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Autore: D a k o t a    16/08/2020    4 recensioni
[wee!chester - 14!Dean&10!Sam]
Di Sam che finisce per essere coinvolto in una rissa e Dean che, ovviamente, medita vendetta.
"La prima volta in cui Dean Winchester capisce che sarà un mese di merda è quando papà li abbandona in pieno Febbraio in un maledettissimo motel in Alaska.
Già: in Alaska a Febbraio per seguire una pista su un maledetto licantropo e non su un orso polare assassino, grazie tante.
La seconda volta in cui lo capisce è quando Sam pianta un capriccio con papà sul fatto che ha delle interrogazioni di fine semestre e che vuole saltare gli allenamenti della prossima settimana, finendo con lo strillargli contro qualcosa su come si preoccupasse solo delle sue stupide cacce.
La terza volta è quando, finite le lezioni, fa del suo meglio per trovare quel piccolo idiota del suo fratellino all’uscita da scuola e non lo trova."
[Scritta per la "(Don't) tag me Challenge" del gruppo Hurt/Comfort Italia]
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta in cui Dean Winchester capisce che sarà un mese di merda è quando papà li abbandona in pieno Febbraio in un maledettissimo motel in Alaska.
Già: in Alaska a Febbraio per seguire una pista su un maledetto licantropo e non su un orso polare assassino, grazie tante.
La seconda volta in cui lo capisce è quando Sam pianta un capriccio con papà sul fatto che ha delle interrogazioni di fine semestre e che vuole saltare gli allenamenti della prossima settimana, finendo con lo strillargli contro qualcosa su come si preoccupasse solo delle sue stupide cacce.
La terza volta è quando, finite le lezioni, fa del suo meglio per trovare quel piccolo idiota del suo fratellino all’uscita da scuola e non lo trova.
La quarta è quando se lo immagina in una maledetta biblioteca a riportare – senza avvertirlo, ovviamente - quello strano libro con curiosità nerd sulla fauna dell’Alaska che aveva preso in prestito qualche tempo prima.
La quinta è quando vede un’ambulanza nel cortile della scuola e un’onda insormontabile di preoccupazione e panico lo coglie.
“Cosa diavolo è successo qui?” sbraita, facendosi largo a spinte fra la folla di ragazzini radunatasi intorno all’ambulanza, tutto d’un tratto totalmente indifferente al freddo dell’Alaska.
Il non vedere Sam lo porta immediatamente ad avere un brutto presentimento. Un brutto, istintivo presentimento, che gli fa venire la voglia irrefrenabile di spingere più forte fra quella folla di mocciosi.
“Cos’è successo?” grida nuovamente, quando finalmente gli sembra di riconoscere una sagoma che sa di famiglia sulla barella.
Un moto incredibile di rabbia lo assale quando la piccola sagoma cerca di divincolarsi da un altro paramedico che lo tiene giù, costringendolo a restare sdraiato. L’istinto è di avvicinarsi e di saltare sopra al veicolo, ancora prima di vedere gli occhi spaesati e confusi di suo fratello minore e i piccoli lividi che gli costellano il volto.
“Scendi subito da qua. Non vedi che stiamo lavorando?” lo redarguisce il medico.
Suo padre gli avrà anche detto di non dare nell’occhio, ma ha comunque voglia di prenderlo a pugni e quella voglia è resa ancora più forte dai segni che ha visto su suo fratello. Evita solamente per il suo bene.
“Non vado da nessuna parte! Quello è mio fratello!” urla di nuovo, tutto rabbia e preoccupazione.
L’espressione sul volto del paramedico si ammorbidisce un po’ a quella rivelazione, concedendogli un po' di spazio.
“Tuo fratello è stato coinvolto in una rissa” afferma l’uomo e va bene che è un medico ed è abituato a vedere cose peggiori di uno stupido ragazzino con qualche livido sul corpo, ma dannazione, alle orecchie di Dean quel tono è troppo neutro e clinico per non infastidirlo. Non è di un bambino qualunque che si sta parlando, è di Sam.“Abbiamo avvertito suo padre. Sta bene, ma è scivolato sul ghiaccio e ha sbattuto la testa. Ha subito una concussione, quindi dobbiamo fare qualche accertamento e...”
L’uomo non fa in tempo a finire la frase che uno squittio che si traduce in un lamento cattura immediatamente e inderogabilmente la sua attenzione.
“Dean!” piagnucola il più piccolo.
A quel piccolo lamento, il maggiore dei Winchester risponde fregandosene istintivamente del protocollo e di un’infermiera giovane e occhialuta che gli urla qualcosa sul fatto che sia a sua volta un minore e che non possa avvicinarsi. Risponde con qualcosa di non precisato che suona come un “Andate tutti al diavolo” e a nessuno viene un singolo dubbio sul fatto che l’unico modo per allontanarlo dall’ambulanza sia trascinarlo di peso - e che trascinarlo di peso, beh, non sia poi nemmeno così tanto facile.
***
La vita nelle strade di Juneau scorre, si copre di neve e di un freddo glaciale che riempe i notiziari persino in Alaska, ma Dean quelle strade non le vede. E’ troppo preso dai lividi sul volto di suo fratello, dalla ricerca di tracce di sangue nel suo corpo, come se bastasse un altro soffio di aria gelida a portarsi via quel piccolo insieme di ossa che compongono quello che per lui è a metà fra un piccolo miracolo e una grandissima rottura di coglioni.
Dopo averlo ispezionato dalla testa ai piedi in maniera rapida – ma comunque più efficiente dei raggi X -, sotto lo sguardo contrariato dell’infermiera, si accorge che Sam non ha ancora detto una parola e quel silenzio è qualcosa che sente il bisogno di spezzare.
“Ehi, la caduta non ha danneggiato quei due piccoli neuroni che ti ritrovi, vero?” non può fare a meno di chiedergli.
Ed è una frase un po’ così, ma è anche una di quelle che in un dizionario per comuni mortali qualcuno tradurrebbe con “Idiota, mi hai fatto spaventare a morte, come stai?”. Ma per fortuna Sam non ha mai avuto bisogno di un dizionario nei suoi dieci anni di vita – non per comprendere lui, almeno.
“Non ho iniziato io, Dean” inizia, ma ha lo sguardo un po’ spento di chi si è spaventato a morte ed è davvero ferito da qualcosa. “Hanno scoperto della mamma. Hanno detto che l’unico motivo per cui la signorina Locklear dice che sono intelligente è perché le faccio pena...”
Un’occhiata vagamente empatica dell’infermiera che lo aveva quasi cacciato fuori dall’ambulanza non sfugge agli occhi di Dean, ma risponde solamente alzando gli occhi al cielo, con l’aria di chi odia ogni accenno di compassione.
Poi il maggiore guarda suo fratello e sembra per un attimo sorpreso, sembra tradito, da quella frase o dal fatto che sia stato Sam a pronunciarla. Come se ci fosse un tacito accordo fra di loro – fra loro due, ma anche fra tutta la famiglia – che sua madre non venisse nominata. Non si permette di indugiarci troppo, però.
Okay, i ragazzini possono essere degli stronzi ed è qualcosa che Dean a quattordici anni sa bene, ma dannazione, perché Sam tenda ad interiorizzare invece di difendersi quando gli è sempre stato insegnato a fare il contrario è uno stramaledettissimo mistero.
“E tu ci hai creduto? Bravo idiota” lo rimprovera. Nel farlo, gli passa una mano fra i capelli, un po’ per confortarlo un po’ per controllare che non ci siano altri lividi sotto la sua frangia. “Alla signorina Locklear piaci solamente perché sai cose da ragazzino strano che interessano solo agli insegnanti e ad altra gente strana. Come sta quella stupida testolina?”
Il tono è brusco, un mix di affetto ruvido e preoccupazione, ma dall’altra parte riceve un piccolo sorriso triste, a cui risponde con una scrollata di spalle.
“Hanno chiamato papà” mormora, senza rispondere e senza che Dean abbia bisogno di sentirglielo dire. “Mi dispiace, gliel’ho detto che non ce n’era bisogno, ma hanno voluto chiamarlo lo stesso...Non ho iniziato io, Dean”
Il maggiore gli posa una mano sul braccio e il più piccolo si trova, involontariamente, a tendere il suo corpo verso quel tocco.
“Non me ne importa niente né di papà né di chi ha iniziato, Sammy.” sbotta alla fine, appuntandosi mentalmente di non pronunciare la prima parte della frase mai più, anche solo per non correre il rischio di gettare benzina sul fuoco. “Ma sappi che la finisco io.”
Il minore dei Winchester si rende immediatamente conto di non aver sbattuto la testa abbastanza forte da non comprendere la minaccia dietro quella frase, se mai l’espressione improvvisamente feroce di Dean lasci spazio a qualche tipo di dubbio.
“Lascia perdere, Dean” mormora, sentendosi improvvisamente stanco.
Dean gli scompiglia la frangia, come è sua consuetudine da anni e Sam è così abituato a quel gesto e alla sua presenza che neanche cerca più di scuoterselo di dosso.
“Risparmiami le stronzate pacifiste, Yoko. Sta’ zitto e vediamo cosa è rimasto di quella testolina.” insiste, quando l’ambulanza si ferma nel cortile dell’ ospedale.
***
“Il dottore ha detto che non hai niente di rotto, ma che hai comunque sbattuto la testa e devi riposarti per una settimana.” afferma, sedendosi di fronte al lettino su cui suo fratello è adagiato. “Ti lasceranno andare quando arriva papà.”
Il più piccolo risponde con una smorfia poco entusiasta alla parola “papà”. A volte pensa che la vita era più facile, quando aveva solo i suoi disegni. A volte vorrebbe tornare a nascondersi fra la carta e i colori. Oppure vorrebbe essere Dean, che non arrossisce mai quando entra in una stanza e tutte le teste si voltano verso di lui.
“Ehi, guarda il lato positivo” mormora Dean, avvicinandosi al suo letto. “Avrai quella settimana senza allenamento che avevi chiesto a papà”
In risposta riceve un’occhiataccia eloquente. Dean esala un sospiro pesante, perché è arrivato il momento di una di quelle chiacchierate cuore-a-cuore che piacciono tanto al piccolo idiota.
“Smettila con quel broncio, Sammy” gli risponde, in un moto di rabbia e preoccupazione perché proprio non ce la fa a vederlo così. “Non capisci che quegli stupidi pinguini sono solamente gelosi di te? Dannazione, Sammy! Ci trasferiamo sempre e sei comunque lo stupido moccioso più nerd e intelligente di qualsiasi posto in cui andiamo!”
Sam solleva una spalla, osservando il paesaggio innevato fuori dalla finestra, senza sottolineare ancora una volta che non ci sono pinguini in Alaska. Gli piacciono le finestre così ampie, le vite che può immaginare da dietro al vetro.
“Davvero molto consolante, Dean” risponde.
Non importa che siano in ospedale: agli occhi di Dean, Sam sta abbastanza bene da sembrare ancora una di quelle stupide carotine intelligenti dei giochini per bambini strani come suo fratello.
“Dimmi quei nomi adesso o prendo a calci nel culo te, invece di loro” ripete ancora una volta.
Sam non fa in tempo a rispondere qualcosa di maledettamente diplomatico come “Dean, non ne vale la pena” che suo padre entra nella stanza, con il suo esserci ed essere comunque a chilometri di distanza, il suo amarlo in quel modo complicato fatto di troppi rimproveri e di qualche distratta carezza sulla testa.
“Come sta?” chiede e Sam ha quasi voglia di urlare, ha quasi voglia di dire che sta bene, che è là e può parlare e non ha bisogno di Dean a comunicare al posto suo, grazie tante e -
Suo padre aggiunge un’altra frase.
“Ti ho insegnato a difenderti meglio di così” dice solamente.
Sam apre la bocca e Dean ha i riflessi di evitare l’ennesimo melodramma.
“Sta bene, ma ha sbattuto la testa” risponde, mentre Sam scende giù dal lettino, con una scrollata di spalle. “Almeno adesso abbiamo una scusa quando ci chiedono perché è così
Mentre il più piccolo sbuffa indispettito, l’ombra di un sorriso balena per un attimo sulle labbra di John, per poi ricordarsi di quella mezza conversazione origliata prima e tornare all’imperativo categorico a cui Dean è decisamente più abituato.
“Domani lasciamo Juneau, ma non dobbiamo dare nell’occhio.” ordina, e per la prima volta Sam sembra felice di andarsene. Lo sguardo cade sul suo figlio più grande. “Oggi non andrai a cercare problemi, Dean”
Per un attimo, un’ombra testarda che John ha visto spesso negli occhi di Sam e quasi mai nei suoi gli attraversa lo sguardo. Risponde fissandolo, serio e ammonitore, fino a quando il ragazzino non cede.
“Sì, signore” risponde, per poi tirare Sam a sé con un abbraccio all’altezza del collo. Il più piccolo protesta con un grugnito come reazione a quella presa ruvida e improvvisa. Dean non può fare a meno di ribattere a bassa voce.
“Io non cerco problemi, papà." afferma con convinzione, stringendo più forte il più piccolo. "Sono loro che li hanno trovati quando l'hanno toccato”

NDA 
Scritta per la #DontTagMeChallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction e Fanart , con prompt
"
Sam viene bullizzato dai compagni di scuola: circondato dai suoi assalitori non riesce a difendersi da tutti. Gli succede qualcosa per cui la scuola chiama l'ambulanza (ossa rotte, accertarsi che nn abbia nulla di rotto, insomna vedi tu). Nel vedere l'ambulanza e capendo che si tratta di Sam, Dean corre da lui (e ovviamente medita vendetta).

 
   
 
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