafoglio, gli diede una leggera sistemata.
“Non sono venuto qua solo per parlare dei miei problemi.” Ammise, controllando che il padre non si fosse appisolato al suo posto e ritrovandosi intrappolato da due occhietti ancora vivaci che squadravano ogni sua mossa.
“Ci sembrava il contrario.” Soffiò la madre, rimettendosi a lavorare a maglia e concentrandosi sulla creazione da far indossare alla piccola Charlotte.
“Il giorno precedente alla mia cazzata è stato il più bello della mia vita.”
“Davvero?”
“Vedi Alberta…ho lavorato sodo, ho festeggiato a lungo con i miei amici, ho amato Dawn e ho vinto un qualcosa che migliorerà la nostra vita.” Mormorò, sorseggiando l’ultimo rimasuglio di caffè amaro che aveva tenuto sul tavolino.
“Di che parli?” Chiese la sorella, afferrando il bigliettino che il rosso le porgeva e cercando di capire di cosa si trattasse.
“Una metà del milione l’ho tenuta per l’appartamento, per la macchina e per i miei problemi, ma il resto è tutto per voi.”
“Come?” Borbottò il padre, scattando in piedi e prendendo l’assegno che il figlio aveva firmato a loro vantaggio.
“Un giorno scapperò da quel condominio di matti, ma nell’attesa questa fattoria ha bisogno di una bella risistemata.”
“Non sei tu a scegliere cosa c’è da fare.” Brontolò il vecchio, piuttosto restio, per orgoglio, d’accettare l’aiuto economico che il figlio gli stava porgendo.
“E poi con lo stipendio di Chef, la somma che ho messo da parte aumenta sempre di più.” Continuò, ignorando le sue proteste.
“Chi vuoi che possa derubare una testa di legno come te?” Lo provocò Alberta, facendolo ghignare divertito per via di quell’insulto insolito.
Era chiaro che qualsiasi ragazza, anche la più disperata, si sarebbe avvicinata nell’apprendere che Scott era benestante. Avrebbero fatto di tutto per stuzzicarlo, finendo poi con il prosciugare il suo cospicuo conto in banca. Temendo questa situazione e non sicuro della propria volontà incrollabile, era finito con lo smezzare il suo patrimonio.
Ora che non era così ricco, la fila si sarebbe accorciata e avrebbe avuto maggiori sicurezze nei propri mezzi.
A ogni modo credeva che lo stato del suo conto non fosse poi così importante: alla fin fine tra tutte le ragazze che provavano a conquistare il suo cuore, ve ne era una in particolare che avrebbe continuato a scaldarlo e che avrebbe fatto diventare le altre insignificanti.
Qualsiasi ragazza si fosse palesata all’orizzonte e avesse tentato di catturarlo, avrebbe fallito.
Solo Dawn c’era riuscita e, dopo averla ferita e allontanata nel più orribile dei modi, non voleva distruggere la piccola speranza che Zoey e Gwen avevano instillato nel suo cuore.
“Non vorrei rovinare ancora le cose.”
“Come ci si può innamorare di te, fratellino?”
“Non voglio più rischiare.”
“Ogni tanto riesci a fare qualcosa di buono.” Nicchiò Alberta, rimpicciolendo i suoi meriti e uscendo con Lucas in giardino per verificare che Paul non ne combinasse una delle sue.
“Con questi soldi potete sistemare il tetto e sostituire il trattore.” Borbottò Scott, risistemando il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans.
“Prima credevo fossi ancora un bambino, ma forse mi aspetto sempre troppo.” Sospirò il vecchio, riprendendo la pipa e porgendo al figlio il pacchetto di sigarette, facendo intendere che quel regalo era una sua decisione e che la moglie non doveva rovinare quel momento.
 
Staccarsi dai suoi nipoti e dalla sua famiglia, gli fu particolarmente difficile.
Erano le 18 circa prima che risalisse in auto e durante il tragitto si ritrovò a pensare all’ultima telefonata che aveva avuto con Chef.
Da quello che aveva sentito, sembrava che vi fossero delle piccole rogne nel preventivo per la ristrutturazione del locale e che la settimana prevista per completare il progetto si sarebbe prolungata, fino a raggiungere 20 giorni consecutivi.
L’impianto non a norma, uniti con dei requisiti non soddisfacenti, aveva spinto la ditta a cui si erano rivolti, a pretendere qualche tempo bonus per eventuali danni impossibili da riscontrare con una semplice occhiata.
Non potevano sapere se sotto il pavimento vi fossero perdite o se alcuni angoli mostrassero segni d’infiltrazione fino a quando tutto non fosse stato smontato e il locale non fosse rimasto svuotato di ogni decorazione.
Chef Hatchet, durante le sue riflessioni, aveva deciso d’informare Duncan e gli altri suoi dipendenti che la chiusura del locale per ristrutturazione sarebbe avvenuta in un periodo a cavallo tra fine aprile e i primi di maggio.
Un periodo nel quale, anche negli anni precedenti, si registravano flessioni non proprio incoraggianti.
Laddove gite fuori porta, esami infernali e prime ferie organizzate riempivano quella città, il Pahkitew si accorgeva che un bel gruzzolo varcava i confini per rilassarsi.
In quei 10 intensi minuti avevano discusso del preventivo, del prossimo giro ferie che Scott prevedeva di far saltare per l’ennesimo anno consecutivo e di alcune nuove direttive che avrebbe incasinato i pochi neuroni di Duncan.
Scott non si era limitato ad ascoltare gli scleri del suo capo, ma aveva avanzato una richiesta che avrebbe tanto voluto realizzare.
L’avevano fatto diverse volte e pure Duncan era stato accontentato.
Il rosso credeva di meritarsi quello stupido premio e seppur Chef non fosse felice di quella richiesta, alla fine aveva acconsentito.
Il 27 marzo il Pahkitew, al contrario dei suoi soliti standard, avrebbe chiuso alle 16 per un inventario che non aveva senso d’esistere.




Angolo autore:

La famiglia di Scott doveva pur comparire.

Ryuk: Alberta vuole sempre salutare i suoi fan.

E non lo diciamo perchè ci sta minacciando con un fucile...assolutamente no.
A presto!
 
   
 
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