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Autore: FreddyOllow    10/08/2020    0 recensioni
Riverside è un cumulo di macerie. Gli infetti hanno spazzato via ogni difesa installata dai militari, e i sopravvissuti lottano per vivere un altro giorno. Isaac Stone è uno di essi. Un sopravvissuto.
Genere: Dark, Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' passata una settimana da quando Bill, Louis, Francis e Zoey sono andati via. 
Non ho fatto altro che pensare a quando li rivedrò e se li rivedrò. E se mai incontrerò altri sopravvissuti. Pensavo di essermi abituato alla solitudine, ma invece non è così. Mi sveglio in piena notte e camminò per tutto l'appartamento con la folle idea di uscire a cercare altri sopravvissuti. So che sto delirando e questa consapevolezza mi aiuta a non fare cazzate.

In una fredda mattina dal cielo nuvoloso, andai a cercare provviste nel condominio di fronte. Pensavo che fosse vuoto, ma invece mi ritrovai a pochi passi da una dozzina di infetti nelle scale. Quando mi videro, si precipitarono verso di me infuriati; le bocche spalancate e raggrumate di sangue, gli occhi giallastri e le vene nere sul collo e sulla faccia sembravano quasi voler implodere sotto la pelle. 
Rabbrividì. 
Fuggì appena in tempo in un appartamento alla mia sinistra e con un divano sbarrai la porta. Gli infetti cominciarono a sferrare pugni sulla porta, quando mi diressi in cucina. Afferrai tutto quello che poteva essere commestibile, misi lo zaino in spalle e mi diressi verso la scala antincendio. Quando feci per salirci, la porta d'ingresso venne giù. Vidi gli infetti sciamare nell'entrata e scavalcare il divano. 
Mentre scesi rapidamente i gradini, un infetto uscì dalla finestra. Un'altro cadde giù; la testa implose contro l'asfalto.
Guardai l'Uzi, ma non la usai.
Una volta a terra, corsi lungo il vicolo. Prima di svoltare l'angolo, diedi un occhiata alle mie spalle. C'erano frotte di infetti che si lanciavano dalla finestra a una velocità assurda. Molti di loro si schiantavano sull'asfalto senza più rialzarsi.
Non persi tempo e mi diressi verso il mio appartamento.
Salii la scala antincendio e quando feci per entrare dalla finestra, sentii uno schiamazzo sul balcone di fronte. Capii dalla risatina isterica che era un Jockey. Mi voltai e feci partire una raffica di mitra. La maggior parte delle pallottole lo falciarono. Il suo corpo senza vita rimase a penzolare sul cornicione del balcone.
Quando entrai in casa, realizzai la stronzata che avevo fatto. Presto il mio appartamento si sarebbe riempito di infetti. Così ridiscesi le scale e fuggii verso un parchetto, puntellato di cadaveri e sangue. Svoltato l'angolo, mi ritrovai a 60 metri da un centinaio di infetti. Sobbalzai dallo spavento e corsi da dove ero venuto. 
Ero fottuto. Letteralmente.
Arrivai davanti a un muro di cemento installato dai militari. Non potevo scavalcarlo, poiché era alto cinque metri. Mi girai e li vidi. Gli infetti correvano verso di me; gridavano, scattavano la mascella. Alzai l'Uzi e feci fuoco. Alcuni infetti furono travolti dalle pallottole. Quelli alle loro spalle scavalcarono i loro corpi e si lanciarono verso di me. 
Poi sentii un CLICK! Ero rimasto senza munizioni. Per la rabbia, lanciai l'Uzi per terra. Mi feci prendere dal panico, ma cercai di guardarmi intorno. Scorsi una porta di ferro socchiusa vicino a un bidone pieno di immondizia. Corsi da quella parte ed entrai. 
Ero completamente al buio, eccetto per una flebile luce che proveniva da sotto una porta a diversi metri da me. Sentii un lieve odore di uova marce e carne andata a male.
Poi fui sospinto in avanti. Gli infetti stavano cercando di entrare, ma non avevo nulla con cui bloccare la porta. Mentre mi precipitai verso la porta di fronte, due infetti entrarono dentro. Alle loro spalle, un fascio di luce illuminò un bancone e un fornello. Capii di essere nella cucina di una ristorante. Arrivato davanti alla porta, Girai la maniglia e mi ritrovai un grande salone. Sedie e tavoli erano ribaltati sul pavimento cosparso di sangue raggrumato. Poi, senza perdere altro tempo, uscì dal ristorante.
Le strade erano bloccate dai veicoli e mezzi militari abbandonati sui marciapiedi o messi di sbieco. La maggior parte avevano tutti la carrozzeria danneggiata, i finestrini in frantumi e il parabrezza crepato. Mentre correvo, mi imbattei in molte pile di cadaveri. Spesso non erano nemmeno infetti, ma persone crivellate di pallottole di grosso calibro. Superai un posto di blocco militare, scavalcai uno spartitraffico e continuai a correre. 
Girovagai per circa venti minuti, quando mi parve di vedere una donna sul ciglio della strada.
Piangeva. 
Confuso, mi avvicinai con cautela. Mi sembrava surreale che una donna se ne stesse tutta sola a piangere in mezzo alla strada dopo quello che era successo a Riverside.
Quando feci per toccarla, lei si girò. 
Non era una donna. 
Non era nemmeno viva.
I suoi occhi si dilatarono rabbiosi e la sua bocca si spalancò. Alzandosi in piedi, allungò le mani verso di me. Aveva cinque artigli affilati al posto delle dita.
Lanciò un urlo terrificante.
Sussultai spaventato e indietreggiai. La Witch si lanciò contro di me.
Fuggii con il cuore in gola e percepii i suoi artigli sfiorami la felpa. Girai l'angolo di un negozio di abbigliamento che aveva la facciata distrutta e saltai sul cofano di un auto. La Witch era ancora dietro di me.
Saltai dall'auto e zigzagai tra i veicoli imbottigliati lungo la strada. Arrivai di fronte a un recinzioni di ferro. Quando feci per arrampicarmi, un artiglio mi sfiorò il pantalone all'altezza del polpaccio. Poi, balzando, la Witch si afferrò alla recinzione e lanciò un urlo agghiacciante che mi stordii per un istante. 
Imprecai e saltai dall'altra parte. Quando mi misi a correre, sentii degli spari alla mia destra. I proiettili fischiarono tutt'attorno. Mi voltai e vidi la Witch distesa sull'asfalto. 
Perplesso, mi fermai e mi guardai intorno. Dapprima non vidi nessuno, finché un uomo sbuco da dietro un furgone.
Indossava una larga giacca nera sbiadita, sotto una maglietta bianca e un pantalone grigio. Non doveva avere più di cinquant'anni; con un incolta barba grigia e capelli rasati.
Si fermò davanti a me con un fucile AK-47 puntato alla faccia. Poi abbassandolo, disse ad alta voce. "Non è infetto."
Tre uomini sbucarono dietro a delle finestre. Erano armati di mitra e mitragliette.
L'uomo con la barba grigia mi fissò. "Non ti ha mai detto nessuno di non spaventare quella stronza?" Indicò la Witch con la canna dell'AK-47.
"Non so nemmeno cos'è." Risposi. Infatti non avevo mai visto una Witch. Se così non fosse, non mi sarei avvicinato per nulla al mondo.
"Come cazzo sei sopravvissuto fino adesso?"
"Ho evitato gli infetti."
L'uomo sbuffò un sorriso. "Sei da solo?"
"Sì."
"Vieni con me." 
L'uomo fece per andare, ma io rimasi fermo. Non lo so perché, visto che avevo una voglia matta di incontrare qualcuno. Ma ora che l'avevo incontrato, ecco che mi immobilizzai. Forse avevo paura? Forse non volevo che succedesse come con Bill, Francis, Louis e Zoey, che mi avevano lasciato da solo?
"Allora?" Mi incalzò l'uomo. "Pensi che ti spareremo? Saresti già morto a quest'ora, non credi?"

Mi portò dentro un enorme magazzino, illuminato da lampade sospese al soffitto. C'erano decine di persone sparpagliate un po' ovunque; parlavano, ridevano, scherzavano. Mi sembrava così irrealistico, visto il caos che c'era la fuori. Ero tentato di prendermi a schiaffi, perché pensavo di stare sognando.
Su una passerella vidi uomini e donne armati di mitra e pistole. Alcuni grandi scatoloni erano posati in un angolo, mentre due furgoni neri erano parcheggiati poco vicino. Notai anche molti letti a castello o giacigli fatti di vestiti e lenzuola. Inoltre, sentivo un forte odore di sudore.
Mentre seguivo l'uomo con la barba, la gente mi guardava incuriosita. Mi accorsi solo in quell'attimo della presenza di bambini. Erano otto in tutto. Se ne stavo insieme vicino a un pallone da basket e mi fissavano mezzi spaventati.
L'uomo mi condusse in una piccola stanza, che capii essere un ufficio o qualcosa del genere. L'uomo andò a sedersi dietro la scrivania e mi fece segno di accomodarmi.
"Non incontro un superstite da giorni." Disse. "I miei amici ti avevano scambiato per un infetto. Per tua fortuna Denise ci ha fatto cambiare idea. Sono Steve Goodman."
"Isaac Stone."
Steve incrociò le dita sul ventre. "E' difficile che qualcuno sfugga alla Witch. Ho perso molti amici per quella fottuta puttana. Comunque sei molto veloce."
"Prima della pandemia amavo correre."
"Penso che la corsa ti abbia salvato la vita. Ad ogni modo, puoi restare qui, se vuoi."
Quando udii quella frase, il mio cervello fu percorso da un formicolio intenso. Non ci credevo. Finalmente non sarei stato più da solo. Abbozzai un sorriso, che subito feci sparire.
"Se intendi restare, dovrai essere utile come tutti noi. Pulire, cucinare, sorvegliare il magazzino o cercare delle provviste nei paraggi."
"Accetto." Dissi entusiasta.
"Accetto?" Rispose Steve con un sorriso divertito. "Non è mica un contratto scritto. Noi ci aiutiamo l'un l'altro. Solo così impediamo a quei figli di puttana di massacrarci. E non sono nemmeno l'unico nemico che abbiamo."
Mi accigliai confuso.
"Ci sono alcuni bastardi che cercano di rubarci le provviste. Di rapire le nostre donne o di ammazzarci. Hanno il cervello in pappa, come se l'infezione non avesse già incasinato tutto."
"Io pensavo che non ci fosse più nessuno a Riverside." Risposi.
"Da quale zona vieni?"
"North Side."
Steve scosse la testa. "Lì non è rimasto più nessuno. L'ultima volta che un nostro gruppo è partito per cercare sopravvissuti e provviste, hanno trovato solo infetti. Non parliamo poi degli infetti speciali. Non so come diavolo hai fatto a sopravvivere lì. Il North side è la bocca dell'inferno."
"Sono lì da settimane." Dissi. "Non ho mai visto tanti infetti, se non sta mattina in un condominio di fronte al mio appartamento."
"Ti assicuro che ci sono centinaia di infetti, se non migliaia a North Side. La zona meno infestata è quella delle rimesse della barche. Sai dov'è, vero?"
Annuì.
"Stavamo pensando di spostarci lì, ma con tutta questa gente è impossibile. Attirerebbero gli infetti. Recentemente abbiamo ucciso un Tank sulla Duty Street, quindi già questo ti fa capire come sia impossibile spostare tutti senza che ci sia un massacro. Inoltre, da quelle parti, non abbiamo trovato ancora un luogo sicuro. Quindi, per farla breve, abbiamo accantonato l'idea."
"Io conosco un po' la zona." Dissi. "Ci andavo a pesca con mio zio."
Steve serrò gli occhi interessato. "Quanto di preciso?"
"Conosco i boschi che costeggiano il quartiere residenziale, la rimessa delle barche e un po' le colline."
"C'è qualche luogo sicuro in cui spostare tutti?"
"No, che io sappia. Ci sono solo casolari, capanne e qualche cottage. Non credo siano luoghi sicuri. Sono fatti di legno."
Steve si alzò dalla sedia. "Bene, Isaac." 
Mi alzai anch'io.
"Trovati un letto e sistemati." Lanciò un occhiata al mio zaino. "Se hai delle provviste con te, portale in cucina. Qui condividiamo il cibo."
"Va bene." Gli strinsi la mano e uscì dalla stanza.

Appena cercai di guardarmi intorno, una donna mi raggiunse. Era una bella ragazza sui trent'anni, viso leggermente squadrato, occhi chiari e naso all'insù. Indossava una verde camicia con quadretti rossi sporca di terra e un jeans un po' largo. 
"Sono Denise Hill." Disse, accennando un saluto con la mano.
"Isaac Stone." Risposi.
"Resti o vai via?"
"Resto."
Denise sorrise. "Bene. Allora dobbiamo trovarti un letto. Seguimi."
La seguì sotto una passerella, mentre la gente mi guardava sottecchi. 
"Non fare caso alle loro occhiate." Mi disse. "Sono sempre così con gli estranei. Da quando gli uomini di Wellington ci hanno attaccati, sono diventati sospettosi con chi non conoscono."
"Capisco. Lo sarei anch'io."
"Mi fa piacere che tu capisca." 
Superammo una fila di letti a castello, che lasciarono spazio a quelli singoli. Poi Denise si fermò vicino a un letto singolo. Su di esso c'erano diversi libri dalle copertine stropicciate e magliette da uomo. Una valigia era messa di sbieco accanto al materasso.
"Dormirai qui." Disse Denise.
"Sembra che ci dorma già qualcuno."
Denise abbassò gli occhi rattristiti. "Apparteneva a Carlos. Un Hunter l'ha..." Si zittì e alzò gli occhi. "Metti le sue cose qui. Manderò qualcuno a prenderli." Fece per andare, quando si fermò. "Quasi dimenticavo. Se hai del cibo in quello zaino, saremmo grati se tu lo condividessi con noi."
"Sì, certo." Presi lo zaino dalle spalle e glielo diedi.
Denise buttò un occhio all'interno. "Cibo in scatola." Sorrise. "Ottimo. Dirò agli altri che mangeremo per un altra settimana grazie a te. Così capiranno che sei a posto."
"Grazie."
Denise si mise lo zaino in spalla e, abbozzando un sorriso, andò via.

Dopo aver tolto dal letto i libri e le magliette che appartenevano a Carlos, mi sdraiai sul materasso. Era molto comodo. Per la prima volta dopo settimane mi sentivo al sicuro, ma sopratutto mi ero steso sul letto. Pensai alla mia sdraia, alle notti insonne e al senso di ansia perenne.
Ora potevo respirare. Finalmente non ero solo.

 

   
 
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