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Autore: Akainatsuki    02/08/2020    0 recensioni
Aki Ross è una giovane kitsune e vive come fattorina e tuttofare del Tampopo, il ristorantino di udon che richiama i tanti mutaforma che gironzolano nella città di Hillside. Una vita tranquilla e quotidiana per gli standard di una kitsune adolescente, fino a quando qualcuno dal suo passato non decide di ritornare al piccolo locale.
***
Di mezzi asiatici con i capelli colorati ce ne erano a bizzeffe in giro, ma quello che ora sedeva accanto a lei, osservandola sottecchi, era tra i più ricorrenti nomi delle chiacchiere in aula.
“Kozaki” borbottò, toccandosi il cerotto che aveva sulla fronte. “Buon pomeriggio anche a te.”
Si erano incrociati spesso dal suo ingresso alla Hillside High School, ora davanti allo studio del preside per l’ennesima ramanzina, ora a farsi sistemare il naso in infermeria. Non si erano mai davvero parlati, qualche occhiata derisoria o sbuffo di stizza esclusi, dato che non avevano mai nemmeno avuto nulla da dirsi. Inoltre, parlare con un ragazzo significava che c’era qualcosa sotto, e Aki voleva evitare di avere altri problemi oltre ai suoi casini quotidiani.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Sei sicura, ma proprio sicurissima che servirà tutto il tofu fritto che abbiamo?” mormorò incredulo Alan, alzando lo sguardo verso sua madre, intenta a mescolare tutto il brodo che avevano su tutti i fuochi a loro disposizione. Con una smorfia si massaggiò il polso, che fino a quel momento aveva accompagnato ogni movimento della lama infilata nei panetti dorati che avevano recuperato da ogni scorta immaginabile. 

Dalla sua parte del piano di lavoro, Ada annuì senza dire una parola, indicando con un gesto del mento la volpe che sedeva compita a uno sgabello del bancone, intenta a dar loro le spalle, le cinque code che ondeggiavano lentamente a mezz’aria mentre sembrava attendere qualcosa oltre la vetrina.

Alan deglutì rumorosamente, ripensando a quello che era accaduto solo qualche decina di minuti prima, proprio quando stava per togliersi di dosso la casacca di lavoro e farsi una meritata doccia dopo la giornata al locale. Se avesse dovuto risolvere in maniera stringata - come era stato d’altronde - tutta la faccenda che gli aveva appena rivoltato l’esistenza come un calzino, gli bastava guardare quella creatura per riassumere la questione.

Siamo Kin, Legami Umani, mettila come vuoi. Dobbiamo prenderci cura delle kitsune che vivono attorno a noi - e no, non chiamarle VOLPI MANNARE ad alta voce, si offendono, per gli spiriti! - e quando intendo prendercene cura, significa che tu ora fili in cucina e inizi a tagliare tutto l’aburaage che trovi: non lasciarne nemmeno un panetto. Questa sera ci sarà un po’ di affollamento e dopo avranno tutti una gran fame. Più tardi ti spiegherò meglio, ora al lavoro e senza fiatare.

Sua madre era stata pratica, infilandogli in mano il coltello e spingendolo oltre il bancone, permettendogli solo con la coda nell’occhio di vedere quel vecchietto in camice diventare esattamente la volpe sinuosa che ora muoveva nervosa le orecchie sullo sgabello.

Mentre era perso in quei pensieri, una ciotola enorme piena di impasto di udon fattagli scivolare davanti al naso, la tranquillità in cui sembrava sprofondato il Tampopo venne spezzata da uno stridere di freni e la porta d’ingresso fatta sbattere rumorosamente di lato.

Erano quattro, gigantesche volpi ritte sulle zampe posteriori e una di loro portava Aki con sè, stretta a peso morto tra gli artigli. Prima che potesse solo fare un passo, Alan vide quell’adorabile massa di pelo arancione diventare della medesima grandezza del quartetto comparso all’interno del locale, incitandole verso le scale e scomparendo in un batter d’occhio oltre la porticina che conduceva al piano superiore.

“Non ti distrarre.”

La voce di Ada lo fece sobbalzare dalla sua posizione, boccheggiando. Strinse le dita attorno alla ciotola metallica, dove la sua faccia riflessa, pallida e segnata da quell’orario della notte, gli rimandava un’orribile immagine di se stesso, proprio come l'improvviso terrore che gli aveva iniziato a mangiare lo stomaco.

“Aki è una volpe. O meglio, lo sarà da stasera” commentò piatta, infilando le mani nella pasta. 

Lasciò andare un fischio dal fondo della gola, rivolgendole un’occhiata disperata: “E quando accidenti aspettavi a dirmelo?!” esclamò, afferrando i bordi del tavolo di lavoro. “E lei? Lo sa?!”

"."

Ada strinse le labbra in una linea dritta a quelle sue stesse parole, continuando a impastare, lo sguardo fisso davanti a sé, senza aggiungere altro. Andò avanti nelle operazioni che ripeteva ogni giorno, tagliando e separando gli spessi vermicelli pronti a essere lessati, allungando ad Alan i mazzi di erba cipollina da ridurre in rondelle.

Un nuovo frastuono la costrinse tuttavia a interrompere il lavoro, alzando la testa verso le scalette, da cui le stesse volpi entrate poco prima erano comparse tra rimbrotti e passi pesanti, confabulando fra di loro.

Dekka-” esclamò a mezza voce Alan, le verdure penzolanti in mano. “Sono enormi, anche Aki sarà così? Non riesco proprio a immaginarla...”

Prima che Ada potesse rispondere, una di queste si staccò dal gruppo, la maschera di un’Okame legata dietro alla nuca, infilando il muso oltre la porta che portava alla stretta cucina: “Prendiamo da asporto. Per cinque.”

“Siete in quattro” lo corresse Alan, senza pensarci troppo, mordicchiando distrattamente un gambo per poi rendersi improvvisamente conto di cosa avesse appena detto e sentire il sangue rifluirgli dal viso. Incontrò gli occhi brillanti della volpe che lo fissavano, mentre un ghigno divertito si allungava scoprendo le zanne. Alle sue spalle, si levò una sequela di commenti imbarazzanti, accompagnata da un nutrito coro di risate.

“So contare, booyah” scosse l’enorme testa, rivolgendosi ad Ada. “Cinque. Due kitsune, un stamina e due chikara. Gra~zie.”

Mentre pronunciava quelle parole, ridusse pian piano le sue dimensioni, tornando a coprire quello che fino a poco prima era un muso appuntito con la maschera che portava con sè, gli abiti magicamente ricuciti addosso. Si sedette sullo sgabello di fronte, le gambe incrociate, osservandoli lavorare e ignorando i nuovi ingressi che facevano risuonare le campanelle all’entrata del locale per poi scomparire, mutati a loro volta in volpi, oltre le scale. 

“I Lin del negozio di alimentari… i Jeon delle gioielleria…”  annunciavano gli altri tra applausi e ululati sguaiati. “Questa faccenda sta richiamando mezzo quartiere! Potremmo entrargli in casa e svaligiare tutto!”

“Io ci sto!” esclamò uno di loro, alzando un’enorme zampa in aria. “Sarebbe una giusta vendetta per non farci partecipare alla festa!”

“Certo, facciamoci odiare ancora di più…” commentò un altro, agitando nervoso le tre grosse code. “Così ci mandano a nuotare nella Fossa delle Marianne, la prossima volta.”

Seguirono nuove risate, sempre meno animalesche e quasi amare mano a mano che il resto del gruppo tornava nelle sue dimensioni umane, ciascuno una maschera grottesca a coprirlo in volto. 

Alan non ebbe tempo tuttavia di guardare meglio quell’assurdo assembramento che rumoreggiava all’interno del locale: sua madre raccolse in fretta gli ordini, li preparò così abbondanti quasi da far traboccare le ciotole e li consegnò con un sorriso freddo stampato sulle labbra.

“Grazie per esserci venuti a trovare e arrivederci” li salutò, una gomitata al fianco di suo figlio nell’imitarla nel fare lo stesso. 

Si affrettò ad accennare un inchino sgraziato, osservando sottecchi mentre prendevano le buste e iniziavano ad allontanarsi uscendo uno dopo l’altro dalla porta, come se fossero - quasi - normali avventori. Fuori, li aspettava quello che sembrava uno scassato food truck andato a fuoco, o almeno l’odore di bruciato fu quello che arrivò alle narici di entrambi, facendogli arricciare il naso in una smorfia.

“Chi sono?” piegò interrogativo il collo verso sua madre, senza staccare gli occhi dal vetro che rifletteva lo loro immagine.

“Non ne ho idea” idea” rispose quella di rimando, imperturbabile.

Sollevò il sopracciglio, dubbioso, ma non riuscì ad aggiungere un commento a quella battuta che una delle tante volpi che si erano radunate sopra le loro teste si precipitò con un balzo dalle scale, entrando improvvisamente nel cucinino.

Kitsune. Dieci” abbaiò, abbassando appena il capo in un saluto e rivolgendosi di nuovo ad Ada, aggiustandosi il colletto dello changshan blu scuro. “Avete altri asciugamani puliti? Non vogliamo imbrattarvi troppo la casa, Kisaragi-nǚshì…”

Ada indicò ad Alan di proseguire i preparativi, mentre si allontanava e scompariva a sua volta ai piani superiori. Rimase da solo, l’ordine di continuare a cucinare che lo faceva muovere come un automa, mentre i pensieri gli si affastellavano nella testa dandogli la spiacevole sensazione di stare perdendo qualcosa di importante in quei lunghi minuti, a cui non riusciva a dare parole o forma.

“Aiutaci con il cibo, ragazzo.”

Alzò il capo, la volpe e sua madre carica di asciugamani ricomparse sulla soglia. Finì di aggiungere le ultime rondelle di erba cipollina e impilò le ciotole su due vassoi che sperava fossero in grado di reggerne il peso.

Si ritrovò a seguire quella strana e silenziosa processione, cercando di non inciampare sui suoi stessi piedi e smettere di fissare troppo le quattro code scodinzonanti che gli ondeggiavano sotto il naso. 

Quando superò la porticina che conduceva all’appartamentino di quattro stanze sopra il locale, iniziò a mettere assieme i pezzi di quella sensazione che aveva provato nella cucina, mentre osservava i sigilli e gli amuleti che tappezzavano ogni parete e porta attorno a lui. O meglio, quelli che restavano appesi a ciò che era rimasto ancora integro: alcune porte erano state divelte e quasi fatte a pezzi, i brandelli di legno e stoffa lasciati a terra, e i muri erano sfigurati da artigli e graffi per quasi la loro lunghezza, macchie scure e vischiose a imbrattarli.

L’espressione preoccupata di Ada gli fece torcere lo stomaco e tremare le mani in quell’avanzare: il pensiero che Aki fosse stata là per tutto quel tempo cominciò a trasformarsi in qualcosa di più oscuro e spaventoso di quello che le altre volpi avevano soprannominato come festa.

In quel momento, un lampo arancione schizzò fuori da quello che aveva imparato a considerare il salotto buono, dove lui e sua madre si ritrovavano a mangiare, le gambe sotto il tavolino basso, nei giorni di chiusura del locale. Si diresse senza cambiare direzione verso di loro, arrampicandosi e saltando su qualsiasi mobile trovasse nella sua traiettoria per poi sbattere malamente contro la porta del bagno e iniziare a grattare come un animale in gabbia.

“Datemi le ciotole” cantilenò una nuova volpe in hangbok grigio, l’alto cappello di paglia nero calato di traverso, per poi passarle a un’altra arrivata alle sue spalle, il fiocco slacciato che dondolava sul vestito giallo crema. Nessuno di loro sembrava far caso alla creatura che era tornata alla carica, sfrecciando da un lato all’altro del corridoio, facendo spandere a terra brodo e udon finchè non venne afferrata senza troppe cerimonie per la collottola e sollevata in aria, facendola dondolare come un pupazzo di pezza.

Ochitsukete. Calmati” borbottò la volpe in camice che Alan aveva osservato trascorrere gran parte della serata su uno degli sgabelli del bancone. Alzò il muso verso di loro, allargando le fauci in quello che avrebbe dovuto essere considerato un sorriso, facendo ondeggiare la volpina che era esplosa in una serie di mugugni e strilli rabbiosi. “Ora le facciamo un bagno e dopo mangerà, se solo la smettesse di distruggerle la casa, Kisaragi-san.”

A quelle parole, la massa di pelo arancione smise improvvisamente i suoi lamenti, spalancando gli occhi e fissandoli con un’espressione sorpresa, iniziando lentamente a mutare davanti a loro in una forma più umana.

Ada schiaffò il dorso della mano sulla faccia di suo figlio, allargando le dita per impedirgli la visuale e causando uno scoppio di risatine sommesse sotto i baffi degli altri occupanti del corridoio.

“Si abituerà a vederla così” commentò una di loro, portandosi una zampa al muso e lasciandsi sfuggire un ghigno divertito. “È un bel ragazzo, in fondo.”

Alan sentì le guance prendergli fuoco, ma lo stesso stava probabilmente accadendo a Aki a pochi passi da lui, seduta a terra a massaggiarsi le giunture e borbottare ad alta voce come fosse maledettamente e fottutamente mezza nuda in mezzo a una manica di depravati.

“Imparerai a mutare con i vestiti addosso” uscì dalla stanza l’ultima volpe, un lungo cheongsam verde smeraldo a fasciarla, dietro cui svolazzavano le sue cinque code vaporose. Calò un camicione bianco sulla ragazza ancora intenta a lamentarsi e cercare di schiacciare il naso a punta al suo posto, toccandosi con fare sospetto le orecchie frementi e togliendosi uno spaghetto viscido dalla guancia.

Il gruppo fece un passo indietro, osservandola in un curioso silenzio, inframmezzato dai rimbrotti che sembravano non voler cessare, poi un timido applauso si levò da ciascuno, costringendo Ada a togliere finalmente la mano dagli occhi di Alan.

“Congratulazioni” annuirono, rivolgendosi agli unici due davvero umani in quei pochi metri quadrati, accennando un inchino. “Avete una kitsune in famiglia."


*** Small Talk ***
Grazie per aver letto fino a qui!

Qualche spiegazione mi sembra fondamentale, specie se non siamo tutti nerd di piatti giapponesi e vestiti dell'area asiatica.

Le tipologie di piatto servite al Tampopo sono abbastanza ridotte e quelle citate in questo capitolo sono la top 3 (sotto avete un esempio del menu che avevo creato just for fun parecchio tempo fa):

Kitsune Udon sono udon bolliti serviti con tofu fritto ed erba cipollina.

Chikara Udon si tratta di udon bolliti accompagnati da tortine di riso (kirimochi) , spinaci, kamaboko e cipollotto.

Stamina Udon sono udon bolliti e serviti con carne, verdura e un uovo crudo sopra.


Ho pensato che solo avere a che fare con volpi immigrate dal Giappone sarebbe stato troppo facile e dato che l'America è un grande paese ci ha infilato anche cinesi e coreani, con i loro abiti tradizionali (un sacco di ringraziamenti sentiti a tut...        


Ho pensato che solo avere a che fare con volpi immigrate dal Giappone sarebbe stato troppo facile e dato che l'America è un grande paese ci ha infilato anche cinesi e coreani, con i loro abiti tradizionali (un sacco di ringraziamenti sentiti a tutte le mie compagne di corsi tra Italia e Sol Levante per tutto l'acculturamento a questo proposito):

Changshan (detto anche Changpao o Dagua) è il tipico abito cinese per gli uomini, composto di una casacca lunga o corta a cui si accompagna un paio di pantaloni. In pratica è l'abito usato da IP Man o Neo in Matrix.

Cheongsam (detto anche Qipao) è il tipico abito cinese per le donne, lungo o corto a collo alto e spacco laterale. Penso che sia uno dei vestiti "orientali" più inflazionati per il resto del mondo "occidentale".

Hanbok è l'abito tradizionale coreano per donne e uomini. Gli uomini possono anche portare un cappello di paglia nera chiamato gat.

Alla prossima! - Aka

   
 
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