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Autore: Dragonfly92    09/08/2020    1 recensioni
Tobia è un uomo che ha trovato, nella solitudine, la sua felicità.
Yuri è un bambino che, invece, non l'ha mai conosciuta.
Un passato ingombrante, un ricatto, la forzata convivenza e la scoperta di un'infanzia mai esistita: pelle livida, cuore cianotico.
Piccoli, faticosi passi per arrivare a capire, scoprire, disinfettare le emozioni.
E difenderle, quando il passato torna a reclamarne la potestà.
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(La storia è legalmente protetta da copyright)
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Sei Verticale – Chi la fa, è tenuto a mantenerla
 
 
“Puoi… chiamare il bambino? E preparargli qualcosa da mangiare…”
Lo sguardo di Adele è duro.
Tobia lo comprende.
Lo accetta.
Lo merita.
Per questo rimane in silenzio anche quando la donna si allontana gorgogliando rabbia senza preoccuparsi di evadere dal suo ruolo.
“Io chiama bambino soltanto adiesso! Poi ci piensa Siniore Tobia!”
Un singolo cenno col capo.
Fine della discussione.
Un lungo sospiro stanco accompagna il sedersi sul divano.
E solo appoggiando i gomiti sulle ginocchia Tobia si accorge del frenetico e nervoso movimento della gamba.
Che blocca subito.
Per poi alzare gli occhi.
 
Passi leggeri, le scale non scricchiolano quando il bambino vi posa le sue scarpe grandi.
Evidentemente grandi.
Qualche secondo di autocommiserazione, uno scuotere la testa rivolto alla propria anima.
Qualche secondo che avrebbe dovuto impiegare per avvertire Yuri dell'ultimo gradino, lo stesso che gli è quasi costato una rotula.
Yuri inciampa, le ginocchia si scontrano col parquet e subito lo abbandonano, come se niente fosse successo.
 
Ed eccolo lì.
Di fronte a lui.
Come gli è stato chiesto.
Fermo, immobile.
Come gli è stato insegnato.
 
Tobia lo osserva alzare leggermente lo sguardo, riabbassarlo.
Deglutire più volte, più forte, alla ricerca della cosa giusta da fare.
O da non fare.
La pressione pulsa nelle tempie e l'uomo le massaggia nel vano tentativo di comprimerle e riuscire a catalogare le idee in maniera coerente.
 
“Yuri.”
Fatica.
Ecco cosa prova Tobia: un'immensa, terribile fatica.
Non solo nel pronunciare il nome ma nel sopportarne la sorpresa, l’intensa emozione suscitata.
 
“Vieni, siediti.”
Tobia cerca di ignorare il disprezzo per la nota troppo morbida che ha assunto il suo invito,  accompagnato dall'indicare la poltrona di fronte.
Eppure il bambino non si muove.
L’uomo apre e richiude la bocca.
Gli sfugge qualcosa.
“Non dare niente, per scontato.”
Secondi ben impiegati.
Che lasciano perdere i rimproveri mentali e si dedicano alla comprensione.
All’osservazione della sua palese incertezza.
“Puoi sederti, sulla poltrona…”
Yuri si muove a disagio.
Non è sicuro di aver capito bene ma non vuole neanche fare la figura dello stupido.
Però, il Signore ha proprio detto ‘Poltrona’!
Forse è come quando Kevin gli dice che può toccare i suoi giochi e…
“Ragazzino!”
Gli occhi scattano subito verso l'alto.
Il Signore gli ha detto di fare una cosa semplice, perché deve far sempre arrabbiare i grandi?
I passi si muovono veloci, per poi bloccarsi.
Di fronte alla stoffa così importante sulla quale si siede con cautela, pronto a cogliere ogni contrordine.
 
“Yuri…”
 
Un applauso mentale.
Più lo ripete, più diventerà semplice.
Per entrambi.
Vero?
 
“Cos'è quella?”
Lo sguardo si posa sull'oggetto sferico chiuso nella piccola mano.
Andrea gli ha già spiegato di cosa si tratta, però ha anche detto di farlo parlare, di fargli domande e quello è un buon punto di partenza.
È un buon punto di partenza?
Forse.
Forse per lui, non per Yuri.
Che subito si tende, incespicando nelle parole e stringendo forte le mani, per vincere la voglia di catapultarsi giù dalla poltrona dove gli è stato detto di stare.
 
“M-Mi d-dispiace, Signore! I-Il, i-il, i-il…”
Desolazione.
Forza.
“I-Il b-bambino l-l-la… L-L-La re-re-restituisce e…”
“Yuri.”
Tobia frena il turbinio di parole, prima che degeneri.
Ed è sorprendente come il solo fatto di chiamarlo per nome riesca a sconvolgere tanto il bambino da togliergli le parole.
“No, Yuri. Quella è tua. Volevo soltanto sapere cosa fosse…”
 
Il piccolo pugno si apre e si chiude veloce, stringendo la pallina.
Deglutire sembra un'impresa ardua.
Così come riuscire a capire cosa e dove deve guardare.
“Sì, Signore! Il…I-il Signor D-Dottore… I-il Signor D-Dottore l'ha d-data al b-bambino.”
“Bene e ti ha detto a cosa serve?”
“Sì, Signore.”
Per l'amore del cielo, sarà una conversazione estenuante!
Anche la più breve risposta sembra costargli una fatica immensa.
Gli costa, una fatica immensa.
Col tempo sarà più facile ha detto Andrea.
Tobia si ritrova a sperare che abbia ragione.
 
“Puoi spiegarmelo, Yuri?”
Il bambino inspira a fondo.
Quel Signore…
È così paziente con lui!
E gentile.
Ecco, deve soltanto impegnarsi e rispondere bene.
Ah, e respirare.
Quello, a volte, lo dimentica.
“Sì, Signore!”
Una piccola pausa.
Respirare.
Respirare, di nuovo.
“I-Il Signore ha d-d-detto… C-Che s-serve p-per la m-mano, Signore. C-così poi f-funziona d-di nuovo e…
P-P-P… P-Per sc-scrivere e p-p-p… P-P-Per…”
È mancino!
La deduzione viene accolta con la stessa euforia di un bocciolo schiuso nonostante il gelo, ma con la stessa rapidità con cui è nata, appassisce.
Probabilmente Andrea lo ha compreso molto prima di lui.
Sicuramente, l'ex compagno avrebbe avuto più ponderazione, nell'osservare gli esercizi di scrittura che gli aveva assegnato ed avrebbe anche colto l'immenso sforzo che il ragazzino stava compiendo.
Scrivendo con la mano opposta, nel tentativo infantile e coraggioso di non rovinare il foglio con le contratture nervose del braccio.
Adesso Tobia lo vede.
Un sospiro colpevole, un portarsi la mano sotto il mento per contemplare la situazione.
“M-Mi dispiace, Signore.”
“Per cosa ti stai scusando?”
“P-Perché s-sono l-l-lento e n-non… N-Non s-s-s… S-Spie-go b-bene, v-v-v…
V-Ve-Ve…
L-lento.”
Gli occhi tornano a fissare le scarpe, proiettando nella tela consumata la sua anormalità.
 
Perché non può parlare come tutti gli altri bambini?
“Yuri, guardami, per favore…”
 
Stupore.
Un ‘Per favore’.
Inatteso, mai avuto.
“Non devi  scusarti per cose che non dipendono da te. Vedrai che col tempo riuscirai a parlare più…Velocemente, se è quello che desideri, ma non scusarti, non ce n'è bisogno.”
Il piccolo sembra soppesare le parole.
Davvero un giorno ci riuscirà?
Proprio come gli altri bambini?
O forse è uno scherzo?
 
“Senti, Yuri…”
Di nuovo il suo nome.
Oh, è così bello sentirsi chiamare così!
Che Signore così…
Buono!
E che bellissima poltrona!
Le piccole dita sfiorano la stoffa ruvida, percorrendone il ricamo il rilievo.
È una sensazione tanto bella!
“Yuri, tu sai… O forse non lo sai, ma io sono il tuo…”
Zio?
Zio!
Z-I-O
ZIO.
“Tutore.”
Se i suoi pensieri fossero corporei, spalancherebbero la bocca per lo shock.
Il bambino non osa fare domande.
Ma quella, quella è proprio una parola strana.
 
Tobia coglie lo sforzo che il bambino sta facendo per seguire il suo discorso e prende una pausa dalla sua lotta interiore.
Racimola tutta la pazienza, per trovare parole comprensibili.
Deve spiegare con lentezza. Deve risultare convincente.
Deve semplicemente fare ciò che non ha mai fatto.
Semplicemente.
 
“Insomma, sai che starai qui, in questa casa, con me; quindi ci saranno delle nuove regole.”
 
“Sì, Signore!”
Più tardi.
Più tardi gli farà perdere anche quell'odiosa abitudine.
Un passo per volta, si rammenta.
 
“La prima regola, Yuri, è che qui nessuno e MAI, alzerà le mani su di te.”
Tobia fa una breve pausa, studiando gli occhi concentrati del bambino.
Che si socchiudono appena, per mettere bene a fuoco il senso delle sue parole.
“Faremo i compiti, degli esercizi. Studierai e migliorerai la lettura e la scrittura, tuttavia, se sbaglierai, non verrai mai punito con… Come quando eri nell'altra casa. Capisci cosa ti voglio dire?”
La bocca si apre e si chiude.
Incertezza, titubanza.
“Puoi parlare, se vuoi…”
L'incoraggiamento non ottiene risultato.
“Yuri, nella casa dove stavi prima…Ti punivano?”
“Sì, Signore!”
La risposta tempestiva, istantanea, sembra soddisfatta.
E lo è, in realtà.
Yuri è felice quando conosce le risposte giuste.
“Chi, Yuri? Chi era che ti puniva?”
“I-il Signor C-C-Corrado, Signore…”
Quel nome è doloroso.
Tobia lo vede e il suo stomaco si stringe.
“Soltanto lui?”
“N-No, Signore. A-anche… A-Anche T-T-Toni, a v-volte.”
“Il ragazzino che era in casa?”
“N-No, Signore. K-K-Kevin… L-Lui e-era K-Kevin.”
 
K-K-Kevin! K-K-Kevin!
Ma ti senti quando parli?
E quello dove stai ora lo sa di quanto sei anormale?
 
Tobia studia la crescente agitazione muovere le dita sul braccio.
Andrea gli ha riferito dell'abitudine nervosa.
Dello scavare la pelle, per seppellirci le emozioni.
Della necessità di insegnargli a sfogarle in maniera più sana.
Con quella pallina.
E col suo aiuto.
Probabilmente, dimentico del soprannome che lui stesso gli aveva affibbiato.
“Tua madre?”
La domanda è schietta, violenta.
Come, Tobia si sorprende, esserlo anche la risposta del bambino.
“L-La mamma è s-stanca! L-La mamma dorme!”
C'è un'espressione di sfida ad incorniciare la dichiarazione.
“Ti ripeterò la domanda ed esigo un tono consono, Yuri. Tua madre ti…”
“È s-stanca! D-Dorme! N-Non.”
Tobia freme nell'impulso di redarguirlo.
“N-Non…”
Ma c'è un riprendere fiato, il mento che trema.
I denti digrignati.
Piccoli scatti, le unghie nella pelle.
E forse non è lui che Yuri sta sfidando.
Non è lui che ha interrotto, ma un moto di emozione.
Di dolore. 
Che nessuno dei due è pronto ad affrontare.
Un passo per volta.
Un Passo
Per Volta.
“Yuri, loro ti facevano male? Corrado e Toni… Ti facevano male?”
“Sì, Signore!”
Di nuovo il tono orgoglioso.
Il nodo alla gola è sceso.
Di nuovo la sensazione di nausea.
Il nodo allo stomaco è cresciuto.
“Questo non è bello”
Tobia si sporge appena dal divano, calamitando lo sguardo perplesso e mortificato del bambino.
Non doveva dirlo?
“Ciò che ti hanno fatto, farti male… Non è bello.”
Osserva i piccoli occhi divenire grandi per lo stupore.
“È sbagliato, Yuri. Loro, sono stati… Molto cattivi.”
Il bambino porta entrambe le mani alla bocca, come se lui stesso avesse detto un qualcosa di impronunciabile.
“Non si picchiano i bambini, Yuri. E qui nessuno, ti farà del male. Niente schiaffi, niente calci, niente…
Cinghia. Ora capisci?”
Il piccolo rabbrividisce, ad ogni parola.
Gli occhi diventano liquidi.
Perché gli sta dicendo quelle cose?
Forse…
Forse perché non sa.
Sicuramente, perché non sa.
 
E quello dove stai ora lo sa di quanto sei anormale?
 
E lui è quasi tentato di non dire niente ma…
Ma il Signore è così bravo.
Ed è stato così paziente e gentile che deve dirgli la verità.
Deve.
Anche se fa male alla gola, anche se fa dolore il petto.
Anche se è difficile perché l’aria sembra così poca.
Tanto da schiacciare le sue parole e le speranze che per un attimo, uno soltanto, si erano aggrappate alla voce seria dell'uomo.
Alla sua nuova regola, così…
Così bella.
Ma Yuri non può.
Davvero, non può.
E allora cerca di compattare il nodo, spingerlo giù, via dalla gola, via dal cervello.
Il Signore non sa con chi sta parlando.
Trattiene un sorriso, perché per la seconda volta in vita sua ha provato una sensazione travolgente.
Ma non dolorosa.
 
Niente schiaffi, niente calci, niente cinghia.
Oh!
Una volta l'ha sognato.
Yuri lo ricorda e se chiude gli occhi può rivivere la stessa, identica emozione.
E anche…
Anche l'altra.
Quella che gli aveva strappato più lacrime di quante mai ne avesse versate prima.
Perché Yuri non aveva mai pensato che le cose potessero andare diversamente per lui.
E sognarlo, vederlo, viverlo e respirarlo, poi aprire gli occhi ed essere preso a schiaffi dalla realtà era stato atroce.
Si era illuso.
Ci aveva creduto.
 
“Smettila o te lo do io un buon motivo per frignare!”
 
Non era riuscito a smettere.
E le conseguenze le porta ancora addosso.
 
Insieme alla consapevolezza che le cose belle, non sono per lui.
Che non potrà mai essere un bravo bambino, però… Può essere coraggioso.
E sincero.
Sì, quello può sceglierlo.
 
“S-Signore…”
L'attesa di un cenno, per poter proseguire.
“È c-che… F-forse il Signore n-non lo s-sa ma…”
 Lo sforzo, di trattenere il pianto.
“M-Ma i-il b-bambino n-non è…
La voce si incrina, sotto il peso di una verità così dolorosa.
“N-N-N… N-Normale.”
Yuri glielo dimostra indicandogli i suoi occhi sbagliati, poi distoglie lo sguardo e prosegue.
 
“È… I-Il b-bambino è d-diverso e…”
Ancora la terza persona.
Per un io, che non si accetta.
“E n-noi d-dobbiamo per f-forza d-dare… Le… L-L-Le… Lezioni!”
Una parola, che fa così male.
“S-Siamo co-costretti sennò…”
Dolore, che scivola sulle guance.
“S-Sennò n-non capisce…”
Una piccola mano, che le scaccia arrabbiata.
“N-Non c-capisce! N-Non capisce! È ca… Cattivo!”
Yuri la sputa, quell'accusa.
E riprende fiato, per cercare di comprimere tutto ciò che prova.
Che rischia di tracimare.
Tobia si ritrova impotente di fronte ad una forza innaturale, ingiusta.
Un dolore composto, domato dal dondolare, dallo stringersi.
Una confessione, la convinzione d'aver meritato tutto.
 
“Tu non sei cattivo, Yuri.”
E di nuovo la mano sulla bocca, stavolta a coprirne lo stupore.
“Non sei cattivo.”, ripete Tobia.
“Né sbagliato. O diverso. O anormale.”
Fermandosi un attimo, per accompagnare con uno sguardo determinato le sue affermazioni.
Per farle arrivare alla mente abusata, massacrata, del bambino.
Al suo cuore livido.
“E nessuno, Yuri. Nessuno ti darà più quelle lezioni.”
Tobia guarda l'involucro costretto di emozioni, allentarsi appena.
Le lacrime solcano le guance.
“Non sei cattivo.”
Gli occhi si appannano.
“Nessuno ti darà più quelle lezioni.”
La gola si stringe.
“Non sei diverso.”
“Non sei cattivo.”
Ed il cuore rimbomba con il suo bisogno, con la voglia, la necessità di credere.
“N-Non p-piange! N-on p-piange, n-non piange!”
 
Ma è impossibile fermarle, come è impossibile spegnere la speranza riaccesa.
Perché forse il Signore non lo sta prendendo in giro, forse lui può davvero essere normale e…
“N-Non piange! N-Non…”
“Non fa niente.”
Un sussurro, rispetto per la sofferenza.
Per l'anima piccola ed il suo dolore grande.
“Yuri…”
Una pausa, un silenzio quasi sacro.
Poi, una mano tesa.
Un gesto di rispetto, un modo per suggellare un patto o presentarsi per la prima volta.
Un tentativo di ricominciare.
Tuttavia Yuri, che è solo un bambino e di gesti di rispetto non ne ha mai ricevuti, porge all'uomo tutto ciò che pensa di potergli offrire: la sua pallina blu.
 
Un lieve scuotere la testa, un sorriso amaro.
Occhi che non mostrano disprezzo per i suoi.
E la mano che si avvicina cauta, al piccolo viso.
Perché?
Paura, voglia di scappare.
Aveva detto che nessuno gli avrebbe più dato quelle…
Occhi chiusi, mascella contratta.
Aveva detto…
Preparazione al colpo, immobilità.
Tremore.
Poi, due dita sotto il mento.
Il tentativo di ignorare la paura.
Perché…
Perché non fa male?
Il pollice, che sfiora la guancia umida.
Piano.
Che cattura una goccia di dolore, la asciuga.
“Nessuno ti farà più del male.”
Le palpebre che tremano, schiudendosi.
Non è possibile.
Un gesto goffo, quasi rude, impacciato.
Ma, sentito.
 
Una carezza.
 
Vera.
Reale.
Sulla pelle.
Dell’anima.
 
“Te lo prometto.”
 
Ed una promessa.
 
 
 
 
 
 
 
 
Sette Orizzontale – Riscatto della colpa
 
 
Da quel giorno, Yuri, ho iniziato ad osservarti.
Osservarti, per poterti comprendere.
 
Andrea ripeteva ad ogni chiamata di non dare niente per scontato con te.
Ed avevo iniziato a sbuffare ai suoi continui promemoria; avevo capito, per la miseria!
 
“Adele non è di riposo oggi?”
“Come ogni Lunedì da diversi anni a questa parte...”
 
Era venuto a visitarti.
Ed il suo temporeggiare mi stava spazientendo.
 
“E allora chi lo ha rifatto il letto?”
 
Maledizione!
 
Evitai di supporre che fossi stato tu.
Il baldacchino era troppo alto.
 
“Yuri, puoi mostrarmi dove dormi?”
 
Fu Andrea a chiedere e forse il mio volto cinereo ad impedirti di rispondere subito.
 
“Andrea ti ha fatto una domanda, Yuri.”
“Sì, Signore!”
 
Apristi le ante dell'armadio.
Ed io mi sentii ignobile.
 
Quel che seguì fu un frenetico ed agitato scambio di domande e risposte.
 
Quasi mi offesi quando balbettasti quel “Il Signore ha detto…”
Ma lo sguardo che mi rivolse Andrea, mi convinse a tacere.
A pensare.
 
“C-Che è t-troppo a-alto… P-Per il bambino.”
“Cosa diavolo…”
Di nuovo lo sguardo ammonitore, un invito a riflettere.
Ti avevo detto che se il letto non era all’altezza delle tue aspettative avresti potuto provare con l'armadio.
Era sarcasmo, un dannato modo di dire!
Non era evidente?
“Evidente quanto la condizione in cui versava Yuri quando è arrivato qui…”
Fui costretto ad incassare.
 
 
Le visite che Andrea ti aveva prenotato furono un calvario, perché non volevi essere toccato però non potevi sottrarti.
Mi cercavi con lo sguardo, cercavi me ogni qualvolta ti facevano avvicinare ad un macchinario.
Ogni volta che tentavano di tastare la tua pelle.
Mi imploravi, in silenzio.
Ti aggrappavi alle mie promesse.
Ed io mi ritrovai spaventato all'idea di tradirti.
 
“Per oggi è più che sufficiente.” sentenziai e Andrea si trovò d’accordo con me.
“Ricordati che non siamo mai stati qui...”
Mi guardò senza dire niente.
“Mai stati qui.” ripetei.
Non lo dimenticò.
 
 
 
 
 
 
“Qual è il tuo colore preferito?”
Era una domanda semplice.
Chiara.
Vaga.
Erano le indicazioni di Andrea: dovevo incentivarti, incoraggianti ad esprimere le tue opinioni.
Oh, e tu lo hai fatto.
 
Ti sei appiattito la frangia, hai sbirciato le mie vesti e hai detto: “I-Il n-nero, Signore.”
Dando la risposta che, l'ambiente ti suggeriva, fosse la più giusta.
 
 
Tuttavia…
Non c'era niente di giusto, bambino.
Niente, nel tuo trattenere il fiato, nel sudore delle tue mani.
Niente, nella tua spasmodica ricerca della risposta meno dolorosa.
I tuoi erano pensieri distorti dalla violenza, piegati dalla crudeltà.
Pensieri che, scoprii, avevano scatenato la prima crisi con Adele.
“Il bambino non può usare l’acqua calda. Non è sua. È del Signore”.
 
Maledetti.
Schifosi.
Bastardi.
Avrebbero pagato anche per quello.
 
Cercavo di rassicurarti a modo mio.
Provavo ad ammorbidire lo sguardo, la voce.
E qualche volta mi crogiolavo nell’illusione di esserci riuscito.
Nella speranza che tu potessi credermi.
 
Invece quando, a distanza di cinque giorni dall’orribile scoperta delle tue condizioni, ti ho accompagnato a letto ed ho allungato la mano per scostare la coperta…
Ti sei portato le braccia sopra la testa.
Per proteggerti.
 
Quel gesto mi ha ferito.
Hai idea di quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che avevo permesso a qualcuno di ferirmi?
Di farmi sentire incapace?
 
“Volevo aiutarti, non farti male.”
Forse lo stesso che era passato dall'ultima volta che qualcuno era stato umano con te.
“M-Mi d-dispiace, Signore.”
 
Eri deluso.
Mortificato.
Volevi rimediare.
Così hai disteso le braccia lungo il busto.
Come a dirmi “Se lo fai di nuovo, non mi sposto. Ho capito.”
E, l’ho fatto.
Hai chiuso gli occhi e li hai strizzati forte.
“M-Mi dis…”
“Va bene, Yuri. Va bene.”
Era difficile mandare via la paura, vero bambino?
 
Il messaggio che Andrea mi inviò quella notte conteneva, oltre alle solite raccomandazioni imprecate, una citazione:
“Gli hanno piantato dentro così tanti coltelli  che quando gli regalano un fiore, all'inizio, non capisce neanche cos'è.  Ci vuole tempo.”
Non mi rincuorò.
Perché io avrei voluto guarirti subito ma dovetti assecondare un’ovvietà: il tempo.
 
Il tempo.
Sarebbe stata la tua cura.
 
Il tempo.
Sarebbe stata la mia espiazione.


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Post It Autrice

Se lì c'è qualcuno, mi scuso per aver fatto aspettare così tanto.
Sono stata sommersa dalle emozioni queste settimane, dopo aver scoperto che diventerò
mamma.

Ma bando alle ciance.
Stiamo entrando in quella che sarà la missione della storia: parlare di emozioni sconvolte,
distrutte, ferite, ricostruite.
Daremo tempo al dolore, all'amore, alla crescita.
Spero... spero con tutto il cuore che possa farvi provare qualcosa, questa storia.
E se aveste consigli, pareri, anche solo una parola...
Sono prontissima ad ascoltarvi.
Mi farebbe un piacere immenso.


 
   
 
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