Capitolo undicesimo: Go high
And I get lonely on the high road
Everywhere that I go
Stand for nothing, fall short, but not me
But I won't give up
I'll keep giving love
Runs through my blood
I'll never give up yeah, yeah
When you go low, I go high, I go high, I go high
When you go low, I go high, to get by, to get by
Sometimes (sometimes, sometimes) I don't wanna be nice (nice)
But I try (but I try) when you go low, I go high…
(“Go high” – Kelly Clarkson)
Non sarebbe stato facile riuscire a creare
un’alleanza di Stati e potenti che proteggesse il Regno di Napoli, ma Juan
Borgia era deciso a provarci e a non fallire per l’ennesima volta: l’esercito
era già molto più forte grazie a Don Hernando e alla sua capacità di comandante
e stratega, ora era necessario rendere più solido il Regno al suo interno
sottomettendo i Baroni una volta per tutte e poi allearsi con gli Stati più
prestigiosi della penisola.
Solo in questo modo, infatti, il Regno e
Alfonso sarebbero stati al sicuro dalle insidie, dalle minacce e dall’ambizione
della sua famiglia. E doveva accadere in fretta, prima che suo padre scoprisse
che lui non aveva la minima intenzione di fare del male al Principe e, magari,
decidesse di occuparsene personalmente mandando qualche assassino.
La gestione delle alleanze sarebbe dovuta
toccare ad Alfonso, ma Juan aveva avuto un’idea che avrebbe permesso di tenere
d’occhio i nobili di Napoli e impedire loro qualsiasi mossa contro il sovrano. La
notte in cui era stato alla festa con Don Hernando (e che aveva tanto fatto
infuriare il suo geloso Principino!) aveva avuto occasione di parlare con la proprietaria
del palazzo, Madonna Flora, e aveva compreso che quelle feste erano molto
frequentate anche dagli stessi Baroni di Napoli e da tutti i loro congiunti. Il
giovane Borgia era un habituée di
bordelli, nottate di orge e simili, perciò sapeva bene che, durante tali
divertimenti, spesso si finiva per parlare troppo… Perciò quale mezzo migliore,
secondo lui, per avere sempre un filo diretto con le trame e le insidie dei
nobili napoletani? Era deciso, Alfonso doveva fare amicizia con Madonna Flora e
le sue ragazze e loro avrebbero agito da spie per lui durante i loro convegni
amorosi con l’aristocrazia del Regno.
Juan non era tipo da pensarci su due volte
quando prendeva una decisione: in men che non si dica aveva scritto un
messaggio indirizzato alla ricca Flora in cui invitava lei e le sue cortesi amiche al castello reale per la
sera successiva, così da incontrare il Principe e mettersi d’accordo con lui.
Aveva chiaramente preso molto sul serio il
fatto di condividere il Regno di
Napoli con Alfonso, tanto da non farsi problemi a invitare gente al castello
senza chiedere prima il permesso al legittimo proprietario, sicuro com’era di
agire per il suo bene e la sua sicurezza! E, in effetti, quando mise il ragazzo
davanti al fatto compiuto, seppe motivarlo talmente bene da convincerlo che era
la cosa migliore da fare.
La sera seguente, dunque, il castello si
vestì a festa per accogliere Madonna Flora e tre delle sue amiche più fedeli,
scelte tra le più esperte e astute. Ci sarebbe stata una cena elegante e poi…
beh, mentre Alfonso stringeva amicizia con la ricca cortigiana e prendeva
accordi con lei, Juan e Don Hernando avrebbero sempre potuto trovare un modo
piacevole e fruttuoso di passare il tempo, no?
Come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio e Juan Borgia di perdere i
suoi vizi non aveva la minima intenzione, nonostante fosse sinceramente legato
ad Alfonso. Ma, secondo lui, fare sesso solo per piacere non era diverso da
gustarsi una bottiglia del miglior vino delle vigne dei Borgia e non c’entrava
un bel niente con i sentimenti e con ciò che provava per il Principe.
Che ci volete fare? Juan era fatto così! E
chissà, magari dal suo punto di vista aveva pure ragione, ma non pensava
nemmeno a come avrebbe potuto reagire il suo giovane amante…
Dopo la cena gustosa e raffinata, Alfonso
decise di prendere sul serio il suo ruolo di sovrano di Napoli e si avviò verso
Madonna Flora che, dal canto suo, lo accolse con molto calore.
“E’ bello vedere che questo castello
risplende di nuovo come quando venni la prima volta, tanti anni fa, e tutto
grazie a voi, Vostra Maestà” disse la donna, inchinandosi.
“Avete già visitato il mio castello?” si
stupì il ragazzo.
“Oh, certo, molte volte” rispose lei. “Sono
arrivata qui da Ferrara nel 1478, circa vent’anni fa, e ho avuto l’onore di
conoscere vostro padre. E’ stato un grande sovrano e amava molto intrattenere i
suoi ospiti con feste e ricevimenti e… io e le mie amiche eravamo sempre le
benvenute.”
Alfonso rimase spiazzato. Non si aspettava
quella rivelazione e nemmeno che il padre fosse un amante delle feste. Beh… a
dirla tutta, lui aveva conosciuto ben poco del padre, impegnato nella
repressione dei Baroni ribelli e poi divenuto sempre più malato e fragile.
“Una delle feste più belle e riuscite che
ricordo fu quella che vostro padre diede alla vostra nascita, Maestà. Era
davvero felice di aver avuto un erede e non badò a spese” raccontò ancora
Flora. “Spero che non vi offenderete, Vostra Maestà, se vi dico che eravate veramente
un bambino adorabile, bello e vivace. E non avete tradito le aspettative,
vostro padre sarebbe fiero di voi.”
Magari fosse vero, pensò
vagamente il giovane Principe, oltremodo a disagio pensando che quella donna lo
aveva visto quando era ancora un infante… Con che coraggio si sarebbe adesso
rivolto a lei da sovrano del Regno di Napoli? Lei lo ricordava come una specie
di bambolotto!
Madonna Flora, tuttavia, non sarebbe arrivata
dov’era se non avesse saputo come mettere a suo agio gli uomini. Con molto
tatto fece capire ad Alfonso che, se gli aveva ricordato di averlo conosciuto
appena nato, significava soltanto che era stata sempre fedele alla sua famiglia
e che avrebbe fatto di tutto per favorire una rinascita del Regno di Napoli
dopo l’oppressione francese. Conversando piacevolmente del più e del meno, la
cortigiana riuscì a tranquillizzare il Principe e a farlo sentire importante. Così
trascorsero più di due ore e, quando fu il momento di congedarsi da lui, Flora
si era guadagnata tutta la stima e la fiducia di Alfonso.
“Non temete, Vostra Maestà, io e le mie
amiche saremo le vostre più fedeli alleate” promise. “Se avessimo saputo, avremmo
sicuramente fatto in modo di non farvi cadere nelle mani dei Francesi, sarei
stata onorata di ospitarvi nel mio palazzo e sarei riuscita a distrarre i vostri inseguitori.
Purtroppo non ho potuto fare niente allora, ma adesso siete qui e vi giuro che
contribuirò in ogni modo alla sicurezza e alla rinascita del vostro Regno.”
Era bello per Alfonso sentire che c’era
almeno qualcuno, a Napoli, che avrebbe voluto aiutarlo quando Re Carlo lo aveva
catturato e che adesso era ostile ai Baroni quanto lui.
“Avete detto che alcuni dei nobili
frequentano spesso le vostre feste” disse.
“Oh, sì, il Duca Sanseverino è un nostro
ospite abituale ed ha una spiccata predilezione per la mia amica Francesca”
rise Flora. “Spesso con lui è venuto anche il Principe di Melfi Caracciolo, per
non parlare dei figli, dei nipoti, dei cugini… Praticamente tutta
l’aristocrazia napoletana si presenta alle mie feste con regolarità. Io e le
ragazze conosciamo tutti i segreti più scabrosi delle famiglie più in vista e,
in caso doveste averne bisogno, sarei lieta di raccontarvi tutto per
consentirvi di usarli contro di loro.”
“Sapete per caso se qualcuno di loro ha
parlato di me, se cospirano contro la mia persona?” le domandò il ragazzo.
“In realtà al momento sembra prevalere la
paura, forse per il fatto che vi siete circondato di persone come il
Gonfaloniere Borgia e il valoroso Don Hernando de Caballos, e questo è stato
molto saggio da parte vostra” replicò la donna. “Per adesso la notizia più
succosa che posso darvi è che il figlio maggiore del Duca Caldora ha perso la
testa per Margherita, una delle mie ragazze più giovani. E’ talmente infatuato
da averle chiesto di scappare con lui! Il Duca suo padre morirebbe di vergogna…
se si venisse a sapere…”
“Molto interessante” sorrise Alfonso,
compiaciuto e divertito. “Vi sono veramente grato, Madonna Flora. Sappiate che,
d’ora in poi, voi sarete la benvenuta nel mio castello, proprio come lo eravate
ai tempi di mio padre. Sarete accolta con tutti gli onori ogni volta che
vorrete o che avrete qualcosa da farmi sapere.”
“Sono onorata di potermi rendere utile a
Vostra Maestà” replicò la cortigiana, con un altro inchino. “Non appena le mie
amiche mi raggiungeranno torneremo al nostro palazzo. Non vorrei che il giovane
Caldora approfittasse della mia assenza per cercare di convincere Margherita ad
una fuga d’amore!”
Alfonso e Flora risero insieme e il giovane
Principe era felice e compiaciuto di sentirsi, finalmente, un vero sovrano, che
tesseva accordi e alleanze proprio come faceva il padre.
Flora fu ben presto raggiunta da due delle
amiche che aveva portato. Mancava però la terza, Elena.
La cosa divenne presto un problema non appena
Alfonso si rese conto che, oltre ad Elena, mancava da un pezzo anche Juan. Non
era presente alla conversazione che lui aveva avuto con Madonna Flora e, in
quel momento, non si trovava nel salone. Don Hernando si offrì di andare a
cercare la ragazza, ma Alfonso glielo impedì.
“Non preoccupatevi, Don Hernando, anzi,
rimanete a tenere compagnia alle signore,
vado io a cercarla” disse il giovane Principe, mentre un lampo gli passava
nello sguardo. “Il castello è grande e ci sono anche luoghi pericolosi per chi
non lo conosce. Vado io a cercarla, preferisco assicurarmi che non le sia
accaduto nulla di male.”
Poteva sembrare un’offerta insolita per un
sovrano, ma né Flora né Don Hernando si stupirono, ritenendo che Alfonso fosse
ancora traumatizzato per ciò che gli era accaduto nelle segrete e che volesse
come prima cosa accertarsi che la giovane donna non fosse finita laggiù dopo
essersi smarrita.
In realtà il ragazzo aveva forti sospetti di
dove avrebbe trovato Elena e non voleva che qualcuno lo scoprisse. Non poteva
essere un caso che mancassero sia lei sia Juan e il Borgia era noto per non
saper tenere a freno i propri istinti…
Alfonso salì al piano superiore in fretta,
mentre l’agitazione cresceva nel suo cuore.
Si raccontava che era solo l’umiliazione a
turbarlo, che chiaramente Madonna Flora e Don Hernando sapevano che lui e Juan
avevano un legame particolare e che
trovare il favorito del Principe a
letto con una cortigiana qualsiasi sarebbe stato un affronto per lui, che
quindi nessuno doveva sapere. Era meglio che fosse lui a scoprirli in modo da
mettere a tacere subito voci e insinuazioni.
Eppure non era questo a spezzare il fiato ad
Alfonso, a lacerargli l’anima, a infilargli lame appuntite fino in fondo al
cuore.
Juan aveva cercato piacere altrove perché lui
non gli bastava. Era inesperto, ingenuo, e forse nemmeno poi tanto attraente.
Juan era abituato a ben altro e adesso ricominciava a cercarlo.
Lui non era abbastanza.
Non ci fu nemmeno bisogno di cercare tanto:
la porta della stanza di Juan era aperta e ne provenivano dei suoni
inequivocabili. Qualcosa si spezzò dentro Alfonso quando si presentò sulla
soglia e colse di sorpresa i due impegnati in arditi amplessi.
“Madonna Elena, spiacente di disturbarvi, ma
la vostra amica vi sta aspettando nel salone per tornare a palazzo. Vi prego di
ricomporvi e di non farla attendere oltre, sono stato chiaro?” disse, in un
tono tagliente che Re Ferrante avrebbe approvato senz’altro.
Per poco i due non rotolarono dal letto per
la sorpresa. Elena, imbarazzata per la figura fatta proprio davanti al sovrano
con cui Flora era venuta ad accordarsi, si affrettò a rivestirsi e sistemarsi i
capelli, per poi passare davanti ad Alfonso mortificata.
“Vi chiedo perdono, Vostra Maestà, io…”
mormorò, cercando di abbozzare un inchino.
“Non mi dovete niente, solo, per cortesia,
vedete di sbrigarvi” tagliò corto Alfonso, incamminandosi con lei verso le
scale per accompagnarla nel salone.
Juan era rimasto nella stanza, coperto solo
da un lenzuolo, scarmigliato e piuttosto a disagio. In una qualche parte della
sua coscienza iniziava a farsi strada un vago senso di colpa…
“Alfonso, io…”
Ma il ragazzo era già lontano, in tutti i
sensi.
Poco dopo, Don Hernando aveva incaricato
alcuni dei suoi uomini di scortare le cortigiane al loro palazzo e stava
augurando la buona notte al giovane Principe.
“Sono lieto che ci sia stato questo accordo,
sono certo che le informazioni che riceverete da Madonna Flora saranno
preziose, Vostra Maestà. Ma… vi sentite bene? Siete molto pallido. Volete che
chiami il vostro medico?” domandò il comandante, preoccupato.
“No, vi ringrazio, Don Hernando” rispose
Alfonso, che faceva fatica a trattenersi dallo scoppiare in lacrime. “Sto bene,
sono solo stanco. Una buona notte di sonno mi rimetterà in sesto.”
Si congedò dallo spagnolo e si avviò verso la
sua camera. Adesso, finalmente, era rimasto solo e nessuno lo avrebbe visto
piangere. Le lacrime brucianti iniziarono a solcargli il viso mentre la ferita
nel cuore lo straziava più di una pugnalata.
Sono solo uno stupido che si rifiuta di guardare in
faccia la realtà. Non valgo niente, non sono nessuno, la gente mi considera
soltanto per il mio nome e il mio titolo, ma sono un inetto, incapace perfino
di governare il mio Regno. Cosa mi aspettavo? Uno come Juan Borgia non può
avere alcun interesse per uno come me, se non per ottenerne vantaggi e
privilegi…
Ma Juan lo attendeva proprio davanti alla
porta della sua camera. Si era rivestito quel minimo che serviva, con la
camicia aperta e disordinata fuori dai pantaloni.
“Alfonso, non volevo che rimanessi così male,
ti assicuro che per me quella cortigiana non significa niente, è solo una delle
tante” gli disse, cercando di prenderlo per le braccia, ma il ragazzo si tirò
indietro. E Juan si accorse che questa volta, a differenza di qualche notte
prima, Alfonso non era imbronciato e arrabbiato. Stava piangendo e pareva
devastato dal dolore.
“Una delle tante, certo, so quali sono i tuoi
interessi e i tuoi divertimenti, sono io che sono stato uno stolto a credere…
ma non importa, fai quello che vuoi della tua vita, non mi riguarda, ho già
abbastanza preoccupazioni” disse il giovane Principe, cercando di mantenere
ferma la voce.
Juan riuscì a prenderlo per le spalle e a
portarlo dentro la stanza, chiudendo la porta. Non era il caso che tutto il
castello sapesse degli affari loro…
“Tutto quello che faccio lo sto facendo per
te, Alfonso, per rafforzare il tuo dominio su questo Regno e…” iniziò a dire,
ma il ragazzo lo interruppe con un sorriso amaro.
“Ah, senti questa, davvero originale,
potrebbe vincere il premio di scusa dell’anno”
commentò, caustico. “Facciamola finita con questa farsa, Gonfaloniere Borgia,
che ne dici? Tanto ormai ho capito, volevi soltanto una posizione di prestigio
nel Regno di Napoli e hai usato l’unico mezzo con cui eri sicuro di ottenerla.
Non ti preoccupare, non ti priverò dei tuoi privilegi. Del resto, ho comunque
bisogno di qualcuno che mi consigli nel governo del Regno, so benissimo di
essere un incapace…”
Questa rassegnazione dolente di Alfonso fece
molto più male a Juan di quanto non gli avrebbe fatto una scenata di gelosia.
Davvero aveva ferito così tanto il suo Principe da spingerlo a parlare così? Davvero
lo aveva fatto sentire inutile e solo? Sinceramente pentito, prese tra le
braccia il ragazzo che tentava debolmente di divincolarsi e lo strinse forte a
sé.
“Non voglio sentirti parlare così. Tu non sei
un incapace e io voglio veramente governare insieme a te, non mi interessa il
prestigio personale, è con te che voglio condividere questo Regno, è con te che
voglio stare. Tu non sai neanche quanto bene mi fai con il tuo affetto e la tua
dolcezza, Alfonso” mormorò. Prevenne ogni ulteriore protesta chiudendo la bocca del
Principe con un bacio intenso, profondo, lunghissimo. Se non credeva alle sue
parole, ebbene, gli avrebbe dimostrato quanto lo voleva con i fatti, che erano
ciò in cui Juan riusciva meglio. Lo spinse sul letto e lo spogliò, baciandogli
con passione la bocca, il collo, tutto il viso, senza dargli tregua, mentre le
sue mani gli percorrevano il corpo liscio e vellutato, stuzzicando tutti i suoi
punti più sensibili e togliendogli il fiato. Mentre anche Juan si liberava
delle vesti, continuò a eccitarlo con carezze sempre più audaci e intime e baci
appassionati e profondi, rendendosi conto lui per primo che quello che stava
facendo adesso con Alfonso gli procurava un piacere infinitamente superiore a
ciò che aveva provato con la cortigiana.
Finalmente
lo prese, invaso da un’eccitazione che non poteva più trattenere e che sfogò in
lunghi e sempre più appassionati amplessi, continui assalti amorosi di cui non
si stancava mai, anzi, voleva proprio sentire tutto del suo piccolo Principe
triste e imbronciato, voleva scivolargli sotto pelle, diventare carne della sua
carne, un tutt’uno con lui. Solo quando anche Juan fu sfinito si fermò, ansante
e scarmigliato, stringendo Alfonso in un abbraccio avvolgente che incatenava
insieme i loro corpi lasciando fuori il resto del mondo.
Accarezzando i capelli morbidi del giovane
Principe, Juan pensava che a lui non importava più così tanto della posizione
di prestigio che aveva acquisito, quello che contava era governare insieme ad
Alfonso e consolidare il loro potere per difendersi da qualsiasi nemico… e, in
primis, dalle mire ambiziose di suo padre che voleva Alfonso morto perché
fossero i Borgia a regnare su Napoli. Tutto quello che aveva detto al ragazzo
era la pura verità, anche il fatto che il sesso con la cortigiana era stato un
semplice sfogo del suo corpo, così come poteva esserlo un bel duello o una
buona bevuta.
“Alfonso” gli disse piano, continuando ad
accarezzargli i capelli, “mi dispiace davvero se ti ho fatto soffrire, ma lo
sai come sono fatto, mi conosci e lo sapevi già quando venni più di tre anni fa
per organizzare il matrimonio di Sancha con Goffredo. Non volevo ferirti o
mortificarti, questi sono i miei vizi, così come lo è ubriacarmi o fumare oppio,
non ne vado fiero ma io sono questo. Credevo che tu potessi accettarmi per ciò
che sono, nel bene e nel male, che tu non mi giudicassi…”
“Io non ti giudico” riuscì a rispondere
Alfonso, ancora affannato e stravolto, “tu sei libero di fare ciò che vuoi e io
ti accetto, lo sai, è solo che… mi sono sentito così inutile, uno che conta
solo per il nome della sua famiglia e il suo rango…”
Juan si sentì stringere il cuore. Possibile
che il suo Principe fosse così insicuro, così privo di autostima? Intenerito,
lo abbracciò forte, i corpi sempre più intrecciati e incollati tra loro.
“Ti ho già spiegato che non voglio sentirti
dire che sei inutile. Tu mi stai cambiando la vita, Alfonso, sei l’unico che mi
fa sentire accettato e accolto, che mi fa sentire a casa. Non importa se non
sei un sovrano degno di tuo padre, del resto io sono sempre stato una delusione
per il mio, no? Ma sei importante per me
più di ogni altro al mondo” replicò Juan con una veemenza appassionata.
Alfonso comprese che le parole di Juan erano
schiette e sincere, che gli venivano dal cuore. Sentendosi arrossire, si affidò
alle sue braccia perdendosi completamente in lui.
“Anche tu sei… importante per me…” sospirò,
imbarazzatissimo.
Era così, non poteva farne a meno. Per quanto
gli atteggiamenti e le abitudini di Juan potessero ferirlo e farlo soffrire,
Alfonso sapeva che non avrebbe mai potuto rinunciare a lui. Non capiva bene ciò
che sentiva, era così diverso da tutto ciò che aveva provato fino ad allora,
persino dall’affetto profondissimo per il Generale… ma sapeva che nessun dolore
sarebbe mai stato paragonabile alla devastazione del suo cuore se avesse dovuto
rinunciare a Juan.
Il giovane Borgia lo baciò di nuovo, questa
volta in modo più languido e tenero e poi, finalmente riappacificati, i due
giovani scivolarono in un sonno pacifico e ristoratore.
Altre sfide e doveri li attendevano nei
giorni a venire, ma li avrebbero affrontati insieme e uniti.
Fine capitolo undicesimo