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Autore: shilyss    03/08/2020    24 recensioni
Fable! AU Barbablù
Dal cap. 5: La notte, quando lui e Thor erano bambini, lei si sedeva tra i loro letti raccontando le storie degli dèi del Nord, condannati da una profezia oscura a morire dopo un inverno fatto di sette lunghi inverni che si erano avvicendati l’uno all’altro, facendo sprofondare il mondo nel caos e nel terrore.
Londra, 1857.
L'oscurità ha una sfumatura color smeraldo. L'inganno ha il sapore di una pozione. La morte è un urlo raccolto dal buio. Loki sa che il suo piano è perfetto, come l'abito che Sigyn non dovrebbe sfoggiare.
Lo pagherò anche io, il prezzo. Avrebbe desiderato dirglielo svelando quanto costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica certezza stesse nella formula che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante. Tutto il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo lunghi che aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello ereditava la tenuta e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che fosse.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6

L’innocenza perduta

 

E come li stornei ne portan l’ali

nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;

nulla speranza li conforta mai,

non che di posa, ma di minor pena. […]

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V)

 

 

Lady Sigyn Odinson. Il nome le sarebbe calzato a pennello. L’immaginò padrona e signora di uno dei possedimenti più antichi della sua famiglia, quello che s’affacciava sul Mare del Nord e guardava verso la penisola scaldica. Nelle notti gelide, rese più lugubri dal vento che veniva dalla costa, si sarebbero cercati assecondando quel bisogno d’aversi che li aveva quasi condannati, così urgente da intrappolarli in un incantesimo squisito capace di spezzare loro le vene, mozzare il respiro. Avrebbero vissuto lontani da Londra e dai suoi salotti ipocriti ed eleganti finché il suo bisogno di viaggiare non fosse stato saziato, spingendolo a tornare nella capitale. Forse, si sarebbe deciso a portarla con sé in giro per l’Europa, magnifica e solenne. Sposarla sarebbe stato come pugnalare Laufey dietro la schiena – cosa che, a ogni buon conto, si era ripromesso di fare, pregustando dentro di sé il momento in cui la lama di un pugnale avrebbe penetrato la carne dell’altro.

Se solo Sigyn non fosse entrata. Se non gli avesse rubato la chiave, varcando la soglia di una stanza che raccontava troppo e, tuttavia, non le avrebbe detto abbastanza. Non la biasimava per l’eccessiva curiosità dimostrata, in verità. Al suo posto avrebbe fatto di peggio, perché l’anima nera di Loki era guardinga e diffidente. Ora però, anche quella di Sigyn si era macchiata, perché la conoscenza lascia sempre qualcosa a chi la tocca. Lei, per esempio, aveva perso del tutto l’innocenza: il mondo non avrebbe più avuto niente di benigno, perché le carte che aveva appena letto possedevano il potere di sollevare il velo della speranza lasciando solamente l’ombra. E, con lei, la consapevolezza che la morte non sempre equivale alla liberazione da ogni male. Tutt’altro.

“Tu chi sei?” inquisì. La sua voce era appena incrinata.

“Loki Odinson. Uno scienziato, un alchimista, un chimico. O tutte queste cose insieme. C’è chi mi chiama mago, ma forse legge troppi libri,” sorrise scaltro, senza allontanarsi dallo stipite né mostrare preoccupazione per la canna della pistola puntata contro il suo petto.

“E cosa più di questo?” Sigyn prese delle lettere e le gettò a terra. “Era un inganno,” soffiò. “Mi hai mentito.”

Loki riconobbe immediatamente le missive sul pavimento e, di nuovo, non rimproverò affatto la ragazza. Pensò che l’anello nella sua tasca fosse diventato quasi inutile perché lei non avrebbe mai accettato di sposarlo, non più. Sarebbe stato meglio vivere nel disonore che unirsi a lui. E se anche, spinta dalle circostanze, avesse acconsentito, sarebbe stata per sempre sua premura ricordargli ogni giorno l’orribile trappola che le aveva teso. Avrebbe dovuto distruggere la corrispondenza compromettente che, in qualche modo, lo incastrava. In un certo senso, lo aveva fatto: si era assicurato di rintracciare, far rubare e bruciare quelle che aveva inviato a Laufey, ma non aveva agito nello stesso modo con le lettere che il mentore gli aveva spedito. Voleva una prova tangibile del suo piano maligno, della follia che gli avvelenava da troppi anni la mente corrotta. Ma il vecchio scienziato non era l’unico ad avere un’anima nera, tutt’altro.

“Perché l’abito è qui?” La voce di Sigyn tremava, come il suo braccio.

“Il verde è un colore incantevole che le ragazze, però, dovrebbero evitare di indossare. Questo è fatto col raso più bello, tinto con il verde più acceso. Ma il verde, mia dolce Sigyn, si ottiene con l’arsenico, un veleno.”

“La stoffa veniva dalla fabbrica degli Odinson. Era un tuo dono,” boccheggiò lei.

“Ed era un sudario. Dillo, l’hai capito. La formula per ottenere un colore così vivo l’ho studiata io, per mesi,” confermò scandendo con sicurezza ogni sillaba[1]. “Hai letto la verità, in quelle lettere. Ho lasciato che lo indossassi perché, ma questo tu lo sai già da giorni, prima di salvarti io ti ho avvelenata. L’arsenico, mescolato a piante che solo le peggiori fattucchiere creole usano, dà vita a un filtro. Al filtro che gli serviva[2].” Allargò le braccia e mosse un passo verso di lei e l’arma, rendendosi un bersaglio, consapevole che la ragazza non avrebbe sparato. “Ho dovuto farlo. E ora sai anche come, Sigyn. E tu hai dormito con me, sapendolo.”

Sigyn fu scossa da un brivido al ricordo dei tre giorni di passione squisita vissuta con lui sotto quello stesso tetto, porgendogli molte domande giuste, ma accontentandosi di una verità parziale, marcia.

“Hai dovuto farlo? Eravate d’accordo. Lui ti ha chiesto…” la ragazza scosse la testa, sconvolta dall’orrore, disgustata per la doppiezza di un gioco in cui lei era la preda da catturare. L’affascinante alchimista di cui era diventata incautamente l’amante le aveva detto di essere stato costretto a partecipare al piano di Laufey, l’antico spasimante di sua madre, ma dalle lettere che lei aveva letto era uscita fuori una verità più subdola. Loki l’aveva avvicinata per conto dell’altro.

Si era illusa che quegli sguardi attenti e feroci con cui l’osservava sempre nascessero dallo stesso turbamento che la sconvolgeva, ma non era così, affatto. Non all’inizio, almeno. Odinson la teneva d’occhio, divertito dalla struggente e ignominiosa passione che Laufey provava per il ricordo di sua madre, consapevole fin dal principio della trappola in cui sarebbe caduta, stuzzicato – era evidente dal tono spesso sarcastico che Laufey gli rimproverava – dall’intrigo di cui era attore e spettatore a un tempo. Si era innamorata del suo cacciatore – e avrebbe pagato per tutta la vita per quest’errore, ora lo sapeva.

E poi c’era l’esperimento.

 

Un abominio, un atto indegno volto a violare la pace dei defunti e a porre fine alla sua esistenza; almeno su questo, lord Odinson era stato sincero, ammise. Sarebbe morta. Era l’ultima delle mogli che Laufey avrebbe rinchiuso nella sua cantina sperando che il suo terrificante filtro facesse effetto, la sola capace di restituirgli il fantasma di un amore antico, che non era mai stato tale per davvero.

 Strinse la pistola tra le dita e sentì il suo destino dipanarsi assieme agli avvertimenti di suo padre, come se si trovasse in un sogno. Avrebbe dovuto ascoltarlo, ma non era riuscita a farlo.

Loki si mosse verso di lei, avvicinandosi con studiata cautela. Non la temeva, ma nemmeno la sottovalutava. Ed era serio. Sul suo viso affilato non c’era più traccia della sardonica irrequietezza di sempre. “Mi ha chiesto di frequentarti, di scoprire cosa ti piacesse e cosa no. Non di portarti qui.”

Era una puntualizzazione che nascondeva un messaggio che rimase sospeso, perché la lingua svelta dell’alchimista si era attorcigliata di fronte all’impossibilità di dirle, di spiegarle cos’erano il desiderio e la follia e la passione. Non avrebbe ammesso mai che stringerla tra le braccia era una sofferenza e una vittoria, perché nelle sue vene scorreva sangue magiaro e normanno e il suo spirito fiero assomigliava a quello dei personaggi che popolavano le fiabe e i poemi: non si sarebbe piegato di fronte a nulla, nemmeno allo sguardo grigio e traboccante di domande e terrore di Sigyn. Anche a costo di perderla.

“Queste lettere sono la prova della tua infedeltà,” sibilò lei. “Della tua… Loki, tu volevi sapere come sarebbe andato l’esperimento! Ti interessava il suo risultato! Se non fossi io…”

“Ma sei tu. Riguarda te e ti ho salvata,” ribadì lord Odinson con forza. “Era una trappola e ho deciso di liberarti – mi ha chiesto di ucciderti, ho preferito salvarti.”

 Nella penombra, il suo viso le parve ancora più affilato, gli occhi penetranti e aguzzi più chiari, a metà strada tra il verde e l’azzurro, di una trasparenza inquietante e bellissima. Poteva convivere con l’orrore di quella scoperta?

“Dice di essere il tuo mentore. Voi due vi assomigliate.”

Loki pensò al rum e ai colori troppi vividi e intensi delle Indie Occidentali, della Louisiana, dell’Africa, ma anche al mare freddo che lambiva i fiordi delle terre del Nord. “Nelle intenzioni. Nel desiderio di conoscere,” ammise, per poi scuotere la testa. “Non saresti dovuta entrare.”

“Non mi avresti mai detto la verità, se non lo avessi fatto.” La pistola pesava e Sigyn non sapeva davvero se desiderava sparargli. Le chiacchiere che circolavano nei salotti circa gli oscuri esperimenti condotti da lord Odinson non rendevano giustizia alla sua sete di sapere, al bisogno di svelare il segreto che circondava la morte e cosa fosse l’anima, quell’impalpabile essenza che rendeva l’uomo vivo, quel brillio che svanisce non appena la nera signora, con la sua falce, la porta via con sé. Gli studi di Laufey e di Loki volevano proprio svelare che fine facesse lo spirito quando lasciava il corpo, dove andasse, se tenesse memoria della vita appena trascorsa o delle precedenti. Soprattutto, con opportune tecniche, sarebbe riuscito a tornare, a varcare il muro che separa la vita dalla morte – e che tracce avrebbe lasciato, un simile viaggio?

“Cos’è la verità, Sigyn? Un punto di vista, un’opinione soggetta a diverse interpretazioni. La conoscenza a volte pesa – questa grava in maniera indicibile. Ingannandoti, stavo cercando di proteggerti,” sostenne l’alchimista accompagnando ogni concetto con uno studiato movimento delle sue belle mani, ma l’idea che ogni opinione avesse, in sé, il profumo suadente di una truffa non tranquillizzò affatto Sigyn, anzi. In lei si svegliò qualcosa e puntò con più fermezza l’arma in direzione del petto dell’uomo. Lo amava, ma convivere con l’orrore era un’altra cosa – lo desiderava, ma temeva di cadere ancora di più nell’abisso, se si fosse abbandonata una volta di più al suono dei suoi ragionamenti suadenti e crudeli. Ricordò la sensazione di essere cercata, amata e voluta da lui e pensò alla freddezza che trasudava da quelle missive sparse.

“Tu avresti voluto saperlo,” lo accusò di rimando. “Non ti saresti accontentato di una versione incompleta dei fatti.”

Loki le sorrise con orgoglio. “È vero.” Un’altra ammissione concessa con spietata fierezza, un altro passo verso di lei, per disarmarla. Osò sfiorarle una ciocca dorata che s’arrotolava in un boccolo scomposto fino a lambirle un seno, si azzardò a risalire con le dita verso il collo accarezzandole la nuca, avvicinandosi tanto da parlarle sulle labbra, assaggiarle la bocca, incurante dell’arma che lei continuava a tenere in mano, delle lettere, dell’ombra che il vestito avvelenato gettava sul pavimento della stanza. E Sigyn attese il bacio, rispose al suo tocco urgente, perché tremava di paura e risentimento e quella era l’ultima volta che poteva lasciarsi andare con lui. Lo sentiva nelle ossa, nel cuore, nelle vene. Il braccio dell’alchimista le avvolse la vita sottile in un gesto di brusco possesso e lei si tese – era una donna perduta che, per lui, avrebbe rifatto ogni cosa altre cento, altre mille volte. Eppure, mentre il bacio forse d’addio si trasformava in decine di altri baci dolorosi e magnifici e struggenti, negli istanti troppo brevi in cui le loro labbra si rincorrevano offese e ansiose di lambirsi e accarezzarsi, ebbe la sensazione di non poter sfuggire al proprio destino. Immaginò che fosse già stato scritto, filato in un immenso arazzo che conteneva il fato dell’umanità intera.

L’abito verde, testimone silenzioso delle loro carezze sbagliate e disperate, era ancora lì, a pochi passi, intriso di veleno – alle sarte che lo avevano confezionato era stato intimato di lavorare sempre con i guanti per non rovinare il prezioso colore e quelle, ben pagate e sorvegliate a vista, avevano obbedito: una sola doveva morire toccandolo – indossandolo – ed era Sigyn della casa di Vanir – solo che[3].

 

 

 

 

 

Il duca d’Asgardshire si fece annunciare che era quasi il tramonto. Portava con sé notizie di vitale importanza, che giustificavano l’ora inconsueta, il passo svelto e il bussare deciso alla porta dell’altro. Lord Vanir scelse di riceverlo nel suo studio e si stupì, una volta di più, della sua figura possente e gagliarda, che sembrava riempire la stanza. Era un uomo alto e bello, volitivo, che conquistava i suoi interlocutori grazie alla franchezza dei suoi discorsi e contava di farlo anche in quell’occasione. Si accomodò e trasse fuori dalla tasca un biglietto stropicciato, che lesse velocemente e poi poggiò sulla scrivania, in modo che Vanir potesse vederlo. Il più anziano intuì che Thor Odinson doveva aver vagliato con attenzione ognuna delle parole scritte nel messaggio. Si sporse verso il foglio fu colpito dalla grafia appuntita e decisa, ma prima che potesse inforcare gli occhiali e leggere a sua volta, il duca lo anticipò.

“Vostra figlia è con mio fratello. Sono fuggiti insieme. Lei sta bene.”

“Dove?”

“In una casa di cui non sapevo l’esistenza, che Loki ha affittato sotto falso nome,” sospirò Thor.

Vanir illividì. Si prese il viso tra le mani ed emise un sospiro disperato. Le dita gli tremavano e la schiena si curvò come se il peso di quella rivelazione che, dentro di sé, già conosceva, schiacciasse ognuna delle sue ossa. “Cos’ha fatto!” disse, e lo ripeté con voce strozzata, perché sapeva di averla perduta per sempre. Non sarebbe più stata la sua bambina dai capelli d’oro che veniva a curiosare nello studio fissando ogni cosa col suo nasino all’insù e quegli occhi grigi sempre attenti, ma capaci d’illuminarsi quando sorrideva. Non avrebbe più suonato il piano o il violino per lui[4], rendendo le sue serate più dolci. Era perduta, disonorata – anche se avesse bussato in quel momento alla sua porta, non avrebbe potuto più accoglierla, sapendo dov’era stata e con chi e perché[5]. Prima che quel pezzo di carta venisse poggiato sulla sua scrivania, Vanir poteva ancora crogiolarsi nell’illusione di un destino diverso, per Sigyn. Immaginarla da una parente o da un’amica, per quanto assurde potessero essere queste ipotesi, ma il biglietto cambiava ogni cosa. Lo sollevava da una paura tremenda che aveva confidato a Thor Odinson qualche sera prima, mentre la sua voce era accompagnata dal rumore delle ruote di una carrozza che li riportava a Londra, ma, allo stesso tempo, faceva nascere nel suo cuore un’apprensione ancora maggiore e la svilente sensazione che solo la conferma di un sospetto terribile può dare.

“Lord Vanir, l’altra sera mi avete raccontato una storia inquietante, mentre tornavamo dalla mia tenuta. Mio fratello nel messaggio l’accenna,” proseguì Thor, implacabile e schietto, come sempre.

L’uomo sollevò lo sguardo grigio e acquoso verso il duca e lui ne approfittò per continuare, sebbene non poté nascondere a se stesso di essere rimasto turbato dal lampo di terrore che aveva visto luccicare negli occhi dell’altro.

“Qualunque cosa sia successa o significhi, Loki la sposerà – vuole farlo – e Sigyn diventerà mia sorella. Presto, subito.” Thor fece una pausa, per assicurarsi che il suo interlocutore avesse compreso la portata del suo discorso e poi proseguì col medesimo tono incalzante e deciso. “Io vi offro la mia parola, amico mio, che salvaguarderò gli interessi di quella ragazza e dei suoi futuri figli da ogni voce malevola, da qualsiasi azione sconsiderata di mio fratello, passata o futura. Vi garantisco, signore, che non vi pentirete mai della nostra parentela.”

Se lord Vanir fosse stato un uomo più sensibile o intuitivo, forse si sarebbe chiesto cosa aveva significato, per il cadetto di famiglia, vivere nell’ombra di un fratello maggiore tanto sicuro di sé e del proprio trionfo, disposto a liquidare un potenziale scandalo con poche, semplici parole. Certo, aveva offerto supporto, amicizia, denaro e assicurato di tenere fuori Sigyn dai guai di Loki, ma lo aveva fatto con l’inconsapevole tracotanza di chi esce sempre vittorioso da ogni scontro. Il suo obiettivo era che i piani di Loki non venissero intralciati e ottenesse la giovanissima donna per cui si era compromesso. Negli occhi lucenti e azzurri del duca Odinson, però, lord Vanir non vide questo, così come non aveva mai scorto nessuno dei segnali d’insofferenza presenti, forse da sempre, in Sigyn. Tracce di cui, invece, l’astuto secondogenito degli Asgardshire si era reso conto fin dal primo istante in cui se l’era ritrovata davanti, bella e contrariata per via della seduta spiritica che non si era tenuta. No, l’alchimista non si era lasciato abbagliare dalla dolcezza della ragazza, né dai suoi modi eleganti e squisiti; si era messo a esaminare l’impazienza con cui muoveva il ventaglio, aveva seguito il suo sguardo grigio e curioso, ansioso di vivere.

“E cosa dirà la gente, cosa diremo ai nostri comuni amici?”

“Racconteremo la verità. Che la passione li ha travolti e non hanno voluto aspettare nemmeno un giorno prima di sposarsi. La gente spettegolerà sulle rendite di mio fratello e sulla parte di eredità che ancora deve reclamare. Tornerà da voi come lady Sigyn Odinson, rispettata signora di una tenuta che abbiamo al nord. Loki ama quel posto. La data del suo matrimonio perderà presto importanza, vedrete,” concluse il duca spiccio e, nella sua previsione finale, Vanir, stavolta sì, riconobbe una punta malamente mascherata di disgusto.

“Quando?” disse solo.

 

Le labbra di Sigyn erano dolci da baciare quanto i suoi occhi lucenti furiosi, ma in loro Loki riconobbe qualcosa di utile ai suoi scopi. La consapevolezza. Ciò che, fino ad allora, non era riuscita a dedurre o a immaginare, lei lo aveva letto nelle lettere sparpagliate a terra, ammonticchiate sul tavolo in noce. Continuava a tenerla tra le braccia, a stringere il suo corpo di donna flessuoso ed elegante come se lei dovesse o potesse fuggire. La baciò ancora, cercandole con furia improvvisa le labbra e Sigyn rispose con un trasporto straziato, affondando le dita sottili nelle sue braccia e soffiandogli sulla bocca perché ormai vani. Aveva perso l’innocenza – gliel’aveva strappata via lui, velo dopo velo, ma non era bastato. Qualunque cosa ci fosse tra loro non era né indolore né fugace, ma si nutriva dell’anima di entrambi ed era penetrata nelle ossa, nelle vene, nel sangue. E Loki, lui l’aveva desiderata con un’intensità che lo aveva sorpreso, sconvolto, gettandolo in un caos che era una voragine profonda, come i suoi occhi grigi. Sigyn gli sfiorò con la mano libera il volto, accarezzandogli il viso affilato, la mascella ben rasata.

“Perché?” gli disse. “Perché con un uomo del genere? Tu ti sei macchiato… c’entri con quelle donne morte?” iniziò, riferendosi agli esperimenti segreti di cui aveva letto qualche morboso, oscuro, dettaglio, tale da inorridirla. In quelle carte, nulla faceva presagire che l’alchimista fosse direttamente coinvolto, ma la glaciale indifferenza con cui Odinson sorvolava su un simile particolare l’aveva turbata. Sapeva chi era Loki – ora riusciva a vedere quanta parte di oscurità fosse presente nel suo petto – e aveva, di lui, un’immagine finalmente completa, anche se tragicamente complessa e difficile da decifrare. Come il suo sorriso, sempre ironico ed enigmatico, breve e laterale.

Odinson abbassò rapido lo sguardo sulle missive in disordine e poi lo risollevò per sostenere con fermezza quello di lei. Di nuovo stirò le labbra sottili in un ghigno tetro, stregandola, confondendola, mostrandole qualcosa di oscuro e di antico, come la leggenda del conte e della strega di cui si accorse di non ricordare affatto la fine. Lei veniva sepolta nel tumulo, con indosso la collana che brillava sul seno di Sigyn, innamorata fino alla fine del suo uomo, ma lui, il conte, dov’era? Perché aveva in testa la scena dell’amante normanno che cadeva in un bosco, morto?

 “No,” rispose Loki distogliendola dal suo ragionamento. “Laufey lavora al suo progetto da molto prima di conoscermi. Lui era ossessionato, come mio padre, dal desiderio di varcare il confine tra la vita e la morte. Ma, al contrario del buon vecchio Odino, aveva meno scrupoli e un obiettivo disgustoso,” raccontò con freddo divertimento. “Eppure, i suoi esperimenti gli hanno consentito di ottenere le informazioni che mancavano a mio padre,” spiegò. Raccolse un foglio spiegazzato da terra e ne lisciò i bordi. C’erano formule e disegni e schemi di com’erano fatti gli uomini dentro, sotto la pelle. “Il duca fu il primo a indicarmi questa via. Mi ha trascinato nella sua ricerca, mi ha spedito in giro per il mondo con la scusa che gli servivano tessuti pregiati e colori vivaci, e poi, alla fine della sua vita, si è pentito di ciò che era, di ciò che voleva, rinnegandosi e rinnegandomi.”

Sigyn rabbrividì, perché improvvisamente la voce di Loki si era fatta tagliente e crudele, come il suo sguardo di metallo, troppo chiaro. “Ecco quello che è successo.”

“E tu, tu che vuoi, Loki?”

“Ogni cosa,” rispose rapido. “Voglio scoprire qualsiasi segreto nasconda questo mondo, perché non c’è niente di casuale o vago, nel progetto della creazione. Persino nella più terribile e disgraziata delle tempeste è presente un ordine supremo, che governa tutto.”  

“Anche la morte,” soffiò lei, ammirando, suo malgrado, la corrosiva sete di conoscenza dell’uomo che amava. Ma lo amava ancora? Poteva farlo?

Lo sguardo vivace di Loki si accese ulteriormente, colpito dall’acume di quell’affermazione. “Dicono di me che sono un alchimista, uno scienziato. E tu sapevi, sai chi sono. L’altra sera hai intuito la mia parte in questa vicenda,” l’accusò, ma continuava a tenerla tra le braccia, perché era la sua incantevole amante di cui non era ancora sazio ed era la ragione della sua rovina. Non sarebbe scappata, eppure non desiderava lasciarla andare – l’aveva macchiata con l’oscurità che aveva tinto la sua anima di nero, ma ora doveva salvarla fino in fondo. Forse non avrebbe mai accettato d’indossare l’anello magiaro che teneva in tasca, eppure non si era nemmeno strappata dal collo il ciondolo della strega che, anzi, brillava sinistro alla fioca luce delle candele.

“Non le hai uccise?” insistette lei.

“No,” rispose Loki sollevando fieramente il mento. “Ma non ho fatto nulla per impedirlo, tranne che in un caso. Tu.”

Sigyn decise che non le stava mentendo. Che quella verità graffiante non era frutto di nessun imbroglio e che l’inganno stesso in cui l’aveva trascinata conteneva, in sé, una traccia di verità. E capì che riusciva ad amarlo nonostante l’irrefrenabile sete di sapere, a prescindere dalle cose che, quasi certamente, ancora le nascondeva e sempre le avrebbe celato.

“Cosa vuoi fare, adesso?”

“Salvarti e ucciderlo. Vieni con me,” le suggerì lo scienziato stringendola tanto a sé da far aderire nuovamente i loro corpi, divisi dalle stoffe dei rispettivi abiti, ma tesi, immancabilmente, l’uno verso l’altro.

 

“Credevo tu mi avessi già salvata.”

Una pioggia violenta iniziò a rovesciarsi su Londra. L’acqua scrosciava sulle finestre, lustrava i tetti e i marciapiedi, inzuppava le strade che si allontanavano dalla città rendendole quasi impraticabili.

Loki prese la pistola dalle sue mani delicate; per ringraziarla, avvicinò il dorso alle labbra sfiorando la pelle liscia e morbida. La ragazza sussultò, ma il suo sguardo continuava a seguirlo fermo e deciso.

“Ti ho resa la mia amante e una fuggiasca. Ritengo di dover rimediare, almeno a una di queste due cose,” ammise sornione.

Sigyn piegò la testa di lato. “Per dovere? Per vendetta?”

“Non sarai l’ultima delle sue mogli.” La voce dell’alchimista si era fatta roca. Lady Odinson. Forse avrebbe accettato l’anello e, con quello al dito, Laufey non avrebbe potuto sposarla. No, Sigyn non sarebbe stata l’ultima delle sue mogli, stesa su un tavolaccio di legno senza alcun vestito addosso, pronta ad accogliere lo spirito di un’altra. Aveva perso l’innocenza – la purezza – che il suo mentore bramava e considerava un elemento imprescindibile per la buona riuscita del suo esperimento. Era marchiata. “Sarai la mia. Stanotte ci sposeremo. Ho preso accordi con un prete fuori Londra.”

Sigyn rimase immobile. Loki le teneva ancora la mano che aveva baciato e fu sull’anulare di quella che infilò l’anello, leggermente troppo grande, delicatamente lavorato per accogliere una gemma d’incomparabile bellezza. La pietra preziosa era trasparente, ma con delle particolari venature verdastre appena percettibili alla luce fioca delle candele.

Sigyn amava Loki, ne era dolorosamente certa. Non sarebbe fuggita con lui, se non fosse stato così. Fissò il gioiello e poi l’alchimista e pensò che provava una paura cupa e folle. Forse non voleva sposarsi in quel modo, di notte, con un matrimonio segreto e riparatore, eppure non riusciva nemmeno a immaginare di dover abbandonare quell’uomo intelligente e beffardo che sorrideva perfido e la guardava come un drago avrebbe fissato un tesoro. Non si era inginocchiato per chiedere la sua mano. L’aveva pretesa, anzi, di più: si era accordato prima ancora di parlarne con lei.

Eppure, Sigyn non riuscì a offendersi per quel gesto: comprendeva che tradire il vecchio mentore folle esigeva un prezzo molto alto e sentiva che, nel volerle dare il proprio nome, Loki attuava un piano di più ampio respiro. Avrebbe dovuto chiedergli se Laufey fosse già sulle loro tracce, se scoprire che era fuggita con lui l’avrebbe davvero messa al riparo dall’esperimento cui voleva sottoporla. Scelse diversamente.

“Quest’anello,” domandò guardinga, “anche quest’anello apparteneva a una veggente o a una fata?”

Negli occhi di Loki scintillò una luce rapida e fugace, come il suo sorriso laterale e furbo. “Mio padre lo usò per chiedere la mano di mia madre,” raccontò. “Lo fece forgiare da un orefice ungherese[6], ma la pietra apparteneva alla nostra famiglia da quando i miei antenati cavalcano ancora sulle spiagge della Normandia. È stata montata a volte su una spilla, altre su una tiara, più spesso su un anello. Lei forse lo indossò e poi lo diede a una figlia o a una nipote,” ipotizzò, riferendosi alla strega danese. “Ascoltami,” disse. “Questa vecchia storia ci riguarda, ti riguarda, perché Laufey potrebbe raggiungerci da un momento all’altro e tu rischi non sapere mai una cosa essenziale,” proseguì senza lasciarle la mano né tempo per replicare. “Nessuno desiderava che il conte sposasse la strega. Lui era destinato a un altro tipo di vita. Durante una battuta di caccia, però, venne trafitto a morte da una freccia. La veggente danese lo riportò indietro. Pregò i suoi dèi antichi per una notte intera. Invocò il dio delle forche, il mago orbo che fu impiccato per nove notti consecutive, e poi chiamò quello della tempesta e del tuono, col suo martello forgiato per uccidere i giganti. Infine, dissero che pianse e si strappò i capelli supplicando quello del fuoco e degli inganni. All’alba, il mio antenato, il conte, si risvegliò dalla morte. Mio padre e io cercavamo l’incantesimo o la medicina che ha riportato indietro quell’uomo. Tu hai il ciondolo della strega, quello con cui scelse di essere sepolta, l’unico monile che portò nella sua tomba. Lui non lo sa.[7]

 

 

La casa di Odino è piena di traditori. Laufey attendeva nel buio, di fronte a un prato puntellato di lapidi. Alcuni alberi ritorti, senza foglie e con i rami protesi verso il cielo come le mani ossute di un mendicante, ascoltavano le sue maledizioni soffiate tra i denti. Figlio d’un cane, ingrato bastardo. Si era approfittato della sua disperazione seducendo l’unica donna che volesse, la sola che fosse degna di ospitare il suo amore bugiardo, che le assomigliava come una goccia d’acqua. Ripensò allo sguardo vacuo e distratto che Loki gli aveva rivolto mentre sperimentava su di sé gli effetti dell’oppio[8], al ghigno divertito che aveva stampato in faccia quando lui gli parlava dell’amore insano e necessario che provava per Sigyn. E Loki aveva recitato per mesi, occupando indebitamente il posto che toccava a lui. L’aveva sfiorata, cercata, baciata e posseduta – si era preso ciò che gli spettava e avrebbe pagato con la vita, per questo.

Scoprì di odiarlo quanto amava lei – o l’immagine che si era costruito di Sigyn, perlomeno, ma comprese anche di detestare allo stesso modo se stesso. Si era lasciato abbindolare e incantare ed era stato cieco. Non si era accorto che il suo giovane allievo si era invaghito della ragazza. Non avevo messo in conto che la vicinanza reiterata e quel continuo scambiarsi sguardi e sorrisi avrebbe potuto creare un terreno fertile per un desiderio che aveva reso possibile il tradimento. Li avrebbe uccisi, e poi avrebbe avuto la sua vendetta. E l’amore.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori,

 

siamo al penultimo capitolo di questa storia che sto amando moltissimo e che no, non è affatto una AU, come potete vedere. Come sempre, è un momento particolare: la real life bussa prepotentemente per avere la mia attenzione e credetemi quando vi dico che scrivo nei ritagli di tempo, nelle pause. Il fatto è che per me scriverli è una necessità, nonostante soprattutto le fiabe mi abbiano provocato un po’ di seccature negli ultimi tempi.

Ecco perché il sostegno è importante – si scrive per sopperire a un bisogno, ma la gioia che si riceve quando questo bisogno suscita qualcosa nel prossimo è qualcosa che non si può spiegare. E ricordatevi che anche se non rispondo sempre le recensioni le leggo sempre, tutte, subito.

 

Nel prossimo capitolo parlerò meglio della fiaba di Barbablù e del senso che ha in questa storia e finalmente qui Sigyn ha scoperto come si otteneva il colore verde al tempo che fu. Vi informo fin da ora che la storia della strega danese e del conte verrà scritta, che dopo l’epilogo di Ombre troverete l’aggiornamento di Accordo e quello di Scintille e… chissà. **

 

Voglio ringraziare coloro che recensiscono/ leggono/seguono/ricordano e preferiscono – ogni volta che listate o vi palesate m’illumino d’immenso, per voi sembrerà una cosa da niente, ma vi assicuro che ricevere sostegno per chi scrive ha la sua importanza.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

 

Shilyss



[1] Sulla trasformazione della nobiltà terriera in imprenditoria ho letto troppi testi. Comunque sì, alcuni nobili lungimiranti si adattarono facilmente, grazie alle loro finanze e contatti, al mondo che cambiava. In Gran Bretagna c’è un’antica tradizione manufatturiera nel settore del tessile – sono famose soprattutto le lane, quindi no, non è casuale.

[2] Ovviamente questa è una mia licenza poetica. Bambini, non giocate con l’arsenico!

[3] Se questa battuta vi ricorda qualcosa, è perché è un chiaro riferimento a una mia vecchissima e amatissima minilong, “Sposami, Sigyyn.” La trovata in fondo al mio profilo ^^.

[4] L’educazione del tempo prevedeva che si suonassero uno o più strumenti.

[5] La scelta di Sigyn di fuggire con Loki è coerente col tempo. Né lei né Vanir né Loki mettono in discussione le regole sociali del periodo, pur violandole. Mi spiego meglio: nei secoli (o decenni) passati si faceva molta attenzione all’avere costumi sobri e a non avere rapporti al di fuori del matrimonio, tuttavia c’è un proliferare di figli illegittimi, di persone che hanno due famiglie, di bambini che si scoprono figli di persone che non sono il marito della madre. Ecco perché Sigyn che scappa con Loki non è anacronistico – sa di stare commettendo qualcosa di ritenuto grave, un po’ come quando si lascia la macchina in seconda fila. Non andrebbe fatto, se passa il vigile ci multa, ma spesso per qualche minuto ce la lasciamo.

[6] Quindi è magiaro, almeno per quanto riguarda l’incastonatura. Per questa cosa dei gioielli riutilizzati mi sono basata sui Windsor.

[7] Vi avevo detto che non era una AU…

[8] L’oppio è una sostanza illegale come molte altre droghe. Nell’Ottocento la concezione di queste sostanze e il loro uso era un po’ diverso da quello di oggi (su tutti: l’imperatrice Sissi prendeva regolarmente la morfina, Freud faceva uso di sostanze simili eccetera). Appartiene dunque alla normalità ed è coerente che un giovane nobile scavezzacollo e mezzo scienziato come Loki Odinson in questa storia possa farne uso senza troppo clamore.

   
 
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