Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    09/08/2020    1 recensioni
Al piano di sopra Tyrion esordì preoccupato: "Ancora nulla?"
Jaime non riusciva a staccare gli occhi dalla porta e dal corridoio, dal vuoto che Brienne aveva lasciato, da uno strano vuoto da cui si sentiva irrimediabilmente attratto. Non riusciva a staccare gli occhi da quel punto nel vuoto. Si sentiva turbato. [...] "Qualcosa." rispose Jaime vago. Qualcosa lo ricordava, qualcosa provava, era qualcosa a livello viscerale, un istinto, una forza che lo spingeva a proteggerla da sé stesso. Poi però c'era lei, c'era Cercei. Cercei occupava i suoi sogni, i suoi desideri, il suo cuore. Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarla, qualunque cosa lei gli avesse chiesto.
"Ti ama." spiegò Tyrion "Più di quello che meriteresti." aggiunse.
Era di Brienne che stava parlando e Jaime si concentrò per ricordarlo. "Lo so." rispose colto in fallo.

AU moderna in cui Jaime ha un incidente e perde la memoria, dimenticandosi di Brienne. E' banale, ma la sua semplicità mi pareva ideale per questo periodo.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister, Tyrion Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 
Tornata a casa Brienne si trascinò sul letto e cominciò a piangere. Pianse per il sollievo, per la gioia, per la stanchezza che si portava dietro e che sarebbe andata avanti precedendola sempre di qualche passo. Pianse perche Jaime era vivo e perché aveva passato tutta la notte a tenergli la mano. Gli aveva accarezzato le dita lunghe e forti una ad una, ricordandosi perfettamente che sensazione le davano sotto la pelle. Aveva percorso con gli occhi ogni tendine ed ogni vena, i peli chiari che gli crescevano sulle falangi e le unghie lunghe da tagliare.
Si addormentò con la testa sul suo cuscino, svegliandosi di sovrassalto qualche ora più tardi. Un martello le rimbombava nel cranio, gli occhi le bruciavano e la fronte le pareva la parte più pesante di tutto il corpo. La luce del giorno era già calata, il tramonto colorava di arancione il cielo e le pietre del cottage attiguo alla tenuta di Grande Inverno, dove Jaime e Brienne abitavano ormai da almeno un anno.
 
***
 
Avevano conosciuto quella struttura per la prima volta durante una passeggiata per i boschi del Nord, quella volta quando erano ancora amici. Passeggiavano spesso all'epoca. Cominciavano col correre nella natura, per tenersi in forma e finivano col camminare, nemmeno a passo tanto svelto, mentre parlavano di Cercei, di Renly, dei figli che Jaime non aveva mai potuto riconoscere, delle loro carriere e delle loro famiglie. A volte rimanevano in silenzio a guardare Grande Inverno, appesi ai cancelli di ferro che la  circondavano, sognando altri tempi, sognando di vivere in un palazzo e di poter disporre di tutti a proprio piacimento.
Durante una di quelle volte, vestiti di tuta e calzettoni, si erano imbattuti in un rudere di pietra, infilzato dalle fondamenta al tetto da un albero gigantesco che nel pavimento ci aveva messo le radici. Il tetto di legno scuro era ammaccato in più punti, le porte erano ammuffite, i vetri delle finestre un mero ricordo a circondare le intelaiature.
"E' antico." aveva commentato Brienne, che in genere non si sprecava in tante parole.
Jaime sapeva che Brienne era fatta così: si teneva per sé i commenti negativi ed esprimeva cifratamente i positivi. Era gentile nella sostanza. La osservò avvicinarsi al rudere come una bambina curiosa. Quando si girò a cercarlo la raggiunse.
"E' vecchio." rispose allora lui con notevole ritardo. "Decrepito." Non che non gli piacesse, non che non fosse curioso di controllare cosa ci fosse dentro, ma non aveva voglia di riempirsi le narici di polvere e piscio di topo.
Brienne sapeva che Jaime era fatto così: gli piaceva commentare e criticare, non si spendeva mai in complimenti; aveva una lingua erudita e folcloristica che richiamava la sua educazione da ricco uomo del sud. Quando non si perdeva in lunghi e volgari sproloqui lo intendeva sempre come un apprezzamento. Era polemico.
Quella volta erano entrati per la prima volta in quella che un giorno sarebbe diventata la loro casa. L'avrebbero comprata e ristrutturata giocando con la calce e la vernice, baciandosi sotto le radici di quell'albero gigante che cresceva al posto del tavolino al centro del salotto, nascondendosi dal freddo sotto alle coperte calde.
 
***
 
Dal primo momento in cui Brienne aveva scoperto che Jaime non ricordava, le memorie la perseguitavano: la prima volta in casa, il primo bacio, la prima e l'ultima volta che avevano fatto l'amore, i primi dubbi, le ultime certezze. Li allontanò tutti con un movimento infastidito della mano, come una mosca che le ronzava attorno alla testa, dicendosi di farsi forza e pensare al presente. Si lavò, si sistemò, preparò una borsa e ci mise dentro  tutto quello di cui Jaime avrebbe potuto aver bisogno e corse nel buio della notte invernale verso l'ospedale.
Quando arrivò riconobbe subito la voce di Tyrion dal fondo del corridoio: per essere un nano aveva  delle corde vocali particolarmente sviluppate e profonde, che gli piaceva utilizzare fin troppo di frequente.
L'ospedale si era trasformato da quella mattina, come ogni volta che calava il sole. Le luci artificiali gli davano paradossalmente un aspetto più accogliente, meno asettico. Era come riconoscere quei posti. L'odore di cibo sui vassoi riempiva le stanze anche se si trattava solo di mineste. C’era un via vai di persone, accompagnatori e parenti, che imparavi col tempo a conoscere: quello che assiste la ragazzina disabile; l’infermiere privato della notte; il figlio e la nuora del paziente nel letto quattro. Si scambiavano spesso quattro chiacchiere alla macchinetta del caffè, prima in modo più titubante poi piano piano sempre più disinvolto.
Brienne quella sera camminò a passo svelto fino a raggiungere la stanza di Jaime. Era nervosa, agitata, come ogni volta che lo lasciava e finalmente era di nuovo da lui. La sua voce suonava cristallina attraverso la porta, lo sentiva ridere e non le sembrava vero. Prese un respiro profondo ed abbassò la maniglia.                                                                                                                                                                       
"Ciao."
Calò il silenzio tra i due fratelli, che si voltarono entrambi spensierati a guardare verso la porta, come se cercassero di mantenere un segreto. A Brienne sembrò di aver interrotto qualcosa e si sentì immediatamente fuori posto. Di solito accadeva il contrario, quando lei era con Jaime e Tyrion interrompeva i loro animati discorsi. Era fuori posto, come se non c’entrasse più nulla con lui.
"Ciao." rispose allora Jaime.
Tyrion sollevò una mano e salutò agitando quella in modo buffo.
Brienne rimase a guardarli. Tyrion pareva più giovane di qualche anno con dei vestiti puliti addosso ed un sorriso da poco sbiadito sul volto. Jaime invece era così diverso da appena qualche ora prima: la barba era più corta, sfoltita con le forbici; i capelli più ordinati, pettinati, seppur ancora appiccicosi; aveva ripreso colorito in volto, le guance erano rosee e si teneva seduto sul letto con la schiena poggiata al cuscino. I suoi occhi erano vivi ed attenti ed in pochi secondi gli caddero sul borsone che la donna si portava appeso alla spalla.
"Ti ho portato qualcosa da casa," si affrettò a spiegare lei non appena se ne accorse "qualche vestito, un paio di scarpe..."
Jaime non aveva pensato a nessuna di queste cose così pratiche. Nella sua testa si sarebbe limitato a poggiare i piedi a terra, camminare nudo o con un camice pulito addosso, di quelli bianchi e celesti che gli avrebbero lasciato la schiena ed il deretano scoperti. Non aveva invece neanche mai pensato al momento in cui avrebbe lasciato l'ospedale. "Casa?" fu quello che si limitò invece a chiedere. Curiosamente non era capace di ricordare un posto da poter chiamare casa.
Brienne si agitò nervosa, guardò Tyrion cercando aiuto, si sistemò la borsa di nuovo sulla spalla come se fosse pronta ad andar via invece che a restare e poi cominciò a balbettare "S-sì, casa, dove noi... l'abbiamo... abbiamo..." provò a spiegare, non sapendo da dove cominciare per raccontare quella storia, né se lui fosse pronto a sentirla.
Per un momento Jaime la guardò intenerito da quella timidezza e da quel pudore affettivo. Sorrise e decise di trarla in salvo. "Non preoccuparti," cercò di tranquillizzarla. "So tutto." disse ed indicò Tyrion con un cenno del capo, che scrollò le spalle come a chiederle scusa o ad accettare i suoi silenziosi ringraziamenti. I suoi movimenti erano sempre indecifrabili.
"Ah." fu tutto quello che Brienne riuscì a commentare, sollevata di non dover raccontare all'uomo che amava e che l'aveva amata (e che probabilmente non se ne ricordava più) la loro storia. Si guardò attorno, cercò il tavolino sotto al muro e vi poggiò la borsa.
"Lo dimettono domani." annunciò Tyrion dando una pacca sulla spalla del suo fratellone. "Hanno detto che può continuare la fisioterapia da casa."
"Oh, è una splendida notizia." rispose lei, mantenendogli ancora le spalle. Sarebbe dovuto tornare a casa così? E cosa sarebbe successo? Avrebbe ricordato? L'avrebbe accettata di nuovo, amata di nuovo? Strinse gli occhi e scosse il capo, sperando di non dare a vedere il suo disappunto, di non pensare alle mura di casa, al vecchio Jaime, al suo Jaime.
"Sembri infastidita." la spiazzò subito lui. Già, quella era una caratteristica che non perdeva mai.
"Sono sorpresa." spiegò invece Brienne, poi si ricompose e si voltò. "Ieri avevano detto che avresti avuto bisogno di tempo."
"Posso aspettare anche in un altro posto."
"Certo, dove vuoi." l'accontentò lei incrociando le braccia, proteggendosi in maniera passivo-aggressiva dai suoi attacchi. No, questo non era da lei.
"Bene." rimarcò lui.
Jaime era tranquillo. Guardava Tyrion che alzava le mani innocentemente, come se gli volesse dire che lui non ci poteva far niente e poi gli diede una pacca nel punto più alto del braccio del fratello che riuscì a raggiungere, ma non ridevano più. La sua voce non era leggera come quella che aveva con Tyrion fino a qualche minuto prima che lei si palesasse, non come quella che aveva sentito dal fondo del corridoio.
Brienne sentì di nuovo le lacrime salirle agli occhi ed il bisogno di allontarsi velocemente da quella stanza. "Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?" domandò, inventando la prima scusa più palusibile che riuscisse a pensare "Acqua, un panino, una pizza... Patatine?" chiese nominando tutto quello che le venisse in mente di cui Jaime andava pazzo.
"Dell'acqua andrà più che bene." rispose lui. E Jaime lo sapeva che la sua era una scusa e la stava allontanando con una bugia. Una bottiglia d'acqua fresca e frizzante giaceva mezza piena già sul suo tavolino.
Forse era troppo. Brienne credette di essere stata troppo invadente, troppo dura, troppo inopportuna, troppo poco felice per lui, troppo concentrata sui suoi bisogni, troppo poco quello di cui lui aveva bisogno o semplicemente era stata di troppo. Per Jaime era come avere un'estranea attorno.
Al piano di sotto Brienne diede un pugno al distributore automatico. Non riusciva a vedere quello che era caduto dai nastri. Si concesse altri due sfoghi di rabbia bruta e violenta, fino a quando il vetro della macchina non emise uno strano rumore e cominciò tutta la macchina a dondolare. La rimise in piedi, tirò su col naso e si sporse a controllare cosa fosse caduto. Raccolse allora una bottiglia d'acqua (guarda caso) e poi lasciò comunque le monete necessarie per pagarla.
Qualcuno le avrebbe rubate, le scappò di pensare, concentrandosi sulle futilità.
Continuò a piangere nel corridoio vuoto, scivolando in terra con il muro bianco e sfarinoso a reggerle la schiena.
 
***
 
Al piano di sopra Tyrion esordì preoccupato: "Ancora nulla?"
Jaime non riusciva a staccare gli occhi dalla porta e dal corridoio, dal vuoto che Brienne aveva lasciato, da uno strano vuoto da cui si sentiva irrimediabilmente attratto. Non riusciva a staccare gli occhi da quel punto nel vuoto. Si sentiva turbato. Era una sensazione ambigua: quando Brienne c'era era infastidito dalla sua presenza, avrebbe voluto sbatterla fuori dalla porta, urlarle di smetterla di assillarlo, di guardarlo come se aspettasse qualcosa; poi invece quando Brienne non c'era desiderava che tornasse, desiderava tornare ad essere quella persona che lei ricordava. Voleva quasi che gli raccontasse chi era quello che stava con lei fino a prima dell'incidente.
"Qualcosa." rispose Jaime vago. Qualcosa lo ricordava, qualcosa provava, era qualcosa a livello viscerale, un istinto, una forza che lo spingeva a proteggerla da sé stesso. Poi però c'era lei, c'era Cercei. Cercei occupava i suoi sogni, i suoi desideri, il suo cuore. Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarla, qualunque cosa lei gli avesse chiesto. Era un sentimento folle, a tratti infantile, a tratti fin troppo adulto.
"Ti ama." spiegò Tyrion "Più di quello che meriteresti." aggiunse.
Era di Brienne che stava parlando e Jaime si concentrò per ricordarlo. "Lo so." rispose colto in fallo.
Tyrion sospirò. "Anch'io." rispose complice.
 
***
 
Quando Brienne tornò da loro, ritrovò la porta chiusa ed i vetri della stanza che guardavano verso il corridoio oscurati alla bene e male con un paio di lenzuola tese da parte a parte. Entrò spaventata, terrorizzata che fosse successo qualcosa o che lì dentro ci fosse Cercei e che lei lo avesse circuito come un invalido, un mentalmente instabile, per nascondersi là, sotto gli occhi tutti.
Aprì la porta quasi di scatto e quello che vide andò oltre ogni sua più viva immaginazione. Il letto era stato spostato ed addossato al muro, le asticelle delle flebo al centro della stanza in fila indiana come se fosse una corsa ad ostacoli, il comodino fatto da parte nell'angolo, in modo tale creare il più grande spazio possibile. Jaime torreggiava in piedi al centro, appeso alla parte del mobilio che riusciva a trovare. Teneva addosso solo una maglietta, le scarpe ed un paio di mutante pulite che Brienne gli aveva appena recapitato. Jaime cercava qualcosa con la mano più in basso e solo allora la donna vide il folletto che con i palmi rivolti verso l'alto, cercava di tenere il fratello in piedi meglio che poteva.
Fu questione di secondi prima di vederlo quasi andare a terra. Abbracciando ancora un paio di bottigline d'acqua e qualche bibita gassata, Brienne si lanciò su Jaime, così che si tenesse col braccio attorno alle sue spalle, tenendolo invece per la schiena.
"Siete pazzi." disse prima ad entrambi "Sarebbe potuto cadere e sbattere di nuovo la testa." disse poi verso Tyrion.
"Oh, non ti preoccupare." cercò di tranquillizzarla Jaime, ignorando la sua agitazione. "Che potrà succedere peggio di così?". Cercò di mettere un piede davanti all'altro, di camminare verso la porta e poi tornare indietro verso il bagno. Cercò di contare sul suo appoggio quanto meno possibile, di piegare e poi stendere le ginocchia, tenendo le gambe dritte e solide come colonne. Sentì i muscoli tremare, ma continuò a camminare imperterrito, fino a quando il ginocchio cedette e quasi non cadeva.
"Te l'avevo detto." ci tenne a rimarcare Brienne afferrandolo di nuovo, tenendo stretta la maglietta in un pugno dietro la sua schiena.
"Sì, me l'avevi detto." Jaime strinse gli occhi cercando di ignorare il dolore acuto al ginocchio e quello più sordo alla testa, che cominciarono a chiedere pegno. "Sono cocciuto." aggiunse.
Cocciuto era la parola che usava Brienne per definire Jaime. Era la parola che aveva usato più frequentemente quando avevano preso a montare i lampadari, quando si erano messi a montare mobili, a tagliare la legna, a mettere i soldi da parte per comprare quella casa. Brienne usava la parola cocciuto più di ti amo, tesoro o amore con Jaime. Jaime era cocciuto. Solo perché aveva avuto una rigida educazione ed era cresciuto lontano dalla famiglia, credeva di saper ristrutturare un rudere di montagna, montare mobili a basso costo ed appendere lampadari.
"Ehi, i miei occhi sono quassù." lo sentì scherzare e richiamare la sua attenzione.
Brienne aggrottò la fronte confusa, si riprese dal suo stato di catalessi e si rese conto di guardare proprio in basso troppo in basso. "N-non stavo..."
La risata di Tyrion, divertita e musicale, le ricordò anche della sua presenza. "In effetti ne ho sentite molte su di te, fratellone."
Fu allora che Brienne arrossì, più di quanto freddo ed acne avessero mai potuto fare negli anni sulla sua pelle. Si tirò su e si augurò di poter diventare invisibile, mentre le risate dei due fratelli risuonavano per la stanza, allegre e gioviali proprio come aveva sentito ed invidiato all'inizio.
"Non è niente che non abbia già visto!" sbottò lei per riscattarsi.
"Touchè!" alzò le mani il nano.
Si voltarono verso Jaime, aspettando uno nuovo scambio di battute, ma su di lui cadde il silenzio. Di nuovo fu per Brienne, per come aveva rovinato tutto. Era stata di nuovo inopportuna, invadente. Si sentiva in quel momento come si era sentita all'inizio con lui, come quella volta che l'aveva conosciuto, quando tutto quello che Jaime dava a vedere era una realtà fatta di apparenze. Si trovava davanti ad una persona che parlava come Jaime, scherzava come lui, si muoveva come lui, ma non era il suo Jaime. Una ciocca di capelli gli era ricaduta sul viso e Brienne non poteva neanche allungare due dita per riportargliela indietro.
I giochi finirono presto e nulla ebbe a che vedere con lo scambio di battute appena terminato. Un'infermiera, allertata dal baccano, aprì la porta di soppiatto senza neanche dare un colpo di nocche per annunciarsi. Rimase a bocca aperta mentre si trascinava un carrello pieno zeppo di scatole di medicine per tutto il corridoio. Balbettò qualcosa di incomprensibile ed agitò le mani, per poi riprendere contegno ed invitare tutti i visitatori ad accomodarsi all'uscita.
Tyrion e Jaime si comportarono come bambini colti in fallo, abbassando gli occhi e nascondendo le mani dietro la schiena, pur non avendo niente da nascondere tra le dita.
"Ci dispiace." cominciò a ribattere Brienne, chiudendosi le mani sul petto, quasi fosse indifesa in quel posto in quella situazione. Intendeva scusarsi, non era quello il modo di comportarsi, non avrebbe dovuto aiutare i due fratelli, ma chiamare medici ed infermieri per aiutare Jaime. Loro avrebbero saputo come meglio fare.
"E' stata colpa mia." si levò alla fine Jaime. Alzò prima una mano, poi con la stessa fece per appendersi ai braccioli della sedia su cui era crollato poco prima. Traballante ed instabile, un po' alla volta si tirò su, fino a ritrovarsi ricurvo sulla schiena ma dritto sulle gambe.
"Signor Lannister." lo ammonì quella col dito. "Ci fa piacere che stia in piedi, ma dovrebbe almeno abbassare la voce." continuò, parlando al plurale come tutti gli altri sanitari che lavoravano in quel posto. L'infermiera comunque lo guardò e sospirò, cercando di nascondere l'orgoglio ed il sollievo per quel giovane paziente. "Ora dovreste andare, solo un parente per paziente." disse e li istruì alla fine rabbonita, lasciandoli per ritornare al suo carrello ed alle sue medicine.
"Da lei sì che mi farei fare una spugnatura!" mormorò Tyrion verso il fratello con sguardo complice colpendolo ad un braccio col gomito, cercando di strappargli un sorriso.
Brienne lo ignorò in un primo momento, cadendo nelle vecchie abitudini, per poi allungare l'occhio e cercare la reazione di Jaime che, diversamente da quanto s'aspettava, sorrideva apertamente. La donna si disse di mantenere i nervi saldi, di non dare peso alla faccenda, di ignorarlo: non ricorda di stare con te, non ricorda di essere legato sentimentalmente, è normale che guardi altre donne più belle di te, ma passerà. Passerà quando si ricorderà di te.
"Vado via." annunciò Brienne, poi guardò il nano con una punta di disprezzo, come se quella battuta innocente avesse potuto davvero aumentare il divario tra Jaime e lei. Tyrion le fece solo un cenno col capo, ignaro del suo turbamento emotivo, confuso forse da un possibile eccesso di rettitudine morale che gli metteva le manette ai pensieri.
Brienne si avviò verso la porta e poco prima di allontanarsi dalla portata d'orecchio, la voce di Jaime la bloccò. "Passi a prendermi domattina?" chiese lui "Per favore".
C'era un velo di formalità che metteva le distanze tra loro. Ti ci devi abituare, si ripeteva lei nella sua testa mentre lo guardava, almeno finché non cambia la situazione. Si sentiva mancare la terra da sotto ai piedi. Come avrebbe fatto a dormire a casa loro sapendolo nell'altra stanza a pensare a Cercei? Era una condizione temporanea, sapeva che era così, che doveva essere così. Ce l'avrebbero fatta ancora una volta.
"Certo." rispose solo e s'avviò fuori.
"E' un'idea sua." recitava un SMS di Tyrion qualche minuto più tardi, probabilmente per motivarla. Probabilmente le si leggeva in faccia qualunque emozione stesse provando, come al solito.
 
***
 
Il mattino seguente, alle otto di buon ora, si trovava già in sala d'attesa davanti alle porte chiuse dei reparti. Vedeva passare medici ed infermieri digitando combinazioni segrete di numeri su tastierini. Ogni volta che uno di loro apriva la porta lasciandola fuori, una ventata di odore di detergente le inondava le narici. Quell'odore pungente cominciava a darle la nausea.
Attese che le venissero consegnate le dimissioni, una lunga lista redatta su tre pagine intestate di cose da fare e non fare: non svolgere attività fisica, non sollevare carichi pesanti, segua la dieta, assuma le medicine... Se la imparò a memoria in pochi minuti in piedi mentre aspettava che Jaime a passo lento la raggiungesse.
Quella mattina doveva essersi svegliato presto anche lui. Quel Jaime che aveva davanti era molto più vicino al Jaime che conosceva: non aveva più la barba, i capelli erano lavati e tagliati in maniera più o meno precisa, aveva addosso una maglia bianca a mezze maniche ed il cappotto pesante che copriva le sue forme ancora molto esili. Camminava appoggiandosi ai corrimano lungo i muri, metteva piano piano un piede dopo l'altro e con un mano reggeva il borsone che gli aveva portato lei il giorno prima.
"Non sollevare carichi." gli disse immediatamente andandogli incontro. Gli tolse il borsone da mano e se lo tenne stretto in modo che non glielo potesse sottrarre di nuovo.
"Ce la faccio, andiamo." protestò lui con quella voce volutamente dolce e premurosa. Era la stessa voce che usava quando voleva aiutarla a fare qualcosa che sapeva sarebbe riuscita anche a fare da sola. Una volta Jaime le aveva detto che gli piaceva sentirsi utile per lei: aprirle un barottolo, portare la spesa, tagliare la legna per il fuoco, spostare questo o quello. Il fatto che lei fosse capacissima in ognuna di quelle cose non significava che lui non potesse aiutarla. Era gentile ed ogni volta che faceva qualcosa per lei Jaime le regalava anche un bacio.
"Le istruzioni parlano chiaro." gli sbandierò davanti alla faccia quell'elenco di regole che avrebbe dovuto seguire, su cui Brienne avrebbe dovuto sorvegliare per aiutarlo in una veloce guarigione ed entrambi sapevano quanto fosse importante guarire velocemente. "Non puoi sollevare pesi" protestò di nuovo e mantenne salda la presa, mentre Jaime allungava la mano per riprendersi le sue cose.
"Al diavolo." fece alle fine lui mettendogli via quei fogli. Glieli strappò da mano e se li stropicciò in una tasca del giaccone, lasciandosi alla fine aiutare.
Insieme, Jaime e Brienne si trascinarono lontano dal corridoio in cui aveva vissuto per quasi un mese, dentro all'ascensore, giù per le scale. Ritirarono le carte per le medicine e si avviarono verso l'uscita silenziosamente.
Poco prima che si aprissero le porte dell'ospedale, Brienne cacciò fuori due mucchietti di lana dallo zaino. Ne tirò uno verde a Jaime, quello che lui usava sempre quando erano soliti andare a cercare insieme legna nel bosco. Lo studiò con fare disattento sperando che lui si ricordasse come si indossava, poi si mise in testa quello bianco e nero che le aveva regalato proprio lui lo scorso anno. Ciuffi di capelli biondi le sfuggivano arrotolandosi sull'orlo elettrostatico di lana. Brienne se li schiacciò con le mani inguantate senza ottenere alcun risultato, poi uscì seguita dallo strisciare rumoroso dai suoi passi pesanti che con un crack schiacciavano la neve.
"Andiamo a casa." fece lui, chiudendosi dietro la portiera della macchina.
"Andiamo a casa." fece lei assertiva, mettendo in moto.


 


Angolo dell'autrice
Ohibò, buon salve. Mi sentivo ispirata ed ho deciso di aggiornare una delle storie che per ora ritengo meglio scritte ed un po' più adulte per i miei standard. 
Questo è il secondo capitolo della mia storia. Non ho molto da dire, mi auguro che vi piaccia ed intrighi almeno un pochetto. Alla prossima. 
  
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