Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    16/08/2009    8 recensioni
Giocherellavo con le chiavi nella tasca dei jeans guardando per terra con il sorriso sulle labbra, pensando alla conversazione con il mio fratellino, quando mi ritrovai direttamente sulla moquette rossa del corridoio, culo a terra e vista offuscata da un’ombra su di me. Quell’ombra era sicuramente di un ragazzo: aveva jeans extra-large, maglietta bianca e un cappellino, anch’esso bianco, che gli copriva la faccia. Se lo tirò su e solo allora capii due cose: la prima, che la dea bendata aveva visto chissà che cosa in me tanto da premiarmi; e per seconda, realizzai che avevo di fronte Tom Kaulitz. Proprio lui, in carne ed ossa, il chitarrista dei Tokio Hotel. Non potevo credere ai miei occhi. Pensai di strofinarli, ma la mia coscienza intervenne: No, non farlo Ary, poi si sbava il trucco. Non li strofinai più, ma in compenso li chiusi e li riaprii più volte: non cambiò nulla. Era la realtà, la pura e così irreale realtà. Avevo avuto un contatto fisico (e anche abbastanza violento) con il ragazzo dei miei sogni, il ragazzo irraggiungibile, il ragazzo di cui ero follemente innamorata in tutti i miei strani sogni. Proprio lui.
Era davanti a me e mi guardava.
«Ahio», dissi toccandomi infondo alla schiena, distogliendo per poche frazioni di secondo lo sguardo dal suo viso.
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Sogno che è Realtà'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Every time I look at you
I see myself
I’m so proud of you
For you help make me what I am
A better man
I’m just so proud of you

 

 
Father & friend – Alain Clark

 
Mi girai nel letto e sospirai coprendomi il volto con il cuscino.

Dopo la nostra luna di miele nella Terra del Fuoco, in Cile, dove avevamo visto anche i pinguini, io e Tom eravamo tornati a casa tutti contenti, ma non ci volle molto prima che la mia felicità così perfetta si rovinasse un pochino. Era stata tutta una questione di tempo. Era tutto così straordinariamente bello che mi ero anche chiesta quando sarebbe finita, eppure… sentivo che non era la fine, ma un inizio. Sì, sarebbe stato un inizio di qualcosa di bello, anche se difficile da accettare nel primo periodo. Non ero più una bambina, sapevo prendermi le mie responsabilità, e non mi sarei tirata indietro. Però sentivo quella paura addosso, insopportabile, anche se non avevo nulla da temere, e poi anche perché non ero sicura.

Bill, Anto e Tom erano già di sotto, li sentivo chiacchierare, ma le parole non mi erano chiare per niente.
Soffocai un urlo nel cuscino e lo strinsi a me.

«Io non lo so, c’è qualcosa che non va», mormorò Anto girando il cucchiaino nella sua tazza.

«Che cosa Anto?», chiese Bill al suo fianco.

«Non lo so, Ary è strana. Non vi pare?»

«Sì, la trovo molto strana anch’io, in effetti», disse Tom. «Ma ogni volta che inizio il discorso dice che è stanca per il lavoro.»     

«Ok, quello che temo è che ci stia nascondendo qualcosa.»    

«Ma cosa può nasconderci lei? Lei che diceva sempre di non mentire e di dirsi tutto?», chiese Bill mollando la sua tazza sul tavolo, quasi arrabbiato.

«Forse è una cosa complicata, sai com’è lei.»

«Non lo trovo un motivo valido. Appunto, se è complicata dovrebbe parlarcene, non credi?»

«Non mi sembra proprio da lei.» Tom scosse energicamente la testa. «Non penso ci stia nascondendo qualcosa, o almeno non credo che lo vorrebbe fare. Quando vorrà, se c’è qualcosa di cui ci tiene all’oscuro, ce lo dirà, ne sono certo.»

Scesi rumoreggiando per le scale, avevo ancora quell’odioso mal di testa che me l’avvinghiava in una morsa dolorosa, mi sentivo pulsare le meningi.

È solo lo stress, mi convinsi.

Mi appoggiai allo stipite della porta della cucina e guardai Tom alzando un sopracciglio e sorridendo. «Ti sembra il caso di traumatizzarmi in questo modo?»

«Perché, che ho fatto?»

«Mi hai lasciato da sola. Ti pare il caso di alzarti così presto senza avvertirmi? Lo sai che mi spavento quando non ci sei.»

«Scusami bambina, ma se tu quella che si sarebbe dovuta alzare da un pezzo.» Si avvicinò e mi abbracciò baciandomi sulle labbra.

«Come stai?», mi chiese corrugando la fronte. «Sei pallida.» Mi sfiorò la fronte con le labbra. «Di febbre non ne hai. Però non sembri in forma. Vuoi  restare a casa?»

«Ho lo stesso mal di testa di ieri sera. Magari dormire un po’ mi farebbe bene», dissi considerando seriamente l’opzione.

«Sì, forse è meglio», disse dolce Bill.

Anto aveva uno sguardo indagatore che mi mise in soggezione: a che stava pensando? Perché mi guardava in quel modo?   
Una fitta alla testa improvvisa mi fece chiudere gli occhi e perdere il senso dell’equilibrio, ma c’era Tom che mi teneva abbracciata a sé, quindi non ebbi problemi.

«Sì, forse è vero. È meglio se stai a casa», disse Anto rilassata, fin troppo. «Ti accompagno di sopra, così ti provo la febbre», si propose prendendomi per il gomito. Era troppo seria per volersi occupare veramente di me. Che avesse intuito qualcosa?

«Non ho la febbre», dissi.

«Non si sa mai, controlliamo.»

Mi trascinò di sopra con la forza e chiuse la porta di camera mia alle sue spalle. Si lasciò andare e sul suo viso non c’era tutta quella tranquillità che aveva mostrato con gli altri, era tutt’altro che tranquilla, infatti aveva i pugni sui fianchi.

«Ok, spara», disse seria. «Dimmi cosa ci stai nascondendo.»

«Non vi sto nascondendo proprio niente.»

«Ah no?», stava quasi gridando e alla mia testa non fece bene. Dovetti mettermi seduta sul letto e chiudere gli occhi. «Ary, mi spieghi che cos’hai?»

«Non ho proprio niente, ok?!», gridai io stufa di quella situazione, anche se la colpa era soltanto mia. Non avrei dovuto nascondere nulla a loro, ma la paura era troppo forte e mi chiudeva il canale verità-bocca.

Anto abbandonò l’aria arrabbiata ed era intenzionata quasi a piangere, ma la porta dietro di lei la bloccò e la fece spostare.

«Anto basta, lasciala stare», disse Tom indicandole di uscire.

«Ma Tom!», si lamentò lei.

«No, lascia perdere.»

Era sempre così bravo con me, così comprensivo, e io mi ostinavo a nascondergli un qualcosa che ci avrebbe cambiato la vita. Mi sentivo uno vero schifo, anche prendere le sembianze di un verme mi avrebbe fatta star meglio.

Anto uscì trascinando i piedi e Tom mi guardò negli occhi.

«Mi dispiace», sussurrai senza voce e con gli occhi lucidi.

Mi sentivo uno schifo più schifo vedendo l’espressione dolce di Tom, protettivo e amorevole con me come lo era solo con suo fratello. Non meritava tutto ciò che gli stavo facendo, mi vergognavo di me stessa e della mia codardia.

Si mise seduto accanto a me e mi abbracciò, cercando di calmarmi dondolando un po’ a destra e un po’ a sinistra.

«Tutto bene?», mi sussurrò.

«Sì, abbiamo solo avuto una… discussione.»

«No, intendevo come stai.»

«Ah, bene. Non è niente di grave, sul serio Tom. Magari faccio un salto nel pomeriggio.»

«Come vuoi, ma riposati. Ok?» Mi accarezzò le guance con le mani e mi baciò morbido sulle labbra.

Annuii e lo guardai uscire dalla camera, dopodichè abbassai lo sguardo e strinsi i pugni: ero arrabbiata con me stessa. Per quale stupido motivo gli stavo facendo tutto quello? Ah, perché avevo paura. Avevo litigato con Anto e stavo prendendo in giro Bill e Tom, del tutto ignari di ciò che mi stava succedendo. Mi stavo comportando da emerita codarda, non potevo negare l’evidenza, e mi sentivo sempre più male a vederli così dolci con me, quando invece non avrebbero dovuto. Perché non mi prendevano a schiaffi? Avrebbero fatto meglio e mi sarei sentita sollevata.

Sentii il mio stomaco borbottare e chiusi gli occhi sospirando. Mi avvolsi il grembo e mi strinsi forte raggomitolandomi su me stessa. Non avevo nessuna sicurezza, ma ormai lo sentivo dentro me, sentivo la vita che stava nascendo da me. Come avrei potuto privargliene? Non potevo, non l’avrei mai fatto.

Feci un bel respiro profondo cercando di non pensare a niente e scesi di sotto per mettere qualcosa sotto i denti.

La casa era già vuota, immaginai che Anto fosse andata via subito dopo la nostra litigata, ed era malinconica da starci male. Magari non ero sola, già mi stavo abituando all’idea, ma più mi ci abituavo, più sentivo la morsa della paura stringermi il cuore.

«Ok, che vuoi mangiare?», pensai ad alta voce accarezzandomi la pancia. «No, no, no, sbaglio tutto così!», mi tirai uno schiaffo sullo stomaco, ma me ne pentii subito. «Scusa, scusa, scusa», dissi tirandomi su la maglietta dal pigiama.

Sospirai chiudendo gli occhi e mi strinsi nelle spalle raccogliendo le braccia al petto. Dovevo trovare un modo per uscire da quella situazione, ci pensai su e poi fu la stessa soluzione a venirmi incontro.
Il telefono squillò per alcuni secondi, ma lasciai scattare la segreteria, non volevo sentire nessuno.

«Ciao, sono Mattia. Volevo sapere come stavate. Va bè, appena sentite il messaggio chiamatemi.»

Mi catapultai sul telefono, ma lui aveva già riattaccato. Ricomposi velocemente il suo numero e attesi che rispondesse.

«Pronto?»

«Ciao Mat, sono io.»

«Ciao Ary! Non hai fatto in tempo a rispondere?»

«No, non ho fatto in tempo.»

«Che hai? Sembri preoccupata.»

«Sì, è che… Mattia, puoi venire qui, subito?»

«Subito? Perché, che cos’è successo?»

«Niente.»

Alla faccia del niente! Forse sei incinta, lo chiami niente?!, pensò quella stronza della mia coscienza.
Zitta!, la ammutolii.

«Voglio solo parlare con te», dissi sembrando la più naturale possibile.

«Va bene, arrivo subito.»

Altro che naturale, fai solo preoccupare tutti tu!, mi ammonì ancora la mia coscienza.

Aspettai l’arrivo di Mattia con impazienza, mi ero infilata le prime cose che avevo trovato nell’armadio, cioè un paio di jeans e una felpa verde.
Quando arrivò ero in salotto, che camminavo avanti indietro, senza dar retta al mio stomaco affamato.
Suonò al citofono e io mi catapultai fuori, gli corsi fra le braccia e appoggiai la testa sul petto colpita da un nuovo giramento di testa, molto più violento degli altri.

«Ary, tutto bene?», mi chiese sollevandomi il mento con la mano per vedermi negli occhi.

«No, non va per niente bene. Ascoltami, devi farmi un grosso favore. Ma andiamo in macchina, ti spiego meglio mentre mi porti a fare un giro.»

«Un giro dove?»

«Non lo so, ma fai quello che ti dico.»

Salii in macchina accanto a lui e aspettai che mise in moto per riprendere a parlare.

«Devi farmi un favore», dissi guardando oltre il parabrezza, torturandomi le mani. «Tu ne sai più di me, quindi…»

«Ary, che cosa c’è porca miseria!? Mi stai facendo preoccupare!»

«Lo so, scusa», mormorai appoggiando la testa al finestrino freddo e chiudendo gli occhi.
«Credo di essere incinta», mormorai a voce ancora più bassa.

Mattia inchiodò e per fortuna nessuno lo tamponò, non c’era nessuno dietro di lui. Accostò per non creare disagi e poi spense il motore. Si girò lentamente verso di me, tutto rosso in viso dalla rabbia.

«Ma dico, sei impazzita?!»

Non avrei mai immaginato che un angelo come lui potesse diventare così feroce e violento. Come se io non soffrissi già di mio, no?
Mi strinsi nelle spalle e guardai fuori dal finestrino per cercare di non piangere, mentre le sue parole mi ferivano sempre di più.
Era una giornata di metà settembre grigia e l’atmosfera cupa non rendeva migliore la situazione, stavo male.

«Ma cosa… Ma voi andate con l’acceleratore, spiegamelo! Perché è una cosa assurda! Ma ti rendi conto in che guaio ti sei cacciata?! Sei un’incosciente, ecco cosa sei!»

Strinsi i denti e non potei nulla contro le lacrime che tracciavano il mio viso, scesero lente sulle mie guance accaldate dalla rabbia che mi nasceva dentro.

«Non è un guaio!», gridai con tutta la voce che avevo guardandolo in faccia, mostrandomi.

Si ritrasse e portò le mani sul volante, scosso dalla mia reazione. Forse aveva esagerato, se n’era accorto.

«Non è un guaio», dissi più calma, ma la rabbia nella mia voce era incontrollabile. «Non lo è, non lo sarà mai. È vero che non l’avevo previsto nemmeno io, abbiamo sempre utilizzato tutte le precauzioni, ma NON È UN GUAIO. E troveremo una soluzione, in un modo o nell’altro.»

«Non ti lascerò abortire», disse in un sussurro.

«Perché tu credi che ne abbia la forza?! Dio Mat... Come potrei io, io stessa che sono stato uno sbaglio, un errore, un guaio, che ho rischiato di non nascere, non far nascere qualcosa che è mio

«Io non…» Non mi guardava in viso, era come se la verità, la mia storia fosse tornata a galla così all’improvviso da sorprenderlo.

Mi passai le mani sulle guance, come se servisse a qualcosa, visto che le lacrime ancora scendevano inarrestabili.

«E allora dimmi, che cosa vuoi fare?», sussurrò.

Gli passai il dorso della mano sulla guancia e lui la bloccò piegando la testa sulla spalla, trattenendola morbido. Chiuse gli occhi e sospirò, scrollandosi di dosso la rabbia.

«Su una cosa sono certa: è mio, è nostro, mio e di Tom, non posso lasciarlo. Io lo voglio, solo che… non so come spiegarlo, ma credo di aver paura di parlarne con lui, anche con Anto io non…»

«Sono il primo a cui lo dici? Non l’hai detto a Tom?»

Mi guardò negli occhi e per un istante eterno non riuscì ad aprire bocca. Era arrabbiato perché non gliel’avessi ancora detto, eppure c’era una punta di gioia nella sua voce. Non riuscivo a capire bene.

«Sì, non ne ho avuto il coraggio. E poi, non ne sono per niente sicura. Per questo ti chiedevo, visto che ne sai più di me, se potevi aiutarmi a capire.»

«Di quanto sei in ritardo?»

La sua domanda diretta mi imbarazzò, nonostante la professionalità della sua voce. Sembravo un comune paziente.

Mattia era riuscito a laurearsi ed era diventato infermiere ad un ospedale di Amburgo, perché voleva starmi anche più vicino, piuttosto che abitare in Italia, quindi anche Lilian e papà lo avevano raggiunto, anche se abitavano in case separate.

«Cos’è, ti sei imbarazzata che sei arrossita?», sorrise dolcemente e mi passò le dita sulle guance, cingendomi il viso con le mani.

«Due settimane», risposi abbassando lo sguardo.

«Ah. Merda.» Si allontanò all’improvviso e guardò di fronte a sé, stringendo il volante tra le mani.

«Non dire così, perché te l’ho detto che secondo me non sarà mai un guaio, come invece io sono sempre stata per mia madre», dissi fiera.

Non ero uguale a lei, lo avevo sempre detto e lo stavo dimostrando anche a me stessa, seguivo il mio cuore forte e debole allo stesso tempo e mi convincevo sempre di più che sarebbe stato mio, l’avrei tenuto a tutti i costi; su quello avevo le idee chiare.

«Ok. Allora, non hai ancora fatto il test?»

«No, non ci ho nemmeno pensato. Pensavo che tu…»

«Io cosa?»

«Tu non puoi vedere, in qualche modo, se…»

«Come faccio, scusa?» Sembrava divertito, chissà cos’aveva creduto che avessi pensato.

Arrossii all’istante e schivai il suo sguardo, ignorai la sua mezza risata angelica e mi misi le braccia strette al petto.

«La mia pediatra da piccola mi toccava la pancia per sentire se mi sarebbero arrivate presto, credevo che magari con il tocco potessi sentire… che ne so io! Sei tu il dottore, non io!»

«Ricordati che sono solo un’infermiere. Dottore… Comunque, non posso certo sentire se Tom ti ha fecondata solo toccandoti!»

Alla parola fecondata arrossii peggio di un peperone, mi vedevo nello specchietto, e nella mia mente mi immaginai come uno strano fiore, incapace in tutto.

«Senti Ary, qui c’è un’unica cosa da fare, più di così… Per fare un’ecografia bisogna aspettare fino alla settima-ottava settimana, non credo tu sia disposta ad aspettare tutto questo tempo, e non credo nemmeno che l’idea di un ginecologo ti stimoli granché, o mi sbaglio?»

Aveva un sorriso malizioso e non riuscii a coglierne il significato.

«No, certo che no», mugugnai.

Mattia annuì con il capo e mise di nuovo in moto. Non ebbi la forza di chiedergli dove stessimo andando per un bel pezzo e tra noi scese un silenzio che non mi aiutò per niente a rilassarmi.

«Ti sei morsa la lingua?», mi chiese Mattia concentrato sulla guida.

«Dove andiamo?», tremolai.

«Non ti preoccupare, andiamo solo in farmacia.»

«A… a fare?»

«A prendere il tuo test di gravidanza.»

«Cosa?! Io non…»

«E cosa vorresti fare allora, voi aspettare fin quando non ti verrà la pancia e Tom se ne accorgerà e si incazzerà con te perché non gliel’hai detto? Senti, facciamo come dico io. Fidati di me. Ti fidi?»

Mi guardò negli occhi e io annuii, schiacciandomi contro la portiera dalla paura. Come avrei fatto? Da sola non ci sarei mai riuscita, sarei stata invasa dalla paura, come in quel momento.

A destinazione Mattia scese dall’auto e fece il giro per aprirmi la portiera, io non mi sarei mai mossa da lì.

«Il test è tuo, non mio, quindi muoviti.» Mi prese per il braccio e mi trascinò con lui dentro la farmacia.

«Ciao Carmen», salutò allegro la farmacista sfoderando il suo sorriso mozzafiato.

Era una ragazza abbastanza carina con dei lunghi capelli neri corvino e gli occhi nocciola che mi ricordarono tanto Tom, anche se lui aveva un colore tutto suo, unico. La morsa intorno al cuore si strinse e dovetti chiudere gli occhi e appoggiarmi con una mano al bancone per non cadere a terra.

«Ciao Mattia», balbettò completamente rapita dal suo sorriso. «Come posso esserti utile?»

Mi notò al suo fianco e mi guardò corrugando la fronte, poi la sua espressione mutò in uno sguardo invidioso e ostile.
Per fortuna eravamo gli unici nella stanza, ma mi imbarazzai comunque davanti a lei.

«Mi dai un test per la gravidanza, per favore?»
Lui sembrava tranquillissimo, il suo viso era tutt’altro che imbarazzato, era come se quell’azione la facesse sempre.

«Ah», disse Carmen con una smorfia, poi puntò il suo sguardo su di me e dovetti guardare da un’altra parte, sembrava che tutti ce l’avessero con me. Era tanto sbagliato?

Si girò e prese da un cassetto una scatola blu e bianca, la posò sul bancone e guardò anche Mattia nello stesso modo in cui aveva guardato me, anche se, ci avrei scommesso, ciò le implicava qualche sforzo.

Uscimmo dalla farmacia e Mattia mi spinse addosso il sacchetto contenente il test sbuffando arrabbiato.

Io rimasi in silenzio e camminai a testa bassa, infilandomelo velocemente nella borsa.

«È tutta colpa tua. Adesso Carmen pensa che ti abbia messa incita, e non mi vorrà più vedere. Era pure carina. Ma guarda un po’ te», sbuffò ancora, sta volta infastidito.

Sbatté la sua portiera quando io mi ero già silenziosamente rifugiata in auto.

«Non hai nulla da dire?», mi disse aprendo le braccia.

Non si aspettava una mia risposta, quindi si voltò verso il volante e mise in moto.

«Grazie», sussurrai.

Mattia non mise la retromarcia, si abbandonò al sedile e chiuse gli occhi facendo un grande respiro. Mi guardò con i suoi occhi dorati e mi sorrise dolcemente. Qualsiasi gesto dolce mi faceva venire la nausea, non lo meritavo.

«Prego sorellina, per te mi butterei anche sotto un treno. È che sono solo preoccupato, sai… mi è capitato.»

Fui io quella sorpresa quella volta. Sgranai gli occhi e lo guardai con mezza bocca aperta.

«Davvero?», sussurrai.

«Sì, è stato… molto tempo fa. Avevo la tua età e la mia ragazza ne aveva appena fatti diciasette. È stato tremendo. Eravamo tutti e due spaventati e così piccoli, però avevamo deciso di tenerlo. Ne abbiamo passate di cotte di crude, soprattutto di crude: litigavamo di continuo, non ci vedevamo per giorni… E poi…»

«E poi?», deglutii.

«Lei l’ha perso. Almeno, mi ha fatto credere così, perché in verità aveva abortito senza dirmi niente. Io lo sono venuto a sapere due mesi dopo da una sua amica, quando già lei se n’era andata. Per questo sono così preoccupato, non voglio che tu e Tom…»

Lo abbracciai e lo strinsi forte, lui all’inizio non ricambiò, ma poi mi avvolse con le braccia e mi baciò sulla fronte.

«Mi dispiace», sussurrai. «A me e Tom non succederà, lo so. Noi siamo forti, questo bambino – sempre se c’è – non avrà nulla da temere.»

Mattia sorrise di nuovo ad occhi chiusi e sentii il suo respiro sul viso, il cuore nel suo petto era rilassante ma mai come quello di…

«Tom», mormorai chiudendo anch’io gli occhi.

«Che ha?», mi chiese.

«Niente, è che… come glielo dico?»

«Muovi la bocca e fai uscire la parole: Tom, diventerai papà! Sempre se c’è, questo bimbo.»

«Non penso di farcela così facilmente.»

«Hai paura?»

«Sì, ma non ne capisco il motivo: insomma, Tom non farebbe mai del male a me, né tantomeno al bambino.»

«Se c’è», mi corresse. 

«Se c’è», sbuffai. «Il concetto è che non so perché queste parole non mi escono dalla bocca.»

«Facciamo così: adesso ti riporto a casa, fai il test e poi mi chiami, se risulta positivo vengo lì e ti aiuto a parlare, ok?»

«Grazie Mat, ma forse è meglio se glielo dico io direttamente.»

«Ok, come vuoi. Allora ti riporto a casa.»

«A casa non c’è nessuno, non ho voglia di stare da sola.»

«Allora… vieni a casa mia, ti va?»

Annuii e Mattia sorrise mettendo in moto.

«Ah», si fermò con la chiave tra le dita., «Comunque vada, sappi che ti vorrò sempre bene sorellina, e che ci sarò sempre per te.»

«Lo so», sorrisi e Mat partì diretto verso casa sua.

 

Quella sera entrai in casa sentendo la borsa stranamente pesante sulla spalla, c’era lo strumento della mia verità lì dentro e mi sembrava di portarmi dietro chili e chili di mattoni.

Strisciai con i piedi sul pavimento e mi guardai intorno, non riconoscevo quell’atmosfera pesate e nervosa di casa mia, senza l’allegria che di solito c’era non era la stessa cosa. Ma a chi era dovuta maggior parte dell’allegria? A me? Non riuscivo a crederci. A me e ad Anto, io e lei eravamo telepatiche in quel senso, un po’ come Bill e Tom. Quella pesantezza aveva colpito anche loro, me lo sentivo.

«Ary! Ma che fine avevi fatto?! Ho provato a chiamarti, ma… È successo qualcosa?»

L’espressione di Tom mi trafisse il cuore e fui costretta a deviare il suo sguardo e a parlare con voce smorzata, come se stessi per scoppiare a piangere.

«Sono stata da Mattia, ha detto che il mal di testa è dovuto solo allo stress. Per le chiamate», guardai il mio cellulare e sbuffai, «si è scaricata la batteria, come sempre, e non me ne sono accorta. Mi dispiace. Bill e Anto?»

«Siamo qui!»

Chissà come mai ha risposto solo Bill, ma guarda un po’ che strana coincidenza, non mi risparmiò la mia coscienza.

La cacciai nell’angolo più buio della mia testa e il cuore fece un balzo pensando che aveva ragione, completamente ragione.

«Ciao», dissi con quella poca voce che avevo, era scomparsa in gola, dispersa.

«E adesso stai meglio?», mi chiese Tom avvicinandosi.

La stretta si fece più intensa e percepii bene il dolore, immaginavo il mio cuore sanguinare, quando Tom mi baciò sulle labbra e mi strinse forte a lui.

«Sì, sto meglio», dissi staccandomi e attraversando a grandi passi il salotto, il cuore in fiamme e gli occhi che pizzicavano.

Salii in fretta in camera evitando di pensare a ciò che poteva pensare Tom, che teoria s’era fatto sul mio comportamento, se si era fatto una teoria.

Mi misi seduta sul letto con la borsa di fronte, la guardai per diversi secondi senza sapere cosa fare, poi mi strinsi nelle spalle, feci un respiro profondo e tirai fuori il sacchetto della farmacia. Mi girai la scatola del test nelle mani, combattuta tra le parole di Mattia e la mia paura.

Qualcuno bussò alla porta ed entrò senza aspettare una mia risposta, io mi affrettai a mettere via il test nella borsa, ma Anto mi aveva vista trafficare in quel modo così veloce e tornò indietro delusa, scuotendo la testa.

«Anto aspetta! Anto, ti prego!», cercai di raggiungerla, ma una fitta improvvisa alla testa mi fece appoggiare al muro e scivolare a terra.

Lei si girò e spaventata corse da me, mi sollevò il viso e mi guardò negli occhi.

«Ary, tutto bene?»

«Sì, sto bene.»

Mi rialzai a fatica, deviando ogni contatto con lei, e la guardai in viso, era ritornata arrabbiata e seria, ma più che altro delusa.

«Che cosa mi dovevi dire?», chiesi in un sussurro.

«Niente, non ha importanza.»

Si girò e si avviò alle scale. Io le presi delicatamente il polso.

«Sì che ha importanza», dissi.

«No, non ne ha più», ringhiò guardandosi il polso tenuto dalla mia mano.

Come se scottasse mi staccai e arretrai di qualche passo, il mio cuore singhiozzava e anche il mio respiro si stava unendo a lui, ma mi costrinsi a resistere.

«Noi abbiamo già mangiato, se vuoi qualcosa serviti da sola, come piace fare a te in questo periodo.»

Si voltò più decisa che mai e i suoi capelli mi sfiorarono la guancia. Scese dalle scale a passo svelto e raggiunse Bill in cucina, da come aveva iniziato a bisbigliare.

Decisi di scendere anch’io, tanto per farmi altro male. Tom era seduto sul divano con il viso tra le mani, al buio. C’erano solo la luce della tv e della cucina accese, da cui provenivano i bisbigli ora più intensi.
Tom appena mi vide si alzò e mi venne incontro sorridendo, mi abbracciò da dietro e portò le mani intorno alla mia vita, con un gesto del tutto incontrollato le misi sopra le sue e chiusi gli occhi. Ma le ritrassi subito quando sentii il cuore bruciare più forte.
Mi accompagnò sul divano e mi fece sdraiare accoccolata accanto a lui, appoggiata con la schiena allo schienale.

«Anto, io non ti capisco», sentii Bill dalla cucina.

C’era il rumore dell’acqua e anche della spugna che sfregava i piatti, Anto era talmente agitata a causa mia da dover lavare i piatti a mano, anche se avevamo la lavastoviglie.

«Bene, si vede che in questo periodo tu non capisci le persone», fu la risposta innervosita di Anto.

«Ma perché ti ostini a comportarti così? Non vedi che le stai solo facendo del male?»

«Del male?», disse isterica Anto, poi riprese il controllo della sua voce: «Io, del male? Non è lei che ne sta facendo a noi? A me? Siete voi quelli che non capite, siete voi che continuate a sbagliare con lei: tutti sorrisini dolci e coccole come se stesse facendo la cosa giusta. Bene, allora perché già che ci siete non le dite in faccia: Brava, continua così, sei bravissima! E Tom, oh Tom… Tom la tratta come un angelo, quando lei stessa sa che sta sbagliando tutto tenendoci fuori dalla sua vita. Qualsiasi cosa le passi per la testa, è un continuo dire bugie a noi. Bill, apri gli occhi.»

Tom mi mise la mano sull’orecchio, ma ormai ero già in lacrime. La passò sulla guancia e se ne accorse, mi strinse a sé e io soffocai i singhiozzi nel suo petto. Faceva male tutto, perché tutto quello che aveva detto Anto era vero, la pura verità. Stavo facendo male a loro e anche a me stessa, e loro comportandosi così non mi davano la spinta giusta per aprirmi e levarmi quel peso troppo grande solo per me.

«Shhh, non è vero», mi sussurrò Tom all’orecchio baciandomi piano sui capelli.

Ecco, brava, complimenti, sfascia tutto quello che hai sempre voluto, rovinati la vita, rovinala a loro che non hanno fatto nulla per meritarsi tutto ciò. La mia coscienza era spietata ma sputava le verità più dure, quelle che io celavo dentro.

Mi spostai da Tom con tutta la poca forza che avevo e scavalcai lo schienale per fare più in fretta, per rifugiarmi in bagno e chiudermi a chiave. Quasi caddi colpita da una nuova dolorosissima fitta alla testa, ma trattenni il respiro fino alla cima delle scale, dove lasciai l’aria trattenuta nei polmoni, raccogliendosi in un singhiozzo soffocato. Andai più in fretta che potevo in bagno, strisciando contro la parete per le fitte alla testa, era un martello che mi scavava nel cervello. Mi chiusi in bagno con la borsa che avevo preso dal letto e mi lasciai scivolare con le ginocchia sul pavimento freddo, poi con la fronte. Le pulsazioni alla testa si affievolirono quando anche il mio respiro si regolarizzò e le lacrime scendevano in silenzio sulle guance.

Sentii l’intero corpo dire grazie quando mi stesi sul pavimento ghiacciato e schiacciai una guancia su di esso: era una sensazione piacevole, mi sentivo bollente e il freddo del pavimento era ciò che mi ci voleva.

«Facciamo così: adesso ti riporto a casa, fai il test e poi mi chiami, se risulta positivo vengo lì e ti aiuto a parlare, ok?» Mi ricordai delle parole di Mattia e sospirai. Il test giaceva ancora nella borsa. Presi una grande boccata d’aria e lo tirai fuori, lo guardai e mi raccolsi le gambe al petto appoggiandomi alla parete con la schiena.

Ma di che avevo paura? Del mio bambino? No, certo che no. Della reazione di Tom? Forse. Di una mia reazione se le difficoltà con il piccolo sarebbero state troppo grandi? Probabile. Di un altro cambiamento e del futuro? Sì. Ok, mi sentivo uno schifo.

Mi alzai e andai in camera, mi tirai via i jeans e la felpa e mi infilai sotto le coperte con la maglietta a mezze maniche che avevo addosso. Appoggiai la testa al cuscino e senza nemmeno accorgermene mi addormentai.

 

La mattina dopo fu un dolore al cuore fortissimo: Tom era sdraiato accanto a me e mi abbracciava, tenendo una mano sul mio stomaco. Lo spostai senza svegliarlo e mi alzai.

Avevo dormito pesante, eppure mi sentivo ancora lo stesso schifo di quella sera, forse ero solo io lo schifo e schifo mi sarei sentita fino a quando non avrei detto la verità, fin quando non l’avrei scoperta, la verità.

Andai alla borsa e tirai fuori il test controllando con la coda dell’occhio che Tom dormisse, poi con la scatoletta tra le mani mi decisi.

Uscii dalla stanza e mi diressi in quella di Anto, non badando al subbuglio che sentivo nello stomaco.
Entrai senza bussare, tanto immaginavo ciò che avrei trovato, ma la sorpresa mi tolse il respiro. Anto era nel letto con le gambe strette al petto, il viso rigato dalle lacrime e Bill dormiva accanto a lei, proprio come se non stesse succedendo niente. E la causa ero io, mi sentii sprofondare.

«Anto», mormorai girando il letto di corsa e mettendomi accanto a lei.

Si lasciò abbracciare senza opporsi, anzi mi strinse il braccio che le cingeva il collo con le mani e ci si appoggiò con il viso.

«Ary, la smetti?», mi chiese piano.

«Sì, la smetto, ma ho bisogno di te.»

Alzò lo sguardo e incrociò il mio sorridente. Le mostrai la scatoletta blu e me la rubò tra le mani, soffocando un gridolino di gioia. Non credevo di portare tanta felicità solo con un test di gravidanza, che non avevo nemmeno fatto per giunta.

«Ary, sei incita?», mi chiese con gli occhi brillanti.

«Ancora non lo so, devo scoprirlo, ma è più un sì che un no.» Mi portai una mano sul ventre e sorrisi felice. Era stato molto più facile del previsto, del temuto, non avevo nulla di cui aver paura. Mi sentii una vera stupida.

«Allora andiamo, che aspettiamo!» Mi prese per mano e mi trascinò di sotto con lei, al bagno che quasi nessuno usava mai visto che ce li avevamo nelle camere.

«Ma perché non me l’hai detto prima?!», gridò, ora che poteva doveva.

«Perché avevo paura, credo.»

«Ma di che cosa? Sei una stupida!» Mi diede una botta in testa e io risi di gusto, mi sentivo felice in un modo strano, mi sentivo persino più grande.

Fatto il test, lo passai ad Anto e attesimo la reazione. Lei era impaziente, non riusciva a stare ferma, invece io mi sentivo tutto un pizzicorio e sarei scoppiata piangere in entrambi i casi: se il bambino c’era l’avrei fatto per la gioia, se non ci fosse stato di dolore, ovviamente. Ormai era mio, lo sentivo dentro me e lo volevo più di qualsiasi altra cosa. Forse quello era lo spirito materno, ciò che mia madre aveva avuto solo con Davide. Ricordandolo sperai solo che mi avessero mandato un bambino bello come lui, simile più a Tom che a me, magari solo con gli occhi uguali ai miei.

«Allora?», chiesi per evitare di farmi troppe illusioni.

Il sorriso di Anto si allargò sempre di più e le prime lacrime solcarono le mie guance. Sapevo bene per cosa piangevo, per la gioia.

«Diventerò zia!», gridò saltellando per il bagno e solo dopo mi abbracciò forte e mi fece saltare con lei.

«Dobbiamo dirlo subito a Tom e a Bill! E poi a Georg, a Gustav, a Nicole, a Giulia! Oddio, zia! Sarò zia! Tu sarai mamma! Tom papà! Oddio, non ci credo! Avremo un marmocchietto di cognome Kaulitz per casa! Oddio, sarà bellissimo!»

Il suo entusiasmo mi travolse e risi con lei immaginando un futuro che non mi spaventava, era tutto rose e fiori, e lui, il nostro bimbo, o bimba.

«Aspetta, e se nasce femmina?», la fermai.

«Embé?! Avremo una marmocchietta! Oddio Ary che bello! Sei stata proprio una stupida a non dirlo subito, mi hai fatta preoccupare e arrabbiare per niente! Oddio, vieni qui!», mi abbracciò ancora e quasi mi sollevò da terra, ma glielo sconsigliai se non voleva ritrovarsi con un’ernia. Come avrebbe fatto poi a prendere in braccio il marmocchietto/marmocchietta? A quella frase le si illuminarono gli occhi e mi trascinò di nuovo di sopra per annunciare la notizia.

Svegliò prima Bill e lo trascinò con forza in camera nostra, senza spiegargli niente. Io pensai a svegliare Tom.
Entrambi frastornati semi sdraiati sul letto all’inizio non volevano badare molto a me, ma quando dissi che avrei spiegato che cosa mi era preso in quei giorni, i loro sguardi si fecero vivi e ebbi tutta l’attenzione del mondo.
Anto mi sorrise soddisfatta e mi abbracciò cingendomi il collo, ridacchiando.

«Ragazzi, Tom… aspetto un bambino», dissi fiera.

Anto rincominciò ad urlare e a saltellare, mentre i gemelli guardavano increduli me.

«Stai scherzando?», mi chiese Tom con le lacrime agli occhi. Non era difficile capire se anche le sue erano di gioia: lo erano eccome.

«No, non sto scherzando», mormorai portandomi le mani al viso per asciugarmi le lacrime, anche se avevo un sorriso lungo tutto il perimetro della Germania.

Mi buttai tra le sue braccia e piangemmo assieme felici, ridendo. Anche Bill venne colto dall’emozione, ma ebbe una reazione tipo quella di Anto, non la smetteva di gridare.

«È bellissimo. Quando…»

«Dieci minuti fa, io c’ero!», Anto fece una linguaccia a Tom anche se aveva le lacrime sulle guance e rise di gusto cadendo sul letto accanto a noi, non fermando il flusso felice delle lacrime.

«Quindi, sarai papà», sussurrai accarezzandogli le guance e spazzando via le lacrime. Annuì tirando su col naso e mi abbracciò di nuovo.

Se l’avessi saputo prima, se avessi capito ciò che sarebbe successo, non avrei avuto così paura del futuro, perché insieme noi potevamo andare dappertutto e affrontare tutto.
Se l’avessi saputo prima non avrei sprecato tutto quel tempo che avrei potuto passare tranquillamente a ridere e a piangere di felicità tra le braccia di mio marito e dei miei amici. Ma io ero stupida ed era andata così, ma ero felice lo stesso.  

----------------------------------------------------

 

Finita!!! Oddio che tristezza, mi mancherà tanto la mia FF!! Va bè ragazzi, ci sarà il seguito, anche se non sarà proprio un seguito normale… Beh, vedrete! XD
Ringrazio tutti quelli che devo ringraziare:

Quelli che hanno messo questa FF fra le preferite (ben 25!!**):

- ada12
- Ale Kannibal
- billa_m0ra
- billina pikkolina
- BlackStreetV
- breath
- chia94th
- cris94
- cucciola81
- degah
- Giulia504
- marty sweet princess
- mary__cullen
- outsider
- Pennak
- PokerFace
- Ramona37
- selina89
- shila
- SonnyScene
- Stella Incantevole
- tomyth
- Utopy
- ViViEtTa
- xoxo_valy

Quelli che hanno messo questa FF fra le seguite:

 - cucciola81
- Giulia504
- layla the punkprincess
- michig
- streghettathebest
- sweety_crazy
- Utopy

E poi:

- sammyLP
- _sweetpoison_
- niky94
- Tiky

E un ringraziamento speciale alla mia Socia, Scarabocchio_, che chissà quando leggerà questo capitolo. Magari fra anni!! Beh, meglio tardi che mai!! XD Grazie mille Socia, davvero. Ti voglio bene.

Tutti quelli che hanno fatto aumentare i numerini ** (il primo capitolo è arrivato a 2220!!*___*) Grazie mille!!

E ora vi metto l’elenco di tutte le canzoni che ho messo all’inizio di ogni capitolo ^^:

  1. Monsoon – Tokio Hotel
  2. Leb’ die Sekunde – Tokio Hotel
  3. Cielo e terra – Nek
  4. Fall to pieces – Avril Lavigne
  5. La voglia che non vorrei – Nek
  6. Forgotten – Avril Lavigne
  7. Io voglio vivere – Nomadi
  8. An deiner Seite (Ich bin da)  – Tokio Hotel
  9. When you’re gone – Avril Lavigne
  10. Hot – Avril Lavigne
  11. Il regalo più grande – Tiziano Ferro
  12. I’m with you – Avril Lavigne
  13. Ich bin nich’ ich – Tokio Hotel
  14. Der letzte Tag – Tokio Hotel
  15. Unendlichkeit – Tokio Hotel
  16. Iris – Goo Goo Dolls
  17. Angels – Robbie Williams
  18. No one – Alicia Keys
  19. Slipped away – Avril Lavigne
  20. My immortal – Evanescence
  21. Schwarz – Tokio Hotel
  22. Eternity – Robbie Williams
  23. Mai più – Finley
  24. Primavera in anticipo – Laura Pausini & James Blunt
  25. Ossigeno – Raf
  26. Boulevard of broken dreams – Green Day
  27. When you look me in the eyes – Jonas Brothers
  28. My life would suck without you – Kelly Clarkson
  29. Up the stars – Tom & Ary (Vero autore: Arianna io ^^)
  30. You found me – The Fray
  31. Skies of L.A. – Celine Dion
  32. Runaway – Avril Lavigne
  33. We can go anywhere – Jesse McCartney
  34. Tonight – Jonas Brothers
  35. Non ti ho mai detto – Mondo Marcio
  36. Runnin’ – Jesse McCartney
  37. Gotta be somebody – Nickelback
  38. Neustart – Nevada Tan
  39. Fall for you – Secondhand Serenade

      40&41. Contagious – Avril Lavigne

  1. Heaven out hell – Elisa
  2. One of those girls – Avril Lavigne

44. The reason – Hoobastank

  1. Wir sterben niemals aus – Tokio Hotel
  2. Come il sole di settembre – Finley
  3. Father & friend – Alain Clark

 
Ringrazio davvero di cuore tutti quelli che hanno letto questa FF e che mi hanno riempita il cuore di gioia con la loro presenza. Vi sono davvero grata, Grazie di cuore!! A presto con il continuo!!
Vi voglio bene, _Pulse_

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_