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Autore: Scarlet Jaeger    15/08/2020    3 recensioni
"Ma a volte
l'amicizia fra maschio e femmina non è fatta per
durare a
lungo, perché prima o poi uno dei due finisce per innamorarsi
dell'altro."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 33

«Tanto non verrà», dissi sedendomi a gambe incrociate sul letto di Takao.
Da quando eravamo tornati in albergo, i ragazzi non avevano fatto altro che domandarsi se Kai sarebbe tornato. Io invece ero rimasta in religioso silenzio per tutto il tempo, a guardare nervosamente il paesaggio fuori dalla finestra con la mascella serrata. Non mi sentivo per niente fiduciosa verso di lui, non dopo tutto quello che aveva fatto. È vero, era cambiato dopo la battaglia sul lago, ma chissà come aveva reagito una volta ritornato al monastero. Io dubitavo davvero del suo ritorno, soprattutto perché Hiwatari non avrebbe mai e poi mai rinunciato ai suoi sogni di gloria per noi. La mia mente era ancora pervasa dalla rabbia che da qualche tempo covavo per lui e non riuscivo a ragionare obbiettivamente, tuttavia non volevo alimentare altre false speranze. Né le mie, né tanto meno le loro. Inoltre avevo ancora Dranzer stretto tra le mani.
A quella mia sentenza si voltarono tutti verso di me con un sopracciglio alzato, chiaro segno che non si sarebbero aspettati una risposta così dura da parte mia. L’avevo anche detto con un tono di voce che non avrebbe ammesso altre repliche.
«Perché dici così?»
Fu Takao a prendere parola, lui che aveva sempre avuto una spiccata dose di speranza verso tutti gli esseri umani. In un primo momento anche in Vorkof.
Decisi di non rispondere subito e di prendermi qualche secondo in più per sospirare, nonostante sul volto avessi mantenuto una certa espressione contrariata. Chiunque, guardandomi, avrebbe notato il mio stato d’animo incollerito verso il nostro ex compagno di squadra. Ero arrivata ad un punto in cui non riuscivo più a capirlo, o a capacitarmi dei suoi atteggiamenti sconsiderati come invece avevo sempre fatto. Anche se sapevo che la colpa di quel cambiamento era da attribuire a Vorkof ed alla Borg, non riuscivo a perdonarlo per le scelte che lo avevano portato ad allontanarsi da noi. Ma soprattutto non riuscivo a perdonarlo per tutto quello che aveva fatto da quel momento in poi, come rubare i Bit Powers dei White Tigers e degli All Stars. O anche solo per aver abbandonato il suo Beyblade.
«Perché Kai è una persona fredda e calcolatrice. La tipica persona che venderebbe l’anima pur di veder realizzati i suoi scopi. Lui vuole essere il Blader migliore del mondo e non gli interessa nemmeno con quali mezzi potrà farlo, lo dimostra il fatto che Dranzer è qua con me invece di essere con lui. A Kai non frega un’accidenti di noi, né gli è mai importato qualcosa. Lui è rimasto in questa squadra solo perché gli è convenuto, ma dal momento che ha trovato il modo di adempiere ai suoi desideri non ci ha messo molto ad abbandonarci per realizzarli. Se pensate che ad Hiwatari importi qualcosa dell’amicizia, beh, fareste meglio a ricredervi…io ne so qualcosa…», risposi a denti stretti, facendo volutamente notare loro il mio stato d’animo. Non riuscivo a credere che avessero pensato che sarebbe bastato salvarlo dai ghiacci del lago per riuscire a farlo tornare in sé o in squadra, o che tutto quello successo tra noi si sarebbe risolto così. Erano solamente degli illusi!
«Non credi di stare esagerando?», sentii Rei sedersi accanto a me per rispondermi ed io non potei che voltarmi nella sua direzione con un’espressione sconvolta.
«Rei!», lo ammonii, stringendo i denti in una smorfia sofferta. «Come puoi, proprio tu, dire una cosa del genere dopo tutto quello che mi ha fatto, e che vi ha fatto!? Lo avete visto anche voi che non ha avuto remore a rubare gli animali sacri delle altre squadre, che non ha avuto ripensamenti a gettare via il suo fedele compagno e che non vedeva l’ora di batterci tutti per avere i nostri Bit!», blaterai scioccata e lo vidi stringere la mascella sotto le mie parole. Sono sicura che sapesse quanto fossero vere, in fondo era stato proprio lui a consolarmi nei momenti in cui Kai era riuscito a farmi arrabbiare o ferirmi talmente tanto da indurmi a piangere fra le sue braccia. 
Però mi sentii tradita da quella sua constatazione e dall’occhiataccia che gli riservai credo lo capì anche lui, perché abbassò gli occhi con sofferenza. Non riuscii a credere che ebbe il coraggio di difenderlo dopo quello che era successo tra noi e dopo quello che ci eravamo detti non molto tempo prima in quella stanza d’albergo. 
Hiwatari stava di nuovo sconvolgendo la mia esistenza senza essere presente, era assurdo! 
«Lo so…», ammise tristemente, poggiandomi titubante una mano sul ginocchio, in un gesto che avrebbe dovuto tranquillizzarmi. Purtroppo niente e nessuno avrebbe potuto calmarmi in quel momento. «Non volevo dire questo. Ma mi è sembrato che qualcosa fosse cambiato nel suo animo dopo che lo abbiamo salvato», continuò, ma in ogni caso non me l’avrebbe data a bere. «E poi tu sei andata via e non ti sei potuta rendere conto del fatto che Kai non ha mai spostato il suo sguardo da te durante tutta la tua corsa verso l’elicottero. E lo ha fatto con uno sguardo quasi sofferente»
Dopo quelle parole mi decisi a riportare l’attenzione che avevo distolto dalla sua persona di nuovo su di lui. Rimasi interdetta da quella constatazione e cercai di capire se fosse vera oppure se lo avesse detto di proposito per cercare di far alzare di nuovo la stima che avevo perso nei confronti del mio vecchio amico. In ogni caso non sarebbe bastata quella bugia, se fosse stata davvero una bugia, a farmelo salire di nuovo nelle grazie.
«Beh, sicuramente non gli è andato giù il fatto che io gli abbia tenuto testa con Dranzer. Tutto qui…Se gli fosse importato qualcosa di me non mi avrebbe detto quelle cose in Germania!», gli dissi stizzita, assottigliando lo sguardo per fargli intendere quello che solo lui poteva sapere. Gli avevo detto dello scontro avuto con Kai perché mi fidavo di lui, ma non ero riuscita a farlo con gli altri, che sotto le mie parole si guardarono tra loro con fare confuso.
«Hai ragione», mi rispose con un sospiro, ma sembrò come se me la stesse dando vinta pur di non litigare con me. In quel momento stavo vedendo tutto nero, e lui lo aveva ben capito, ma quel suo atteggiamento accondiscendente e quella strana fiducia nei confronti di Kai mi fecero male. 
Mi sentii di nuovo come se fossi stata tradita.
«Non ho altro da dire. Anche se dovesse varcare quella porta non cambierà quello che penso di lui. Me ne ha fatte troppe…», ammisi con sincerità, portando le ginocchia al petto e nascondendo il viso a contatto con le gambe. 
Stavo cercando di non scoppiare di nuovo a piangere dal nervoso. Avrei voluto sfogare in qualche modo la rabbia ed il risentimento che sentivo, e visto che non potevo farlo prendendomela con il diretto interessato dovevo pur scaricarla in qualche modo. In più non volevo rispondere o trattare male i miei compagni, quindi mi trattenni dall’essere rude e dal continuare a parlare.
Sentii soltanto il braccio di Rei circondarmi le spalle, attirandomi a sé. Mi ritrovai di nuovo tra le sue braccia e quella volta non era stato per mia scelta. Avrei voluto andarmene, ma non riuscii a trovare la forza. Per quanto mi aveva fatta arrabbiare, quelle braccia riuscivano sempre a tranquillizzarmi.
«Scusa», mi disse a fiori di labbra, vicino al mio orecchio, ed io lo strinsi a me con maggior forza. Con quel gesto volevo fargli intendere che avessi capito le sue parole e che per il momento avrei accettato le sue scuse.
Rimasi abbracciata a Rei per tutto il tempo in cui i ragazzi continuarono a fare congetture, ma io non avevo voglia di stare a sentirli e quindi, cullata dal suo profumo, mi addormentai tra le sue braccia.



«Kai!», sentii pronunciare dalla voce di uno dei ragazzi e quello mi costrinse a destarmi definitivamente dal mio sonno. 
Mi strofinai gli occhi ancora ancora chiusi e quando definitivamente li aprii lui era di fronte a noi, con le braccia conserte e l’aria quasi malinconica. 
In un primo momento stentai a credere che quello fosse proprio Kai Hiwatari, soprattutto dopo che avevo cercato di far perdere la speranza di rivederlo a tutta la squadra. Non seppi dire quanto tempo fosse passato da quando mi ero addormentata, ma la luce arancione che filtrava dai vetri della finestra chiusa mi fece capire che il sole aveva iniziato a tramontare. Avevo dormito così tanto che credetti di stare ancora sognando. 
«Bentornato, lo sapevo che saresti venuto!», disse Max, con il suo solito tono di voce allegro ed amichevole. Mi presi del tempo anche per osservare Rei ed il Prof, che con mia somma sorpresa stavano sorridendo al nuovo arrivato come se nulla di quello che ci aveva fatto fosse successo. Inoltre Rei era ancora seduto sul letto dove mi ero finalmente issata a sedere. Quando si accorse che lo stavo guardando mi sorrise a sua volta, come a volermi dire: “te lo avevo detto”, ma quella constatazione silenziosa mi stizzì non poco e glielo feci capire storcendo il labbro in una smorfia contrariata. Lui abbassò lo sguardo ambrato per un istante, ma non mi feci smuovere da ciò, perché ero fortemente convinta di continuare a tenere alto il mio pensiero. Mi dispiaceva andare contro Rei, soprattutto dopo quello che era successo tra noi, ma tutta quella fiducia verso Kai, da parte sua e degli altri, mi aveva lasciata pressoché interdetta. Possibile che nessuno di loro serbava un po’ di rancore per tutto quello che aveva fatto da quando ci aveva lasciati? Ed adesso tornava così come se nulla fosse e senza un minimo scontro verbale? E loro lo avrebbero anche perdonato senza chiedere spiegazioni, era assurdo! 
Mi voltai verso il nuovo arrivato e piantati i miei occhi nei suoi come a volerlo intimorire, e lo feci con l’espressione più risentita che riuscii a fare. Lui invece serrò le labbra, come se si stesse sforzando di non dirmi nulla, ma capii che avrebbe voluto parlarmi, soprattutto dopo gli eventi successi sul lago Bajkal. 
Purtroppo però nessuno di noi riuscì a dire nulla, perché venimmo interrotti dall’arrivo in stanza di mio nonno, con al seguito il nonno ed il padre di Takao, e quello ci sembrò alquanto strano. 
A parte festeggiare il ritorno di Kai, nel quale io me ne rimasi imbronciata al mio posto, seduta ancora a gambe incrociate sul letto, i tre uomini ci spiegarono subito il perché della loro presenza. 
Il signor Kinomiya ci raccontò della sua ricerca dei Bit Powers, della videocassetta che mio nonno ci aveva fatto recapitare quando eravamo in Europa, e di come avesse conosciuto Vorkof. Sotto quel racconto ammutolimmo tutti, soprattutto perché nessuno di noi avrebbe mai pensato che quel Monaco fosse in realtà un terrorista. Non che avesse mai avuto un’aria raccomandabile, ma non credevo che fosse malvagio fino a quel punto. 
Kai invece aveva tenuto lo sguardo basso durante tutto il racconto e tremava leggermente sotto le parole del padre di Takao, soprattutto quando il discorso sviò su di lui. Era stato mio nonno a prendere parola, dicendoci quanto il nonno di Kai fosse coinvolto in quella storia.
Il Sig. Hiwatari era socio in affari con Vorkof ed entrambi puntavano a conquistare il mondo grazie all’energia dei Bit Powers. Si erano alleati per far sì che questo accadesse, ma non avevano messo in conto che noi avremmo provato ad ostacolarli. Mio nonno aveva organizzato il mondiale, e quindi messo insieme la squadra dei Bladebreakers, proprio per ostacolare la Borg… e Kai aveva quasi mandato all’aria tutto! Quella constatazione mi indispettì non poco. 
«Ha approfittato della mia passione per il Beyblade. Mi ha portato al monastero affinché diventassi uno dei suoi strumenti per raggiungere la gloria…», prese parola Kai, spostando lo sguardo su tutti i presenti, fino a soffermarsi su di me. Mi squadrò con uno sguardo strano, molto in contrasto con quelli che mi riserbava di solito, quasi stesse cercando di comunicarmi qualcosa con lo sguardo, ma io mantenni la stessa espressione che mi ero piantata sul volto da quando era entrato. Capii comunque che si stesse riferendo al passato, di quando sparì senza lasciare traccia di sé. Già sapevo, grazie allo stesso Vorkof, che Kai aveva passato metà della sua infanzia al Monastero. Avevo anche capito il perché della sua freddezza, ma ero troppo arrabbiata per quello che aveva combinato per perdonarlo così… 
«Non importa quello che ha fatto tuo nonno Kai!», prese parola Takao, balzando in piedi e fermandosi al centro della stanza per essere sotto gli occhi di tutti. 
«Importa che hai capito i tuoi errori e che adesso tu sia con noi», gli sorrise, facendo apparire un sorriso anche sui volti di tutti i presenti. Io invece non avevo nessuna voglia di sorridere e rimasi con le gambe strette al petto, disinteressata al massimo. Per fortuna nessuno si accorse di me e del mio stato d’animo. Nemmeno Rei, che si era alzato dalla sua posizione per raggiungere Takao, con Max ed il Prof al seguito. 
«Glielo giuro presidente, fermeremo Vorkof ed annienteremo i suoi folli piani di conquista!», continuò Kinomiya, rivolto a mio nonno, allungando un braccio di fronte a sé in segno di speranza. 
«Ed io sarò al tuo fianco!», dette man forte Max, col suo solito buon umore e poggiando la sua mano su quella di Takao in segno di solidarietà. 
«Contate pure su di me!», aggiunse Rei, emulando il gesto di Max. 
«E non dimenticatevi di me!», fece invece il Prof Kappa, inserendo anche la sua mano in quella stretta di gruppo. 
Con la meraviglia di tutti i presenti anche Kai si aggiunse al quartetto, poggiando per ultimo la sua mano con un sorriso. Quel gesto mi fece imbronciare ancora di più, perché non mi ero ancora del tutto convinta della sua redenzione.
«Non vi lascerò salvare il mondo da soli…», gli sentii pronunciare e non potei fare altro che storcere di nuovo le labbra in una smorfia. 
«Adesso manca solo Saya… », sentii la voce di Takao riportarmi alla realtà e mi accorsi che gli sguardi di tutti i presenti erano puntati su di me. I ragazzi mi stavano sorridendo affabilmente, mentre Kai mi guardava con una strana pacatezza che mi convinse ad alzarmi stizzita dal letto. Sicuramente credettero che avrei aggiunto la mia mano alle loro, e in un’altra circostanza lo avrei fatto. Era ovvio che condividevo i loro pensieri, e che non vedevo l’ora di mandare all’aria i piani malvagi della Borg, ma non avevo intenzione di interagire con Kai… 
Rimasi in piedi a poca distanza da loro e guardai prima Rei, con uno sguardo che voleva fargli capire tutta la mia delusione, poi spostai la mia attenzione sul mio vecchio amico, con un’espressione incredibilmente risentita. Lo osservai abbassare gli occhi a terra e quello mi dette una soddisfazione immensa. In ogni caso non volli umiliarlo, non ero così stronza come lo era stato lui nei miei confronti. 
Il mio atteggiamento però confuse tutti i presenti e potei notarlo dalle loro espressioni confuse, ma per fortuna non dissero nulla. Nemmeno Kai, che spostò la sua attenzione da me con quello che mi sembrò uno sguardo alquanto ferito. Non volli comunque infierire, né rimanere in mezzo a loro. Avevo bisogno di sbollentare la rabbia ed avevo bisogno di farlo da sola, cosi girai i tacchi con una smorfia e mi diressi nella stanza che dividevo con Rei e Kai, chiudendomi la porta alle spalle. 





Saya era riuscita ad ammutolire tutti i presenti, che in quel momento stavano osservando con uno sguardo confuso il punto in cui la ragazza era sparita. Gli unici invece che si erano leggermente incupiti furono proprio Rei e Kai, entrambi per motivi diversi. 
Rei si sentiva in colpa per aver dubitato di lei e per non essergli stato vicino in quei momenti dove più avrebbe avuto bisogno di lui. Era stato presente in ogni memento di disperazione della ragazza, tranne in quello, che forse era stato quello più cruciale. Saya aveva perso totalmente la fiducia in Kai, ed a quanto pareva anche in tutti loro. Non l’aveva mai vista voltare loro le spalle in quel modo, né farlo con così tanta rabbia. 
«Le passerà, vedrete», ridacchiò Takao, portandosi le mani dietro la nuca in un gesto spensierato, ma non riuscì del tutto a convincere i diretti interessati. 
«Ce l’ha con me…», ammise invece Kai, meravigliando non poco i presenti, soprattutto per il tono di voce colpevole che aveva usato. In quel modo ebbe l’attenzione di tutti, che lo guardarono con una leggera apprensione. Che lei ce l’avesse con lui lo avevano capito tutti e non solo per quello che era successo in Russia. Sapevano che quella era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. 
«Credo che in questo momento tu sia l’unico che può tranquillizzarla. Avete molte cose di cui parlare…»
A meravigliare il ragazzo furono le parole di Rei, che si era avvicinato quasi a parlargli sotto voce. Il diretto interessato fece molta fatica a capire quelle parole, ma evidentemente era una cosa troppo personale per esporla di fronte a tutti.
«Beh, vi lasciamo ai vostri diverbi ragazzi. Ci vediamo domani»
Furono le parole allegre del Presidente Ditenji a stemperare l’atmosfera che si era creata in quella stanza, impedendo in un primo momento a Kai di poter rispondere. Inoltre i tre uomini uscirono tutti sorridenti dalla camera, sapendo che tanto i ragazzi avrebbero chiarito le loro questioni senza bisogno degli adulti. E poi erano tutti abbastanza provati dai recenti avvenimenti.
Quando calò di nuovo il silenzio, Hiwatari ebbe di nuovo tutta l’attenzione dei presenti su di sé. Quella pressione lo confuse non poco però, e si ritrovò a portarsi una mano tra i capelli in un gesto che trasportava tutto il suo nervosismo.
In fondo non si era mai soffermato a dover “consolare” gli altri, né a parlare del suo comportamento o parlare in generale di qualcosa di importante. Era sempre stato un tipo solitario e scostante e non aveva mai detto più di una frase all’interno di una qualsiasi conversazione, soprattutto coi ragazzi. Ed ora pretendevano che lui andasse a parlare proprio con l’amica che aveva perso per colpa dei suoi comportamenti scostanti?
«Io…», iniziò a parlare ma non ebbe idea di cosa avesse voluto dire, poiché le parole gli morirono in gola. Non si sentiva pronto per affrontare una cosa del genere, ma non poteva certo tirarsi indietro. Aveva superato prove ben peggiori, eppure confrontarsi con quella ragazza lo metteva a disagio. Era assurdo!
«Glielo devi, per come l’hai trattata nel giardino degli Jurgens…», rincarò la dose Rei, provocandolo volutamente. Sapeva che l’orgoglio era probabilmente l’unico punto vulnerabile di Kai, che infatti reagì con una smorfia contrariata. 
Dalla faccia che fece, Rei fu sicuro che gli avrebbe risposto nel suo solito modo scostante, invece si meravigliò del fatto che non rispose minimamente alla provocazione. Lo vide serrare la mascella con una smorfia, ma evitò di proferire parola a riguardo, e sotto quel gesto capì che Saya non gli era poi del tutto indifferente. 
E neanche lui a lei.
Forse si sarebbe pentito di aver mandato Kai a parlare con Saya, perché in fondo teneva molto a quella ragazza, ma era anche vero che si era creato un triangolo che solamente lei avrebbe potuto sciogliere. E poi lui doveva ancora capire quale tipo di sentimento provasse per Mao. Erano tutti molto confusi, ma forse quella sarebbe stata la svolta che li avrebbe aiutati a capire.
«D’accordo!», sbottò Kai dopo qualche istante di silenzio ed esitazione, impettendosi e dirigendosi fino alla stanza in cui era sparita la ragazza.






«Vattene Rei!», sbottai inacidita quando sentii la porta chiudersi alle spalle di qualcuno e lo feci col tono di voce più risentito che riuscissi a fare. Ero sicura che fosse lui, perché nessun altro avrebbe avuto il coraggio di entrare sapendo quanto fossi incollerita, ma non avevo alcuna voglia di parlare, né di farlo con lui. Mi dispiaceva davvero dover tenere lontano Rei dopo che era stato così dolce e gentile da starmi vicino nei momenti di sconforto, ma non volevo dire cose di cui mi sarei pentita. Avevo covato una rabbia ed un risentimento che difficilmente sarei riuscita a controllare. Nemmeno un altro bacio del ragazzo mi avrebbe fatta calmare, nonostante avessi sentito la necessità delle sue labbra per tutto il giorno. Inoltre non mi ero ancora del tutto capacitata del suo comportamento di poco prima. 
I miei pensieri però vennero brutalmente messi a tacere dalla voce del nuovo arrivato.
«Non sono Rei», mi rispose, leggermente stizzito, e la sua voce mi convinse a sgranare gli occhi e trattenere il respiro, nonostante continuassi a dargli le spalle. Non volevo voltarmi, né vedere i suoi occhi. Non ero pronta ad un confronto con lui.
«Vattene Kai!», gli intimai, ancora più indispettita ora che sapevo chi mi avesse disturbata. In più usai lo stesso atteggiamento che solitamente usava lui contro di me, o contro i ragazzi della squadra, e mi sentii così soddisfatta di lanciargli contro le sue stesse risorse che mi salì alle labbra un sorrisetto maligno.
Lo sentii sospirare ma non riaprire la porta, chiaro segno che la mia imprecazione non era servita a nulla. Solo allora mi decisi a voltarmi, alzandomi dal letto e portando le braccia al petto con espressione sprezzante. Lui però non si mosse dalla sua posizione e non cambiò minimamente la sua coltre impassibile. Tipico di lui!
«Ho detto vattene», continuai con insistenza, ma lui mi stava guardando con uno sguardo talmente penetrante che non riuscii a sostenerlo per più di tre secondi. Abbassai il mio con un ringhio risentito e lo sentii sospirare di nuovo. Quello mi convinse ad alzare di nuovo i miei occhi su di lui con titubanza.
Le sue sopracciglia erano leggermente incurvate in un’espressione quasi supplichevole, che mi costrinse a serrare di nuovo la mascella.
«Uffa, quando sei tu ad intimare agli altri di andarsene quelli fanno come tu ordini…», sbottai di nuovo spazientita, alzando le braccia in segno di resa. «Ok, se non sarai tu ad andartene me ne andrò io»
Feci qualche passo verso di lui, ma sapevo benissimo che non mi avrebbe fatta passare, in fondo stava piantonando la porta da quando era entrato. Se l’era chiusa alle spalle e non si era mosso da lì come la volta sul treno, quando mi impedì di entrare nella mia cuccetta perché voleva chiedermi di vedere il disegno.
Il ricordo di quest’ultimo e di Dranzer mi indispettì talmente tanto che mi costrinse a fermarmi di colpo. E lo feci con un grugno incattivito.
«Saya…»
Il mio nome soffiato dalle sue labbra fece perdere un colpo al mio cuore, che iniziò a battere all’impazzata facendomi cambiare espressione. Era la prima volta che lo sentivo dalla sua voce, e forse era quello che avevo sperato di sentire per tutta la durata del campionato mondiale. Avevo sperato che lui si accorgesse di me, che si ricordasse di me o che mi chiamasse almeno una volta col mio nome e non con i soliti “Hey” o “Senti”, quasi fossi una nullità di poco conto. Ma non dovevo farmi impietosire da quello, perché ero sicura che lo avesse fatto apposta per richiamare la mia attenzione e quella constatazione mi fece di nuovo salire le lacrime agli occhi. Feci di tutto per trattenerle, anche un’espressione quasi sofferta. Non volevo piangere di nuovo per lui, né tanto meno farlo in sua presenza, ma non riuscivo più a sostenere la rabbia che sentivo verso quell’individuo. L’unico modo che avevo per liberarmene era sfogarmi, ma oltre tirargli una scarpa cosa avrei potuto fare? Avrei dovuto parlargli per non essere minimamente ascoltata? Ero sicura che le mie parole sarebbero state solo parole dette al vento, perché in tutto quel tempo passato nella stessa squadra non avevano mai sortito il minimo effetto. Quindi come potevo sperare che avrebbero potuto cambiare qualcosa in quel momento?
«Vattene», fu il mio ultimo disperato appello, detto senza guardarlo e lasciando che una lacrima sfuggisse al mio controllo. Riuscii ad asciugarla con il dorso della mano, ma non volli alzare gli occhi da terra, troppo avvilita per farlo.
«Vorrei che tu mi ascoltassi…», mi rispose invece, facendomi serrare ancora di più i pugni e la mascella. «Per favore!»
Fu quell’ultima frase a farmi cedere, perché dalla sua voce non avevo mai sentito quelle parole, soprattutto dette con un tono così supplichevole. Se lui, una persona fin troppo orgogliosa, si era abbassato a tanto, probabilmente quello di cui voleva parlarmi era una cosa importante. 
Mi decisi a dargli una possibilità, ma non gli dissi nulla e non alzai lo sguardo. Annuii solamente con un cenno del capo, così da fargli capire che avrebbe potuto parlare e che lo avrei ascoltato.
«Io mi ricordo di te», sospirò. Quel sospiro così arrendevole mi fece perdere l’ennesimo colpo e mi costrinse a riportare i miei occhi nei suoi, che mi stavano osservando mesti.
Non riuscii però a formulare una frase, nonostante avessi aperto la bocca per prendere una boccata d’aria, quindi fu lui a continuare. 
«Quando siamo arrivati a Mosca ho avvertito una strana inquietudine, soprattutto dopo la visita al monastero. Mi aveva inquietato, e penso che tu lo sappia, perché mi sono accorto che era stato lo stesso per te. Volevo capire cosa fosse quella strana sensazione che avevo iniziato ad avvertire, così il giorno dopo mi ci sono avventurato di nascosto. Non è stato facile, ma sono riuscito a penetrare all’interno. Mi sono addentrato nei sotterranei, e più andavo avanti più continuava ad essermi famigliare. Poi ho incontrato Vorkof, che ha fatto luce sui miei ricordi, nonostante ancora non ricordassi nulla del mio passato. È stato solamente dopo aver visto Black Dranzer, e dopo averlo lanciato di nuovo, che la nebbia nei miei ricordi si è dissolta. Non del tutto purtroppo, ma quanto è bastato per ricordare alcune cose più importanti. È stato mio nonno a portarmi in quel luogo e ci sono rimasto per cinque anni. Sono sempre stato un bambino ambizioso, soprattutto per quanto riguarda il Beyblade, e penso tu lo sappia», sorrise leggermente e quello mi sembrò ancora più strano. Non ero abituata a vedere un sorriso sul volto di Kai, ma rimasi ancora in silenzio, con il cuore in gola ad attendere che riprendesse a raccontare. «Circa cinque anni dopo essere arrivato al Monastero, i monaci ci portarono a vedere un Beyblade che avevano appena finito di mettere a punto. Era Black Dranzer, che vedemmo in azione per la prima volta, ed io ne rimasti così tanto affascinato che non resistetti alla tentazione di lanciarlo. Così una notte penetrai nel luogo in cui era riposto e provai un lancio. Purtroppo quel Beyblade ha sempre avuto in sé una forza straordinaria, che andava ben oltre le potenzialità di un bambino di undici anni…Fui sopraffatto dalla sua potenza, che mi scagliò contro la parete di pietra della stanza in seguito al rilascio di quell’immensa energia. Battei violentemente la testa e dopo quell’incidente rimasi in coma. Mio nonno convenne che fosse stato meglio per me tornare in Giappone. Rimasi in osservazione per circa due mesi e quando mi svegliai non ricordavo nulla di quei cinque anni passati al monastero, né dei sei anni prima. C’era solo una sensazione che continuava a torturare la mia mente, ed era il vago ricordo di un Beyblade straordinario. Non ricordavo assolutamente che si trattasse di Black Dranzer, né di come fosse fatto in realtà. Ne rimasi così tanto ossessionato da mettere insieme un gruppo di teppisti e fondare gli Shall Killer solo per poter trovare quel Beyblade. Purtroppo non potevo sapere che non lo avrei trovato in città. E purtroppo, tra i tanti ricordi che avevo perduto, c’era anche il tuo. Fu mio nonno a raccontarmi della mia vita, dicendomi che avevo avuto un incidente grave mentre andavo in bicicletta, cercando di mettere insieme un puzzle che ovviamente non esisteva. Lui non mi hai mai raccontato di te…», sospirò abbattuto, abbassando leggermente lo sguardo a terra come avevo fatto io. In quel momento sentii di provare verso suo nonno tutta la rabbia che avevo provato per lui fino a quel momento. Ma perché non gli aveva mai detto di aver avuto un’amica? Ma era ovvio che Hito Hiwatari voleva plagiarlo per i suoi scopi, e lo abbiamo potuto constatare tutti!
«È stato solo dopo averti vista nel covo degli Shall Killer ed in seguito alle tue parole che ho iniziato a farmi delle domande. Per tutto il tempo ho combattuto un’ardua battaglia interiore. Le tue parole avevano smosso qualcosa dentro di me, ma non riuscivo a ricordare nulla nonostante mi sforzassi. Così, nonostante avessi avuto la sensazione di conoscerti, ho voluto comunque tenerti alla larga da me, perché la tua presenza mi confondeva», ammise, alzando di nuovo il suo sguardo su di me. 
Lo guardai dritto negli occhi, perdendomi nel colore di quelle iridi che tanto avevo amato da piccola.
«Io, confonderti?», chiesi con espressione scioccata. 
«Sì», ammise, «perché sentivo che era la verità. Però, nonostante una parte di me ti avesse creduto, l’altra si era attaccata fortemente al presente ed ai falsi ricordi che mi aveva impiantato mio nonno. Non ero pronto ad un cambiamento, né ero pronto a cambiare me stesso. In realtà all’inizio non mi importava di sapere cosa ci fosse stato tra noi. Volevo ignorarti e continuare la mia vita come avevo sempre fatto. In fondo avevo una missione da compiere… Ma poi c’è stato il Torneo Nazionale e la partenza per il Mondiale…e tu mi sei sempre stata fin troppo vicina. È stata dura starti alla larga…»
Lo guardai con la bocca aperta per qualche secondo, con la tipica espressione di chi non crede alle proprie orecchie. Quindi ci avevo visto giusto, in un modo o nell’altro Kai si ricordava di me, ma non gli importava. 
«Mi dispiace di essere stato così scostante con tutti voi», ammise infine e mi sembrò anche che fosse stata un’ammissione sofferta. Sono sicura che non era stato facile per lui esternare quei pensieri, in fondo non aveva mai parlato così tanto di sé. Lo capii dal suo sguardo sofferente. Forse si aspettava che dicessi qualcosa, ma ero troppo scioccata per poterlo fare. Fu lui in ogni caso a continuare.
«Tutto però è cambiato da quanto ho rivisto Black Dranzer e da quando ho potuto lanciarlo di nuovo. Nonostante abbia riacquistato una parte dei miei ricordi grazie a quel Beyblade, io sono sempre stato troppo ambizioso per farmi prendere dai sentimentalismi. L’amicizia al monastero non è mai stata contemplata. Solo il tuo ricordo mi dava conforto per sopravvivere agli estenuanti allenamenti a cui ci sottoponevano», sorrise di nuovo, amaramente, ed in quel momento avrei voluto davvero abbracciarlo per quanto mi sembrò spaesato, ma riprese a parlare ed io mi trattenni. «Con la memoria ho perso anche la concezione dell’amore, dell’amicizia, della pietà e del perdono. Rimasero solo l’impassibilità e la freddezza, le uniche cose che mi sarebbero servite per raggiungere la gloria. E Vorkof sapeva quanto io fossi ambizioso, per questo quando mi sono introdotto nel Monastero mi ha fatto vedere Black Dranzer. Sapeva che non avrei resistito alla tentazione di averlo, ed infatti così è stato. Nonostante quel Beyblade mi avesse fatto riacquistare i miei ricordi, e quindi facendomi ricordare anche di te, io sono stato comunque egoista ed ho scelto il potere», ammise tra i denti ed io lo guardai con uno sguardo triste. 
Tutti i tasselli erano andati al loro posto e l’intricato puzzle della sua vita era finalmente completo. Aveva ammesso di ricordarsi di me ed io non mi sentivo più così arrabbiata come quando era entrato nella stanza. Le sue parole erano riuscite a calmarmi, e la rabbia che sentivo di provare in quel momento era per suo nonno, per averlo allontanato da me, e per Vorkof, per averlo fatto diventare una macchina priva di sentimenti. In quel momento più che mai sperai nei ragazzi e nel fatto che avessimo potuto in qualche modo fermare i loschi piani di quegli individui. Mio nonno ci aveva affidato un compito e noi lo avremmo portato a termine a tutti i costi! 
Ma c’era ancora una domanda che volevo fargli, una che mi aveva tartassato da quando era entrato. Decisi di prendere una boccata d’aria e provare a dire qualcosa, in fondo lo dovevo sia a me stessa che a lui, che aveva messo da parte l’orgoglio ed era venuto a chiarire con me. 
«Sei tornato per restare?», chiesi con voce roca, dopo aver serrato di nuovo i pugni. Un po’ avevo paura della risposta, che però non tardò ad arrivare.
«Certo…», disse con un piccolo sorriso impacciato. In fondo non era abituato a tutte quelle emozioni e lo capivo bene.
«Quindi aiuterai davvero la squadra e mio nonno a fermare i piani di Vorkof?», chiesi titubante e lui annuì senza ripensamenti.
«Certo. Devo molto a tuo nonno, per tutto quello che ha fatto per noi…», ammise con sincerità e quelle sue parole mi diedero la forza di sorridere in risposta.
«Kai…», lo richiamai dopo alcuni secondi di silenzio, in cui nessuno dei due sapeva più cosa dire. Mi ero sentita talmente in imbarazzo, differentemente dall’imbarazzo provato per Rei, che mi decisi a dire qualcosa. Per fortuna non avevo richiamato la sua attenzione senza un vero motivo. C’era ancora un’ultima cosa che volevo sapere e quella risposta poteva darmela solo lui. «Cosa ti ha spinto a cambiare idea?», chiesi con sincerità, piantando le mie iridi ametista nelle sue.
Ci mise un po’ a rispondere e probabilmente fu perché stava cercando le parole esatte con cui farlo.
«In primis l’Aquila Rossa…», ammise e quelle parole mi spiazzarono. «Dopo aver visto il suo sguardo deluso ho capito di aver sbagliato tutto. Ma l’ho anche vista proteggerti ed ho capito cosa la legasse a te, o cosa legasse te a me. Dranzer e la Fenice non si sarebbero mai fidati di un perfetto sconosciuto. Vederti comandare il mio Beyblade con tanta leggerezza mi ha aperto gli occhi», sorrise. «E poi il fatto che avreste rischiato di finire annegati con me pur di salvarmi la vita mi ha definitivamente fatto capire cosa mi fossi perso in tutto quel tempo. Ho combattuto con voi tutto il mondiale senza però averlo vissuto veramente. Voi eravate uniti, mentre io continuavo a starmene a distanza. Voi avete sempre trattato i vostri Beyblade come se fossero degli amici, mentre io avevo sempre usato Dranzer come uno strumento. L’ho capito dopo la sfida sul lago Bajkal. Grazie per avermi aperto gli occhi», mi sorrise, seppur impercettibilmente, ma a me stava bene così. Non volevo forzare troppo la mano, né rischiare di indispettirlo.
«Devi dire grazie a Dranzer e…a proposto…», dissi spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio con fare nervoso. In seguito recuperai Dranzer dalla tasca dei pantaloni, dov’era rimasto tutto quel tempo, ma era giusto che tornasse al suo legittimo possessore.
«Questo è tuo. Non dovresti mai separarti dal tuo amico», continuai, avvicinandomi a lui di qualche passo e lo feci con il braccio teso per restituirgli l’oggetto. Lui lo prese con trepidazione, osservando poi con uno sguardo colpevole il Bit Chip. So che anche in quel momento stava vivendo un conflitto interiore non indifferente. Probabilmente aver visto quello sguardo deluso da parte della sua Aquila doveva averlo inquietato parecchio. Forse si stava sentendo indegno di possederla ancora, ma il Chip gli rimandò indietro lo stesso bagliore che mi aveva sostenuta in quei due giorni e non potei fare a meno di sorridere verso quella scena.
Dranzer lo aveva perdonato.
Ed in fondo anche io.
«Non me ne separerò mai più», ammise con un sorrisetto complice mentre lo riponeva al sicuro nella tasca dei suoi pantaloni. «Ricordo, anche se vagamente, del giorno in cui lo costruimmo», continuò poi, tornando serio e penetrandomi con uno sguardo che mi fece arrossire violentemente. Era l’ennesima confessione che avevo sempre sperato di sentigli pronunciare. «Ora capisco il perché dei tuoi discorsi»
«Spero che un giorno potrai recuperarli tutti», gli sorrisi di rimando, alludendo ai suoi ricordi, ma ammutolii quando lui tornò serio ed impassibile e spostai leggermente la testa di lato, non capendo il perché dei suoi repentini cambiamenti d’umore.
«Anche io devo darti una cosa», mi disse dopo alcuni secondi di silenzio, cambiando totalmente discorso. In un primo momento non riuscii a capire di cosa stesse parlando. Cosa mai poteva dare lui a me?
Ero talmente presa da quei pensieri che non mi accorsi di cosa tirò fuori dalla larga tasca dei suoi calzoni. Fu solo dopo che me la porse che capii cosa fosse, e il mio cuore non resse all’emozione.
Le lacrime iniziarono a scendere copiosamente sulle guance, nonostante cercassi di ricacciarle indietro o asciugarle con la manica della maglietta.
«Io…Io pensavo che lo avresti buttato!», singhiozzai, prendendo dalle sue mani il disegno che io stessa gli avevo lanciato contro in un impeto di rabbia. Me ne ero pentita subito dopo, ma oramai il danno era fatto. Mi ero attaccata a Dranzer anche per compensare la mancanza di quel foglio, che mi aveva tenuto compagnia durante gli anni della sua assenza. Quello schizzo era stato l’unica dimostrazione del fatto che un tempo Kai mi fosse stato davvero amico.
 «In un primo momento ho pensato di farlo, ma poi ho deciso di tenerlo. Dopo aver riacquistato i miei ricordi, quel disegno ha assunto un significato diverso. In fondo, volente o nolente, insieme a Dranzer sono gli unici legami che ho con il mio passato e con te…»
Ed era vero, e sapere che anche lui lo aveva capito mi riempì il cuore di gioia, ma continuai a piangere nonostante il sorriso che mostrai.
«È stato per lo stesso motivo che non ho mai avuto la forza di buttarlo», gli resi noto, «e per lo stesso motivo me lo sono portato dietro. Ho continuato a contemplarlo anche dopo i nostri battibecchi, anche dopo il nostro scontro in Germania», storsi il labbro in una smorfia al ricordo di quell’orribile serata e fu solo dopo aver ripensato ai suoi discorsi che decisi di chiedergli un’ultima cosa.
«Kai», lo richiamai infatti e vidi la sua mascella serrarsi, chiaro segno che aveva già capito cosa stessi per domandargli.
«Tu pensi davvero le cose che mi hai detto quella sera?»
Abbassai di nuovo gli occhi, perché avevo paura ad ascoltare quella possibile risposta. Non volevo perdermi di nuovo in quel mare violaceo, perché non avrei retto il colpo altrimenti.
«Saya…», sospirò il mio nome senza rispondermi e mi sentii ancora più avvilita. Avevamo parlato del suo passato e del nostro, ma non eravamo ancora arrivati a parlare del presente. Io non mi ero dimenticata delle cose che mi aveva detto quel giorno, perché ancora torturavano la mia mente. Inoltre non alzai lo sguardo su di lui nemmeno dopo che mi aveva richiamata.
Successe però tutto in una manciata di secondi. In un primo momento stavo guardando il pavimento e l’attimo dopo mi ero ritrovata avvinghiata al suo petto, ad annusare lo stesso profumo che per tutto il tempo avevo assaporato dal suo cuscino. Le sue braccia mi stavano stringendo quasi con disperazione ed io non potei fare altro che aggrapparmi alla sua schiena, stringendo fortemente la sua maglia nera. 
«Come ti ho già detto ero molto confuso e facevo di tutto per tenerti alla larga da me. Quella sera ho esagerato, ma ti assicuro Saya, non ho mai pensato che tu fossi inutile e credo che quella stessa notte tu lo abbia dimostrato. Tutti i membri della nostra squadra devono molto a te e tuo nonno!», mi disse in un sospiro, fatto pericolosamente vicino al mio orecchio. Sentivo il suo fiato caldo sul collo e quello fece di nuovo iniziare a battere all’impazzata il mio cuore. Inoltre sperai che in quella posizione, così avvinghiata al suo petto, lui non riuscisse a sentirlo. Sarebbe stato difficile da spiegare. Ma quelle braccia erano tutto quello che avevo sempre desiderato. In quel momento la mia mente si era svuotata e non c’era più stato il pensiero di suo nonno, della Borg e…soprattutto, di Rei.
In quell’abbraccio capii di aver riavuto finalmente indietro il mio migliore amico. Ma nonostante quello, c’erano ancora molti dubbi nel mio cuore.
In ogni caso mi decisi a confessargli una cosa importante, e anche se lui non aveva posto la domanda, sono sicura che il pensiero lo avesse tormentato tanto quanto aveva tormentato me. 
«Nemmeno io penso le cose che ti ho detto da quella sera in poi. Non ti odio Kai, né ti saresti meritato di rimanere solo. Ero molto arrabbiata», vuotai il sacco con voce sofferta, parlando nell’incavo del suo collo. Tuttavia lui non rispose, perché probabilmente non trovava le parole con cui farlo. Mi strinse maggiormente a sé e quello per me valse più di mille parole. 
Fine capitolo 33


°°°°°°°
Colei che scrive:
Ma salve a tutti ed eccomi qua, come promesso, ad aggiornare nel giorno del mio compleanno. Ebbene si, oggi, 15 Agosto, compio 3x anni xD ci tengo particolarmente a metterlo in questo giorno perché questo capitolo è stato per me molto difficile da scrivere… spero solo di non aver deluso le aspettative T.T diciamo che è il capitolo che segna la svolta della storia e quello che mi ha fato più soddisfazione. L’ho scritto, cancellato, riscritto modificato, etc… finché non sono stata abbastanza soddisfatta. Diciamo che, per la fatica di scriverlo, mi merito di festeggiarlo con il riavvicinamento di Saya e Kai. Spero solo di non aver reso Kai troppo “sdolcinato” T.T non vorrei andare troppo fuori dal personaggio. Ma tranquilli, tornerà in sé! XD 
Come sempre ringrazio i recensori, che mi danno sempre una gioia immensa, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi arrivati fin qui!
Alla prossima!!! 

  
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