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Autore: Melian    16/08/2009    3 recensioni
"Il ronzio delle mosche, che si posavano sulla guancia tumefatta dell'uomo accasciato per terra e che ne carezzavano ignobilmente il profilo squadrato, accompagnò il deglutire estatico dell'Eterno."
[Terza classificata al contest "Buona la prima" giudicato da Chloe R Pendragon sul forum di EFP]
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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GENTLE BREEZE

 

 

Un ruggito bestiale profanò il silenzio denso che ammantava la collinetta dal morbido profilo, tornito come il seno di una giovane donna, e subito venne soffocato, occultato, ridotto ad un eccitato gorgoglio.
Forse c'era stata una colluttazione disperata, a giudicare dalle impronte che marcavano il terriccio friabile ai margini del boschetto, tra gli aghi dei pini caduti in una pioggia improvvisa. Eppure se c'erano state una corsa e una lotta, adesso ne restava solo uno sbiadito ricordo.
Se c'erano state urla di rabbia e di paura, gemiti affannati e sofferenti, ora erano stati rimpiazzati dai tetri uggiolii di belva soddisfatta. Se era vero che una voce piegata dal terrore aveva esclamato: «Ti prego, lasciami in pace! Che cosa vuoi da me?», quella preghiera era stata zittita e ridicolizzata da una risposta sprezzante e sarcastica: «Non saprei, tu cosa ne pensi?».
La notte era troppo afosa ed era ammantata da un buio così fondo da sembrare una pesante cappa di velluto, del tutto fuori stagione, del tutto inopportuna e insopportabile.
L'odore della resina appiccicosa dei pini era talmente penetrante da dare alla testa e far venire le vertigini.
Nessun essere umano, in quell'oscurità profonda, poteva distinguere chiaramente il contorno di un cespuglio o la sagoma di un albero ad un palmo dal naso; nessun essere umano sarebbe stato tanto abile da non inciampare sulle radici sporgenti o da evitare di scivolare sul muschio viscido.
Nessun essere umano poteva...
Ma la notte non è mai stata fatta per i vivi.
Quel silenzio, poi! Era orribile, irreale e viscido come un mostro ghignante che poteva allungare ovunque i suoi tentacoli invisibili quando meno te lo aspetti per strangolarti.
Era odioso. Era doloroso. Era soffocante. Era pericoloso e ingannevole.
Improvvisamente, l'oscurità si contrasse, ebbe un guizzo come se qualcuno avesse appena tirato i fili di un burattino deforme e sembrò lacerarsi contro lo sfondo uniforme degli alberi – macchie nere su un fondale anch'esso tutto nero. La tenebra parve rischiararsi di colpo e prendere corpo in un paio di bestiali occhi rossi che dominarono la scena, brillando di eccitazione e furia.
Cupi ringhi gutturali, risucchi, gemiti di un folle e insano piacere sostituirono ogni altro suono naturale, scacciarono il frinire dei grilli, zittirono il verso profondo e affascinante del gufo. Erano i suoni di un pasto terribile. Erano i rumori immondi di una creatura carnale che consumava il suo osceno amplesso, impudica, desiderosa solo di rubare ciò che non possedeva più e che, tuttavia, era fonte di godimento e forza: la vita.
Erano forse secoli che quell'essere si aggirava per il mondo furtivo e sinuoso come il vento e si dimostrava letale come una pantera nel dare la caccia a ciò che più bramava: ai mortali, alle loro membra calde e morbide e alla voce musicale, ai loro occhi altamente espressivi e, soprattutto, a ciò che scorreva loro nelle vene.
Quella notte, si dimostrava spaventosamente sadico e vizioso, senza provare alcun rimorso, nel fare scempio del suo novello amante, quell'umano che stringeva con troppa forza – decisamente troppa, perché gli sarebbe bastato così poco per spezzare l'osso del collo alla fragile creatura che aveva ghermito.
Il dolore. La forza. Il potere. L'astuzia. Il piacere perverso. La Vita in Morte. Era esattamente ciò che il Vampiro rappresentava, assieme a un concentrato di pura malignità e avidità, perché aveva spalancato le porte della ragione alla Bestia e l'unica cosa che gli importava sul serio in quel momento era il suo pasto. Non c'era traccia dell'autocontrollo che lo contraddistingueva di solito, non c'era traccia della sua innata velocità di pensiero e della sua profonda e scaltra intelligenza. Ogni fibra di quell'organismo sovrannaturale era votata alla violenza ed era divenuta una perfetta e instancabile macchina di morte.
Non un'ombra di raziocinio nel sorbire il pasto e nel procurarsi quel sordido e unico piacere concessogli, il Vampiro seguiva una sola regola: sangue chiama sangue.
Una pozza di liquido viscoso e rosso si allargava come una sinistra, spaventevole sorgiva solo per la gioia maligna del Vampiro, eccitato ancor di più dall'odore ferroso e pungente del sangue trasportato dal vento impalpabile.
Rosso.
Il rosso era il colore dominante e aveva estirpato il nero del cielo notturno e del terriccio: il rosso delle sclere negli occhi del Vampiro, il rosso sulle sue labbra e sui denti aguzzi, sulle sue mani, sull'erba, sul corpo umano straziato da una cieca furia.
Il ronzio delle mosche, che si posavano sulla guancia tumefatta dell'uomo accasciato per terra e che ne carezzavano ignobilmente il profilo squadrato, accompagnò il deglutire estatico dell'Eterno.
Il Vampiro staccò la bocca dal collo della sua vittima, guardò i segni che aveva inferto coi propri denti aguzzi – due grossi e irregolari fori grondanti – e restò per un momento immobile nella contemplazione di quella fonte di cibo apparentemente inesauribile come un bambino innocente e troppo curioso. Chiuse gli occhi e lappò i rivoletti di sangue lungo la gola umana straziata con gran gusto e una immensa tranquillità.
Prese a far scorrere le mani sul corpo compatto del giovane uomo che aveva catturato, saggiò con le dita forti il calore e la consistenza della pelle, la morbidezza dei capelli, si inebriò del profumo del sangue speziato d'adrenalina, emise un vago sospiro e adagiò il corpo quasi del tutto svuotato di vigore per terra.
Annusò, leccò, graffiò, morse e martoriò la pelle per far affiorare ancora il sangue, strappò i vestiti della vittima, la spogliò del fucile da caccia e del coltello (povero mortale sventurato che da cacciatore era diventato preda!) e passò le unghie sul petto che si sollevava e abbassava con pietosa lentezza, in sofferti rantoli in cui si poteva avvertire l'avvicinarsi della fine di ogni sofferenza.
Afferrò il coltello, lo strinse con saldezza nella mano che, da pallida e gelida, era soffusa di calore ed era rosea al pari di un arto umano, ma latrice di una forza ben più grande riversata contro il petto dell'uomo in una pugnalata.
La lama penetrò la carne e la squarciò man mano che il Vampiro la faceva scorrere verso il basso, impietoso e incurante dei tormenti della sua vittima, che ebbe un tremito improvviso ed emise sillabe sconnesse col sangue che gli gorgogliava in gola e gli colava lungo il mento.
E poi l'Eterno gettò il pugnale e immerse le mani nel torace straziato, palpando le interiora fino ad afferrare il cuore. Con un sadico sorriso, lo strappò e lo tenne stretto nel pugno; sollevò il braccio e rovesciò il capo indietro con le fauci spalancate e spremette il cuore ancora pulsante.
Il sangue denso e appiccicoso colò lungo il braccio e, al pari di una cascata, si riversò nella gola riarsa del Dannato, ad estinguere la Sete incontrollabile ed ad incatenare finalmente la Bestia nel fondo dell'anima.
L'afa si disciolse all'arrivo di un refolo di aria che pareva stranamente gelida e venne la Morte a trascinare via l'ultimo e irrazionale barlume di luce negli occhi della preda, danzando in punta di piedi come una brezza leggera.

 

 

Note dell'autrice:

 

Storia partecipante alla settima Minidisfida indetta dal sito Criticoni, “Biathlon”.

 

   
 
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