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Autore: justasimplename    30/07/2020    3 recensioni
Allegra è innamorata da tutta la vita di Brando, il ragazzo silenzioso ed un po' asociale che abita nel palazzo davanti al suo. Quando sembra metterci definitivamente una pietra sopra, il destino la sorprende, perché quando meno ce lo aspettiamo, arriva qualcosa di unico ed inatteso.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 2

Spiegamelo tu

 

Sono in macchina con mio padre. Lo vedo molto raramente, è russo e fa avanti e indietro per riuscire a vedermi almeno due giorni l’anno. La sua storia con mia madre non è una di quelle storie d’amore affascinanti riportate nei film. Entrambi ubriachi, mi hanno concepito ad una squallida festa al mare, chissà dove. Non ho osato chiedere. Egli era in vacanza con degli amici e quando mia madre l’ha contattato per dargli la grande notizia lui non parlava neanche decentemente italiano. Ha imparato un po’ con gli anni per comunicare con mia madre, mentre con me ha sempre parlaro uno stretto russo che comprendo bene ma a cui ho rivolto un passivo interesse negli anni. Durante i primi anni dopo la mia nascita, ha vissuto a Roma per starmi più vicino, poi ha iniziato a lavorare per un’azienda che gli avrebbe permesso di fare soldi e riuscire a vedermi e stare a Roma per un po’.

Ha affittato un’enorme automobile per portarmi a casa della fidanzata, una signora di circa trentacinque anni che ha conosciuto qualche tempo fa ad un corso di italiano per stranieri che lo ha portato a conoscere cinquanta parole in più.

Appena arrivato, mi lascia sulle gambe una pianta verdissima in vaso con grandi fiori bianchi per la sua amatissima professoressa. Non è la prima volta che la incontro, lo scorso mese ci ha portate in un piccolo ristorante in periferia e per sbaglio le ho versato dello spumante sulla camicetta mentre brindavamo ad un nuovo inizio. Ancora non capisco di chi.

«Ты будешь её любить!*» Esclama contento, mentre sfreccia per le stradine di Roma, ricevendo poche lusinghe da altri guidatori accaniti.

«Reggi bene pianta!»

«Gli articoli continui ad ignorarli, però.» Ridacchio, sorbendomi un’occhiataccia da parte sua.

«Per me sono molto difficili… Qui è giusto?»

«Certo, non ci sono articoli in questa frase!»

Abbasso lo specchietto per controllare il trucco. Non che io abbia esagerato. Ho un po’ di lucidalabbra che Giordana ha dimenticato da me qualche settimana fa e che mi sono ripromessa di restituirle almeno prima del suo ventesimo compleanno e poi una matita che mi ha regalato babushka2, dopo essermi venuta a trovare l’anno scorso. Mi ha detto che è un cosmetico che va molto di moda in Russia, comprato in una strepitosa boutique, ma si è scordata di cancellare la scritta “Negozio dell’aeroporto” sulla bustina.

Bruscamente papà frena la macchina ed il suo telefono vola dritto ai miei piedi. Sposto leggermente la pianta a destra per riuscire a vedere dove sia finito il dispositivo e papà mi indica distrattamente un punto davanti alle mie ballerine nere. Le sposto, poi alzo velocemente il vaso per riuscire ad allungarmi e prendere il telefono, quando improvvisamente la pianta va a sbattere contro lo specchietto abbassato. Due dei tre fiori della pianta cadono proprio sulle mie gambe e non faccio in tempo a nasconderli che papà grida: «Что ты делаешь?!?!»2

 

Quando arriviamo davanti al portone della cara signora Orietta, papà mi lancia un’occhiata furente. Siamo già in ritardo, perché l’orologio precisissimo dei russi è stato sconvolto dal mio ritardo (mi sono appisolata sulla scrivania ed improvvisamente erano le sette di sera) e quindi papà non ha avuto tempo di comprare una nuova pianta. Ripete borbottando “Che vergogna, che vergogna…”

«Faresti una bella figura se glielo dicessi in italiano, lo apprezzerebbe!»

Mi lancia un’altra occhiata ed i suoi occhi azzurri sono diventati blu malvagità.

Suona al campanello ed appena la vede le sorrise con quel viso da innamorato sconvolto che trattengo ogni volta che vedo Brando. La abbraccia con fare celere, forse cercando di farle distogliere lo sguardo dalla pianta demolita. Quando però lei si volge a me per darmi un caloroso saluto, sono costretta a porgerle la pianta.

La guarda con un po’ di stupore (del tutto negativo) e poi dice con finta enfasi: «Che bello, grazie, Allegra.»

Prende il vaso tra le mani e rivolge un lieve sorriso anche a papà. A quel punto le porgo i fiori caduti con un sorriso esagerato: «In realtà ci sarebbero anche questi!»

 

La serata trascorre tranquillamente, papà Ivan ed Orietta discutono con classe di argomenti importanti davanti agli occhi esterrefatti degli altri amici di Orietta, che sembrano estasiati dalla cultura di papà. Anche io, rimasta in disparte, mi chiedo dove abbia appreso la procedura per la creazione del miele.

Me ne sto davanti al telefono, aspettando che Giordana o Emilia rispondano a qualcuno dei miei messaggi. Proprio dopo la frutta, il telefono inizia a squillare. Il mio cuore perde un battito quando leggo scritto “Brando” sullo schermo. Lo prendo in mano e trattengo delle urla esagerate che potrebbero attrarre su di me l’attenzione dei commensali.

Corro verso il balcone e schiaccio il tasto verde, cercando di trovare un tono disinvolto e tranquillo con cui mostrare la mia superiorità.

«Pron..to?» Proprio a metà parola mi parte un fastidioso singhiozzo.

«Eh? Ma non sei Rocco… Gli hai rubato il telefono?» Domanda Brando sospettoso.

«Ehi! Sei tu che hai chiamato me!»

«Ah, beh. Devo essermi sbagliato, allora.»

«Aspetta, non riattaccare!» Dico, con tono più alto del normale. Fa una pausa, in attesa che io dica qualcosa.

«Hai da fare più tardi?»

Non so da dove esca tutto questo coraggio, ma come al solito Brando non se ne preoccupa. È abituato a questi miei scatti verso di lui, ai disperati tentativi di attrarre la sua attenzione in modi alquanto disperati.

«Cosa vuoi fare?» Chiede in maniera neutrale, senza lasciar trapelare alcun sentimento o trasporto.

«Se vieni in terrazza possiamo spiare la famiglia folle.»

Cosa che facevamo anche da piccoli, spiare la famiglia folle consiste nel fissare in maniera esagerata la signora Golioni, una madre di cinque figli che corrono per casa senza ritegno e che infastidiscono tutto il palazzo appena aprono bocca. Il più grande dei ragazzi ha la nostra età, ma non lo vediamo mai in giro. Fissare la famiglia Golioni con i pop corn è la cosa più divertente. Non fanno altro che scalpitare per casa, litigare con la madre e portarla allo sfinimento. Quando avevamo otto anni, la donna aveva due gemelli di un anno ed un figlio di otto. Con gli anni poi ne sono nati altri due, che ora hanno rispettivamente sei e cinque anni. Uno stress emotivo in più che ci allieta la giornata. Ed il silenzio di Brando mi dice che questo appuntamento è stato fissato.

 

 

«Hai davvero portato i pop-corn?» Gli domando ridacchiando e prendendo posto sulla panchina che abbiamo appositamente sistemato dietro alla ringhiera del soggiorno. Da lì si vede la vetrata del salone di casa Golioni.

«Certe cose o si fanno bene o non si fanno.» Dice senza guardarmi in faccia e prendendo posto sulla panchina. Mentre si sistema sul lato sinistro, io mi appoggio lentamente, incrociando le gambe. Dovrei dire qualcosa? Di solito sono così chiacchierona! Ora mi sembra di non conoscere argomenti in comune di cui parlare. Da quando mi ha fatto capire che è geloso, certamente sono stata più rasserenata dai suoi continui sbalzi d’umore, ma al tempo stesso non capisco cosa accada tra noi. Il suo viso, appena colpito dalla luce di un faro poco distante da noi, appare come quello di un divo di Hollywood davanti alla telecamera. Non so come faccia ad apparire sempre così perfetto e composto, mentre il mio trucco invece deve essersi rovinato con il passare della serata.

«Fa freddino stasera, vero?» Riprovo.

«Ho smesso di domandarmi come mai tu scelga le serate invernali per fare queste cose.»

«Eh?»

Si gira verso di me ed i suoi occhi color caramello incontrano i miei: «Se ti do il mio giacchetto, morirò ibernato.»

«Ah, no, ma io non volevo...»

«Allegra.» Non mi chiama per nome dalla quinta elementare. Di solito trova sempre mille altri modi per chiamarmi, magari dicendo “Tu”, oppure “Tornado”, oppure mi dà del tu senza minimamente chiamarmi. Insomma, sono sempre a scodinzolargli dietro come un cagnolino, non ha decisamente bisogno di cercare di attirare la mia attenzione. Mentre mille di questi pensieri si fanno avanti nella mia testa, mi giro appena verso di lui, anche se troppo emozionata per guardarlo bene negli occhi. E credo che la cosa valga anche per lui, che si gira verso il panorama di nuovo, su una Roma che traballa tra macchine che sfrecciano, gruppetti di ragazzi che ridacchiano con qualche birra in mano e gatti solitari che si nascondono nei vicoli ciechi.

«Io non sono pronto a stare con una persona.» Dice, senza alcun ripensamento. Non mi aspettavo queste parole, certo. È anche vero che le immaginavo, che so che probabilmente non prova le stesse cose che provo io, che non vuole, che non so. Ma sentirlo è come un pugno nel petto.

Si gira ancora e questa volta mi guarda con precisione, senza vergognarsi.

«...Ma se fossi pronto quella persona saresti tu.»

Queste parole lasciano scappare tutte le farfalle nello stomaco che da almeno una buona decina di minuti cerco di trattenere. Il suo sguardo è freddo, il suo aspetto è ponderato come il tono di un politico che ha già vinto le elezioni, ma ciò che più mi sorprende è che, dal nulla, si avvicina di poco e posa la sua mano sulla mia già appoggiata alla panchina. Sulla mia mano sudaticcia per l’ansia, per lo stress, per l’imbarazzo. Improvvisamente i mille scenari che avevo immaginato più e più volte nella mia mente svaniscono per fare spazio ad una verità inattesa. Ma non sono pronta a questa verità. Scatto in piedi, in preda al panico e la mia mano slitta via dalla sua presa.

«Eh?» il tono esce stridulo e fastidioso.

«Hai già sentito.»

«Sì, ma… che fai, non mi dici niente? Solo questo?»

Mi guarda di sfuggita, prima di tornare con la mano ai suoi grassi pop corn.

«Non sono un tipo di molte parole.»

«Beh, per una volta potresti esprimerti un po’ meglio, no?»

La mia testa, come se avessi sbattuto contro un grande masso, mi dice di andare via.

«Devo andare.» Non balbetto, ma le mie gambe lo fanno, barcollando come se avessi bevuto centinaia e centinaia di bevande alcoliche.

* "Tu l'amerai!" oppure "Ti piacerà!"
2: "Che cosa stai facendo?"
 
   
 
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