| New
York. 19/10/2018. H. 19:26 |
Ewan
abbassò lo sguardo. Il boccale sembrava aver acquistato un inspiegabile
interesse, ma lui non ne stava osservando le venature cristalline, né il
contenuto dorato, né le lievi gocce di condensa che si ammassavano sulla sua
superficie. Vedeva oltre, qualcosa di visibile solo a lui e che aveva la
consistenza dei ricordi che fanno male, quelli affilati, in grado di tagliare a
fondo la carne, fin quasi all'anima.
Fuori pioveva. La pioggia ticchettava continua
contro i vetri, lasciando su di esso disegni imprecisi lungo il suo tragitto
verso il suolo. Gli sembrava di essere di nuovo a Londra: la pioggia oltre le
vetrate del pub, l'umidità fin dentro le ossa, una Lager a scaldare il corpo e
annebbiare la mente. Quella sensazione di essere a casa era accresciuta, se non
addirittura resa palpabile, dalla presenza di Alastair davanti a lui,
silenzioso e in attesa.
Era una situazione che avevano sperimentato
davvero poche volte nei loro ventidue anni di amicizia, al punto che aveva
tutta la parvenza di una novità, un non sapere bene cosa fare, cosa dire.
Alastair aveva capito tutto e non solo perché
Ewan glielo aveva detto. La maggior parte delle cose le aveva capite da sé, ben
consapevole, non di cosa, ma di come
guardare. L'amico sapeva leggere gli sguardi di Ewan e interpretare le sue
mezze frasi come fosse un libro aperto. Alle volte era utile, altre, come in
quel momento, un vero e proprio tormento. Non vi era alcun dubbio sul fatto che
Alastair sapesse di Charlotte e di tutto il possibile che Ewan faceva per lei
ogni giorno. Soprattutto, però, l'amico aveva dimostrato di sapere di Samantha.
Non di come erano andate le cose fra di loro – Ewan l'aveva reso partecipe di
tutto, infondo – ma di cosa avesse scatenato nell'animo del ragazzo quella rottura
così improvvisa. Ad Alastair erano bastate poche parole per far capire
all'amico che comprendeva il suo stato d'animo, che sapeva che, sotto, c'era un
dolore più profondo di quanto volesse dare a vedere. Lo aveva detto con un tono
grave, serio, che sembrava impossibile appartenere a uno con quei suoi occhi
chiari e pieni di vita. Con una sola frase era riuscito a far riaffiorare
quanto Ewan aveva cercato di tenere nascosto, di assimilare e distruggere. Il
ragazzo sentiva tutto ancora con troppa intensità. Davanti ai suoi occhi poteva
rivedere la camera nella mattina precedente, quando, appena alzato, aveva letto
il messaggio di Samantha. Gli sembrava ancora di percepire la sfumatura di luce
che entrava dalla finestra, il brusio della città che si svegliava. Ricordava
quel messaggio, il rincorrersi di parole che avrebbe di gran lunga preferito
non dover leggere mai. Era ancora tutto lì, pulsante e vivo come una ferita
aperta, in cui sembrava rigirare il coltello e spargere sale ogni volta che ci
pensava. Una tortura, ecco cos'era, una tortura che Alastair aveva compreso a
fondo, dimostrandosi il migliore amico che si potesse desiderare.
Due gocce di condensa si unirono fra loro sul
vetro del boccale, la porta del locale si aprì tintinnando. Ewan inspirò. Di
quegli stati d'animo fatti di conflitto, angoscia e malinconia era sempre
riuscito a farne tesoro, a prenderli e trasformarli in nuove occasioni grazie a
quella caparbietà profondamente radicata in lui. Tuttavia, quella volta,
sembrava essere tutto ben più difficile da domare.
«Sai qual è la parte peggiore? Che non sono
innamorato di lei. Ma vorrei esserlo. Così almeno quello che sento avrebbe un
senso.» Alzò la testa, tornando a incrociare lo sguardo dell'amico. Un giorno
avrebbe fatto ordine in quel caos di sensazioni, ma era consapevole del fatto
che gli sarebbe servito del tempo. Affrontare l'argomento con Alastair, però,
discutere con lui della parte più tormentata di tutta quella storia con
Samantha e di ciò che essa sembrava avergli compresso dentro, poteva essere un
buon inizio per smettere di fingere che, dopotutto, non facesse poi tanto male.