Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    11/08/2020    0 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy
Capitolo 18

Levi

Luci nere danzano nella mia visione. C’è qualcosa di quasi grazioso in loro e, se ignoro il dolore incandescente che scorre attraverso il mio corpo, penso di poterle ammirare di più. Mi ricordano un balletto che mia madre mi ha portato a vedere. Avevo solo cinque anni e già dormivo prima della metà dello spettacolo, ma ricordo per che cosa ero stato sveglio. I delicati giri delle ballerine e i piedi perfettamente appuntiti mi avevano affascinato. Ho ammirato la loro grazia, anche se ero annoiato, ed è stato un ricordo che mi ha accompagnato nel corso degli anni.

È strano che ci stia pensando in questo momento, ma il dolore che Kenny mi infligge sembra scatenarlo. Combattere è un po’ come ballare, immagino. Ogni mossa viene calcolata con cura, ogni colpo viene spinto da una certa forza. L’intero corpo lavora in perfetta sincronia con la speranza di infliggere il maggior danno.

Alzo lentamente gli occhi per guardare Kenny. Ringhia, mi afferra per il colletto della camicia e mi sbatte la schiena contro il muro. L’impatto mi fa sussultare, ma usa la sua forza per tenermi bloccato.

“Che cazzo mi hai detto?!” Ringhia.

Oh, giusto.

Tutto è iniziato perché oggi mi sentivo coraggioso. Come a Kenny piaceva dirlo, alla fine ho fatto crescere le palle. Non sono sicuro del perché sia successo, ma stavo dando a Kenny del codardo prima che potessi fermarmi. E ora eccoci qui, sudando come maiali mentre l’adrenalina scorre nelle nostre vene.

“Ho detto che sei un fottuto codardo,” ribollo e Kenny mi dà un pugno abbastanza forte da bloccarmi il respiro in un sussulto soffocato.

C’è qualcosa di quasi divertente nella sua espressione. Il fatto che una parola così semplice lo abbia scatenato è ridicolo, ma diventa tutt’altro che divertente quando mi viene in mente che la stessa parola mi aveva fatto scoppiare allo stesso modo. Mi ero trasformato in uno stronzo quando Eren aveva detto qualcosa di simile a me, no?

Il ricordo mi riempie di vergogna. 

“Sei un fottuto ingrato,” dice Kenny, afferrandomi la camicia come se volesse strapparla. “Le avevo detto di sbarazzarsi di te, ma lei ti ha tenuto. Non sei stato altro che un parassita per tutta la tua vita.”

Le parole mi fanno sussultare. Kenny sorride vittorioso e anche la mia gola inizia a sentirsi un po’ stretta ora.

“Ti sbagli,” dico con voce sottile.

“Pensi che riuscirai in qualcosa?” Dice. “Pensi che sarai qualcuno nella vita?”

Stringo le labbra e non rispondo. Kenny mi calcia un ginocchio nell’intestino.

“Rispondimi quando ti parlo, idiota!”

“No!” Urlo e Kenny si interrompe bruscamente. “Hai ragione, cazzo! È questo quello che vuoi che dica? Eh?!”

Kenny mi lascia andare all’improvviso. Sembra molto più calmo, ma mi rifiuto di abbassare la guardia. Cammina avanti e indietro davanti a me.

Mi abbasso di nuovo contro il muro. Le mie ginocchia sembrano fatte di gelatina, incapaci di sostenere il mio peso.

“Mi dispiace, okay?” Dico con voce rauca. Kenny gira la testa e mi guarda. “Mi dispiace che mia madre sia morta. Mi dispiace di essere un peso.”

Si ferma, le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate.

“Dovresti esserlo.”

“Lo so,” mormoro. “Lo sono.”

Kenny sembra soddisfatto e si gira per andare in corridoio. Deglutisco e aspetto che torni. Quando lo sento aprire la porta della cantina, prendo la giacca ed esco.

Non so se dovrei davvero guidare ora o no, ma non ho intenzione di fermarmi e valutare le opzioni. Voglio solo andarmene da qui.

Guido verso la mia destinazione senza pensarci due volte. Il mio stomaco si agita, ma lo ignoro. Non voglio ascoltare la parte egoista della mia testa in questo momento.

La casa sembra uguale al solito. È difficile credere che sia passato almeno un mese o giù di lì da quando sono qui. Ma forse oggi...

No.

No. Le cose non sarebbero cambiate. Questo... non significa niente.

Esco dall’auto, ma la lascio accesa. Quando salgo i gradini del portico, i miei piedi emettono rumori forti e martellanti che suonano quasi odiosi nel silenzio della notte. Alzo la mano e suono tremante il campanello.

Ci vogliono alcuni minuti perché la porta si apra. Trascorro il tempo dondolandomi sui talloni. Il mio stomaco fa male come l’Inferno e so che probabilmente ci saranno anche dei lividi sulla schiena. Trovare una posizione comoda per dormire stanotte sarà un’impresa.

“...Levi?” Lo sguardo che mi lancia è incerto. Si vede che è sorpresa. L’ultima volta che sono stato qui, ho detto con convinzione che non avevo intenzione di tornare.

“Ciao, Olivia,” dico. Il suo nome ha un sapore amaro sulla mia lingua, ma immagino sia arrivato il momento di mostrarle un po’ di rispetto. Olivia afferra la porta e si acciglia leggermente.

“Michael non è a casa,” dice in tono piatto. “È in viaggio d’affari.”

“Oh,” dico io. Alzo le spalle. “Non sono venuto per lui, in realtà.”

Aggrotta ancora di più le sopracciglia. Mi sta guardando in faccia e sono sicuro di avere un aspetto orribile. Probabilmente sembra sia appena tornato da una rissa, anche se Kenny si assicura sempre di non colpirmi in punti visibili. Per salvare le apparenze.

“Sammy deve andare a letto presto,” dice lei. “Puoi tornare al mattino.”

“Voglio solo vedere mio fratello, okay?” Insisto, stanco. Sono consapevole sia la prima volta che lo riconosco apertamente come mio fratello senza la parte dispregiativa. “Per favore…”

Devo sembrare davvero patetico, perché Olivia si gira e urla il nome di Sammy. Lo sento precipitarsi giù per le scale e, prima di accorgermene, si lancia su di me.

Ho a malapena il tempo di reagire prima che si scontri solidamente al mio corpo. Emetto un gemito addolorato quando la sua testa sbatte contro il mio stomaco. Olivia mi dedico uno sguardo preoccupato, ma non mi concentro su di lei.

“Levi!” Grida, le braccia strette intorno alla mia vita, “Sei tornato!”

“Te l’avevo promesso, no?” Dico, chinandomi. “Ehi, vuoi prendere un gelato?”

“Possiamo?” Chiede Sammy, con gli occhi spalancati, e si volta verso Olivia. “Mamma, posso andare? Per favore?”

“Io...” lei si allontana.

“Per favore?” Mi aggiungo e il viso di Olivia si ammorbidisce.

“Ti voglio a casa prima delle dieci,” dice, aggrottando le sopracciglia ancora una volta, ma la considero una vittoria. “Domani ha scuola.”

“Sissignora,” la rassicuro, ma lo strillo emozionato di Sammy domina la mia voce. “Sarà fatto.”

Sammy torna di sopra per cambiarsi. Olivia scuote la testa e si gira per andarsene.

“Ehi,” chiamo, attirando la sua attenzione e lei si gira verso di me. “Mi dispiace di essere un tale stronzo. Non sei… male.”

Olivia incrocia le braccia.

“Linguaggio,” mi sgrida e se ne va prima di poter rispondere.

Sammy torna giù, impacchettato in un cappotto invernale e una grande sciarpa; mi viene in mente che sto congelando qui fuori. Sorrido e gli arruffo i capelli quando mi raggiunge.

“Non pensavo saresti tornato,” dice Sammy onestamente; aggrotto le sopracciglia.

“Seriamente?” Chiedo, guardandolo e Sammy scrolla le spalle. “Te l’avevo promesso, no?"

“Immagino,” mormora, quasi troppo basso perché io lo senta. “Le persone non mantengono quasi mai le promesse.”

È una dichiarazione incredibilmente matura e guardo Sammy, spalancando la mascella. Avevo passato così tanto tempo a lamentarmi del fatto che eravamo totalmente diversi, che Sammy era più privilegiato di me... ma non lo è. Siamo più simili di quanto vorrei ammettere. Entrambi siamo stati costretti a vedere la dura realtà della vita prima di essere pronti, ma neanche una volta mi sono mai sentito male per me stesso. Sammy, d’altra parte, era una storia diversa.

Ripenso alla mia ultima visita qui, a quando era scoppiato in lacrime davanti a me, e deglutisco.

“Perché dici così?” Dico con una risatina, allungando la mano per arruffargli di nuovo i capelli.

“Nessun motivo in particolare,” replica in modo ambiguo e, prima di poter rispondere, sorride ampiamente. “Che gelato prendiamo?”

“Quello che vuoi, ragazzino,” dico, aprendo la portiera dell’auto. “Vuoi salire davanti?”

Sammy annuisce rapidamente e salta quasi sul sedile. Rido piano delle sue azioni e mi assicuro abbia allacciato la cintura prima di uscire dal parcheggio.

“Perché sei venuto?” Chiede Sammy, armeggiando con la radio.

“Ti ho detto che l’avrei fatto.”

“Lo so,” dice, appoggiandosi allo schienale. “Ma non pensavo sarebbe stato così presto.”

“Non volevi che tornassi?” Chiedo, confuso, e Sammy scuote la testa con veemenza.

“Non è quello che intendevo dire!” Grida, immediatamente sulla difensiva, e spalanco gli occhi. “Solo…”

“Cosa?” Chiedo gentilmente, cercando di convincerlo a rispondere, ma Sammy rifiuta di farlo.

“Niente,” dice, tirando un po’ la cintura di sicurezza dal collo. “Sono contento che tu l’abbia fatto.”

Decido di non commentare il suo strano comportamento. Il silenzio in macchina è improvvisamente soffocante. Tutte le mie interazioni con Sammy erano complicate. Era quasi impossibile far tacere quel bambino. Anche se all’inizio l’avevo trovato fastidioso, mi sono subito abituato. In effetti, in qualche modo, avevo iniziato a pensare che fosse un po’ accattivante.

Quindi ora è incredibilmente strano vederlo così silenzioso. Non ho mai visto Sammy zitto in nessun momento. La sua bocca viagga a centinaia di chilometri all’ora ed è difficile per me stare al passo con lui. Non so cosa sia successo, ma immagino me lo dirà quando sarà pronto. Non voglio costringerlo.

Mi fermo davanti a una gelateria e mi assicuro che Sammy mi segua prima di entrare. Sono circa le sette e sono grato che il negozio non chiuda fino alle nove. L’avevo visto quando ho deciso di uscire di casa. Ogni volta che esco, tendo ad andare a mangiare lì. Immagino sia una specie di consolazione.

“Scegli quello che vuoi,” dico a Sammy, scavando nella tasca posteriore per il mio portafoglio. “Non ti preoccupare.”

Sammy annuisce e si avvicina al bancone per guardare l’elenco dei gusti. Prendo il portafoglio e aspetto che mi dica cosa vuole.

“Cioccolato,” dice con determinazione. Alzo le sopracciglia.

“Solo cioccolato?” Chiedo, sorpreso e quasi rido. “Hai così tante opzioni tra cui scegliere.”

“Il cioccolato è buono,” risponde Sammy, sulla difensiva e gli pizzico la guancia.

“Va bene, piccolo. Cioccolato sia.”

Quando Sammy ebbe il suo cono con due palline di gelato al cioccolato, ci sediamo a un tavolo piuttosto isolato. Mi dedica uno sguardo curioso mentre lecca il suo cono.

“Tu non prendi niente?” Chiede. Scuoto la testa in negazione.

Sammy scrolla le spalle e si tuffa di nuovo nel suo gelato. Si sporca gli angoli della bocca e spalanca gli occhi quando rido. Mi fa la linguaccia e continua a mangiare.

Il mio sorriso svanisce quando penso agli eventi di stasera. Sammy sembra accorgersene, smettendo di leccare il gelato per inclinare leggermente la testa di lato.

“Cosa c’è che non va?” 

“Non dovrei chiedertelo io?” Domando invece, allungando la mano sul tavolo per colpire scherzosamente il suo braccio. “Oggi sei piuttosto tranquillo, ragazzino. È successo qualcosa?”

“No,” risponde Sammy e torna a mangiare distrattamente il suo gelato. “Beh, non proprio.”

“Che significa?” Domando ancora, leggermente preoccupato, e lui scrolla le spalle.

“Niente. Solo…” fa una pausa prima di sospirare piano. “Papà ha detto che non saresti tornato.”

Mi acciglio e guardo il tavolo.

“Papà è un bugiardo. E un bastardo,” sputo, borbottando l’insulto in modo che Sammy non lo sentisse.

Mi sente, però, e tende la mano.

“Hai detto una parolaccia,” accusa. “Sono cinque centesimi.”

Alzo gli occhi al cielo e gli do venticinque centesimi nel palmo della mano.

“Per sicurezza, te ne do di più. Probabilmente ne dirò altre,” dico burbero, e Sammy sorride.

“Gli ho creduto, sai,” borbotta Sammy. “Non volevo credergli. Ma non sapevo cos’altro fare.” 

“Va tutto bene, Sammy,” lo rassicuro onestamente. “Non sono arrabbiato.”

Sammy sembra meno interessato al suo gelato adesso. “Lui e la mamma dicevano molte cose cattive su di te. E ci credevo, perché non sapevo nulla di te. Non potevo fare un paragone.”

“Non preocc-”

“No,” mi interrompe Sammy, e mi ritrovo di nuovo stupito dalla sua maturità. “Mi dispiace, Levi.”

“Perché ti stai scusando?” Chiedo, scuotendo la testa per lo stupore. “Non è colpa tua.”

Sammy tace.

“La mamma ha detto una bugia.”

“Eh?” Chiedo, confuso. “Riguardo a cosa?”

“Papà,” dice Sammy lentamente, alzando gli occhi per guardarmi. “Papà non è in viaggio d’affari. Ci ha lasciato.”

“Cosa?” Quasi urlo, la mia voce rauca e sento il cuore precipitare verso il pavimento. “In che senso?”

Sammy chiude gli occhi per alcuni secondi.

“Se n’è andato,” sussurra. “Sono tornato a casa da scuola e la mamma piangeva a dirotto. Quando le ho chiesto perché piangesse, mi ha detto che saremmo stati solo io e lei adesso.”

“Figlio di puttana,” sussurro, e gli occhi di Sammy si spalancano. “Merda, scusa.”

“Quindici centesimi,” mormora Sammy, lanciando i venticinque centesimi in aria. “Puoi dire ancora due parolacce, poi devi pagare di nuovo.”

“Sei bravo in matematica,” mi congratulo, cercando di farlo sorridere, ma non funziona. “Non ci sarei arrivato.”

“Questa è roba di seconda elementare,” dice Sammy, ma le sue guance sembrano po’ rosse.

Annuisco e incrocio le braccia.

“Quando se n’è andato?” Chiedo piano. Sammy deglutisce a fatica.

“Mercoledì scorso,” risponde e fa una pausa. “Era il mio compleanno.”

“Pure?” Ribollisco di rabbia, sedendomi dritto. Sammy salta allo sfogo, ma non riesco a fermarmi. “Lui-”

“Non hai chiamato,” continua Sammy, deluso e dolce, e il mio cuore fa male fisicamente. “Papà l’aveva detto che non avresti chiamato… e non l’hai fatto.”

Deglutisco.

“Non lo sapevo,” è meglio essere onesti. “Nessuno… nessuno mi ha mai detto quando compi gli anni.”

Sammy annuisce.

“Lo so,” dice. Si stringe nelle spalle e gioca con il tovagliolo avvolto attorno al cono. “La mamma mi ha raccontato tutto quanto.”

“Tutto quanto, eh?” Chiedo. Probabilmente Olivia era al corrente solo delle menzogne che le rifilava il marito, credendoci. Ma almeno Sammy ora sa di non essere l’unico figlio di Micheal a essere stato abbandonato.

“Ha detto che tua madre è morta,” comincia Sammy attentamente, e mi guarda per valutare la mia reazione. “È vero?”

Fisso il tavolo.

“Sì,” rispondo, la mia voce è ruvida e mi schiarisco la gola. “È morta quest’estate.”

Sammy si irrigidisce.

“Mi dispiace.”

“Non è colpa tua.” Mi mordo l’interno della guancia. “Come... come stai?”

“Non lo so,” risponde Sammy. “Non ci ho pensato.”

“È un evento ancora troppo fresco,” dico. “Immagino tu non lo abbia ancora completamente accettato.”

Sammy finisce il suo gelato. Si pulisce la bocca con un tovagliolo ed evita di guardarmi.

“Pensi che tornerà?” Domanda Sammy. Guardo fuori dalla finestra, cercando di trovare le parole giuste. “Sii onesto, Levi.”

“...No,” dico finalmente, le spalle cedono e sento che tutto il peso del mondo è su di me. “Non credo.”

“Mhm,” dice Sammy in modo uniforme; è difficile credere che abbia solo undici anni.

“Sammy,” comincio, ma le mie parole finiscono qui.

Non so cosa dire. Nessuno mi aveva confortato quando la mia famiglia ha iniziato a crollare. Nessuno si è preso la briga di spiegarmi come stavano le cose quando chiedevo perché non avessi un padre come tutti i miei compagni. A nessuno è importato nulla della morte di mia madre e nemmeno di quando sono finito sotto la custodia di Kenny come una specie di cucciolo smarrito.  

Non so cosa dire a Sammy. Immagino non ci sia niente da dire in ogni caso. Non posso cambiare la decisione di Micheal. Non posso costringerlo a tornare dalla moglie e da Sammy, nella loro perfetta e grande casa. Non posso cambiare cos’è successo.

Beh, forse non voglio farlo. Forse una parte malata di me è felice che Sammy veda suo padre, nostro padre, per quello che è veramente. Forse sono contento che l’immagine idilliaca e da supereroe che i ragazzi dipingono dei loro padri si sia rivelata ancora una volta una bugia idiota. Forse sono felice che ci sia qualcuno con cui condividere la mia amarezza. Forse sono felice che ci sia qualcuno che crescerà odiando mio padre tanto quanto me. Forse sono felice che io e Sammy non siamo più poi così diversi.

Poco dopo, riporto Sammy a casa. Olivia indugia sulla soglia e la guardo con le sopracciglia sollevate.

“Cosa c’è?”

“Probabilmente te l’ha detto,” inizia lei, piano, e io scrollo le spalle.

“Forse.”

Incrocia le braccia sul petto.

“Pensavo di essere diversa,” dice. “Non... non pensavo che lo avrebbe fatto anche con me.”

“Immagino ti sia sbagliata,” mormoro. Faccio scivolare le mani nelle tasche. Olivia si morde il labbro inferiore.

“Devi esserne felice,” dice con una risata amara. Scuoto la testa.

“Non sono contento,” mormoro, lanciando un’occhiata a Sammy, che si sta togliendo il cappotto e la sciarpa. “Sono solo incazzato. Sammy non deve passare quello che ho passato io.”

Olivia sembra sorpresa.

“Lui ha me.”

“Ne sei sicura?” Chiedo, e lei tace.

“Lui non è te,” dice dopo qualche istante e non posso fare a meno di riconoscere l’accusa delle sue parole. Alzo di nuovo le spalle.

“Hai ragione. Non lo è,” dico, e do un calcio leggero allo stupido zerbino sotto il portico. “E sai perché?”

“Illuminami.”

“Perché ti assicurerai che stia bene,” dico, la mia voce morbida, ma determinata; Olivia stringe gli occhi “Ti assicurerai che non finirà come me. Merita di meglio.”

Olivia stringe le labbra. Faccio un passo indietro dalla porta.

“Buonanotte,” concludo, ma non sono sicuro di voler dire davvero le parole o no.

“Sì,” dice distrattamente, e sorriso internamente. “Anche a te.” 
 
***
Non torno a casa dopo aver lasciato Sammy. Vado in giro senza meta e cerco di tenere la mente occupata con cose che non riguardano oggi, ma è difficile. La mia mente salta da Kenny a Michael e viceversa, ancora e ancora, fino a quando non mi devo fermare perché mi fa male la testa.

La mia benzina si sta esaurendo e sono abbastanza lontano da casa. Spengo la macchina e mi appoggio al sedile. Tutto il mio corpo è intorpidito e troppo sensibile allo stesso tempo. È una strana sensazione; quando chiudo le palpebre il mal di testa si intensifica.

Guardo l’orologio. Sono solo le 19:30 circa. Sembra molto più tardi, però. Sono completamente esausto. Il sonno è l’unica cosa a cui riesco a pensare ora, ma mi rifiuto di andare a casa.

No, quel posto non è casa. È solo un posto dove vivo. Non è mai stata una casa. Non sarà mai casa.

Prendo il telefono dalla tasca e ci gioco, controllando poi Facebook. Non lo uso quasi mai. L’unica ragione per cui al tempo avevo fatto un account era perché Isabel aveva insistito. Ironico, considerando che mi ha bloccato proprio quando ho cominciato a comportarmi differentemente. Non posso biasimarla, però.

Quando mi stanco dei post insensati su scuola e amici, guardo i contatti in rubrica. Il pollice è sospeso sul nome di Eren. Ci siamo scambiati i numeri dopo essere andati in quel bar. Ha insistito che sarebbe stato molto più facile rimanere in contatto. L’ho considerato un progresso, anche se non sono sicuro dove porterà questo progresso.

Premo il suo nome prima di poter cambiare idea. Suona per alcuni istanti prima che risponda. Sento che il respiro mi si blocca in gola per qualche strana ragione.

“Levi?” Risponde, sembrando stanco, e qualcosa fruscia dall’altra parte della linea. “Che succede?”

“Niente,” rispondo e scivolo sul sedile. L’auto è fredda all’improvviso e non sono sicuro del perché. Prima la temperatura era normale. “Che fai?”

“Uhm... niente,” dice. Sembra confuso. “Perché hai chiamato?”

Volevo sentire la tua voce.

“Nessun motivo,” mento, perché non voglio mettermi in imbarazzo. Eren tace. 

“È successo qualcosa?”

Sì.

“No.”

“Sei sicuro?”

No.

“Sì.”

“...So che stai mentendo,” dice Eren. Sembra stanco. Il senso di colpa mi trafigge come una verga calda direttamente nel cuore. “Pensavo avessimo deciso di essere onesti l’uno con l’altro.”

“Non abbiamo mai fatto un accordo del genere,” borbotto.

“Lo abbiamo sicuramente fatto,” dice Eren indignato e forse avrei riso se avessi avuto l’energia per farlo. “Era più un affare non detto, ma l’abbiamo fatto.”

“Ti credo,” rispondo cercando di dargli fastidio, perché posso praticamente vederlo con le guance rosse dalla frustrazione. “Hai ragione. Abbiamo fatto quell’accordo.”

“Giusto,” dice Eren, sembrando più calmo. “Allora... vuoi parlarne?”

“No,” dico, e c’è questo forte dolore che attraversa il mio corpo. Stringo i denti. “Ehi.”

“Che c’è?”

“Raccontami la tua giornata,” dico io ed Eren ride.

“Cosa siamo, una vecchia coppia sposata?”

“Siamo qualunque cosa tu voglia,” dico, facendo un piccolo sorriso anche se non riesce a vedermi.

“Va bene, sei strano,” continua Eren. Canticchia piano. “La mia giornata è stata ... sì.”

“Orribile?”

“Più o meno.”

“Cos’è successo?” Domando. Eren non dice nulla per un po’. Mi chiedo se abbia riattaccato, ma poi sospira.

“Uhm, parliamo di qualcos’altro,” cambia argomento. “Com’è stata la tua giornata?”

“Che cosa è successo?” Chiedo di nuovo, più insistentemente, ed Eren sospira.

“Niente. Solo... non lo so, è stata solo una brutta giornata. Che altro vuoi che dica?”

“Stai nascondendo qualcosa.”

“Anche tu.”

Deglutisco. “Touché.”

“Mi dispiace,” cede alla fine Eren, sembrando genuino. “Diciamo che... non riguarda me. Sai, riservatezza e cazzate varie. Non voglio fare gossip.”

“Sì,” dico. “Sì, ho capito.”

“E tu?”

Mi mordo il labbro e stringo il telefono tra le mani.

“Vigliacco,” dico, e la mia voce si incrina mentre lo dico. Rido, amaro, e mi passo la mano libera tra i capelli. “Avevi ragione, lo sai. Sono un codardo.”

“Non è vero,” smentisce Eren all’istante. Mi chiedo che tipo di faccia stia facendo in questo momento. Mi rendo conto sia difficile parlare al telefono. Non puoi vedere l’espressione dell”altra persona. Non puoi vedere come le tue parole le influenzano.

“Si…”

“È successo qualcosa, vero?” Chiede Eren. Annuisco, il che è stupido poiché non riesce a vedermi, ma non mi interessa davvero.

“Sono successe molte cose,” dico. “E, onestamente, fa schifo tutto.”

“Mi dispiace.”

“La vita fa schifo.”

“Lo so.”

“Sono…”

“Sei...?” Persuade. Guardo il cielo dal parabrezza. È una specie di inchiostro nero, schizzato di tutte queste piccole stelle d’argento, e faccio del mio meglio per rimanere concentrato su di esso.

“Stanco,” mormoro. “Sono davvero stanco.”

“Anche io sono stanco,” dice Eren gentilmente. “Sono stanco da un bel po’.”

“È davvero drenante.”

“Lo so,” mi dà ragione, e tutto il mio corpo inizia a tremare. Non so cosa sta succedendo.

“Eren.”

“Dimmi.”

“Perché pensi che la gente se ne vada?” Domando. “Pensi che sia perché sono stanchi?”

“A volte,” ammette Eren. “Altre volte, penso se ne vadano perché la loro attuale vita fa troppo schifo.”

“Pensi mai che qualcuno ti possa abbandonare?” Chiedo a denti stretti. Eren sospira rumorosamente.

“Di cosa stai parlando, Levi?”

“Non lo so,” ammetto, chinandomi in avanti e premendo la fronte contro il volante. “Cavolo, lo vorrei sapere.”

“Ehi,” dice, con voce sommessa, e faccio un suono con la bocca per fargli sapere che sto ascoltando. “Ricordi quando ti ho detto che non me ne sarei andato?”

“Sì,” rispondo. “Mi ricordo.”

“Perfetto.” dice Eren. “Perché vale ancora ciò che ho detto. Non vado da nessuna parte.”

“Giusto,” sbuffo e mi gratto la fronte. “Chi altri ti offrirà il pranzo, sennò? Questa è una citazione diretta, comunque.”

“No,” dice Eren con fermezza. “Non vado da nessuna parte perché... perché ho bisogno di te.”

Inspiro acutamente, la mia mente corre mentre prendo le sue parole.

“Hai bisogno di me?” 

“Sì,” risponde Eren, la voce sottile. “E anche tu hai bisogno di me, vero?”

Probabilmente dovrebbe sembrare una domanda, ma sembrava più che altro un’affermazione.

“Sì, Eren,” confermo e chiudo gli occhi mentre ascolto il suo respiro dall’altra parte della linea. “Anche io ho bisogno di te.”

“Quindi... abbiamo bisogno l’uno dell’altro,” continua. “Questo è… il motivo per cui nessuno di noi abbandonerà l’altro.”

“Già,” dico, e mi faccio un po’ schifo per non riuscire a pensare a nient’altro da dire. “Noi… resteremo insieme.”

“Sì,” sussurra Eren. “Esattamente.”

“Cielo,” respiro. “Sei semplicemente perfetto, lo sai, vero?”

“Ci provo,” dice con uno sbuffo; ridacchio. “Ti senti meglio?”

“Più o meno,” rispondo, mettendomi seduto. “Grazie.”

“Nessun problema. Faresti lo stesso per me.”

“Sì,” lo rassicuro. “Sì, lo farei.” Lancio un’occhiata all’orologio. “Merda. Probabilmente dovrei andare. Scommetto che sei stanco.”

“Nah,” nega Eren. “Ma... stai bene?”

“Sì, sto bene. Tu?”

“Sto bene,” mormora. “Nessun problema.”

“Okay,” dico, e mi mordo l’interno della guancia. “Uhm... ci vediamo.”

“Dio, sei così imbarazzante,” dice Eren con uno sbuffo. “Non hai mai parlato al telefono prima o qualcosa del genere?”

“Certo che sì!” Ringhio, sulla difensiva, ed Eren ride ad alta voce.

“Adoro prenderti in giro, lo sai. È divertente.”

“La pagherai un giorno di questi,” scherzo ed Eren ridacchia.

“Oh, mi punirai?” Dice con voce civettuola, e sento le guance scaldarsi.

“Taci,” continuo, e la sua risata risuona nel mio orecchio.

“Chissà quanti insulti devo recuperare.”

“Non tutti insultano le persone per vivere,” sbotto irritato, ed Eren continua a ridere.

“Non insulto tutti. Solo le persone speciali.”

“Mi sento onorato,” dico seccamente, e posso praticamente immaginarlo ghignare.

“Dovresti,” dice. “Ora vado a dormire.”

“Okay,” continuo e resisto all’impulso di augurargli sogni d’oro o qualcosa di altrettanto disgustosamente romantico. “Notte.”

“Buonanotte,” risponde; quando riaggancio mi sento sollevato da un peso.

Mi appoggio allo schienale del sedile, tenendo ancora il telefono tra le mani e fisso il soffitto dell’auto. Tutto il mio corpo fa ancora male, ma almeno ora posso finalmente respirare. Mi sento più calmo e mi chiedo se Eren sia davvero riuscito ad avere un tale effetto su di me.

È terrificante pensare che una persona possa influenzarmi così tanto, ma, stranamente, non mi sento minacciato. Se non avessi parlato con lui, probabilmente sarei andato in giro come un maniaco. Non mi ero sfogato sulla mia orribile giornata, ma non mi importava.

Averlo accanto è abbastanza per farmi dimenticare tutto questo. Sembra davvero stupido, ma è la verità.

Io… ho bisogno di lui.
   
 
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