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Autore: Mr Lavottino    02/08/2020    4 recensioni
STORIA AD OC
In una fredda giornata di Ottobre, Noah Hayden, famoso avvocato, riceve una lettera anonima che lo invita a tornare a Wawanakwa. Una volta giunto all’indirizzo indicatogli, incontra sei ragazzi che, circa sette anni prima, aveva aiutato a salvarsi dal carcere mentendo sulla loro colpevolezza, e scopre di essere all’indirizzo della casa di Dawn, la ragazza uccisa dal gruppo in un incidente d’auto.
Lo spirito di Dawn è tornato per vendicarsi ed il gruppo è rinchiuso all’interno della casa fino a che il fantasma non otterrà ciò che vorrà.
Genere: Horror, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Emma, Noah, Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale
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Disegno di: reginaZoey1999


Brodie si appoggiò alla recinzione cigolante di peso, rischiando di farla crollare. Non che ci volesse molto sforzo, il legno era marcio e mangiato dalle termiti, talmente tanto logorato che per miracolo non si era disintegrato in un migliaio di briciole maleodoranti.
Si passò una mano fra i corti capelli neri e gettò gli occhi scuri  verso l’unica luce in lontananza, probabilmente appartenente ad una casa di contadini a qualche chilometro da dove si trovava. Riusciva a vedere giusto un lieve pallino giallo che, nonostante le varie pianticelle che aveva davanti, rimaneva visibile ad occhio nudo.
La sua mano scivolò pian piano verso la barba incolta e poi, tenendo le dita a contatto con i peli, verso la mascella. La massaggiò con cura, mentre la sua testa si divagava fra milioni di pensieri. Il primo, su tutti, era rivolto alla strana situazione che stava vivendo in quel momento.
Ricevere una lettera all’improvviso, al cui interno c’era solo un indirizzo ed un orario non era proprio una cosa che gli accadeva tutti i giorni. Sulle prime era rimasto spiazzato, tanto da pensare che il postino avesse erroneamente infilato quella busta all’interno della sua cassetta, ma dopo aver letto sul retro “Brodie Harper”, scritto con un’accurata calligrafia femminile, capì che non c’era stato nessuno sbaglio.
Ci aveva pensato su con calma davanti ad una tazza di caffè. Andare o no? Era curioso di sapere chi fosse il destinatario e, soprattutto, cosa ci fosse in quella fantomatica via scritta sul foglio, ma al tempo stesso sentiva che c’era qualcosa che non tornava. Era tutto troppo strano.
Eppure, nonostante tutto, ci era andato. Aveva preso la macchina ed era partito verso quella meta sconosciuta. Ed era finito lì, appoggiato a quella staccionata malmessa e con tanti grilli per la testa. Più i secondi passavano e più si convinceva di aver fatto una grossa cavolata. C’erano tutti i presupposti per un rapimento con i fiocchi.
Brodie estrasse un accendino dalla tasca e girò la rotellina. Guardò la fiamma intensamente pensando a quanto si sentisse stupido. Non si era portato niente dietro, era partito come un profugo che scappava dalla guerra.
- Vedo che hai ancora la passione per gli accendini. – una voce richiamò la sua attenzione. Il suo dito si allontanò dalla rotella e la fiamma si spense, poi con calma Brodie alzò lo sguardo. Era buio, ma gli bastò vedere quei capelli castani tendenti al biondo per riconoscerla. Gli occhi azzurri di lei brillarono come due piccole pietre preziose. Ci fu qualche secondo di pausa, nei quali i due si osservarono lentamente, poi la ragazza si fece avanti e Brodie capì che non sarebbe dovuto andare in quel luogo.
- Abbey. – il moro non aggiunse altro, pronunciò quelle parole con la gola secca come il deserto e la testa affollata come un’autostrada d’estate.
- Ti ricordi il mio nome? Non l’avrei mai detto. – Abbey si lasciò andare ad un mezzo sorriso. Fece un altro passo in avanti e Brodie, di tutta risposta, indietreggiò.
- Che ci fai qui. – non provò nemmeno a farla suonare come una domanda. Anzi, per certi versi sembrò essere una minaccia. Lei sembrò esitare, ma poi si decise.
- Ho ricevuto una lettera. – abbozzò, per poi fermarsi subito. A Brodie bastò quella frase per convincersi definitivamente di aver fatto un grosso sbaglio nell’andare in quel luogo – Tu, invece? – chiese Abbey, con tono dolce.
- Anche io. – il ragazzo espirò con forza ed appoggiò la mano destra sulla recinzione, che strinse con forza con le dita. A quel punto, Abbey si fece più vicina e lui riuscì a guardarla meglio. Non era cambiata per nulla, sembrava ancora la diciassettenne di un tempo. Aveva solo uno sguardo più maturo e malinconico, segno che ormai aveva perso la lucentezza della gioventù che, in passato, l’aveva caratterizzata a pieno.
- Non sei cambiato per nulla. – per un istante Brodie pensò che Abbey gli stesse leggendo nella testa, fu solo quando si rese conto di avere gli occhi incollati su di lei che si accorse di star parlando con lo sguardo.
- Nemmeno tu. – Brodie sentiva la gola sempre più secca. Non era pronto per quell’incontro, non ancora. La sua terapista gli aveva più volte detto che, prima o poi, si sarebbe dovuto scontrare con i fantasmi del suo passato, ma lui ancora non sentiva di poterli affrontare.
- Cavolo, ho tante domande da farti. – Abbey abbassò lo sguardo e sorrise, al contrario del ragazzo sembrava essere fin troppo calma e tranquilla.
- Tienile per te, io me ne vado. – Brodie scosse la testa e fece per allontanarsi da lì. Mosse i primi passi nello stradino, ma poco dopo si sentì tirare.
- Aspetta. – la castana lo afferrò con le punte delle dita per la manica del giacchetto. Brodie stava per scostarsi violentemente, poi la guardò negli occhi e tutti i suoi intenti violenti desistettero – Per favore. – aggiunse Abbey. Quelle due parole furono come una colata di cemento sui suoi piedi, Brodie rimase ancorato al terreno con un leggero fiatone ed un forte peso nel petto.
Silenzio. Per quasi due minuti rimasero in quella posizione, con Abbey aggrappata alla sua manica e lui troppo in panne per poter fare qualsiasi movimento. Quei centoventi secondi vennero abbattuti da un’altra voce esterna che, tutto d’un tratto, incominciò a sentirsi.
- Guarda te dove dannazione sono finita. Non potevo farmi i cazzi miei e restare a casa? – Abbey e Brodie si voltarono contemporaneamente e quando riconobbero la ragazza ebbero un sussulto.
- Clara? – sussurrò la castana. Clara si zittì di colpo ed alzò lo sguardo verso di loro, provò a parlare, ma non riuscì a far altro che boccheggiare senza produrre alcun suono.
- Voi? – disse poi, tenendo l’indice, tremante, puntato contro di loro.
Brodie rimase nel più completo silenzio, osservò Clara con gli occhi sgranati come se fosse un fantasma. Anche lei, dopotutto, non era cambiata affatto, se non per i suoi capelli marroni tagliati adesso in un caschetto ordinato. Gli occhi, marroni come il legno di quercia, sembravano sempre starti addosso come due telecamere. Era quella la particolarità di Clara, aveva uno sguardo di cui nessuno riusciva a fidarsi, sembrava che fosse sempre sul punto di contraddire o di voltare le spalle.
- Che ci fai qui? – chiese Abbey, rievocando la scena che si era ripetuta poco prima.
- Ho ricevuto una lettera. – spiegò la mora dopo essersi calmata – Siete stati voi a mandarmela? – domandò, scrutandoli da cima a fondo.
- Secondo te? – ribatté ironicamente Abbey, senza tuttavia riuscire ad ottenere il risultato sperato.
- Che diavolo ne so io! Merda, sapevo che me ne sarei dovuta restare a casa. Quella lettera puzzava di fregatura da tutti i pori. – Clara sospirò e, dopo aver piantato con forza un piede sul terreno, si guardò attorno – Beh, quindi cosa ci stiamo a fare qua? – domandò.
- È una domanda da centomila dollari. Non ne abbiamo idea, anche noi siamo arrivati adesso. – rispose Abbey – Si può sapere dove diavolo stai guardando? –
- Mi è sembrato di vedere una luce in mezzo agli alberi. – Clara alzò le spalle – Me la sarò immaginata. – scosse la testa e portò gli occhi su Brodie, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Lo squadrò da cima a fondo, tanto che lui, indispettito da quegli sguardi, le dette le spalle per non farle vedere oltre.
- Dite che hanno chiamato anche gli altri? – abbozzò Abbey. Clara e Brodie si girarono verso di lei con gli occhi sgranati. Non servivano parole, Abbey capì immediatamente che quella domanda non era stata presa bene dai due. Forse avrebbe dovuto continuare a girare intorno all’argomento senza sbatterci la testa, ma sentiva l’impulso di avere una conferma a quella tesi malata che si era situata nella sua testa. La “d” in fondo alla lettera non poteva essere un caso, di questo era più che certa.
- Non capisco di cosa stai parlando. – mentre Brodie evitò accuratamente di rispondere, Clara sputò fuori quelle parole frettolosamente, facendo capire perfettamente quanto non volesse approfondire quella conversazione.
- Su, non fare la finta tonta. È chiaro come il sole che siamo qui per quel motivo. – la castana non si tirò indietro, continuò ad andare dritta verso quel muro di mattoni che stava per colpire al massimo della velocità – Sto parlando della morte di – non riuscì a finire.
- Smettila. Non dire altro. – Brodie assottigliò gli occhi e la guardò. Il ragazzo aveva il fiatone, sentiva di star per avere una crisi di nervi. Non pensava che rievocare quella tragedia l’avrebbe fatto sentire così male, si aspettava che, più o meno, sarebbe riuscito a fare buon viso a cattivo gioco.
- È morta, non può essere stata lei. – disse poi Clara, mentre con la mano destra si tartassava il gomito sinistro.
- Penso che abbia ragione Abbey. – dal nero della foresta uscì fuori una ragazza con una torcia in mano. Sulle prime, per colpa della luce, nessuno di loro riuscì a capire di chi si trattasse, solo quando la torcia venne spenta riconobbero quel volto che, un tempo, era stato per loro così familiare. I capelli marroni tenuti in una treccia lunga fino a metà della schiena, gli occhi grigi attraenti come una calamita e la carnagione pallida come la neve.
- Ginevra?! – urlò Abbey con una mano davanti alla bocca. Ci fu un attimo di esitazione, poi Ginevra si fece avanti e rivolse un sorriso al gruppo.
- Sì, sono io. – disse – Cavolo, era da un sacco che non ci vedevamo. – gli angoli della sua bocca si abbassarono gradualmente, fino a farla tornare seria.
- Oh, Gesù, non ci sto capendo più niente. – Clara si portò entrambe le mani ben curate sul volto e premette con le dita sulla fronte nella speranza di calmarsi.
- Fra poco arriveranno anche le altre. – Ginevra si guardò attorno, ottenendo tutti gli sguardi puntati su di lei. – Cioè, non ne sono sicura, ma è molto probabile che lo facciano. – si corresse.
- Chi diavolo può averci chiamati qua? – chiese Abbey, sperando che Ginevra potesse in qualche modo dissipare i suoi dubbi. In passato, lei era stata la mente del gruppo, era la loro leader indiscussa che decideva tutto quello che dovevano fare. La speranza che le cose fossero rimaste in quel modo la portò a guardare Ginevra fissa negli occhi, per farle capire che voleva una risposta proprio da lei.
- Qualcuno che sa cosa abbiamo fatto, suppongo. – Ginevra si leccò le labbra con fare soddisfatto. Sapere che, anche se a distanza di anni, ancora veniva considerata un punto di riferimento la faceva sentire realizzata.
- Sono passati sette anni ormai. – sussurrò Clara, con tono disperato. Il ricordo di quell’incidente la tormentava ogni sera, quando rimaneva da sola nel letto a guardare il soffitto e le pillole non avevano ancora fatto effetto.
Le loro parole vennero interrotte dal rumore del fruscio delle foglie alle loro spalle. I quattro si voltarono e, con il fiato sospeso, attesero che qualcuno sbucasse dal bosco. Ci volle poco, giusto qualche secondo, prima che una ragazza bassa, dai lunghi capelli neri e dagli occhi azzurri come il cielo uscisse dalla macchia.
La ragazza non disse niente, perché Aya Rogers non aveva bisogno di presentazioni. Si limitò ad avvicinarsi a Ginevra e a fermarsi accanto a lei, puntando gli occhi su ognuno dei presenti.
- Anche tu qua? – domandò, seppur senza esserne troppo sorpresa, Abbey. Aya si limitò ad annuire con la testa e a rimanere in silenzio. Non era mai stata una chiacchierona, anzi, tendeva a rimanere in silenzio anche per delle ore intere. Non le piaceva la sua voce, perciò preferiva evitare di utilizzarla.
- Manca soltanto Delfina. – Ginevra si guardò attorno, alla ricerca dell’ultima persona che, tempo addietro, aveva preso parte all’incidente. L’assenza della ragazza, per un po’, dette speranza al piccolo gruppo, magari non erano lì per quella storia, o magari era tutto uno scherzo. Quella flebile speranza, tuttavia, venne ben presto spazzata via.
Ginevra sentì rumore di passi e, qualche istante dopo, Delfina Lancaster fece la sua comparsa. Dall’ultima volta che l’avevano vista non era cambiato nulla, aveva ancora dei folti capelli neri lungi fino al sedere e due occhi talmente chiari da sembrare quasi violacei.
Quando Delfina si rese conto di avere dieci occhi su di se, si fermò di colpo. Spalancò le palpebre per qualche secondo, poi la sua espressione tornò normale. Sulle prime sembrò esitante sull’andargli incontro, poi si convinse e, a piccoli passi, raggiunse il resto del gruppo.
- Forza, uscite il nome del responsabile. – disse, puntando lo sguardo verso Clara – Non sentivo il bisogno di questa stupida rimpatriata. –
- Fantastico, anche lei non sa un cazzo. – sbottò Brodie coprendosi la bocca con una mano.
- Questa storia mi convince poco. – Ginevra girò su se stessa, poi gettò gli occhi verso la casa abbandonata davanti a loro. Mosse qualche passo avanti ed entrò dentro al cancello. Gli altri, senza dire nulla, la seguirono tenendosi a debita distanza.
- Di chi è questa casa? – domandò Clara, indicando con un cenno della testa la piastrella di legno attaccata al lato della porta di ingresso.
- Di Dawn. – a rispondere fu, con loro sorpresa, Abbey. Senza nemmeno leggere quel rettangolo, la castana aveva risposto a quel quesito così spinoso. D’altronde, Abbey in quella casa c’era già stata un sacco di volte parecchio tempo prima, quando i rimorsi ancora non la divoravano nella notte.
- Come fai a saperlo? – chiese, prontamente, Ginevra. La castana accennò ad un mezzo sorriso, costatando quando quella situazione fosse, alla fin fine, quasi ironica. Non si vedevano da quasi sette anni e, per tutto il tempo, non avevano fatto altro che porsi delle domande senza risposta e cercare di risultare il più carichi d’odio possibile. Ormai i loro tempi d’oro erano andati, quel periodo in cui anche se il peso del loro peccato pesava sulle loro spalle riuscivano in qualche modo a mentire a loro stessi. Dopo aver appurato che il tempo, spesso, non guarisce tutte le ferite, Abbey si decise a raccontare quella parte di storia che, sette anni prima, non aveva voluto dire a nessuno.
- Ecco, io e Dawn –
- Cos’è questo, uno scherzo di pessimo gusto?! – tuonò Noah, comparendo all’improvviso da dietro di loro. Il suo sguardo furente si abbatté contro quello dei ragazzi che, increduli, lo guardarono. L’avvocato digrignò i denti e si guardò attorno con le sopracciglia, chi poteva avergli giocato uno scherzo del genere? Doveva essere qualcuno che era a conoscenza di cosa fosse successo a Dawn Medrek, non c’era altra soluzione.
I primi a balzargli in testa furono i due coniugi Medrek, ma si ricordò prontamente che entrambi erano già morti da qualche anno. Ne era sicuro, perché era stata Emma stessa ad avvisarlo. La fidanzata si era addirittura offerta di accompagnarlo al funerale, ma lui aveva declinato sostenendo che i Medrek non erano altro che una famiglia di svitati alla ricerca di attenzioni. Disse così perché Emma non sapeva cosa era realmente accaduto quella sera, lei non era a conoscenza di quale fosse il vero corso degli eventi e, sperava Noah, non l’avrebbe mai saputo.
Era un caso archiviato, concluso da tempo e ormai finito nel dimenticatoio. Perciò, chi poteva aver organizzato quella patetica messa in scena, qualche idiota alla ricerca di attenzioni? Oppure uno di quei giustizieri alla ricerca della gloria personale?
Noah non sapeva dirlo con certezza, ma era certo che in quel luogo non ci sarebbe stato un attimo di più. Solamente vedere le facce di quei ragazzi, che al tempo erano dei semplici adolescenti, gli bastava per alterarsi. Loro rappresentavano la sua corruzione, la sua inclinazione verso il lato marcio e malato della legge, verso il sapore del denaro e della fama.
- Cazzo, c’è anche lui. – Brodie scosse la testa, ponendo definitivamente fine alla voglia di Abbey di concludere quello che stava per dire. In un certo senso, la castana sperava di potersi, prima o poi, confessare con qualcuno, ma quello non le sembrava il momento più adatto.
- Sì, ma ancora per poco. Me ne vado immediatamente. – Noah, che aveva appena messo i piedi dentro al cancello, fece per uscire, ma il cancello si chiuse all’improvviso, come se qualcuno lo avesse spinto con  forza, tanto da farlo sbattere. Il rumore spiazzò il gruppetto, che non riuscì a capire bene cosa stessa accadendo.
- Che cazzo è successo? – l’avvocato si guardò attorno, alla ricerca di chi avesse potuto chiudere il cancello, ma non sembrò esserci nessuno all’esterno.
- Dio, che paura. – sussurrò Delfina portandosi una mano sul cuore. Sentiva che qualcosa non andava, come se a breve qualche sorta di catastrofe sarebbe iniziata. E questo non fece che farle salire l’ansia, ansia che Aya, dal canto suo, rilegò in un cassetto sopito all’interno della sua testa. Osservò la scena con sguardo impassibile, come se stesse guardando un film di serie B al cinema.
- Apri quel cancello e andiamocene, questo posto non mi piace per niente. – Clara fece cenno all’avvocato di andare verso l’oggetto di ferro, ottenendo un cenno d’assenso seccato con la testa. Fra tutti e sei, Clara era quella che Noah odiava di più per via della sua bipolarità e dei suoi sbalzi d’umore.
Noah allungò la mano verso la maniglia e, proprio mentre le sue dita stavano per toccarla, un brusio si diffuse nell’aria circostante. Un rumore fastidioso, basso e incomprensibile che, pian piano, iniziò a diventare sempre più chiaro ed udibile.
- Finalmente ci siete, possiamo incominciare. –
 
 
ANGOLO AUTORE:
Salve! Ecco a voi il primo capitolo, sono finalmente riuscito a finirlo. Vi dico subito che, causa lavoro e studio, la storia, molto probabilmente, riprenderà a Settembre. Proverò in questo mese a scrivere qualcosa, ma non posso assicurare che riuscirò a pubblicare con regolarità.
Tuttavia, è nei miei progetti finire questa storia, perciò state certi che, in un modo o nell’altro, farò di tutto per portarla a termine.
Per adesso ci limitiamo ad una leggera introduzione dei personaggi e a qualche goccia di trama fra i nostri protagonisti, poi pian piano scaveremo più in profondità nelle menti di ognuno di loro.
Detto questo, vi lascio sperando che il capitolo, seppur breve, vi sia piaciuto.
Ci vediamo (spero) presto!

   
 
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