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Autore: Jane P Noire    15/08/2020    2 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.5.
 
 

Hawke era tornato a scuola.
Lo avevo capito ancora prima di avvertire il bruciore sulla pelle e la pressione nella pancia, ancora prima di intravedere nella folla della mensa i suoi riccioli neri e il suo ghigno demoniaco.
Strinse la presa sul suo vassoio e, avvertendo la mia presenza come io percepivo la sua, si voltò per farmi l’occhiolino. Poi cominciò a camminare verso il mio tavolo.
Adeline, che sedeva di fronte a me e doveva aver seguito la traiettoria del mio sguardo, trattenne il fiato. «Porca merda.»
Aumentai la presa sulla lattina di cherry coke che stavo bevendo. «Lo so.»
In realtà, gli umani non avrebbero dovuto sapere nulla dell’esistenza dei demoni, per tutta una lunga serie di regole cosmiche sul libero arbitrio e bla, bla bla… ma Adeline non poteva ignorare questa verità. «Non ha un’anima», disse con un filo di voce. I suoi occhi non lasciavano la figura imponente e nera di Hawke, che continuava a camminare dritto verso la nostra postazione.
«Lo so», ripetei.
Lei si sistemò la montatura spessa sul naso. «Però è un figo da paura.»
Scoppiai a ridere, mentre notavo che lui piegava le labbra in un sorriso soddisfatto. Era ancora parecchio lontano dal nostro tavolo, ma doveva aver sentito lo stesso.
Adeline assottigliò gli occhi e tornò a guardarmi con le sopracciglia aggrottate. «Non è la prima volta che lo vedo, vero?»
Feci una smorfia. «Ti prego, non fare domande.»
In quel momento, la sedia di fianco alla mia strusciò sul pavimento e Hawke scivolò con eleganza silenziosa sul sedile.
«Posso sedermi, vero?»
«Sei già seduto», gli fece notare Adeline. Eppure non sembrava troppo turbata dalla sua presenza al nostro tavolo, o dall’assenza della sua anima. Continuava a fissarlo con le sopracciglia aggrottate e un’espressione concentrata che le faceva arricciare le labbra.
«Addy», mi allungai verso la sua parte di tavolo per attirare la sua attenzione, «lascia perdere, okay?»
Hawke fece un sorriso smagliante e rubò una patatina dal mio piatto. «Se vuole fissarmi, lasciala fare.»
Gli lanciai un’occhiataccia.
Adeline arricciò la punta del naso. «Non mi fido di te.»
«E fai bene, tesoro. Non dovresti fidarti di chi non ha un’anima.»
Adeline sostenne il suo sguardo. «Sai che posso vedere le anime?»
«Certo. È un dono di cui andare fieri.»
Le sue palpebre si assottigliarono ancora di più. «Che cosa sei?»
Aprii la bocca per parlare, ma Hawke fu più veloce di me. «Non addentriamoci in questa strada tortuosa, mia cara. Finiremmo tutti in guai davvero grossi», disse, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi in avanti. «Diciamo solo che sono un… collaboratore dei Vigilanti.»
Incapace di trattenermi, scoppiai a ridere così forte che mi strozzai con la saliva.
«Che cosa?» Gli lanciai un’occhiata sbieca, mentre tossivo un paio di volte. «Tu un collaboratore dei Vigilanti?»
Hawke si strinse nelle spalle e appoggiò un braccio allo schienale della mia sedia. «Be’, splendore, sono un tuo collaboratore, no?»
Quando non riuscii a trovare niente con cui replicare, mi rivolse un sorriso complice che mi fece venire il prurito alle mani per quanta voglia avevo di prenderlo a pugni.
«Io devo andare a lezione.» Adeline si alzò in piedi e afferrò il suo vassoio ormai vuoto. Mi fissò intensamente da dietro le lenti spesse dei suoi occhiali. «Oppure hai bisogno che resti insieme a te?»
Scossi la testa. «Va tutto bene.»
Lei annuì e se ne andò, non senza aver scoccato un’occhiata minacciosa al demone che mi sedeva a fianco.
«Mi piace la tua amica.» Hawke la guardò mentre camminava con passo incerto verso la porta che si affacciava al corridoio principale.
Gli diedi un pugno sulla spalla, abbastanza forte da fargli male. «Non ti permettere», sibilai a denti stretti.
«Tranquilla, non condannerei la sua anima solo perché mi piace come mi tiene testa.» Voltò la testa verso di me solo quando il profilo di Adeline sparì oltre la porta. «Quella ragazza ha sangue di demone nelle vene, lo sapevi?»
Annuii. «Lo avevo immaginato, quando mi ha detto che poteva vedere le anime.»
«E non ti disturba?»
«No.» Scossi la testa e spostai i capelli legati in una coda di cavallo dietro le spalle. «In fondo, nemmeno io sono esattamente normale.»
«Tu sei una rarità.»
«Io sono…» Mi morsi il labbro prima di poter finire quella frase. La conversazione che avevo avuto con Elias sul tetto della villa ancora mi risuonava nella testa. Il solo pensiero della sua mancanza di fiducia mi spezzava il cuore di continuo, come una lama infilata nel petto e che non riuscivo ad estrarre.
Poggiai la lattina di cherry coke e incrociai le braccia sotto il seno. «Perché sei qui, Hawke?»
Lui addentò la sua fetta di pizza. «Ho pensato che sarebbe stato più facile indagare da qui.»
«Perché?»
«Perché non ho scoperto niente laggiù. Da qualche parte dovrò pur cominciare, no?»
Istintivamente, come avevo già fatto almeno dieci volte negli ultimi venti minuti, spostai lo sguardo sul tavolo dall’altra parte della mensa.
Liam Sterling era seduto circondato da persone che gli parlavano, ma lui era chino sul suo piatto con gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso e la bocca che si apriva solo per mangiare qualche boccone del suo pranzo. I capelli castani erano arruffati come al solito e gli ricadevano sulla fronte in modo disordinato. La linea dura e dritta del naso spiccava contro la luce che proveniva dalla finestra al suo fianco.
Quel giorno indossava un maglioncino a righe blu e nere e dei jeans larghi che cadevano in maniera stupenda sui suoi fianchi snelli. Quando era entrato nella mensa, mi ero incantata nel fissare la sottile striscia dell’elastico della sua biancheria visibile oltre la cintura dei pantaloni.
Erano passati due giorni da quello nel parcheggio e ancora non avevamo parlato. E sebbene io mi sforzassi di continuare ad ignorarlo come facevo prima, tutte le volte che ci trovavamo nella stessa stanza i miei occhi individuavano la sua figura in un secondo e tornavano costantemente a posarsi su di essa, come se io fossi il magnete e lui la calamita.
«Chi è il tizio che continui a fissare con la bava alla bocca?» domandò Hawke, avvicinandosi al mio orecchio.
«Cosa? Nessuno.» Mi allontanai con uno scatto, drizzando la schiena. Non avevo bisogno di uno specchio per sapere che ero arrossita quanto una barbabietola. «E non ho la bava alla bocca.»
«Splendore», Hawke ghignò come un gatto che ha messo il topo in un angolo, «io sono un demone.»
«Sì, lo so.» Alzai gli occhi al cielo. «Non c’è bisogno che me lo ripeti in continuazione, non è una cosa che posso dimenticare.»
«Allora non prendermi per il culo. Io sento cosa provi, specialmente quando sono emozioni così forti e peccaminose…» Fece un cenno del mento in direzione del tavolo a cui era seduto Liam, che in quel momento aveva alzato la testa e guardava nella nostra direzione. «E tu lo desideri.»
«Non…» Mi schiarii la voce, costringendomi a mostrarmi disinteressata. «Lui non mi piace.»
«Sei davvero adorabile e ingenua.» Mi circondò le spalle con un braccio e avvicinò il viso al mio. Il suo alito era caldo e aveva il sapore della pizza che aveva appena mangiato, quando parlò il suo respiro mi scostò alcune ciocche di capelli sulla guancia. «Non deve piacerti per desiderarlo.»
Gli assestai una gomitata fra le costole, e gli mostrai il pugno per minacciarlo. Lui ridacchiò nel mio orecchio, ma comprese il messaggio e tornò al suo posto.
Lanciai un’ultima occhiata furtiva verso Liam. Ancora non aveva distolto lo sguardo e fissava nella nostra direzione.
«È il fratello del ragazzo di cui ti ho parlato», dissi, tornando a guardare Hawke.
«Benissimo.» Ingoiò l’ultimo boccone e mi fece un sorriso. «Possiamo unire l’utile al dilettevole, allora.»
Scossi la testa con così tanta forza che la mia coda si allentò e delle ciocche di capelli mi finirono davanti agli occhi. «Assolutamente no, Hawke. Non lo coinvolgerò in questa storia: è un umano.»
«E allora?» Sollevò le sopracciglia. «Splendore, è lui è già coinvolto. Sento quello che prova e so che non smetterà di sentirlo tanto presto.»
Serrai la mascella e con i denti stretti sibilai: «Lo so.»
«Quindi non sarebbe meglio stare al suo fianco quando i demoni lo troveranno? Perché lo sai anche tu che lo troveranno.»

§
 
Avevo aspettato per tutto il giorno di trovare Liam da solo per potergli parlare lontano da occhi e orecchie indiscrete, ma i suoi amici non lo lasciavano nemmeno per un secondo. Così, alla fine delle lezioni, mi ero appostata vicino alla sua Mercury Comet come una stalker e avevo atteso il suo arrivo.
Quando lo avevo visto comparire, con lo zaino su una spalla e il vento che gli scompigliava i capelli, mi ero tesa come la corda di un violino. Il mio cuore aveva cominciato a battere ad un ritmo così frenetico da farmi male alle costole e divenni estremamente consapevole di ogni singola cosa del mio aspetto: i capelli che la pioggia aveva reso crespi e arruffati, il labbro inferiore che veniva continuamente torturato dai miei denti, la mancanza di curve femminili in zone come i fianchi o il seno, il modo in cui i jeans mi stavano larghi sulle gambe sottili.
Scossi la testa e cercai di ignorare quei pensieri così stupidi e umani. Non era importante il mio aspetto, né il fatto che lui non mi trovasse attraente tanto quanto io facevo io con lui.
Ciò che era veramente importante era che Liam si stava infilando in un pasticcio davvero gigantesco. Lui non mi piaceva, ma non potevo lasciarlo indifeso di fronte alle attenzioni dei demoni.
Lui si fermò a qualche passo di distanza da dove mi trovavo io, con le labbra schiuse come sul punto di parlare e gli occhi lucidi dietro le lenti degli occhiali.
Incrociai le braccia al petto e drizzai la schiena. «Tu non lascerai perdere, vero?»
Fece un sorriso storto, scuotendo piano la testa. «Non posso.»
«Puoi, e dovresti.»
«Danny non era solo mio fratello, Rowan. Era il mio migliore amico.» Mi si avvicinò così tanto che riuscivo a sentire perfettamente l’odore del suo profumo – menta fresca e frizzante – e il calore del suo corpo. Abbassò il mento per potermi fissare dritta negli occhi. «Ti prego, dimmi che sei qui perché hai deciso di aiutarmi.»
Mi schiarii la gola e sostenni il suo sguardo. «Sono qui per impedirti di farti uccidere.»
«Da quello che ho visto l’altro giorno, sarai una guardia del corpo perfetta», commentò, facendo un cenno della testa verso il punto del parcheggio in cui qualche giorno prima lo avevo scaraventato a terra.
Sorrisi e arrossii, imbarazzata e allo stesso tempo compiaciuta dalle sue parole.
«Ma non ho bisogno della tua protezione», aggiunse tornando a guardarmi negli occhi. «Sono piuttosto capace di prendermi cura di me stesso.»
«Non contro questa cosa, Sterling.» Scossi la testa, ignorando la ciocca ribelle di capelli che mi era finita negli occhi. «Tu davvero non hai idea del pericolo che stai correndo.»
Lui serrò i muscoli della mascella e la linea della sua mandibola divenne ancora più dura. I suoi occhi erano fissi sulla ciocca che continuava a svolazzare intorno al mio viso. Cogliendomi di sorpresa, sollevò una mano per riavviarla dietro il mio orecchio. Indugiò a lungo con le dita sulla pelle gelida della mia guancia.
Una scarica elettrica incendiò le mie terminazioni nervose, e trattenni il respiro. Chiusi gli occhi, ma poi mi costrinsi a fare un passo indietro.
Lui lasciò ricadere il braccio lungo il fianco e strinse il pugno. «Allora spiegamelo.»
«Liam…»
«Perché lo farò comunque, con o senza il tuo aiuto. Almeno potresti dirmi contro cosa sto lottando.»
Rovesciai la testa all’indietro per poter continuare a guardare le sue iridi color caramello. «Non posso proprio fare o dire niente per farti cambiare idea?»
Quando scosse la testa, il sorriso sghembo che mi faceva venire le gambe molli tornò sulla sua bocca. «Proprio niente.»
Mi mordicchiai il labbro inferiore, quando notai che alle nostre spalle si era raccolto un gruppetto di spettatori curiosi che ci fissavano. «Possiamo andare via di qui?»
Lui lanciò un’occhiata indietro. «Ti preoccupi della mia reputazione, o della tua?»
Alzai gli occhi al cielo. «Mi preoccupo che possano sentire
«Va bene.» Tirò fuori le chiavi della macchina dalla tasca dei jeans e me le agitò davanti al viso. «Dove vuoi andare?»
«Al fiume.»
   
 
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