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Autore: C_Totoro    04/08/2020    2 recensioni
Nagini è un Naga, un maledictus, e la sua trasformazione in serpente in modo permanente è sempre più imminente. Fanny invece è un Garuda, una fenice, un essere immortale che, tuttavia, grazie a strane influenze cosmiche riesce ad assumere forma umana. Le due si incontreranno proprio quanto entrambe sono esseri umani, intraprendendo una relazione improbabile non priva di sofferenza e dubbio. Il loro destino infatti sembra essere segnato e la loro separazione grava sulle loro teste come se fosse la spada di Damocle.
Una piccola one-shot senza pretese e che non ha molto a che fare con il canon, spero possa comunque incuriosirvi e piacervi!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Fanny/Fawkes, Nagini, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Nagini si rigirò nel letto distendendo pigramente le membra. Fuori la pioggia continuava a picchiettare incessantemente sui tetti e dalla finestra aperta entrava quell’odore di umido che portavano sempre con sé gli acquazzoni estivi. Nagini si perse nello scrosciare dell’acqua, nel frinire delle cicale, nello stormire delle foglie al vento. Anche quando prendeva forma umana i suoi sensi iniziavano a essere sempre più affinati, sempre più simili a quelli di un serpente invece di essere quelli di un essere umano. Quanto mancava? Per quanto ancora sarebbe stata in grado di gestire la propria trasformazione e diventare un essere umano? Sapeva che mancava poco: ancora qualche settimana – forse anche meno – e poi sarebbe rimasta un serpente. Per sempre. L’idea di ineluttabilità che si portava quel “per sempre” le metteva addosso una certa inquietudine. Ancora non riusciva ad afferrarne bene il senso. Mai sarebbe potuta tornare indietro nella sua forma umana – la sua vera forma – mai avrebbe potuto sentire di nuovo l’aria umida estiva sulla pelle a quel modo. Iniziarono a formarsi dei brividi lungo tutto il suo corpo, nonostante il caldo umido soffocante. Cosa ne sarebbe stato di lei? Era un maledictus e il suo destino era segnato. Niente e nessuno avrebbe potuto salvarla, niente e nessuno avrebbe potuto interrompere quella maledizione che lentamente ma inesorabilmente la stava consumando.

Sospirò chiudendo brevemente gli occhi. Per quanto ancora avrebbe potuto assaporare la vita umana? Per quanto ancora sarebbe riuscita a fare ragionamenti da donna e non da serpente? Sovrappensiero allungò il braccio verso l’altra parte del letto toccando i fianchi della persona che giaceva addormentata accanto a lei. La sua pelle era morbida, liscia e calda, sembrava essere quasi quella di un bambino. Nagini sentì l’altra muoversi leggermente sotto il suo tocco e sorrise compiaciuta tra sé e sé. Erano simili e allo stesso tempo così diverse.

Nagini era un maledictus e il suo destino era quello di diventare un serpente in modo permanente. Diverrò un Naga, un essere corrotto sempre e per sempre… pensava tutte le volte che sentiva la trasformazione sopraggiungere e cambiarle aspetto. Non potremo mai stare davvero insieme. Non siamo fatte per stare insieme…

Fanny era una fenice. La vita delle fenici è immortale, ogni cento anni, semplicemente, Fanny andava in autocombustione per poi rinascere dalle proprie ceneri e riprendere la propria vita sotto forma di “nuova fenice” sebbene preservasse comunque tutta la saggezza acquisita nelle vite precedenti. Di anni alle spalle Fanny ne aveva in abbondanza, aveva visto gli umani ammazzarsi tra di loro, progredire, ritornare nel baratro della follia, aveva osservato i Babbani tentare di scovare Maghi e Streghe nel tentativo – piuttosto maldestro – di estirpare quel gene dal mondo. Fanny li aveva seguiti dall’alto, appollaiandosi distante a osservare tutto come spettatrice. E quanto è facile elargire giudizi quando si è semplici spettatori della vita! Eppure, neanche Fanny sapeva bene come o perché accadesse, c’era un periodo in cui poteva mescolarsi agli esseri umani e diventare parte attiva della vita invece che esserne una semplice spettatrice; in occasione di un particolare allineamento degli astri (che col tempo diveniva sempre più raro), aveva l’occasione di prendere forma umana. Ricordava di essere nata lontano dalla terra, in alto nel cielo in luoghi rarefatti proprio sotto forma di essere umano ma, al contrario degli umani che nascevano sulla Terra, era nata sì con genitali femminili ma non si sentiva né uomo né donna, trascendeva da quell’aspetto binario che tanto assillava gli uomini. Fanny viveva per innalzarsi, innalzarsi al di sopra dei desideri, delle paure, dell’attaccamento. Si era innalzata per secoli compiendo il suo compito di Garuda, guidando gli esseri umani e cacciando i Naga fino a quando, in modo del tutto inaspettato, non si era innamorata di uno di questi.

“Smettila di torturarti così, Nagini” mormorò Fanny ancora assonnata e con la voce impastata dal sonno “Servisse a qualcosa, ma non serve a nulla, invece”.

Nagini smise di accarezzare Fanny e incrociò le braccia nascondendo il seno. Si voltò verso la compagna e ne osservò le fattezze delicate, l’espressione beata.

Non siamo fatte per stare insieme, pensò di nuovo Nagini. Lei era maledetta, sempre incattivita e sempre rabbiosa. Fanny era invece un essere che neanche poteva essere descritto. Ogni volta che Nagini si soffermava su di lei pensava non potesse esistere persona più bella, più attraente… e non solo a livello fisico – i capelli rossicci dalle punte variopinte, la pelle ambrata e gli occhi verdi – ma a un livello molto più profondo. Fanny era un essere che riusciva a innalzare chiunque gravitasse intorno a lei. Riesce a dare pace persino a me, l’essere più immondo che abita questa terra. Persino io che mi sto trasformando in un Naga vicino a Fanny sono un’altra cosa, un altro essere...

 

“E’ il mio compito” le ripeteva sorridendo indulgente ogni volta che Nagini le faceva notare come lei – Fanny – fosse a un livello completamente superiore al proprio. “Il mio compito è quello di aiutare gli esseri umani nella loro ascensione, nella comprensione del mondo e del cosmo…”

“Il tuo compito è cacciare i Naga” la interrompeva ogni volta Nagini mordendosi le labbra e abbassando lo sguardo “Esseri corrotti che strisciano per terra, esseri attaccati alla vita terrena…”

Fanny le schioccava un bacio sulle labbra con una risata cristallina “Non pensare a quello che sarà e a quello che è stato. Pensa a qui e ora: siamo insieme, che cosa importa del resto? Continui a pensare che un istante di felicità sia poco, quando capirai che la felicità esiste solo sotto forma di attimi?”

 

Nagini sussultò sentendo il respiro di Fanny sulla propria guancia.

“Ti sei arrabbiata di nuovo?” le domandò Fanny avvicinandosi a lei e posando la testa sulla sua spalla.

“Non sono arrabbiata” disse Nagini circondando con le braccia le spalle di Fanny “E’ solo che non capisco…”

Nagini s’interruppe lasciando vagare lo sguardo sulla stanza.

 

Era ormai qualche tempo che andavano avanti in quel modo. Sembravano essersi incontrate una vita fa, per caso, durante un matsuri a Kyoto. Si erano squadrate con fare inquisitorio, riconoscendosi come nemiche ataviche (Fanny un Garuda, Nagini un Naga), eppure qualcosa le aveva trattenute dall’iniziare a combattersi, dall’uccidersi. Forse era accaduto perché entrambe erano nella loro forma umana, forse era accaduto perché Fanny aveva scorto qualcosa di più di un semplice Naga in Nagini. Aveva scorto un dolore sincero, qualcosa che un Naga non avrebbe dovuto provare, e Fanny non poteva fare a meno di provare quell’impulso primordiale che la portava a occuparsi dei più deboli, di aiutare gli umani nella loro ascensione.

Ma lei non è umana, aveva pensato Fanny avvicinandosi a Nagini con fare circospetto. Tuttavia l’essere che aveva davanti a sé era inequivocabilmente un essere umano. Si può essere due cose contemporaneamente? Forse è una situazione simile alla mia, anche io sono una fenice e un essere umano contemporaneamente...

Non si erano quindi saltate alla gola per azzannarsi anzi, dopo essersi conosciute, avevano intrapreso quella che era la più inaspettata delle relazioni: una fenice insieme a un serpente. Un Garuda insieme a un Naga. Due nemici che, inspiegabilmente, erano divenute amanti.

“Quando abbiamo l’aspetto di esseri umani, forse lo siamo fino in fondo” aveva dedotto Fanny. Si erano osservate a lungo e poi avevano deciso di dileguarsi, allontanarsi dalla folla babbana che non conosceva né loro né il mondo al quale appartenevano. Non si fidavano l’una dell’altra eppure c’era qualcosa che le attraeva e che impediva loro di assalirsi o anche di allontanarsi. Nagini in presenza di Fanny si sentiva un essere diverso. Riusciva di nuovo, dopo anni, a sentirsi davvero una persona, una donna.

“Come fai ad avere un aspetto umano?” le aveva chiesto Fanny guardandola con i suoi profondi occhi verdi. Nagini si era stretta nelle spalle. Forse che una fenice avrebbe potuto aiutarla? Forse poteva essere in grado di renderla umana in modo permanente, di nuovo? Se non ricordava male dai suoi anni a Mahoutokoro, le lacrime di fenice curavano? Non salvavano dalla morte, dalle maledizioni?

“Io non sono un Naga” aveva mormorato Nagini in un sibilo. “Non dovrei esserlo. Dovrei… sono un maledictus” aveva tentato di spiegarsi. Non era mai stata molto brava con le parole, Nagini. Faceva fatica ad aprirsi con qualcuno e bastava un nonnulla per farla tornare sui propri passi. Balbettava, si incespicava. Non si trattava di mancanza di lessico perché di parole ne conosceva a iosa. Ma quando sentiva lo sguardo dell’interlocutore su di sé, in attesa, aveva sempre l’impressione che le parole la disertassero, le sfuggissero. Si ritrovava sempre impossibilitata ad andare oltre, a spiegarsi fino in fondo, le parole le si confondevano attorcigliandosi intorno alla lingua. Quando infine riusciva a dispiegare i propri sentimenti, le proprie emozioni, si sentiva esposta. Una piccola incomprensione, una parola di troppo da parte dell’altra persona e subito si acciambellava su sé stessa per difendersi. Si era convinta che era inutile sprecare parole con persone che neanche comprendevano i suoi silenzi.

“Lascia stare”, “Non importa”, “Non è nulla”.

Fanny fu la prima persona con cui non le capitò questo. La osservava paziente, in silenzio, lasciandola raccontare senza metterle alcuna fretta. Fanny scoprì così che Nagini, prima di essere un serpente, era una donna. Una donna che faceva parte di un’antica e potente famiglia Purosangue che, tuttavia, era stata colpita da una maledizione in tempi ormai dimenticati. La maledizione si tramandava tramite linea maschile e colpiva solo ed esclusivamente le donne: più Nagini sarebbe invecchiata più la sua trasformazione in serpente sarebbe divenuta prima incontrollabile e poi permanente.

“Prima o poi sarò un serpente e basta. Diventerò un Naga per sempre…” aveva mormorato Nagini abbassando lo sguardo, intimidita, quasi con vergogna. Non sapeva per quale motivo si stesse vergognando, non era colpa sua. Era una condanna che pesava sulla sua testa sin da bambina. Aveva visto la zia cadere in quell’ordalia, ogni giorno sempre meno umana e sempre più bestiale.

Fanny le aveva stretto le dita, una presa calda e forte che aveva fatto sussultare Nagini.

“Non è colpa tua, Nagini” aveva detto Fanny avvicinandosi sempre di più a lei “Purtroppo però non credo di poterti aiutare”.

E infatti Fanny non aveva saputo aiutarla, non a riottenere per sempre la forma umana che Nagini tanto agognava. L’aveva aiutata però a riprendere a vivere la propria vita. Le aveva donato quella speranza e quella gioia che solo l’amore sapeva dare. Si erano scambiate il primo, titubante, bacio senza aspettativa alcuna, quasi più come gioco che come reale attrazione.

“Non sapessi che voi fenici siete al di sopra di certe pulsioni io…” Nagini si era interrotta, imbarazzata da quella confessione. Ma ogni volta che posava lo sguardo su Fanny il suo cuore mancava un battito. Nagini si sentiva una stupida e un’ingenua, Fanny non poteva di certo essere interessata a lei, no? I Garuda cacciano i Naga. Fanny rimane con me perché le faccio pena, forse vuole solo testare il suo potere, capire se riesce a recuperare un serpente, l’essere che più di tutti è attaccato a ciò che è terreno, ai peccati, alla malvagità.

Come aveva sentito quelle parole bisbigliate nell’imbarazzo, Fanny si era avvicinata a Nagini e le aveva sfiorato le labbra con lentezza, dubbio, timore. Non le era mai capitato di essere attratta da qualcuno così come lo era da Nagini. Aveva passato secoli a distaccarsi dalle questioni terrene, a guidare i Maghi, ad aiutare la famiglia Silente. E ora si ritrovava a desiderare ciò che doveva essere un nemico naturale. Quando la sua insicurezza svanì e Fanny fu in grado di accertare con sicurezza dove risiedeva la propria felicità, i loro baci assunsero una cadenza sempre più decisa e serrata. Le labbra di Nagini si rilassavano ogni istante di più e lei, pur temendo che il suo corpo potesse sciogliersi in quella bocca simile a un nettare caldo, venne colta dal desiderio di toccarla.

Il sapore di Fanny era agrodolce, buono, Nagini si perdeva tra le gambe di Fanny e la sua lingua sapeva stimolarla scovando gli anfratti più nascosti.

“Avere la lingua di un serpente tutto sommato ha una sua utilità” aveva riso Fanny dopo l’ennesimo sconvolgente orgasmo. Nagini aveva abbozzato un sorriso e aveva continuato a osservare Fanny, la accarezzava sempre con lo sguardo a lungo, non si sarebbe mai stancata di guardarla. Soprattutto perché sapeva che il loro tempo era limitato. Si domandava spesso Nagini che senso avesse avuto intraprendere quella relazione pur sapendo di non poter stare insieme, insieme per davvero, insieme per sempre. Quando Nagini aveva esposto quei dubbi a Fanny la fenice aveva strabuzzato gli occhi sorpresa. “Niente dura per sempre. Tutto al mondo passa e quasi orma non lascia” le aveva detto con dolcezza scuotendo leggermente il capo.

“Eppure tu sei immortale” aveva controbattuto Nagini, corrugando le sopracciglia confusa.

“Proprio per questo sono consapevole che nulla è imperituro. Nemmeno io lo sono. Oggi sono umana, domani sarò fenice… tra cento anni brucerò e dalle mie ceneri nascerò di nuovo. Sarò sempre io? O piuttosto sarà un’altra me? Forse sarà un’orma di me stessa…” Fanny s’interruppe , lo sguardo vacuo come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Poi posò di nuovo il suo sguardo su Nagini e le sorrise “Non pensare a quando non saremo più insieme, pensa a ora” le diede un bacio sulle labbra e la sua mano volò tra le gambe di Nagini “Pensa a questo”.

Non siamo fatte per stare insieme, continuava a ripetersi Nagini anche mentre si sfioravano, mentre le loro carezze si facevano sempre più lussuriose.

Il sapore di Nagini era acidulo, forte, ma Fanny si leccava sempre le labbra ogni volta che Nagini, infine, veniva mormorando il suo nome.

“Ti amo” le aveva detto Nagini una notte, ancora con il respiro affannoso e il cervello ottenebrato dal piacere.

“Anche io” aveva risposto Fanny facendole una carezza sul viso. Nagini aveva spalancato gli occhi gialli e si era morsa le labbra fino a farle sanguinare, tirandosi su di scatto, inviperita.

“Non è vero” esclamò sofferente e incredula.

“Perché dovrei mentirti?”

 

“Ti amo” le disse Fanny “E non credo ci sia nulla da capire”.

Nagini socchiuse gli occhi. Sapeva di stare sbagliando, sentiva sempre più prepotente il bisogno di trasformarsi in serpente. Se solo fossi in grado di vivere il presente invece di pensare sempre a cosa sarà! Se solo fossi in grado di fidarmi, di lasciarmi andare, di credere che qualcuno come lei possa davvero amare un essere come me…

“Tu capisci che sono sincera nel mio amore perché so che tu potresti – anzi, dovresti – uccidermi. Ti sto dando questo potere, Fanny, perché voglio credere che non lo farai”.

“Certo che non lo farò”.

“Prima o poi ci incontreremo di nuovo. Ci incontreremo di nuovo e io sarò un serpente, tu sarai una fenice” il fiato le si mozzò in gola “Cosa succederà, allora? Cosa faremo?”

Fanny rise.

“Vedi che non ami?” sibilò Nagini, ancora una volta offesa. Era sempre facile per lei cadere preda delle emozioni negative, preda dell’attaccamento, del piacere. Fanny, d’altro canto, sembrava invece sempre in pace con sé stessa e con il mondo circostante. Sembrava che nulla potesse scalfire il suo equilibrio.

“Non ti amo perché non mi perdo a pensare a ipotesi di futuro? Qualcosa che magari mai si avvererà?” le domandò, sinceramente confusa. “E io mi dovrei perdere questo presente per preoccuparmi di un probabile futuro?” le domandò Fanny inclinando leggermente la testa di lato e spostando i lunghi capelli su una spalla per poi allungare una mano verso la chioma scura di Nagini.

“Non mi ami” ripeté Nagini cocciuta. Forse era più facile pensare così. Pensare che Fanny non l’amava e non l’avrebbe mai amata. Era più facile pensare che sarebbe finita comunque – perché tanto Fanny mica l’amava! - piuttosto che pensare che sarebbe finita per cause esterne a loro, nonostante ci fosse l’amore, che sarebbe finita per qualcosa che non era per loro controllabile. Quando c’è l’amore, c’è tutto, aveva sentito dire Nagini. E solo ora si rendeva conto di quanto quella fosse una menzogna. L’amore era senz’altro qualcosa di fondamentale, in una relazione, ma non di certo l’unica cosa fondamentale.

“Se ti fa stare meglio pensare così, pensa questo Nag” rispose Fanny, quasi leggendole nel pensiero. Nagini sbuffò, inviperita. Si alzò dal letto e iniziò a rivestirsi. Doveva imparare a controllare meglio le sue emozioni. Sentiva che più perdeva il controllo di quelle, più si avvicinava la sua trasformazione in serpente. L’idea di trasformarsi davanti a Fanny la metteva in soggezione. Non voleva farsi vedere bestia davanti a lei, davanti alla persona che amava con tutta sé stessa, davanti alla persona che, per la prima volta dopo anni, era riuscita a non farla sentire sbagliata.

“Non voglio pensare a qualcosa che mi faccia stare meglio” sbottò Nagini “Voglio la verità”.

“Posso dirti quante volte voglio che ti amo ma se tu non ti sentirai degna di questo amore, sarà tutto inutile”.

“Addio, allora” rispose Nagini. Non capiva mai cosa provasse Fanny. Davvero l’amava? O era tutta una finta? Non capiva, perché sapeva che certe cose – certi sguardi, certe carezze, certi sospiri – non potevano essere dissimulate, non poteva essere tutta finzione.

“Addio” fece a sua volta Fanny iniziando a vestirsi senza guardare Nagini.

Ma allora come poteva Fanny salutarla – dirle addio – come se nulla fosse? Come poteva rinunciare a lei senza sentire il cuore mancare un battito? Perché Nagini viveva nella sofferenza e Fanny riusciva invece a essere sempre in pace, tranquilla?

“La sofferenza è nella tua natura di Naga” mormorò Fanny e, per la prima volta, Nagini la vide triste. “Mi dispiace, Nagini. Non meriti ciò che ti è successo”.

Nagini sentiva le squame iniziare a uscire sulla pelle, sentiva le gambe e le braccia attaccarsi. La testa che si schiacciava. Mancava poco alla sua trasformazione in serpente. La realtà prese di nuovo il sopravvento e l’illusione esplose come una bolla di sapone dopo aver raggiunto il massimo della sua espansione, senza che Nagini avesse avuto modo di rendersene conto. Si lanciò fuori da quella casa, ben sapendo che non avrebbe più potuto farvi ritorno: le sue trasformazioni era incontrollabili e Fanny stava terminando il suo tempo di vita come umana.

“Siamo fatte per stare insieme. Non credere mai che non sia così” bisbigliò Fanny mentre Nagini completava la sua trasformazione proprio sulla soglia dell’abitazione. Furono le ultime parole umane che Nagini riuscì a capire.

*

Nagini si era avvicinata a quell’essere umano dopo che ne aveva sentito parlare per mesi da tanti – tantissimi – altri serpenti. Un essere umano che poteva comunicare con i serpenti! Quale insperata gioia per Nagini, quasi non ci credeva. Quando si era ritrovata di fronte quel ragazzino magro, alto, sfrontato e arrabbiato si era avviluppata a lui con contentezza. Il Serpentese di quel ragazzo era strano – aveva un accento diverso dai serpenti – ma era intelligente, straordinariamente dotato magicamente e, soprattutto, Nagini vedeva nel suo sguardo quella stessa sofferenza da cui era stata afflitta lei per tutta la durata della sua breve e disastrosa vita umana.

Ci mise qualche tempo Nagini ad accorgersi che il ragazzo aveva qualcosa che non andava, come se avesse qualcosa di permanentemente rotto all’interno di sé. Lo vedeva interagire con gli esseri umani in modo distaccato – lei le interazioni con gli esseri umani le ricordava così diverse! -, lo vedeva giacere con donne in modo disinteressato – Nagini ricordava in modo completamente differente le carezze della sua fenice, di Fanny… - e quando infine capì che Tom Riddle era un Naga più di quanto non lo fosse lei era semplicemente troppo tardi: Nagini si era già attaccata a lui in modo morboso. Vedeva Tom – ormai Voldemort – come la sua unica connessione a quel mondo a lei proibito e interdetto. Le emozioni degli esseri umani le erano via via più estranee, il linguaggio ormai incomprensibile, ma Voldemort era l’unica persona in grado di farla sentire essere umana nonostante fosse un serpente. Si rivolgeva a lei con rispetto, si rivolgeva a lei con fiducia. Voldemort sapeva che Nagini era un essere magico potente, un Naga saggio ed esperto e le serviva il sapere che conservava all’interno di sé: continuare a renderla sveglia, sempre vigile, farle ricordare la sua vita passata quando ancora era un maledictus era cruciale. Nagini, in fondo, sapeva molto bene che Voldemort la stava sfruttando. Ma aveva importanza? Si sfruttavano a vicenda, due esseri solitari, senza amici, senza speranza. Nagini per Voldemort avrebbe fatto qualsiasi cosa. Il Naga non era più in grado di provare quell’affetto – quella gioia di amare solo allo scopo di donare – che aveva provato invece per il Garuda. Ciò che provava per Voldemort era qualcosa di corrotto: Nagini dava per riavere. Sibilava a Voldemort incantesimi, Magia Oscura, segreti che carpiva da altri serpenti, pur non capendo il linguaggio umano osservava attenta i Mangiamorte e poi riportava i loro gesti al suo Padrone. Voldemort in compenso la faceva sentire di nuovo umana. E per Nagini nulla valeva più di quella sensazione, la sensazione di avere emozioni vere, pensieri strutturati, profondi.

“Cosa ne pensi delle fenici?” le aveva chiesto una volta Voldemort accarezzandola sul capo dolcemente. A Nagini piaceva il suo tocco, nonostante Voldemort fosse un uomo senza scrupoli quando si rivolgeva a lei lo faceva sempre con delicatezza. D’altra parte, le sofferenze di Voldemort derivavano dagli esseri umani, il suo conforto dai serpenti.

A quella domanda Nagini fece scattare fuori dalle fauci la lingua biforcuta.

Siamo fatte per stare insieme. Non credere mai che non sia così.

Quelle parole le rimbombavano in testa. La sua voce, il suo tocco. In modo contorto e maldestro ancora ricordava tutto. Sembrava appartenere a un’altra vita eppure, allo stesso tempo, era qualcosa di così reale. Rifletteva spesso sui ricordi. Le apparivano come oggetti insignificanti, di nessuna utilità, null’altro se non il guscio tolto alla vita già trascorsa. Alle volte gli scambiava per succosi frutti in grado di farle gustare il futuro ma, in realtà, non erano che l’effimero conforto di esseri senza vigore.

“Le fenici sono Garuda, nemici di noi Naga” sibilò a Voldemort, cercando di ricacciare indietro memorie di tempi troppo lontani per essere di nuovo vissuti.

“Nemici, infatti” le rispose Voldemort pensieroso “Silente ha una fenice” le disse, “Ha aiutato Potter col basilisco, si è presa l’Avada Kedavra che avevo indirizzato al vecchio. Una bella spina nel fianco”.

Le narici di Nagini fremettero. Quel sentimento che non poteva più provare perché la sua forma non glielo consentiva urlava per uscire di nuovo. Aveva dato tutto a Voldemort, donato ogni suo ricordo, ogni suo segreto ma tutto ciò che aveva vissuto con Fanny lo aveva custodito gelosamente all’interno di sé. Voldemort non era riuscito ad appropriarsene neanche quando aveva deciso di porre un pezzo della sua anima all’interno di lei. Non ci era voluto molto per convincerla a diventare un suo Horcrux.

“Una volta che avrai un pezzo della mia anima in te potrai sicuramente ritornare a provare alcune sensazioni ormai andate, magari anche capire di nuovo il linguaggio umano… in qualche modo, ti sentirai di nuovo donna” le aveva detto in un sussurro. Non c’era cosa che Nagini agognasse di più. Un po’ di umanità. Tuttavia ne trovò ben poca all’interno di Lord Voldemort. Quando questi pose un pezzo della sua anima in lei il Signore Oscuro vide in modo distratto e frettoloso Fanny in forma umana. Vide tanto eppure ne capì poco.

“Capisco perché ti manca essere donna” aveva sogghignato osservando le due rotolarsi tra le lenzuola dandosi piacere. Nagini aveva sospirato pensando a come la comprensione di Voldemort fosse distorta, marcia, malandata. Nagini sapeva che Voldemort non riusciva a capire, lo sapeva perché vedeva come la donna Mangiamorte gli ronzasse intorno, vedeva i gesti di lei e, pur non capendone le parole, il linguaggio del corpo era esplicito in modo da risultare quasi imbarazzante.

“Beati di Bellatrix insieme a me, sarà divertente” le aveva proposto Voldemort.

Tuttavia il sapore di Bellatrix non era dolce come quello che ricordava, come quello di Fanny. Il corpo di Bellatrix era scheletrico, la pelle resa ruvida dalla salsedine di Azkaban, i capelli un groviglio nero. Non resisté molto Nagini, lasciò Voldemort e Bellatrix al loro amplesso che era così diverso da quello che lei aveva imparato a sperimentare con Fanny, la sua fenice.

Strisciò fuori, lontano, mentre si rendeva conto che nel tentativo di rimanere il più umana possibile si era invece trasformata sempre di più in un serpente attaccandosi a un uomo freddo, distante e scostante. Un uomo che vedeva l’amore e non lo riconosceva. Ora che aveva una parte di lui all’interno di sé lo comprendeva come non aveva mai fatto. Alla sofferenza che le era propria si era aggiunta quella di lui e, mentre il dolore di Nagini era malinconico, disperato, quello di Voldemort era un dolore arrabbiato, soffocante. Nagini avrebbe voluto la salvezza, Voldemort agognava solo la distruzione. Eppure si completavano così bene quei due tipi di sofferenza. Nagini stimava Voldemort perché, dopo tutto quello che aveva passato, trovava la forza di andare avanti, quella forza che Nagini non aveva mai avuto. Una forza che le era estranea e aveva trovato solo quando Voldemort aveva messo la sua anima in lei. Un attaccamento alla vita ossessivo. Forse Nagini avrebbe dovuto dire a Voldemort che nulla è immortale, tutto cambia, niente è permanente come, in passato, Fanny le aveva ripetuto. Tuttavia Nagini non era mai riuscita a fare proprio quel concetto e aveva iniziato anche lei a essere terrorizzata dalla morte. Attaccata alla terra e alla vita più che mai. Un vero Naga.

Nagini strisciò nel sottobosco, il sapore di Bellatrix ancora sulla lingua, l’odore di sesso nelle sue narici. Sentì il pezzo di anima di Voldemort che era in lei vibrare e Nagini pensò che forse si poteva provare amore anche senza riconoscerlo, senza vederlo, senza comprenderlo.

All’improvviso, una musica soave riempì l’aria. Era una musica che non aveva mai sentito, qualcosa di celestiale e indescrivibile. Era un doloroso lamento di terribile bellezza e Nagini, all’improvviso, capì che era il lamento di Fanny che, tuttavia, scaturiva in modo inspiegabile dall’interno del suo corpo corrotto di serpente. Per la prima volta dopo decenni riuscì di nuovo a provare emozioni e sentimenti complessi. Si sentì di nuovo umana, completa. In quell’istante sentì una gioia immensa, era una specie di estasi. D’un tratto il mondo intero assunse un altro aspetto, ogni senso d’inquietudine, incertezza e di paura l’abbandonarono. Sentiva il cuore in cielo, volare insieme alla fenice. Provò di nuovo amore. Che cos’è questo terrore? Che cos’è quest’estasi? Pensò tra sé e sé. Che cos’è che mi riempe di una tale straordinaria emozione? “E’ Fanny” disse. Perché, eccola, era lì.

Siamo fatte per stare insieme. Non credere mai che non sia così.

 

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Ciao a tutti. Credo di avere un po’ di note da fare. Intanto vi ringrazio se siete giunti fino alla fine di questo piccolo delirio. L’idea della “Fagini” è nata anni fa per scherzo, quando ancora non era uscito né TCC né Animali Fantastici… era nata come un’idea comica e si è trasformata via via nel tempo come qualcosa di straziante che ben poco ha a che fare con il canon ^^’

So che l’attrice che impersona Nagini in Animali Fantastici è sud coreana, nella mia testa tuttavia è giapponese – per questo le ho fatto dire che ha frequentato Mahoutokoro – principalmente perché avendo studiato giapponese e avendo scritto una tesi sullo sciamanesimo nell’arcipelago giapponese ho trovato tanti aspetti interessanti che avrei potuto inserire nelle ff, in primo luogo proprio quest’aspetto della trasformazione in serpente (il fatto che la maledizione si trasmetta per linea maschile sulle donne è infatti presa dal folklore giapponese, non dal canon). Per quanto riguarda invece “Naga” e “Garuda” sono esseri mitologici dell’induismo e anche del buddhismo. Garuda è un semidio, un essere a metà tra uomo e uccello, cavalcatura di Visnu. È simbolo dell’abbandono del piano materiale e della ricerca di “qualcosa di più alto”. Garuda è acerrimo nemico dei Naga. I Naga anche sono esseri semidivini a metà tra essere umano e serpente (proprio come i maledictus in AF e nel folklore giapponese) e, appunto, nemici di Garuda. I Naga sono esseri terreni, che strisciano per terra e che quindi rappresentano l’attaccamento alla vita. Sono quindi in completa antitesi con Garuda (cielo e terra, il “lasciar andare” e l’attaccamento), quando vengono ritratti insieme rappresentano “il tutto”, “la pace perfetta”. Se qualcuno volesse approfondire Garuda e Naga:

http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Garuda

https://triportreat.it/2014/04/17/naga-e-garuda-yin-e-yang/

Siamo fatti per stare insieme. Non credere mai che non sia così” invece è una citazione dalla serie tv di Netflix: Dark.

E fieramente mi si stringe il core,/A pensar come tutto al mondo passa,/E quasi orma non lascia” è una citazione del buon Giacomo Leopardi (La sera del dì di festa).

Che cos’è questo terrore? Che cos’è quest’estasi? Pensò tra sé e sé. Che cos’è che mi riempe di una tale straordinaria emozione? È Clarissa, disse. Perché, eccola, era lì”, citazione da Mrs Dalloway di Virginia Woolf.

Infine, ovviamente, non sono riuscita a resistere e un piccolo hint di Bellamort ce l’ho messo ^^’

Okay. Credo di aver detto tutto. Spero che l’idea vi sia piaciuta, anche se un po’ pazza. Fatemi sapere (probabilmente avrei potuto sviluppare meglio, ma magari accadrà in seguito. Un po’ più di Fanny e Silente potevano starci).

A presto,

Clo

  
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