Tutti lo consideravano pazzo.
Ma non lo era.
Lui era un attore che puntava alla magnificenza non una misera comparsa che si accontentava di un ruolo secondario. 

Amore, odio, rabbia, tristezza, felicità, spensieratezza, raffinatezza, modestia, sconforto, paura, egocentrismo, superbia, gola facevano parte tutto del suo personaggio.  E affinché potesse brillare come una stella per essere il protagonista dello spettacolo era necessario inglobare tutte quelle emozioni, stati d'animo, modi d'essere ed analizzarli, provarli, sentirli.
Ancora e ancora.
Ognuno di loro doveva avere il suo ruolo, il suo tempo, il suo spazio. Doveva immergersi dentro tuffandosi in profondità, nuotando contro la pressione sempre più forte, dilaniandosi la carne, bruciandosi la pelle, rompendosi le ossa. Dovevano ardere dentro il cuore e l'anima affinché ne assorbisse l'essenza stessa. Sviluppando i suoi ruoli, affinando le sue conoscenze estraendo le sue personalità.
Lui aveva il compito di giostrarle come un burattinaio fa con le sue bambole facendole interagire tra loro, improvvisando e valutando, passo dopo passo, battuta dopo battuta per raccontare la migliore delle storie che lasciasse il pubblico senza fiato.
Per questo aveva bisogno di tutti loro.
No, non era egoismo.
Ognuno aveva un importante ruolo nella crescita del suo personaggio: loro erano la sceneggiatura, lui l'interpretazione.
Per poterla eseguire al massimo del suo potenziale doveva essere pazzo.
Follemente pazzo.

Rise sadicamente. Si sistemó i lembi dello smoking e il colletto della camicia.
Tutto era pronto. Questa volta non gli avrebbero rubato la scena.

L'arena era il suo palcoscenico. 

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